• Non ci sono risultati.

No Fear Shakespeare: Analisi di una traduzione intralinguistica del Macbeth L , , Corso di Laurea Magistrale in

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "No Fear Shakespeare: Analisi di una traduzione intralinguistica del Macbeth L , , Corso di Laurea Magistrale in"

Copied!
124
0
0

Testo completo

(1)

Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia D

IPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E CULTURALI

Corso di Laurea Magistrale in L INGUE , CULTURE , COMUNICAZIONE

No Fear Shakespeare: Analisi di una traduzione intralinguistica del Macbeth

Prova finale di:

Giulia Toffanetti Relatore:

Franco Nasi

Correlatore Marc Seth Silver

Anno Accademico 2013-2014

(2)

2

(3)

3

INDICE

Introduzione

...

9

1. Traduzioni intralinguistiche

………..………

13

1.1 Da una lingua all’altra

……….……….

13

1.2 Da una cultura all’altra

……….………….……..………...

23

2. Tradurre o non tradurre Shakespeare: questo è il dilemma

……….……….…

33

2.1 Il dibattito contemporaneo

………...

34

2.2 Shakespeare nell’arte intermediale

…….……….…………..………

45

2.3No Fear Shakespeare: La nascita e il successo di Sparknotes

……….….

54

3. Analisi di una traduzione intralinguistica

………..………..

67

3.1 Macbeth

………...

67

3.2 Personaggi

……..……….….…………..………

69

3.3 Il Lessico e lo Stile

……….………....

70

3.4 La Metrica e il Ritmo

……….

96

3.5 La Sintassi

……….

103

Conclusioni

……….……

109

Bibliografia

……….

115

(4)

4

(5)

5

Abstract

La pratica della traduzione da una stessa lingua, conosciuta all’interno della Teoria della Traduzione come traduzione Intralinguistica (Intralingual Translation o Rewording, come la definisce Jakobson), è un fenomeno oggi molto diffuso, che affonda le sue radici nell’antichità e risponde all’esigenza da sempre condivisa, di tenere in vita i grandi testi della tradizione letteraria e di agevolarne la trasmissione alle nuove generazioni. Il testo antico viene riplasmato e re-immesso nel circuito letterario in funzione agli scopi, al pubblico e ai mutamenti linguistici che si susseguono nel corso del tempo.

Negli ultimi decenni, numerosi filologi, linguisti e storici della lingua si sono aperti a posizioni meno conservative riguardo alle riscritture dei testi antichi, iniziando a considerarle fondamentali per la tenuta in vita delle opere che possono così essere di nuovo oggetto di immediato piacere estetico e capaci di sollecitare emozioni e riflessioni.

Tuttavia, il dibattito circa l’esigenza di tradurre o meno i testi della tradizione letteraria divide ancora studiosi, linguisti e lettori di tutto il mondo e permane da parte di molti un senso di insoddisfazione dinnanzi a quelle che alcuni considerano come mere riduzioni e inutili banalizzazioni dell’originale. Nel presente lavoro di tesi, ci si occupa in particolare del processo di riscrittura contemporanea di Shakespeare, la cui forza estetica e filosofica fa sì che egli riviva all’interno delle traduzioni, degli adattamenti, delle rifrazioni, che contribuiscono a diffondere le sue opere in diversi contesti linguistici e culturali. La tesi si apre con una cornice teorica iniziale, che nel primo capitolo tratta del dibattito italiano sulla opportunità delle traduzioni Intralinguistiche dei classici e nel secondo più specificatamente delle versioni in inglese moderno di Shakespeare. Nel terzo capitolo si procede ad analizzare il lessico, la sintassi, le figure retoriche e il ritmo di una modernizzazione in prosa del Macbeth contenuta all’interno del volume No Fear Shakespeare: Macbeth pubblicato nel 2003 dalla casa editrice Sparknotes. Lo scopo sotteso a questa analisi é quello di comprendere e valutare produttivamente la traduzione, le scelte poetiche e ideologiche operate nel testo di arrivo e di verificarne la coerenza con il progetto traduttivo dichiarato.

(6)

6

Abstract

Translation within the same language, also known as Intralingual translation (or Rewording as Jakobson defined it), is a widespread process which has its roots in ancient times. It meets the need to keep literary masterpieces alive and help the cultural transmission between and within generations. The old text is remodelled and reintroduced in the literary circle according to new purposes, to the public and linguistic change over time.

In recent decades, many philologists, linguists and historians have begun to accept new positions concerning the rewriting of classic texts. These ancient texts have begun to be considered essential for the revival of literary works, which can be turned into an object of aesthetic pleasure to stimulate emotions and reflections again. However, the debate on the necessity of modernising ancient texts still divides scholars and readers, who feel uncomfortable with that kind of rewording, considered as a reduction or a simplification of the original.

