3. Analisi di una traduzione intralinguistica
3.5 La Sintassi
Le regole grammaticali dell’inglese non hanno subito grossi cambiamenti negli ultimi quattrocento anni: sia l’ordine delle parole che l’ortografia che usava Shakespeare sono ancora in uso oggi. Esistono tuttavia alcune differenze grammaticali che concernono il plurale/singolare dei nomi, il comparativo degli aggettivi ed un uso a volte diverso dei tempi verbali, ma in linea generale tali discrepanze non rappresentano un problema di comprensione per il lettore moderno, che si trova a confrontarsi con una grammatica molto simile a quella odierna. Per quel che riguarda l’ordine delle parole nella frase, nella maggior parte dei casi, Shakespeare utilizza la sequenza: Subject (S), Verb (V), Object (O), che è l’ordine utilizzato anche nell’inglese contemporaneo. L’inglese rispetto all’italiano ha una bassa inflessione, ha cioè una minor varietà di forme e tende a privilegiare l’ordine SVO come unico schema possibile, che indica più facilmente la funzione logica degli elementi nella frase. Shakespeare utilizza con abbastanza libertà tale sequenza, cambiando spesso il posto ad uno o più elementi della frase. In Macbeth, nonostante l’ordine SVO sia più frequente, si ritrovano esempi di SOV e in qualche raro caso anche di OSV. Si tratta di una licenza poetica che nasce da un’esigenza di tipo pratico: scrivendo in versi Shakespeare deve sottostare a delle regole di metrica ben precise, che richiedono una complicazione dell’ordine delle parole con lo scopo di soddisfare la struttura ritmica delle frasi e alternare sillabe accentate a sillabe deboli.
Ad esempio nell’Atto I, scena V, Lady Macbeth dice: “O, never Shall sun that morrow see”, in cui il verbo “see” viene posto alla fine e separato dal modale “Shall” posto all’inizio. Qui l’ordine degli elementi è appunto SOV e tale inversione conferisce una forte carica drammatica al discorso della donna, preoccupata per l’ansia che il marito lascia trapelare sul volto. Il testo di arrivo opta per un ripristino dell’ordine SVO, che risulta meno poetico, ma suona più naturale alle orecchie dei lettori: “that day will never come”. Al di là della esplicitazione che è stata operata, possiamo osservare come l’ordine sintattico degli elementi venga invertito.
Ancora nell’Atto I, scena II, il nobile Lennox introduce Ross dicendo: “So should he look that seems to speak things strange. Il periodo risulta particolarmente complesso dal punto di vista sintattico e un po’ oscuro. Risulta suddiviso in due frasi separate da “that”: nella prima frase “so should he look”, il modale should viene anteposto al soggetto he e
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separato dal verbo “look” da cui è accompagnato; nella seconda frase: “that seems to speak things strange”, l’aggettivo “strange” viene posto dopo il nome a cui si riferisce “things”. La costruzione di questa frase risulta grammaticalmente scorretta nell’inglese di oggi. Il testo di arrivo, opta per una sintassi più regolare: “He looks like someone with a strange tale to tell”, dove l’ordine SV viene ristabilito ed anche la sequenza
Aggettivo-Sostantivo.
La costruzione OSV, sebbene più rara, si ritrova nel testo di partenza quando si vuole dare enfasi ad un elemento del testo, oppure quando sono presenti delle Rhyming couplets che obbligano l’autore ad invertire gli elementi per creare un particolare effetto fonetico. Ad esempio, nella celebre frase, già analizzata nella sezione dedicata al lessico, pronunciata da Macbeth nell’Atto I, scena III: “So Foul and fair a day I have not seen”, l’oggetto viene posto all’inizio, seguito da soggetto e verbo. In questo modo l’attenzione si concentra sulla coppia antitetica di aggettivi “Foul and fair”, facendo scattare nella mente del lettore un meccanismo di riconoscimento degli stessi elementi linguistici poco prima pronunciati dalle tre streghe nella scena di apertura del dramma. Come nei precedenti esempi, il testo di arrivo opta per l’ordine SVO e traduce: “I have not seen a day that was so good and bad at the same time”, dove il soggetto “I” apre la frase, seguito dal verbo “have not seen” e dall’oggetto “a day”. Oltre ad invertire l’ordine delle parole nella frase, si osserva come il testo di arrivo inserisca una subordinata relativa, introdotta da “that” con valore di attributo (good and bad).
