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LA PERFORMANCE DEI FONDI ETIC

3.1 Relazione tra costo, rischio e rendimento

3.1.3 La redditività e il rischio dei fondi etic

Oltre che dal lato dei costi, la penalizzazione per l’investitore socialmente responsabile potrebbe essere in termini di performance del fondo, intesa come un rendimento non adeguato al livello di rischio che si corre.

Secondo la teoria classica di selezione di portafoglio alla Markowitz (1952), un portafoglio alla cui composizione vengono posti dei limiti, in generale risulta essere meno efficiente di uno non vincolato. In questo caso, l’applicazione del criterio di “socialmente responsabile” ai titoli inseriti nel portafoglio del fondo

riduce il suo grado di diversificazione, aumentandone di conseguenza il rischio idiosincratico (o non sistematico) e riducendone la performance. Il rischio idiosincratico è definito per differenza dal rischio sistematico (o di mercato) ed è rappresentato dalla componente di rischio, associata a ciascun titolo, che dipende esclusivamente da fattori specifici caratterizzanti quella singola impresa. Riducendo l’universo investibile, come nel caso dei fondi etici, si rischia di concentrare l’investimento in determinate imprese o in determinati settori che sono caratterizzati dai medesimi fattori di rischio e pertanto risulta difficile selezionare dei titoli che, per le loro diverse proprietà, riescano ad annullare reciprocamente la propria componente di rischio specifico.

Alcuni studi (Becchetti e Fucito, 1999) hanno dimostrato che, calcolando la varianza quale indicatore di rischio di un portafoglio etico, essa è tanto maggiore rispetto a quella di un portafoglio non vincolato quanto più sarebbe stata possibile la diversificazione7.

7 Se si considera il caso semplice di un portafoglio formato da soli due titoli nei quali vengono investite

rispettivamente quote di capitale pari a e (1 − ), la formula per la varianza del rendimento del portafoglio può essere esplicitata nel seguente modo:

( ) = = ∙ + (1 − ) ∙ + 2 ∙ (1 − ) ∙ , ∙ ∙

Quest’ultima formula mette in evidenza come sia possibile costruire, a partire dalla combinazione di soli due titoli, un portafoglio con un rischio complessivo minore di quello del titolo meno rischioso dei due considerati separatamente(X1 per ipotesi). Si tratta della c.d. contrazione del rischio.

La varianza del portafoglio, infatti, “importa” meno che proporzionalmente quella di ciascuno dei due titoli considerati (la varianza di ogni titolo è moltiplicata per la percentuale di capitale investita in detto titolo elevata al quadrato, la quale essendo una quantità compresa tra zero e uno, riduce il valore del rischio complessivo del portafoglio); vi è inoltre un terzo addendo che, a seconda dei casi può assumere valore positivo, negativo o nullo, e quindi può talvolta contribuire all’ulteriore riduzione della varianza complessiva.

Si consideri in proposito la definizione di covarianza tra due variabili casuali: Cov(X, Y) = ρ, ∙ σ ∙ σ

dove ρ , indica l’indice di correlazione di Pearson e σ , σ sono le deviazioni standard dei due titoli. Si ha:

· Cov(X, Y) = 0, ossia ρ , = 0 , quando le due variabili casuali sono linearmente indipendenti

tra loro.

· Cov(X, Y) > 0, ossia ρ , > 0 , quando i rendimenti dei due titoli si muovono nella stessa direzione (se uno aumenta, anche l’altro aumenta, viceversa se uno diminuisce, diminuisce anche l’altro).

In questo caso si parla di sacrificio etico, ma molto spesso la sua entità viene sopravvalutata in quanto il costo di un investimento non deve essere misurato solo in termini di rischio (varianza) ma anche di covarianze.