The present research focuses upon the Intralingual translation of Shakespeare and his renewal through contemporary formats. After having described a general theoretical framework, the first chapter focuses on the Italian literary debate which arose around the opportunity offered through intralingual translations. The second chapter deals more specifically with the process of translating and adapting Shakespeare to a new audience, while the third chapter analyses a side-by-side “plain English” translation of Macbeth called: No Fear Shakespeare: Macbeth, published in 2003 by Sparknotes focusing on syntax, word use, rhythm and figures of speech. The aim of this work is therefore to understand and productively evaluate the act of rewriting and the poetic and ideological choices made in the target text in order to illustrate its coherence with the translation project of the publishing house.

(7)

7

Abstract

La pratique de la traduction d’une langue dans les termes de cette même langue, aussi connue sous le nom de traduction intralinguistique dans les Théories de la traduction ((Intralingual Translation o Rewording, comme elle a été définie par Jakobson), est un phénomène très répandu et ancien qui répond à la nécessité de maintenir en vie les grands textes de la tradition littéraire et d’en faciliter la transmission aux nouvelles générations.Le texte ancien est ainsi remodelé et réinséré dans le circuit littéraire selon les buts, le public et les changements linguistiques qui se produisent au fil du temps.

Au cours des dernières décennies, de nombreux philologues, linguistes et historiens de la langue se sont ouverts à des positions moins conservatrices concernant la réécriture de textes anciens, en commençant à les considérer essentiels pour garder en vie des textes qui pourraient bien être soumis à nouveau au plaisir esthétique et capables de solliciter des émotions et des réflexions.

Toutefois, le débat sur la nécessité de traduire ou non les textes de la tradition littéraire divise encore les chercheurs, les linguistes et les lecteurs dans le monde et parmi eux, certains ressentent un sentiment d'insatisfaction devant ceux qui considèrent comme de simples réductions et banalisations inutiles de l’original.

Dans le présent travail de thèse, on s’occupe en particulier du processus de réécriture contemporaine de Shakespeare, dont les forces esthétique et philosophique lui permettent de se renouveler à l’intérieur des traductions, adaptations, réfractions, qui aident à la diffusion de ses œuvres dans différents contextes linguistiques et culturels.

La thèse commence par un cadre théorique initial, qui, dans le premier chapitre s’occupe du débat italien sur la possibilité de traduire les classiques et dans le deuxième chapitre plus particulièrement des traductions en anglais moderne de Shakespeare.

Dans le troisième chapitre, on analyse le lexique, la syntaxe, les figures de style et le rythme de la modernisation en prose de Macbeth contenus dans le volume No Fear Shakespeare : Macbeth publié en 2003 par l'éditeur Sparknotes.

Le but sous-jacent de cette analyse est celui de comprendre et d'évaluer de façon productive la traduction, les choix poétiques et idéologiques apportés au texte d'arrivée et de vérifier leur cohérence avec le projet de traduction.

(8)

8

(9)

9

Introduzione

Negli ultimi decenni il settore della traduzione ha vissuto un periodo di grande sviluppo e si è assistito ad un ampliamento di orizzonti degli studi sulla traduzione, che ha condotto a riconsiderare alcuni concetti tradizionali, favorendo l’apertura a posizioni meno prescrittive e il sorgere di nuovi paradigmi.

In particolare, si è estesa la concezione della natura stessa del tradurre come atto che prevede una “manipolazione” (Lefevere 1998: 10) dell’originale legata non solo al cambiamento del codice linguistico, ma anche all’influenza di fattori socioculturali e ai criteri di ricezione del testo da parte della cultura di arrivo.

Ogni processo traduttivo prevede infatti quella che Lefevere definisce “riscrittura”, che comprende ogni forma di manipolazione testuale, sia per una traduzione tra sistemi culturalmente e linguisticamente differenti, sia per una reinterpretazione di un testo all’interno dello stesso sistema linguistico.

E’ proprio di quest’ultimo fenomeno che intende occuparsi il presente lavoro di tesi: della traduzione da una stessa lingua, definita da Jakobson “Intralingual translation o rewording” (1983: 57).

Si tratta di un tipo di traduzione, di cui si sente meno parlare, ma che svolge l’importante ruolo di preservare le opere letterarie del passato, che vengono riscritte e riplasmate in funzione del pubblico e dei valori che dominano la società dei fruitori in quel dato momento storico.

Tradurre i classici della letteratura è oggi una pratica piuttosto diffusa, che risponde all’esigenza condivisa di appianare le difficoltà linguistiche che il testo antico presenta e renderne accessibili, da parte di un pubblico più vasto e variegato, i contenuti.