Per quel che concerne l’uso dei verbi, si osserva, nel testo di partenza un uso maggiore delle costruzioni impersonali che vengono rese personali nel testo di arrivo.
Ad esempio nell’Atto I, scena I, dice la terza strega parlando dell’incontro con Macbeth: “There to meet with Macbeth”, reso nel testo di arrivo con: “We’ll meet Macbeth there”. Come si può notare, la scelta traduttiva è quella di inserire il pronome personale “we”, in modo da passare da una costruzione impersonale ad una costruzione in cui il soggetto viene esplicitato. Ancora, nell’atto II, scena II, Lady Macbeth sta discutendo con il marito, che teme di essere stato visto nell’assassinare Re Duncan, ed esclama: “These deeds must not be thought after these ways”, in cui osserviamo una costruzione passiva e impersonale. Anche in questo caso, il testo di arrivo rende attiva e personale la frase che viene tradotta con: “We can’t think that way about what we did”, dove il soggetto della frase è ancora una volta “we”.
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Anche sulla transitività ed intransitività dei verbi, si possono scorgere delle differenze tra testo di partenza e testo di arrivo.
Ad esempio, nell’Atto V, scena III, Macbeth in un soliloquio dice: “I cannot taint with feare”, dove il verbo transitivo “taint”, viene usato intransitivamente con il significato di “get/be tainted”. Il testo di arrivo opta per una sostituzione del verbo e traduce con: “I won’t be affected by fear”. Nicole Steurer, in Syntax of the Verb Phrase In Shakespeare’s
English, esamina come alcuni costrutti verbali, esistenti al tempo di Shakespeare, siano
scomparsi con l’evolversi della lingua. In particolare, molti dei verbi utilizzati da Shakespeare in modo impersonale, vengono oggi utilizzati con il riferimento specifico al soggetto esternante l’azione. Inoltre, molti dei verbi utilizzati in passato in maniera riflessiva, sono oggi utilizzati in modo intransitivo.
Da questo punto di vista, la traduzione No Fear, opera a livello sintattico delle sostituzioni dei costrutti verbali, motivate dalla necessità di attenersi alle regole grammaticali dell’inglese contemporaneo.
Infine, a livello di costruzione del periodo, notiamo nel testo di partenza un’alternanza tra paratassi e ipotassi. Quest’ultima viene utilizzata soprattutto nei passaggi descrittivi, dove si osserva una dilatazione del ritmo narrativo a causa della concatenazione di tutti gli elementi. Nella parte di dialogo, Shakespeare preferisce frasi brevi unite tramite coordinazione oppure poste in successione e unite per mezzo dei segni di interpunzione, che conferiscono al testo un ritmo più rapido, tipico dell’oralità.
Nel testo di arrivo, la tendenza è quella di mantenere, laddove è possibile, le stesse scelte di costruzione del periodo e gli stessi connettori del testo di partenza. Tuttavia quando il testo di arrivo inserisce esplicitazioni, glosse esplicative e modifica la metrica del testo di partenza, parafrasando i versi in rima, la struttura sintattica ed il ritmo si modificano di conseguenza. Si osservino i due esempi che seguono:
Atto III, scena V HECATE (1)
And, which is worse, all you have done Hath been but for a wayward son, Spiteful and wrathful, who, as others do,
HECATE
And what’s worse, you’ve done all this for a man who behaves like a spoiled brat, angry and hateful. Like all spoiled sons,
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Loves for his own ends, not for you.
Atto V, scena V MACBETH (2)
Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow,
Creeps in this petty pace from day to day To the last syllable of recorded time, And all our yesterdays have lighted fools The way to dusty death. Out, out, brief candle!