“Il contributo di un titolo alla varianza del portafoglio di mercato è infatti dato

principalmente dalla somma ponderata delle covarianze del titolo con gli altri titoli sul mercato: all’aumentare del numero di titoli sul mercato, il contributo della sola varianza diventa sempre più piccolo. Questo significa che il danno prodotto dalla selezione etica sulla performance del portafoglio si riduce considerevolmente al crescere del numero di titoli considerati. Ne consegue che quando i titoli su cui si può investire crescono in misura sufficiente (20-30 per

Fisher e Lorie, 1970 e Bloomfield, Leftwich e Long, 1977; 50 per Campbell et al., 2001; 200 per Statman, 1987), ci si trova a gestire una frontiera rischio-

rendimento del portafoglio etico assolutamente simile a quella tradizionale.”

(Cit. Regalli, Soana e Tagliavini, 2005).

In tal caso si parla di ottima diversificazione di portafoglio ed il rischio idiosincratico tende ad annullarsi. I titoli del fondo saranno pertanto esposti al solo rischio di mercato misurato dal beta ed il sacrificio tenderà a scomparire. Si può concludere quindi che, anche in termini di rischio, non sembrano esserci motivazioni teoriche per cui i fondi socialmente responsabili debbano rendere meno di quelli tradizionali.

Anche gli studi empirici hanno riconfermato il più delle volte la medesima tesi. A fronte di un numero limitato di casi in cui gli strumenti socialmente responsabili hanno avuto performance inferiori rispetto a quelli che non applicano la selezione etica (Geczy, Stambaugh e Levin, 2003; Teper, 1992; Rudd, 1979), la maggior parte delle analisi condotte sia negli Usa che in Europa ed in particolare in Inghilterra, non hanno mostrato significative differenze di

· Cov(X, Y) < 0, ossia ρ , < 0 , se i rendimenti dei due titoli si muovono in direzione opposta

(quando uno aumenta l’altro diminuisce e viceversa).

E’ proprio in quest’ultimo caso ed in particolare quando la correlazione negativa è pari ad uno (ρ , = −1) che si ha la massima diversificazione di portafoglio e contemporaneamente la riduzione del

rischio maggiore.

Qualora poi il numero di titoli compresi in portafoglio aumenti, l’effetto appena descritto non può che ampliarsi.

performance tra i fondi etici ed i loro concorrenti tradizionali (Guerard, 1997; Diltz, 1995; Hamilton et al., 1993).

Alcuni autori (Statman, 2000; Di Bartolomeo e Kyrtz, 1999; Luck e Pilotte, 1993) hanno addirittura evidenziato una sovra-performance degli strumenti SRI rispetto a quelli tradizionali. A tal proposito sono state date diverse spiegazioni.

1. Selezionare i titoli etici equivale a scegliere le imprese migliori sul mercato Selezionando i titoli in base a criteri etici, i gestori del fondo scelgono contemporaneamente anche le imprese “migliori” sul mercato, perché proprio l’attenzione che esse rivolgono ad aspetti non puramente economici riesce a garantire agli investitori rendimenti più elevati nel tempo.

2. Peso notevole che le “small cap” hanno nei portafogli etici

Si tratta di una strategia di portafoglio focalizzata su imprese di piccole dimensioni che sembrano produrre nel lungo termine rendimenti superiori rispetto alle aziende di grandi dimensioni. Tale fenomeno è noto in finanza come small firm effect (Gregory, Luther e Matatko, 1997; Luther e Matatko, 1994).

Osservazione: le considerazioni fatte non valgano nel breve periodo in quanto, per i prodotti socialmente responsabili, bisogna tener conto anche dell’age

effect, ossia del lasso di tempo (4-5 anni) di cui tali prodotti necessitano per

poter garantire buoni rendimenti in linea con quelli degli strumenti tradizionali. In questo periodo di tempo, chiamato learning phase o fase di apprendimento, i prodotti etici sottoperformano quelli tradizionali (Bauer, 2005; Renneboog, 2008).

3.Allentamento dei criteri sociali applicati ai fondi etici

Un’ultima linea di pensiero, guidata da Glassman (1999) e Goetz (1997), sostiene che la maggior performance degli SRFs sia dovuta all’allentamento che i criteri sociali, applicati ai fondi etici, hanno avuto nel corso del tempo. Questi economisti asseriscono quindi implicitamente che esiste una correlazione negativa tra performance finanziaria e performance sociale. Ciò

CAPITOLO 4

STUDI EMPIRICI SUL CONFRONTO DI