La riscrittura contribuisce a conferire all’originale una seconda vita, inserendolo all’interno di traduzioni e adattamenti che ne permettano la ricezione in nuovi contesti.

In particolare, la presente ricerca, si occupa della traduzione intralinguistica di Shakespeare, la cui forza estetica e filosofica, lo rende capace di rivivere sulla scena contemporanea assumendo forme sempre nuove, in grado di comunicare in diversi contesti linguistici e culturali.

(10)

10

La tesi si apre con un primo capitolo teorico all’interno del quale si affronta il dibattito, nato in ambito italiano, circa l’esigenza di riscrivere in lingua contemporanea i testi della tradizione letteraria. Dopo una breve parentesi sulla storia dell’evoluzione linguistica dell’italiano, che ha permesso di individuare la nascita della dicotomia lingua antica/lingua moderna, si è cercato di capire quali fattori extralinguistici hanno portato i testi della tradizione letteraria ad essere così lontani dalla realtà di fruizione odierna e a far sentire l’urgenza di riscritture. Se il valore dei classici resta immutato nel tempo, lo stesso non può dirsi per il contesto culturale, le ideologie dominanti, le istituzioni, le abitudini letterarie, le aspettative estetiche e tutti quei valori che si modificano continuamente e fanno sì che il linguaggio perda “energia” (Steiner 2004: 46) e diventi privo di forza comunicativa agli occhi dei nuovi lettori. In questo senso le traduzioni sono da considerarsi vitali poiché permettono di tenere in vita un testo, di farlo muovere, di salvarlo dal silenzio e dall’immobilità e permettergli così di continuare ad incidere come modello di valori.

Tuttavia sono ancora numerosi coloro che considerano le traduzioni intralinguistiche come delle mere semplificazioni o delle inutili banalizzazioni degli originali che rischiano di sostituirli, di privarli della loro forza estetica e di eliminare la distanza storica che li separa dai lettori.

Dal panorama letterario italiano, ci si sposta poi nel secondo capitolo al vivace dibattito nato intorno alla riscrittura contemporanea di Shakespeare. La riflessione critica intorno a questo autore è ancora molto feconda ed è continuamente arricchita dalla diffusione delle sue opere attraverso traduzioni, adattamenti, rappresentazioni, versioni cinematografiche, video, che conferiscono una nuova patina di significato alle sue opere e gli permettono di viaggiare nel tempo e nello spazio.

Sempre all’interno del capitolo dedicato alla traduzione in inglese contemporaneo di Shakespeare si è scelto di dedicare un piccolo paragrafo all’arte intermediale, all’interno della quale, Shakespeare non è più soltanto teatrale o testuale, ma viene inscritto nelle nuove tecnologie che sfruttano l’interproduttività dei diversi media per creare pratiche semiotiche culturalmente attive e socialmente riconosciute.

A partire dagli anni Novanta, infatti grazie all’uso dei nuovi media, il Bardo è stato inserito nel nuovo contesto culturale dominato dalla mescolanza delle forme artistiche ed ha

(11)

11

iniziato ad essere adattato secondo nuovi format contemporanei: video su Youtube, mashups, canzoni rap, fumetti, applicazioni del cellulare, memes ecc.

Questi processi creativi, sono particolarmente apprezzati poiché capaci di unire insieme la novità delle nuove forme artistiche con temi conosciuti e culturalmente importanti. Sono cioè al tempo stesso ripetizione e cambiamento, differenza e somiglianza.

Prima di procedere, nel terzo e ultimo capitolo, all’analisi di una riscrittura contemporanea di Shakespeare, il secondo capitolo si chiude con una parentesi descrittiva sulla nascita e il successo della casa editrice Sparknotes (di proprietà di Barnes

& Nobles), nato come sito internet di supporto allo studio, per volontà di quattro studenti di Harvard, che pubblicavano periodicamente sul sito delle study guides sui classici della letteratura; la casa editrice ha sviluppato, a partire dal Settembre 2002, un progetto intitolato No Fear Shakespeare, che si occupa di produrre trascrizioni in inglese contemporaneo delle principali opere shakespeariane allo scopo di permettere ad un pubblico più vasto ed eterogeneo di apprezzare l’esperienza della lettura di Shakespeare.

All’interno del progetto No Fear, particolarmente interessante ai fini di questa ricerca, è stato scelto come testo da analizzare la tragedia del Macbeth.

Nel terzo capitolo, vengono messi a confronto il testo di partenza e quello di arrivo. In particolare, l’analisi comparativa investiga le differenze tra i due testi rispetto alla sintassi, il lessico e lo stile, le espressioni idiomatiche, la metrica e il ritmo, evidenziando i problemi traduttivi, l’atteggiamento della casa editrice nei confronti dell’originale, la lealtà verso il progetto traduttivo dichiarato e l’accoglimento positivo o negativo da parte della cultura di arrivo.