Life’s but a walking shadow, a poor player That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more. It is a tale Told by an idiot, full of sound and fury, Signifying nothing.
he chases after what he wants and doesn’t care about you.
MACBETH
Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow. The days creep slowly along until the end of time. And every day that’s already happened has taken fools that much closer to their deaths. Out, out, brief candle. Life is nothing more than an illusion. It’s like a poor actor who struts and worries for his hour on the stage and then is never heard from again. Life is a story told by an idiot, full of noise and emotional disturbance but devoid of meaning.
Nel primo esempio riportato, tratto dalla canzone di Hecate, già brevemente analizzato nella sezione dedicata alla metrica, si può vedere come nel passaggio dalla poesia alla prosa, il testo di arrivo modifichi la struttura sintattica: “for a wayward son” viene reso con una subordinata relativa “who behaves like a spole brat”, dove oltre all’abbassamento di registro, possiamo osservare un passaggio dalla coordinazione alla subordinazione. Inoltre, dopo gli aggettivi “spiteful” e “wratful”, resi nel testo di arrivo con “angry” e “hateful”, il testo di arrivo sceglie di mettere un punto fermo e di iniziare un nuovo periodo, mentre il testo di partenza continua lo stesso periodo inserendo il pronome relativo “who” fra le due frasi. Anche nella seconda parte del periodo, osserviamo dei cambiamenti sintattici: la frase “Loves for his own ends, not for you”, viene resa nel testo di arrivo da tre frasi semplici: la prima frase è “He chases after”, a cui viene aggiunta “what he wants” che è la subordinata oggettiva che sostituisce il complemento oggetto della principale a cui, a sua volta, si lega tramite coordinazione la
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frase “and doesn’t care about you” tramite la congiunzione “and”. Come si può vedere oltre a perdere la musicalità delle rime, il testo di arrivo risulta sintatticamente più complesso dell’originale, ma più esplicito a livello lessicale.
Nel secondo esempio riportato invece, Macbeth, saputo della morte di Lady Macbeth, pronuncia il celebre monologo sul senso della vita e sulla morte. Possiamo notare, come vi sia equivalenza sintattica fra i due testi, fatta eccezione per qualche segno di punteggiatura. Il testo di arrivo, ad esempio opta per un punto fermo dopo “until the end of time”, mentre il testo di partenza mette una virgola. Entrambi iniziano la frase che segue con la congiunzione “and”. Inoltre si noti la corrispondenza della subordinata relativa “that struts and frets his hour upon the stage”, che viene mantenuta e resa con: “who struts and worries for his hour on the stage”, seguita dalla coordinata, introdotta dallo stesso avverbio temporale, “and then is heard no more”, tradotta con: “and then is never heard from again”. Infine il periodo conclusivo del soliloquio, che nel testo di partenza presenta due frasi unite tramite coordinazione per asindeto, “It is a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing”, viene reso in quello di arrivo con una coordinazione mediante la congiunzione avversativa: “Life is a story told by an idiot, full of noise and emotional disturbance but devoid of meaning”.
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Conclusione
Da questa analisi, sebbene schematica e parziale, si possono trarre alcune conclusioni riguardo l’attività traduttiva della casa editrice Sparknotes ed in particolare del progetto
No Fear Shakespeare.
Come si è potuto osservare col procedere dell’analisi, la maggiore tendenza del testo di arrivo è quella di rimuovere e normalizzare tutti gli elementi che possono sembrare “estranei” al pubblico di lettori, optando per una traduzione in prosa, scritta in inglese contemporaneo.
