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La sentenza Gregory v Fort Bridger Rendezvous Association

Il contesto in cui s’inserisce il caso Gregory v. F.B.R.A.51 è

l’organizzazione dell’evento Rendezvous, una rievocazione storica che ricorda le fiere dei commercianti di pelli tra il 1825 e il 1840 nello Stato del Wyoming. All’evento potevano partecipare espositori che vendessero articoli tipici

50 V.: supra, par. 5.

51 V.: U.S. Court of Appeals 10th Circuit, sent. Sandy Gregory et al. v. Fort Bridger Rendezvous Association, No. 04-8100 (2006).

dell’epoca oppure merci nuove realizzate secondo i metodi del XIX secolo. Richard e Sandy Gregory, sin dalle prime edizioni del Rendezvous, erano tra i principali venditori di articoli in stile. La F.B.R.A., associazione non lucrativa, aveva ricevuto dalle autorità statali il diritto esclusivo di organizzare l’evento, decidendo fra l’altro quali commercianti ammettere alla fiera. In proposito, l’Associazione, composta da circa 90 membri, in maggioranza commercianti a loro volta, disponeva di una certa discrezionalità nell’accoglimento delle domande provenienti da commercianti che intendessero partecipare alla fiera con un proprio stand espositivo. La F.B.R.A., al fine di regolamentare il proprio operato, aveva stabilito di rinnovare de plano le autorizzazioni rilasciate a commercianti che avevano già partecipato a precedenti edizioni, e di accogliere le domande dei nuovi espositori, nei limiti degli spazi disponibili, secondo l’ordine di presentazione delle istanze. I Gregory, che avevano sempre avuto un grande stand nella fiera pur non essendo membri della F.B.R.A., esponevano alla Corte distrettuale di aver subito, a partire dagli anni ’90, una serie di comportamenti anticoncorrenziali da parte dell’Associazione, culminati nella loro esclusione dall’evento nel 2002. Dopo aver perso il giudizio di primo grado, i Gregory proponevano appello alla Corte del decimo circuito, esponendo che la F.B.R.A. avrebbe violato gli artt. 1 e 2 dello Sherman

Act, boicottando la loro impresa e monopolizzando il mercato.

La Corte di appello riformò la sentenza di primo grado, nella parte in cui quest’ultima escludeva la configurabilità di una violazione dell’art. 1 dello

Sherman Act da parte della F.B.R.A.. In proposito, il giudice del gravame

riteneva che l’Associazione, pur essendo giuridicamente un soggetto unitario, potesse senz’altro concludere accordi restrittivi della concorrenza, vietati dallo

Sherman Act. Infatti, la F.B.R.A. raggruppava un certo numero di

commercianti, i quali, sotto lo schermo dell’Associazione, avrebbero potuto nascondere un cartello volto a stabilire i prezzi o limitare altrimenti la concorrenza.

Nonostante questa statuizione, il giudice d’appello respingeva per il resto la domanda dei Gregory, ritenendo che costoro non avessero provato che l’esclusione dalla fiera fosse stata deliberata allo scopo di favorire i membri della F.B.R.A.. Vi sarebbero stati, al contrario, elementi di segno opposto, tra cui prove del fatto che gli spazi espositivi precedentemente attribuiti ai Gregory sarebbero stati concessi a commercianti non associati.

Quanto inoltre alla dedotta violazione dell’art. 2 dello Sherman Act, la Corte del decimo circuito, dopo aver ricordato i tratti salienti dell’essential

facilities doctrine, evidenziava gli elementi che i Gregory avrebbero dovuto

dimostrare in giudizio:

In order to establish antitrust liability based on the essential facilities doctrine, a plaintiff must show: 1) control of the essential facility by a monopolist; 2) competitor’s inability to duplicate the facility; 3) denial of the use of the facility to a competitor; and 4) the feasibility of providing the facility. […] The Gregorys do not attempt to satisfy the above elements, they merely make the conclusory allegation that the space at the Rendezvous is essential to selling replica pre-1840 goods. We therefore decline to address this argument, especially since it is not apparent on its face that the Gregorys cannot sell their goods elsewhere52.

CAPITOLO II

L’Essential Facilities Doctrine nella giurisprudenza comunitaria e nazionale.

1. Premessa.

Nell’esaminare la giurisprudenza comunitaria, occorre preliminarmente ricordare come la dottrina delle essential facilities non abbia tuttora trovato un esplicito riconoscimento nelle sentenze della Corte di giustizia, sebbene in varie cause gli Avvocati Generali vi abbiano fatto ampio riferimento53.

Al di là del dato letterale o semantico, la giurisprudenza comunitaria non confuta la dottrina delle essential facilities ed anzi, pur se con una certa cautela, pare farvi riferimento.