(12)

12

(13)

13

Capitolo I

Traduzioni intralinguistiche

Questo senso di concretezza che tu hai colto dalle prime righe porta in sé anche il senso della perdita,

la vertigine della dissoluzione;

e anche questo ti rendi conto d'averlo avvertito, da Lettore attento quale tu sei, fin dalla prima pagina, quando pur compiacendoti della precisione di questa scrittura avvertivi che a dir la verità tutto ti sfuggiva tra le dita.

Italo Calvino (prefazione di Se una notte d’inverno un viaggiatore)

Nel famoso saggio del 1959, On linguistic Aspect of Translation, Roman Jakobson tratta il problema dell’interpretazione di un segno linguistico ricorrendo alla nozione di traduzione. Alla traduzione propriamente detta o traduzione “interlinguistica”, egli affianca altri due tipi di traduzione: la traduzione “intersemiotica”, che definisce come una riformulazione di un segno linguistico tramite segni non linguistici e la “traduzione endolinguistica o rewording” ovvero la riformulazione di un segno linguistico con segni appartenenti alla stessa lingua” (1983: 57).

Il docente di filologia italiana Riccardo Tesi nel suo saggio Da un italiano all’altro, suddivide ulteriormente quest’ultima tipologia di traduzione in traduzione

“endolinguistica” (2004: 423), con cui si intende un processo di tipo sincronico (processo di continua riformulazione), e traduzione “intralinguistica” (ibid.), che indica un processo diacronico in cui testo di partenza e di arrivo si collocano su due piani cronologici molto distanti (dicotomia fra lingua antica e lingua moderna).

1.1 Da una lingua all’altra

Di traduzione da una stessa lingua si sente poco parlare, i numerosi manuali di Translation Studies si occupano per la maggior parte della traduzione da una lingua

(14)

14

all’altra. Tuttavia l’argomento non è certo di scarso interesse, se si tiene conto che gran parte della letteratura canonica viene divulgata attraverso quelle che Lefèvere chiama

“riscritture” (1998: 4), testi riscritti per favorire una più facile comprensione, che per molte persone acquistano l’identità e la valenza dei testi originali e si sostituiscono ad essi temporaneamente o in maniera definitiva. La riscrittura include poi anche tipologie testuali come gli adattamenti per il teatro o per il cinema, la letteratura per l’infanzia, le edizioni ridotte per stranieri, le antologie scolastiche, tutti i tipi di “manipolazione testuale” (Lefèvere 1998: 4). Nel processo di riscrittura, l’opera letteraria viene riplasmata in funzione dello scopo, del pubblico e anche dei mutamenti linguistici che si susseguono nel corso del tempo. Il prestigio di un testo e la sua ricezione favorevole da parte della comunità di lettori infatti, non restano immutati nel tempo ma variano a seconda dei gusti del contesto storico-culturale. Scrive George Steiner nel suo celebre volume After Babel che la vita di un testo è costituita dalle “ripetizioni originali”, cioè da attualizzazioni dello stesso testo a seconda delle diverse interpretazioni dei lettori, come se fossero differenti esecuzioni dello stesso spartito musicale. Steiner parla di lettura come di traduzione: quando leggiamo un testo siamo “traduttori del linguaggio del tempo” (2004: 29) e se ci troviamo dinnanzi ad un testo appartenente ad un altro periodo storico occorre guardarsi dall’apparente normalità e facilità di comprensione. I sistemi linguistici, infatti sono in continuo mutamento; Steiner afferma che “Tempo e linguaggio sono intimamente collegati: si muovono e la freccia non è mai nello stesso posto”(Steiner 2004: 43).

Il linguaggio si modifica costantemente e rapidamente: entrano dei neologismi da altre lingue, parole vecchie cadono in disuso o acquistano un nuovo significato, le norme grammaticali si trasformano per oggetto delle convenzioni culturali e nuove frasi idiomatiche vengono create.

Per questo motivo, un testo antico risulta spesso arduo da comprendere e difficile nella lettura.

La traduzione diacronica all’interno della stessa lingua è un processo di cui tutti abbiamo fatto esperienza probabilmente senza renderci conto di star traducendo e senza interrogarci sul ruolo decisivo che tale processo ha svolto e svolge per l’esistenza stessa di una civiltà. Nella premessa alla sua versione in italiano moderno del Principe di Machiavelli, Piero Melograni scrive:

(15)

15

Alcuni anni or sono, Goffredo Parise mi confidò che abbastanza di frequente l’italiano di Machiavelli gli risultava difficile, complicato e oscuro. Mi disse di essere riuscito a capire e gustare il Principe di Machiavelli solamente dopo averlo letto in traduzione francese.

