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3. La riforma della dirigenza degli enti territoriali italiani

3.4. La riforma della disciplina degli accessi

La riforma della dirigenza ha periodicamente rivisto la disciplina dell’accesso al ruolo dirigenziale statale.

L’art. 28 del d.lgs. 29/93 prevedeva un concorso per esami bandito dalle singole amministrazioni e un corso-concorso presso la Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione.

Il d.lgs. 387/98 prevedeva invece due distinte procedure concorsuali. La prima è riservata ai dipendenti di ruolo laureati e con almeno cinque anni di servizio, ai dirigenti pubblici con diploma di laurea ed almeno due anni di servizio, a dipendenti che fossero stati

7 “…lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche

titolari di un incarico dirigenziale per almeno cinque anni. La seconda è riservata ad esterni laureati e titolari di specializzazione o dottorato di ricerca, ovvero a dirigenti laureati con almeno cinque anni di servizio (art. 28, comma 2, d.lgs. 165/01).

La l. 145/02 ha ripristinato il doppio canale di accesso:

a. Concorso per esami indetto dalle singole amministrazioni. Ad esso possono essere ammessi i dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni, muniti di laurea, che abbiano compiuto almeno cinque anni di servizio, svolti in posizioni funzionali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea. Per i dipendenti delle amministrazioni statali reclutati a seguito di corso-concorso, il periodo di servizio è ridotto a quattro anni. Sono, altresì, ammessi soggetti in possesso della qualifica di dirigente in enti e strutture pubbliche non comprese nel campo di applicazione dell'articolo 1, comma 2, muniti del diploma di laurea, che hanno svolto per almeno due anni le funzioni dirigenziali. Sono, inoltre, ammessi coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a cinque anni, purché muniti di diploma di laurea ovvero, se in possesso di diploma di laurea e dottorato triennale di ricerca, coloro che hanno ricoperto incarichi dirigenziali o equiparati in amministrazioni pubbliche per un periodo non inferiore a due anni. Sono altresì ammessi i cittadini italiani, forniti di idoneo titolo di studio universitario, che hanno maturato, con servizio continuativo per almeno quattro anni presso enti od organismi internazionali, esperienze lavorative in posizioni funzionali apicali per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea (comma così modificato dall'articolo 25, comma 1, decreto-legge n. 4 del 2006).

b. Oppure corso-concorso della SSPA. Ad esso sono ammessi laureati con laurea specialistica, diploma di specializzazione, dottorato o altro titolo post-universitario rilasciato da istituti universitari italiani o stranieri ovvero da primarie istituzioni formative pubbliche o private; dipendenti di ruolo delle pubbliche amministrazioni con almeno 5 anni di servizio in posizioni funzionali per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea; dipendenti di strutture private in posizioni analoghe; il corso ha la durata di dodici mesi ed è seguito, previo superamento di esame, da un semestre di applicazione presso amministrazioni pubbliche o private; al termine, i candidati sono sottoposti ad un esame-concorso finale; ai partecipanti al corso è corrisposta una borsa di studio a carico della Scuola superiore della pubblica amministrazione; al termine, i candidati sostengono un esame-concorso finale; visto che il corso-concorso è unico per tutte le amministrazioni statali, le singole amministrazioni devono segnalare entro il 30 giugno di ciascun anno ed entro il mese successivo il DFP comunica alla SSPA il numero di posti da coprire. Il corso concorso è bandito dalla SSPA entro il 31 dicembre di ogni anno. Il DFP può imporre un rapporto percentuale tra accessi per concorso e accessi per corso-concorso (pari ad almeno il 30%).

Gli interventi sulla disciplina degli accessi, al di là di periodiche inversioni di rotta e soluzioni di compromesso, hanno mirato, da un lato, a stimolare un rinnovamento della classe burocratica e, dall’altro, a scardinare percorsi di carriere bloccati. Andavano in questa direzione i tentativi del d.lgs. 80/98 di promuovere una concezione funzionale del ruolo dirigenziale:

- L’istituzione del ruolo unico interministeriale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel tentativo di creare un “mercato della dirigenza”.

- L’abolizione della distinzione in due fasce dirigenziali, per sovvertire il tradizionale asservimento delle scelte di articolazione organizzativa allo status gerarchico.

- La costituzione di una banca data dei curricula dei dirigenti pubblici, quale stimolo del processo di mobilità.

La l. 145/02 compie una brusca inversione di rotta: da un lato, vengono ripristinati i ruoli tenuti dalle singole amministrazioni (viene meno la demoltiplicazione tra carriere dei dirigenti e amministrazioni che li hanno assunti) e la partizione in due fasce; dall’altro lato, sono confermate le garanzie che il ruolo unico riconosceva ai dirigenti non incaricati, i quali continuano ad essere salvaguardati dall’istituto della disponibilità. Viene confermata invece la banca dati dei curricula presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che acquisisce, nel mutato contesto disciplinare, un ruolo di osservatorio statistico. Le ultime evoluzioni della riforma hanno confermato alcuni automatismi di carriera: i dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali o equivalenti, per almeno tre anni senza essere incorsi in sanzioni.

Per aumentare la flessibilità degli organici e promuovere l’iniezione di nuove competenze professionali, la riforma ha innalzato le quote di incarichi dirigenziali conferibili a soggetti esterni.

Per le amministrazioni centrali, possono essere attribuiti a soggetti esterni incarichi dirigenziali, per una durata che non può eccedere i 3 anni per le funzioni dirigenziali generali o superiori e i 5 anni per gli altri, entro il limite del 10% dei ruoli di prima fascia e fino all’8% dei dirigenti di seconda fascia. Le leggi regionali generalmente non prevedono un tetto massimo per gli incarichi più elevati, i quali sono spesso fuori ruolo, e stabiliscono

quote più elevate per gli altri dirigenti. È generalmente piuttosto limitato il grado di trasparenza delle scelte, per le quali sono raramente previsti sistemi di rendicontazione.