Dal punto di vista stilistico e lessicale, si è visto il passaggio dalla varietà di stili e registri linguistici del testo di partenza ad un unico registro familiare e colloquiale nel testo di arrivo. Questo appiattisce il testo di arrivo sotto certi aspetti, poiché viene a mancare la diversificazione dei personaggi, che in Shakespeare utilizzano registri differenti a seconda del proprio status sociale. Tutti gli arcaismi e i costrutti antichi vengono resi in inglese contemporaneo, cercando di eliminare ogni difficoltà di comprensione del testo e renderne più agevole la lettura. Il testo di arrivo risulta inoltre integrato e amplificato da parafrasi esplicative e note fra parentesi, che spiegano gli elementi e i passaggi del testo che la casa editrice ha ritenuto difficili da desumere dal solo contesto. Molti di questi interventi si giustificano con le diverse finalità dei due testi: il primo è stato pensato per la messa in scena teatrale; la traduzione No Fear è invece destinata alla sola lettura ed ha quindi la necessità di rendere espliciti tutti quei particolari, che sono, nel testo di partenza, più facilmente interpretabili grazie all’intreccio dei codici visivi (mimica, gesti, movimenti, trucco, acconciature, costumi, accessori, elementi scenici, luci) e uditivi (parole, tono, musica, rumori) che la messa in scena avrebbe consentito. L’uso delle parentesi, che spiegano ciò che il lettore non può vedere e delle note che rendono esplicito ciò che non può essere ricostruito per mezzo dell’intonazione e dei movimenti dei personaggi sulla scena, è quindi motivato dalla sostituzione del linguaggio performativo con quello narrativo. Questa necessità non giustifica tuttavia l’eccessiva ridondanza e l’estrema specificità che il testo di arrivo mostra in alcuni passaggi, in cui, per dare priorità alla trama, si tende a rallentare il ritmo di narrazione e ad appesantire l’apparato testuale con precisazioni che appaiono pleonastiche. Anche la scelta di ridurre
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drasticamente la ricchezza lessicale e la varietà di stili del testo non è del tutto condivisibile. Oltre a non rendere conto della caratterizzazione dei personaggi, nel corso della traduzione non sempre viene rispettata la carica drammatica di alcuni passaggi chiave, che risultano fortemente ridotti o semplificati o resi dal solo senso. Se da un lato si comprende la traduzione in inglese contemporaneo dei termini antichi e più ricercati, il fatto di optare per un unico registro familiare rappresenta una scelta stilistica, ma anche commerciale, che ha lo scopo di avvicinare il testo alla sensibilità estetica dei riceventi, essendo un’alternativa più sicura dal punto di vista economico, rispetto ad una traduzione più source-oriented.
Sulla resa del linguaggio metaforico, si è visto come la tendenza sia quella di riprodurre le stesse immagini del testo di partenza, senza però ricostruire la metafora, ma preferendo spiegarla tramite note o esplicitarla con una similitudine. Anche i proverbi o i modi di dire tendono ad essere esplicitati, optando per la resa del solo senso. Come si è osservato nella sezione dedicata alla metrica e alle rime, il testo di arrivo è riscritto in prosa. Questa scelta porta con sé la necessità di operare degli interventi sul testo anche a livello morfosintattico. Una parte di essi, come si è osservato, sono dovuti all’osservanza delle regole su cui si struttura l’inglese moderno rispetto all’inglese di Shakespeare, come ad esempio la trasformazione di alcuni costrutti verbali differenti e il ripristino dell’ordine SVO all’interno delle frasi, non sempre rispettato da Shakespeare per licenza poetica. Molte delle frasi analizzate presentano una sintassi più articolata per via delle regole metriche a cui Shakespeare deve sottostare; tali passaggi, se lasciati invariati, avrebbero rischiato di non essere compresi, mettendo a repentaglio il progetto traduttivo della casa editrice. Si ritiene che la scelta di riscrivere il testo in prosa anziché in versi sia coerente con l’intento traduttivo della casa editrice, ma metta in evidenza anche un limite oggettivo dell’operazione che non mira evidentemente a ricostruire un testo forte e compatto dal punto di vista estetico e poetico. La scelta di una versione intralinguistica poetica avrebbe rappresentato una ulteriore sfida traduttiva, in quanto avrebbe posto limiti quantitativi (brevità o lunghezza del verso) e legati al numero delle sillabe, andando così a precludere la possibilità di inserire chiarimenti e note all’interno del testo. Lo stesso non può dirsi, tuttavia, per le rime: così come la formula magica dell’Atto I, scena III, pronunciata dalle streghe, è stata riscritta in rima, la casa editrice avrebbe potuto riprodurre alcune delle rime presenti nel testo per conservarne la musicalità e renderne
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più piacevole e divertente la lettura. Oltre ad avere una funzione demarcativa, un tappeto ritmico e sonoro aiuta la comprensione di alcuni passaggi del testo grazie alle suggestioni fonetiche che evoca.