Soggiunse che gli stranieri conoscevano Machiavelli meglio degli italiani, poiché avevano la fortuna di leggerlo tradotto. Suggerì di tradurre il Principe in italiano moderno, e sostenne che la cultura politica degli italiani ne avrebbe tratto gran giovamento.

(1998: 5)

Dato che nessun testo anzi nessun atto linguistico è atemporale, tradurre un testo antico, come ad esempio un classico della letteratura, significa attualizzare un codice linguistico del passato nella sua veste moderna per favorirne la comprensione da parte della comunità dei lettori. Significa re-immettere un testo nel circuito letterario grazie ad un’operazione di “trasposizione-assimilazione culturale tra testi di epoche diverse” (Tesi 2004: 422). Il fine è quello di poter recuperare una lettura totale che riscopra i “valori e le intenzionalità immediate” (Steiner 2004: 49) del testo. Nel panorama letterario italiano tale pratica traduttiva è oggi piuttosto diffusa e ha trovato terreno fertile in collane economiche di grandi case editrici che hanno riscritto in italiano moderno testi di autori classici per rispondere ad un’esigenza linguistica che probabilmente non era avvertita solo dai giovani in età scolare o dai parlanti non nativi che si avvicinavano all’italiano come lingua straniera, ma anche da lettori colti che desideravano rileggere con una lettura più agevole i testi della tradizione letteraria italiana. Nonostante si ritenga che la pratica della traduzione dei classici, come la intendiamo oggi, sia un fenomeno recente (qualche decennio al massimo) è possibile, secondo Tesi, risalire al Seicento per rintracciare un

“precursore” (2004: 431) della traduzione interna. Il filologo e studioso Paolo Beni può essere considerato uno dei precursori della traduzione da una stessa lingua. Ritenendo alcune novelle del Decameron poco leggibili decise infatti di modernizzarne le strutture micro e macrosintattiche. Siamo nei primi anni del Seicento e sono trascorsi più di duecento cinquant’anni dalla stesura del capolavoro di Boccaccio. La traduzione secondo Beni si rese necessaria per permettere ai lettori seicenteschi di Boccaccio la comprensione del testo, in quanto le strutture trecentesche tendevano a non costruire

(16)

16

correttamente le frasi, lasciando spesso sospeso il verbo e non seguendo le regole grammaticali conosciute all’epoca di Beni. Tesi definisce lo scopo di Beni di tipo

“comunicativo” (2004: 433): un testo di un’epoca precedente inizia ad essere considerato poco accessibile, sia dal punto di vista grammaticale e sintattico che dal punto di vista lessicale e si ritiene opportuna una traduzione interna per appianare tali difficoltà interpretative. Da questo punto di vista, dice, la traduzione intralinguistica può essere considerata come “traduzione di servizio” (ivi: 432) poiché nasce per rispondere ad un’esigenza di tipo socioculturale ed è anche sintomo di language disease, che si avverte in maniera più intensa nei momenti critici nei quali “s’interrompe una tradizione, o cominciano ad avvertirsene i segnali” (ibid.). Il traduttore deve perciò adeguare il testo originale alle esigenze dei suoi fruitori. Suggerisce George Steiner, l’utilizzo del termine francese ‘’interpretazione’’(2004: 53) al posto di traduzione inteso come “ciò che conferisce al linguaggio una vita che trascende il momento e il luogo dell’immediata espressione o trascrizione”(2004: 53). In questo senso possiamo considerare interpreti un attore che mette in scena un personaggio, un musicista che suona una sonata classica, un critico letterario che commenta l’opera secondo la propria sensibilità, e un lettore che ha il compito di interpretare il testo che legge e di tradurne le espressioni linguistiche estranee al suo tempo eliminando complicazioni formali o costrutti verbali a lui poco chiari. Occorre innanzitutto chiedersi quando in Italia si sia iniziata a percepire una distanza, una separazione fra lingua antica e lingua moderna, quando cioè si iniziarono a creare i presupposti di una rottura con la tradizione. Contrariamente a quello che avviene per le altre lingue (francese, inglese, tedesco), non è possibile periodizzare in maniera precisa il passaggio dall’italiano antico all’italiano moderno. Il ritmo di trasformazione linguistica varia da lingua a lingua e l’italiano è stato per molto tempo rigidamente conservatore e restio alle innovazioni. Secondo il filologo e linguista Gianfranco Folena, si possono idealmente identificare tre fasi di sviluppo dell’italiano o meglio del fiorentino: la prima fase va dal Duecento al Quattrocento ed è la fase del fiorentino antico, la seconda fase va dal Quattrocento sino alla riforma di Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, 1525 (fase del Fiorentino medio); la terza fase va da Bembo sino ad oggi e può essere suddivisa a sua volta approssimativamente dal Cinquecento all’Ottocento e dall’Ottocento a oggi (italiano moderno). La successione delle fasi non procede in maniera lineare; la terza fase infatti si rifà alla prima, salta gli sviluppi del fiorentino quattrocentesco e ritorna alle

