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La scelta delle materie: giustificazioni e criteri.

Tavola 1 Possibili benefici e costi del regionalismo asimmetrico

2. La scelta delle materie: giustificazioni e criteri.

Le richieste iniziali da parte delle tre Regioni che sono arrivate a siglare una intesa preliminare hanno coperto un ventaglio diverso di materie e, soprattutto, seguito processi significativamente diversi che sono già stati richiamati in altre relazioni. Le nuove ipotesi di intesa elaborate nel febbraio 2019 risultano molto più ampie: il Veneto ha richiesto il trasferimento delle 23 materie, la Lombardia di 2 materie esclusive e 18 concorrenti mentre l’Emilia e Romagna si è limitata a 13 concorrenti e 2 esclusive6. L’elenco delle materie di per se non ci dice molto. Esse costituiscono solo un macro ambito di riferimento al cui interno lo spazio di intervento regionale deve essere definito in termini di più precise funzioni legislative e amministrative attraverso i vari provvedimenti di attuazione. All’interno della documentazione ufficiale le giustificazioni di tipo economico per tali richieste sinora sono risultate molto generali e senza un adeguato supporto empirico. Ad esempio non è sinora emersa in maniera chiara una risposta a due domande formulate all’interno dell’Indagine conoscitiva sull’attuazione dell’art.116, 3°c., promossa dalla

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Non esiste un testo ufficiale completo. Nel sito del Ministero degli affari regionali è presente solo la prima parte delle intese con le disposizioni di carattere generale, mentre la seconda è stata pubblicata nel sito di federalismi.it; cfr.: www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38116

Commissione bicamerale sulle questioni regionali nel 2017. In essa si chiedeva: (i) come erano state individuate le materie in relazione alle quali richiedere forme e condizioni particolari di autonomia; (ii) se erano stati condotti studi o simulazioni in ordine alla capacità dell’ente regionale di assolvere al meglio le funzioni che oggi competono allo Stato7. Le risposte da parte dei rappresentanti delle tre Regioni sono state di tipo generale e riconducibili a tre ordini di motivi principali:

• la valorizzazione delle vocazioni territoriali, ovvero la possibilità di adattarsi alle specificità e alle preferenze locali;

• l’individuazione di funzioni strumentali rispetto al raggiungimento delle priorità strategiche del programma di governo della giunta regionale e per le politiche di sviluppo nel contesto delle politiche regionali europee;

• la maggiore efficienza e funzionalità dell’azione regionale rispetto a quella statale.

Si tratta di risposte troppo generiche non accompagnate da adeguati approfondimenti e evidenze empiriche. Ognuno dei tre punti consente .

Quali sono le “vocazioni territoriali” dell’Emilia e Romagna e in cosa si discostano (se si discostano…) da quelle della Lombardia e del Veneto? Quali sono le priorità strategiche delle tre Regioni e in cosa si discostano? Quali sono le funzioni prioritarie da attribuire in forma differenziata in relazione a tali aspetti? Quale impatto potrebbero avere sulla competitività e la crescita economica delle rispettive regioni? Tra l’altro non è casuale che le tre “Regioni trainanti” corrispondano ad una direttrice di sviluppo territoriale proiettata sul nord est che in questi ultimi anni ha identificato un nuovo quadrilatero di sviluppo Milano-Brescia-Padova-Bologna che si prolunga verso il Trentino Alto Adige e il Brennero a fronte di un ritardo dell’area del nord ovest composta da Piemonte Valle d’Aosta e Liguria, un tempo integrata nel vecchio triangolo industriale Milano-Torino-Genova. Se guardiamo il tasso di crescita cumulata del PIL regionale nel decennio post crisi (2007-2018) quattro presentano un andamento positivo (Lombardia, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento, Veneto e Emilia Romagna), rispetto a Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e, in misura minore Friuli Venezia Giulia a fronte di un peggioramento della posizione relativa delle regioni del Sud (Tab.1). Processi di questo tipo possono essere meglio governati da una redistribuzione delle competenze in direzione dei governi regionali, ma richiederebbero anche strategie economico-territoriali a carattere macro-regionale definite in maniera più precisa nei principali documenti di politica economica del paese come il Documento di economia e finanza (DEF) e, al suo interno, del programma nazionale di riforme (PNR), con un maggiore coinvolgimento delle Regioni che sinora paiono avere svolto un ruolo più formale che sostanziale per la loro elaborazione.

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Commissione bicamerale sulle questioni regionali, Indagine conoscitiva sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed

Emilia-Romagna, Documento conclusivo, febbraio 2018, testo disponibile al sito:

http://www.camera.it/leg17/1079?idLegislatura=17&tipologia=indag&sottotipologia=c23_Regioni&anno=2018 &mese=02&giorno=06&idCommissione=23&numero=0005&file=indice_stenografico

Tabella 1 Crescita cumulata del PIL regionale 2018-2007 Regioni Tasso di variazione Pil 2018-2007 Valle d'Aosta -11,16 Piemonte -5,72 Liguria -10,61 Lombardia 1,09 Bolzano 9,70 Trento 2,75 Veneto 0,16 Friuli V.G. -4,06 Emilia Romagna 0,25 Italia -4,41

Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat e Prometeia. Valori concatenati con anno di riferimento 2010.

In sostanza, si torna al problema delle interdipendenze tra livelli di governo richiamato nel paragrafo precedente, per cui ogni nuovo assetto delle competenze andrebbe affiancato da un adeguamento degli strumenti istituzionali di coordinamento. Passando invece al confronto centro periferia in termini di efficienza, sinora non è stata presentata nessuna analisi sui modelli organizzativi proposti nelle funzioni da trasferire che giustifichi la presunzione di maggiore efficienza delle Regioni rispetto allo Stato. Ciò stupisce, perché vi sono sicuramente casi in cui sono emerse best practices regionali come nell’ambito delle competenze in merito alla tutela e valorizzazione dei beni culturali e ambientali .Molte delle funzioni richieste hanno poi natura regolatoria e sarebbe stato utile evidenziare in che misura il trasferimento possa semplificare il rapporto tra Pubblica amministrazione famiglie e imprese evitando il rischio di una “balcanizzazione” dei procedimenti amministrativi o quello di creare esternalità negative tra i territori (pensiamo ai procedimenti in materia ambientale). Per quanto concerne la fornitura di servizi finali il problema, data la sua rilevanza finanziaria, si pone soprattutto per la materia “norme generali sull’istruzione” per la quale si potrebbe valutare l’esperienza delle Regioni a Statuto speciale che già gestiscono tale competenza (Province di Bolzano e Trento e Regione Valle d’Aosta) comparandola con quella dell’amministrazione centrale. Probabilmente, una legge attuativa dell’art.116, c.3, della Costituzione avrebbe consentito di dare indicazioni e orientamenti più specifici in merito ai criteri utilizzabili per valutare le richieste, (es: equilibri dei bilanci regionali, indicatori di capacità amministrativa) e alle procedure di verifica delle prestazioni nelle funzioni aggiuntive trasferite8.