Oltre al commento delle strategie traduttive adottate, è importante valutare nel complesso come il pubblico ha accolto la traduzione in questione e per esteso il progetto
No Fear Shakespeare. Nella parte dedicata alla storia della casa editrice si è osservato
come i commenti positivi da parte dei lettori superino di gran lunga quelli negativi. Questo è un segnale della buona riuscita del progetto traduttivo che è riuscito ad avvicinare Shakespeare e Macbeth al nuovo contesto letterario e culturale americano, toccando punti nevralgici (come l’utilizzo di un registro familiare e giovanile) che hanno inciso sul polo della fruizione, orientando il lettore verso un tipo di risposta empatetica. Per fare questo, tuttavia, Sparknotes ha optato per traduzione target-oriented, che incontra le attese ideologiche ed estetiche del pubblico a cui si rivolge a discapito dello stile del testo di partenza. Venuti definisce questa strategia come “strategia della scorrevolezza”(1999: 43), poiché mira al cambiamento delle strutture morfosintattiche, del lessico, dello stile della lingua di partenza, allo scopo di rendere la traduzione più vicina alla lingua e alla cultura di arrivo. Le traduzioni scorrevoli, dice, sono tuttavia pericolose poiché sono addomesticanti “nel senso che il testo straniero è sempre riscritto in accordo allʼintelligibilità e agli interessi familiari” (ibid.). La strategia opposta alla traduzione addomesticante è la traduzione straniante (ivi: 44) che secondo Venuti è da preferire, in quanto utilizza invece materiali linguistici e culturali non familiari alla cultura d’arrivo, cercando di conservare i legami con l’opera di partenza in un rapporto quasi di filiazione, che va tuttavia a discapito del pubblico ricevente. In questo senso si mantiene la differenza del testo straniero, o nel nostro caso antico, ma si infrangono i canoni culturali prevalenti nella lingua di arrivo. E’ evidente come entrambe le strategie descritte abbiano al contempo aspetti positivi e aspetti negativi e come la traduzione si faccia spesso processo etico e politico rispetto a questioni come “in quale modo rappresentare lʼaltro?”.
Anche Schleiermacher, nel famoso saggio intitolato Sui diversi metodi del tradurre, osserva come al traduttore siano offerte due direzioni diverse da seguire: o si porta l’autore al linguaggio del lettore o si porta il lettore al linguaggio dell’autore. Solo la seconda può essere considerata un’opzione rispettosa del testo che si traduce. José
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Ortega Y Gasset in Miseria e Splendore della traduzione insiste sulla necessità che l’interpretazione traduttiva ha di “assolvere all’impegnativo compito di riportare non solo i significati delle parole […], ma anche il senso profondo di uno stile individuale, che deve restare quello dell’autore, pur passando per le mani del traduttore”.
(2001: 19). In questo senso, sebbene le reazioni da parte del pubblico ricevente siano positive, occorre chiedersi sino a che punto il testo di partenza è stato adattato anziché tradotto per rendersi facilmente fruibile al lettore moderno. Si ritiene che il problema di questa riscrittura non sia tanto la contemporaneità o la sostituzione dei termini arcaici o troppo complessi, che può essere letta come un bel modo di donare all’originale una seconda vita che non avrebbe mai potuto avere altrimenti e di eliminare quella complicazione formale che preclude Shakespeare al grande pubblico, quanto la scelta di un registro e di alcune espressioni colloquiali che non si accordano allo stile che anima lo scritto originale e il suo autore. Far dire ad esempio al nobile Banquo: “It’s time we hit the