(17)

17

strutture del fiorentino antico. Il modello trecentesco viene prediletto e a partire da esso si sviluppa l’italiano moderno. Scrivono Anna Laura Lepschy e Giulio Lepschy in Cultura e società alla fine de secondo millennio:

La difficoltà, dal punto di vista della periodizzazione è che una data ovvia, quale il 1525, anno di pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Bembo, cruciale per la storia della lingua italiana, sembra sancire non tanto l’inizio dell’italiano moderno quanto la consacrazione letteraria dell’italiano antico, rappresentato dall’uso trecentesco di Petrarca e Boccaccio nella codificazione bembesca.

(1999: 15)

Successivamente tra Sei e Settecento si inizia a prendere coscienza del fatto che la sintassi periodica che da Boccaccio arriva sino al Cinquecento, non può fare fronte alle esigenze di quello che Tesi definisce “scrivere moderno” (2004: 428) e la sintassi più lineare del Francese inizia ad essere presa da esempio come modello da imitare per una scrittura più diretta e disinvolta. Inizia dunque un processo di rottura che culminerà nella seconda metà dell’Ottocento, periodo in cui l’italiano si slega completamente dal modello antico sia dal punto di vista grammaticale che da quello lessicale. La sintassi del periodo utilizzata da Manzoni, ad esempio, può già essere considerata come moderna. Tutte queste dispute e polemiche relative alla lingua e alle norme linguistiche da riconoscere e utilizzare iniziate ai tempi di Dante, acuitesi agli inizi del Cinquecento e protratte con alterne vicende sino a tempi recenti, vanno sotto il nome di “Questione della lingua”

(Marazzini 1999:11). Ripercorrendo brevemente la storia dell’italiano possiamo osservare come l’esigenza di riscrittura odierna sia in linea con la ricerca di una sintassi più semplice e regolata e come questa esigenza si ripresenti in maniera ciclica quando la lingua di un testo non viene più avvertita come conforme alle norme linguistiche del momento.

Di fondamentale importanza è la consapevolezza che accanto al divario fra lingua antica e lingua moderna, va delineandosene un altro: quello fra lingua letteraria e lingua comune.

Su questo punto si tornerà in seguito poiché tale dicotomia risulta centrale per il processo di ricezione delle opere letterarie al giorno d’oggi. La traduzione intralinguistica, nasce possiamo dire, da un bisogno dei lettori di riappropriarsi di un’opera letteraria e dalla necessità farlo in modo immediato nella lingua a loro più vicina. I cosiddetti “classici”

(18)

18

della letteratura, non sono altro che testi che hanno segnato l’immaginario collettivo, sono diventati indimenticabili poiché sono stati in grado di dire qualcosa a tutti i lettori che li hanno letti e amati e hanno lasciato strascichi nelle società e nelle culture che hanno attraversato nel corso del tempo grazie al loro messaggio sempre attuale. Italo Calvino in Perché leggere i classici del 1981 scriveva: “I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: ‘Sto rileggendo’ e mai ‘Sto leggendo’” (1981: 5). Continua Calvino: “un libro classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire” (ivi: 7). Tuttavia egli non nega che la modernità possa spesso influenzare ed ostacolare la fruizione di quei testi. Definisce l’attualità come un “rumore di fondo” (ivi: 12), ma un rumore di fondo del quale il classico non può fare a meno. Ciò che viene sintetizzato in questo paradosso è l’aspetto attuale e allo stesso tempo inattuale dei classici. E’ forse però l’aspetto di inattualità che ha fatto nascere nel corso degli anni la necessità di manipolarli e di riscrivere versioni più vicine al sentire dei lettori stessi. Se alcuni grandi classici fanno ancora oggi parlare di sé, lo fanno anche grazie a tutti coloro che li mantengono in vita riscrivendoli, nominandoli, raccontandoli e inserendoli nelle varie antologie scolastiche;

se nessuno ne parlasse più rischierebbero forse di finire dimenticati sullo scaffale di una vecchia biblioteca. Nell’ultimo decennio la traduzione dei classici della letteratura è diventata una prassi meno scabrosa di un tempo. Numerosi filologi, linguisti o storici della lingua si sono aperti a posizioni meno conservative riguardo alle manipolazioni testuali, considerando tali rifacimenti come fondamentali per la tenuta in vita di un testo che altrimenti potrebbe rischiare di “morire” nella sua immobilità conservativa.