Come si vedrà di seguito, il giudice comunitario, in numerosi casi in cui era controversa l’applicazione dell’art. 82 CE, ha affermato che abusa della propria posizione dominante l’impresa che, essendo titolare di una infrastruttura essenziale, neghi ingiustificatamente ad un concorrente (attuale o potenziale) l’accesso a tale infrastruttura. Ciò, in concreto, è il teorema dell’essential facilities doctrine, anche se, per descrivere l’abuso, la giurisprudenza comunitaria si riferisce, più in generale, al refusal to supply o abuso di natura escludente.

53 V., in particolare: Concl. Avv. gen. Jacobs del 28.05.1998, in causa C-7/97, Bronner, Racc.,

1998 p. I-7794 ss. Altri riferimenti alla dottrina delle essential facilities si rinvengono nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Tizzano del 02.10.2003, in causa C-418/01, IMS Health, Racc., 2004, p. I-5039 ss., nonchè nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Poiares Maduro del 14.07.2004, in causa C-109/03, KPN Telecom, Racc., 2004, p. I-11273 ss.

Il prudente atteggiamento del giudice comunitario si riscontra non solo quando questo è chiamato a pronunciarsi su questioni pregiudiziali sollevate dai giudici nazionali, ma anche nei casi in cui è chiamato a sindacare, ai sensi dell’art. 230 CE54, la legittimità di una decisione in cui la Commissione ha, invece, fatto esplicito riferimento alla dottrina delle essential facilities.

La casistica nazionale è almeno altrettanto vasta della prassi applicativa della Commissione. Si è scelto, pertanto, di menzionare soltanto alcuni casi più recenti. Peraltro, il case study, contenuto nella seconda parte del presente elaborato, si riferisce proprio ad un provvedimento dell’AGCM relativo al settore dell’energia.

La casistica europea, comunitaria e nazionale, come quella statunitense, evidenzia la tensione tra le contrapposte esigenze fondamentali della tutela della proprietà e dell’apertura dei mercati.

Da un lato, la libertà d’impresa è affermata dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea per rinvio al diritto comunitario e agli ordinamenti nazionali55; tra questi, l’ordinamento italiano, come noto, nell’assicurare la libertà dell’iniziativa economica privata, stabilisce che essa non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale56.

Dall’altro, il diritto di proprietà, costituzionalmente garantito, può essere soggetto ad espropriazione per pubblica utilità e a limitazioni di tipo diverso. In proposito, l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali stabilisce che

54 Sulle azioni ai sensi dell’art. 230 CE, v.: P. BIAVATI, Diritto Processuale dell’Unione Europea,

Milano, III ed. 2005, pp. 63 ss.; L.N. BROWN–T. KENNEDY, The Court of Justice of The

European Communities, London, 2000, pp. 223 ss; G. DE BURCA–J.H.H. WEILER (editors), The European Court of Justice, Oxford, 2001, pp. 121 ss.

55 V.: art. 16 della Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza il 07.12.2000, in

G.U.C.E. C 364 del 18.12.2000, p. 1 ss., che recita:

È riconociuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali.

56 L’art. 41 della Costituzione italiana recita:

L’iniziativa economica privata è libera. Non può sovlgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

«l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposi dall’interesse generale»57.

In senso conforme, il terzo comma dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali recita:

Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende.

Inoltre, secondo la nostra Costituzione, la legge «determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

La tensione esistente tra EFD e i sopra citati diritti fondamentali, tuttavia, non può essere risolta – come si vedrà infra – con la semplice affermazione della prevalenza del diritto di proprietà ovvero della libertà d’iniziativa economica. Al contrario, la stessa lettura delle norme internazionali, comunitarie e costituzionali sopra citate suggerisce che tali diritti non sono oggetto di una protezione assoluta, in modo che ne sia assicurata la prevalenza su ogni altro diritto o valore eventualmente contrapposto.

Al riguardo, anzi, occorre osservare come la concorrenza costituisca un vero e proprio bene giuridico tutelato dall’ordinamento comunitario e dagli ordinamenti nazionali degli Stati europei al più alto livello.

57 V.: art. 17 della Carta dei diritti fondamentali, cit.; v. altresì: art. 1 co. 3 del Protocollo

addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con L. 04.08.1955 n. 848, che recita: «Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende».

Ciò spiega il perché la giurisprudenza abbia assunto, in tale materia, un ruolo essenziale.

È necessario, infatti, non semplicemente affermare in chiave meramente gerarchica la prevalenza di un valore (come la proprietà) su un altro (come la concorrenza), bensì ponderare in concreto due diritti contrapposti, ugualmente tutelati, senza sottoporre nessuno dei due ad un eccessivo od ingiustificato sacrificio.