• Non ci sono risultati.

La riforma dei meccanismi di valutazione e incentivazione

3. La riforma della dirigenza degli enti territoriali italiani

3.8. La riforma dei meccanismi di valutazione e incentivazione

La responsabilizzazione della dirigenza pubblica costituisce uno degli elementi qualificanti del processo di riforma. La valutazione dei dirigenti è finalizzata a verificare le prestazioni (il contributo fornito nell’orizzonte temporale, tipicamente annuale, traguardato dal sistema) e le competenze (la modalità di esercizio del ruolo).

L’art. 5 del d.lgs. 286/99 definisce alcuni principi trasversali a tutti i comparti:

a. La valutazione dirigenziale deve essere alimentata anche dalle informazioni prodotte dal sistema di controllo di gestione.

b. I sistemi di valutazione trovano le loro fonti disciplinari negli atti organizzativi delle singole amministrazioni e nella contrattazione nazionale collettiva, demandando alla concertazione la definizione dei criteri generali.

c. La valutazione ha una periodicità annuale, con la possibilità di una conclusione anticipata in caso di rischio di gravi inosservanze; con l’eliminazione della durata minima degli incarichi operata dalla l. 145/02, la valutazione dovrà naturalmente avere la periodicità di eventuali incarichi infra-annuali.

d. Alcuni requisiti processuali, quali la conoscenza dell’attività del valutato da parte di un valutatore proponente di prima istanza; l’approvazione della valutazione di prima istanza da parte di un organo competente di seconda istanza; la partecipazione del valutato; il d.lgs. 286/99 indica i soggetti competenti per le sole amministrazioni centrali, rimandando, per le altre, ai singoli ordinamenti.

Un’eventuale valutazione negativa determina, oltre eventuali responsabilità disciplinari regolate dal contratto collettivo, il divieto di rinnovare l’incarico. In relazione alla gravità dei casi, l’incarico potrà essere revocato collocando il dirigente a disposizione nel proprio ruolo oppure l’amministrazione potrà recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.

La l. 145/02 ha novellato l’art. 21 del d.lgs. 165/01 riducendo i casi di responsabilità dirigenziale al mancato raggiungimento degli obiettivi e all’inosservanza delle direttive; la responsabilità lieve non è più sufficiente per la revoca dell’incarico. La “riforma Frattini”

ha confermato la natura contrattuale e non oggettiva della responsabilità dirigenziale che solo eventualmente si può sovrapporre a quella disciplinare. In quest’ottica, la prestazione dirigenziale costituisce un’obbligazione di risultato.

Prima della riforma del 1993, il principio di responsabilità dirigenziale era nella sostanza svilito dalla debolezza dei sistemi di controllo sui risultati. Il d.lgs. 29/93

rendimento complessivo e rende obbligatoria l’istituzione di organismi tecnici preposti alla valutazione comparativa di costi e rendimenti dell’azione amministrativa.

La “prima privatizzazione” e la prima tornata contrattuale delineano un buon contemperamento tra autonomia gestionale delle amministrazioni, da un lato, e garanzie per i valutati, dall’altro. La fase attuativa ha in parte deluso le aspettative, in primo luogo per la sostanziale vacanza degli organismi tecnici. Per questo, la l. 59/97 dispone il riordino ed il potenziamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e valutazione. Il d.lgs.

80/98 introduce significative innovazioni in tema di responsabilità dirigenziale, ma non riqualifica i sistemi di controllo; su questi interviene il d.lgs. 286/99.

La l. 145/02 prevede una riduzione a tre sanzioni: lieve (impossibilità di rinnovo dell’incarico); media (collocazione del dirigente in disponibilità nel ruolo dell’amministrazione); grave (recesso secondo le norme dei contratti collettivi (non sono più richiamate, come in precedenza, le norme del codice civile).

Nel caso di Regioni ed Enti locali, il CCNL 1998-2001 della dirigenza prevede che

“gli enti disciplinano gli effetti sanzionatori degli accertamenti negativi, il relativo procedimento e gli strumenti di tutela, ivi compresi la previa contestazione ed il contraddittorio, in coerenza con i principi fissati dall’art. 21 del d.lgs. 29/93”; esso introduce inoltre l’obbligo di creare il comitato dei garanti previsto dalla disciplina statale.

La legittimazione dei sistemi di valutazione è in misura significativa determinata dall’impatto che produce sul trattamento economico. Con il processo di privatizzazione, la disciplina di quest’ultimo è transitata pressoché integralmente nell’ambito della contrattazione. L’orientamento alla performance, principio cardine della riforma, si è

remunerazione ai risultati. La gestione del trattamento accessorio si è rivelata, in molti casi, un’occasione persa. Il potenziale incentivante è stato nella prassi corrente annullato da pratiche egualitaristiche di remunerazione a pioggia, tendenzialmente svicolate da sistemi di misurazione attendibili e perlopiù determinate da automatismi o pratiche concertative. La valutazione non sembra ancora avere piena cittadinanza nelle pubbliche amministrazioni.

La messa a punto dei sistemi di monitoraggio introdotti dal d.lgs. 286/99 appare ancora l’anello debole della riforma. Alle inerzie riscontrabili nella maggior parte delle organizzazioni complesse, si sommano alcune disfunzioni ricorrenti nelle burocrazie pubbliche:

- Una cultura della misurazione giovane e non ancora metabolizzata.

- Una forte resistenza alla differenziazione, alimentata da letture strumentali dei principi di equità e trasparenza.

- Una spinta variabilità degli obiettivi, vincolata ai cicli politici.

- Vincoli sulle risorse finanziarie destinabili alla valorizzazione dei differenziali di prestazione.

Le pratiche di neutralizzazione della valutazione dirigenziale non costituiscono un dato generalizzabile. L’osservazione delle esperienze avviate nell’ultimo decennio evidenzia un’accentuata frammentazione tra comparti e livelli di governo. Le differenze sono in parte riconducibili a discipline non perfettamente omogenee.

Per le amministrazioni centrali, esiste un regime binario. Nel caso dei dirigenti generali, la retribuzione accessoria è liberamente definita nel contratto individuale accessivo al conferimento dell’incarico. Il CCNL non prevede alcun il vincolo percentuale di destinazione delle risorse accessorie alla retribuzione di risultato. Al contrario, per i

dirigenti di seconda fascia, alla retribuzione di risultato è destinato almeno il 15% del fondo per la retribuzione accessoria, e l’incidenza della retribuzione di risultato sulla retribuzione di posizione di ciascun dirigente deve essere pari ad almeno il 20%.

Per il comparto Regioni ed Enti locali, è definita una disciplina sostanzialmente allineata a quella dei dirigenti di seconda fascia dell’Area I. In questo caso, le risorse destinate alla retribuzione di risultato devono essere pari ad almeno il 15% del fondo per la retribuzione accessoria.