Il dibattito circa l’esigenza di tradurre i testi della tradizione letteraria divide ancora linguisti, filologi, critici e lettori di tutto il mondo. All’interno del panorama letterario italiano, un po’ di anni fa, il critico letterario Marco Santagata curò per gli Oscar Mondadori un’edizione in prosa delle Canzoni di Leopardi e di lì a poco scoppiò sui giornali una forte polemica circa l’adeguatezza o il danno delle modernizzazioni letterarie.

Il primo ad intervenire fu Pier Vincenzo Mengaldo che, il 22 Dicembre 1998, pubblicò sul Corriere della Sera un articolo dal titolo Classici. Le traduzioni pericolose. Fra le obiezioni principali da lui sollevate c’erano l’importanza della forma oltre che del contenuto e il rischio che queste riscritture potessero mettere a repentaglio la vita delle opere letterarie finendo per prendere il posto degli originali. Cito Mengaldo:

(19)

19

Le mie obiezioni al metodo di Santagata partono da una e fondamentale […]: prima o poi (e piuttosto prima) si leggerà la traduzione e non il testo […]. A questa perplessità si legano in sostanza le altre. La prima è che si abbia una caduta verticale dell’interesse formale per i classici e ci si accontenti del nudo “messaggio” (ma è poi possibile?). La seconda è che si pervenga a una sorta di modernizzazione selvaggia, con due conseguenze parimenti pericolose: da un lato che si perda totalmente quella lontananza o alterità che è la condizione stessa della conoscenza […], dall’altro si porta acqua al mulino di quella perdita del senso della storia che è uno dei marchi peggiori dell’età presente.(1998: 33)

Il giorno successivo Santagata rispose a Mengaldo pubblicando un articolo sempre sul Corriere della Sera dal titolo Ma il mio “Leopardino” può parlare ai giovani, nel quale ribatté dicendo che l’intento del suo lavoro era quello di permettere al lettore di usare “la sua libertà” e di “ricavare dal testo quel piacere che deriva dalla scoperta e dalla collaborazione con il testo stesso” (1998: 33). Aggiunse che l’eccedenza di commenti ai classici italiani poteva essere interpretata come sintomo del “disagio” (ibid.) dei parlanti del neoitaliano dinnanzi all’italiano letterario e che la riscrittura in prosa poteva essere uno dei modi attraverso i quali trasmettere il patrimonio letterario alle nuove generazioni. Preferire una traduzione integrale in prosa rispetto alla parafrasi inserita nel commento, secondo il critico, permette al lettore di concentrarsi sul testo stesso che troppo spesso viene schiacciato, ingabbiato sopra e sotto all’interno del discorso del commentatore. Dal suo intervento si coglie tutta la distanza delle due posizioni ideologiche: da un lato le traduzioni dei classici sono percepite come nocive per la sopravvivenza della nostra tradizione letteraria dall’altro invece è tutto il contrario: è grazie a queste riscritture, adattamenti o rifacimenti che l’opera sopravvive e viene compresa e consegnata ai posteri. Alla discussione presero parte anche Francesco Sabatini e Lorenzo Renzi, supportando ora le tesi di Mengaldo ora quella di Santagata.

Sabatini rincalzò gli argomenti contrari aggiungendo alla tesi di Mengaldo alcune considerazioni di carattere didattico, concernenti cioè il modo di educare i ragazzi alla lettura dei classici. Nell’articolo uscito il 27 Dicembre 1998, dal provocatorio titolo Ma per capire Giotto non bastano le fotografie, parlò in tono grave di “errori fatali per l’educazione letteraria delle generazioni” (1998: 33) individuando come possibili

(20)

20

conseguenze nefaste delle semplificazioni letterarie quella di dimenticare la bellezza della forma artistica di un testo. La difficoltà che si incontra ad esempio leggendo una poesia, viene considerata da Sabatini come qualcosa di formativo per il lavoro di scoperta del significato che ne consegue. A supporto citò Eugenio Montale “Nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire” e concluse il suo intervento chiedendosi se una volta approdati alla “comprensione facilitata” (ivi: 33) i docenti sarebbero ritornati a “scalare la montagna” (ibid.) per recuperare le parole utilizzate dall’autore nella versione originale del testo. Rispose egli stesso alla domanda scrivendo ironicamente “sarebbe come voler arrivare, con penosa bravura, a un affresco di Giotto partendo da un suo rifacimento moderno o da una fotografia ritoccata.”(ibid.)

Infine ad intervenire dopo due posizioni decisamente contrarie fu Lorenzo Renzi, il quale spezzò una lancia in favore dell’utilità della modernizzazione dei classici. Fra i punti principali della sua tesi difensiva c’erano innanzitutto la distanza storica che ci separa dai nostri classici (dai quattro ai sei secoli) che, nonostante il cambiamento meno radicale dell’italiano rispetto ad altre lingue, ci induce a commettere errori interpretativi a causa della somiglianza delle parole. Ben noto l’esempio citato di Dante di “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia…” dove né “gentile” né “onesta” significano quello che senza dubbio il lettore moderno crederebbe ad una prima e rapida lettura. Cito le parole di Renzi a tal proposito:

Spesso un testo ci appare come un paesaggio velato di nebbia intermittente, ora chiaro, ora meno, ora del tutto indecifrabile. Perché non accendere i fari? E gli unici fari possibili sono quelli di una buona traduzione nella nostra lingua: l’italiano moderno.

Come mai, si dirà, una soluzione tanto logica viene osteggiata da alcuni dei maggiori nostri studiosi? (1998: 33)

All’obiezione invece della perdita del senso storico rispose dicendo che come la traduzione interlinguistica ci fa percepire la distanza fra lingua di partenza e lingua d’arrivo e fra le due culture coinvolte, così a maggior ragione una traduzione da un italiano all’altro ci permette di cogliere il senso dell’evoluzione linguistica e della storia della lingua. I pareri sull’argomento rimangono contrastanti. Ciò ci fa comprendere quanto la traduzione, in ogni sua forma e manifestazione sia centrale e filtri la nostra

(21)

21

conoscenza e il nostro accesso alla cultura e alla tradizione letteraria. Senza interpretazione non potrebbe esistere la cultura. Scrive Steiner: “Non è eccessivo dire che possediamo la civiltà perché abbiamo imparato a tradurre dal tempo.” (2004:57)

Più recentemente, sono tornati sull’argomento altri linguisti e filologi come Giovanni Gobber e l’insegnante Mariapia Veladiano che hanno proseguito il dibattito sulla difficoltà della comprensione dell’italiano antico per le nuove generazioni aperto da Maurizio Cucchi il 22 Ottobre 2013 su alcune pagine di Avvenire. Gobber si é mostrato favorevole alla pratica della modernizzazione letteraria che ritiene essere un “mezzo per salvare il testo in un panorama di crisi”(2013: 22) a patto che però venga esplicitato l’obiettivo che guida il processo di riscrittura e il pubblico per il quale l’opera viene riscritta. Occorre cioè, secondo il linguista, interrogarsi sulla finalità dell’operazione e aggiunge che nella storia della cultura lo si è sempre fatto “la riscrittura salva la tradizione e la rende ancora fruibile” (ibid.). Sulla funzione salvifica del processo di riscrittura si è espresso anche Franco Nasi nel suo libro Specchi comunicanti- traduzioni, parodie, riscritture. Secondo Nasi per tenere in vita un testo è necessario farlo muovere. Scrive a tal proposito:

I testi letterari restano in vita finché qualcuno li nomina, li legge, li racconta, li esamina, li antologizza, li ricrea con significati grafici, li mette in musica, li adatta per il teatro, facendo sentire l’urgenza dell’originale. L’oblio, il silenzio, l’immobilità […] li consegna invece alla morte. Diventano tutt’al più oggetti di venerazione, statuette impolverate custodite in un museo dell’Accademia, accessibili solo a poche vestali e sacerdoti di culto. (2010:86)

Steiner si unisce a questa linea di pensiero e aggiunge: “la letteratura, il cui spirito deriva da ciò che Eluard chiamò “le dur désir de durer”, non ha possibilità al di fuori della traduzione continua all’interno della propria lingua” (2004: 57). Ciò che queste due posizioni condividono è l’idea che ogni rappresentazione, riscrittura, adattamento e traduzione di un’opera sia di fatto un modo per mantenerlo in vita.

In questo senso la riscrittura diviene una componente importantissima dell’evoluzione letteraria che permette ad un autore e alle sue opere di non atrofizzarsi ma di continuare a rispondere a stimoli e a mantenere una posizione di prestigio all’interno della società.

(22)

22

Riguardo al successo e alla tenuta in vita di quella che Lefèvere chiama “fama letteraria”

(1992:2), è interessante aprire una parentesi circa l’importanza dei fattori socioculturali che spesso e volentieri sanciscono il successo o l’insuccesso di un’opera. Cito Lefèvere:

The process resulting in the acceptance or rejection, canonization or non-canonization of literary works is dominated not by vague, but by very concrete factors that are relatively easy to discern as soon as….one eschews interpretation as the core of literary studies and begins to address issues such as power, ideology, institution, and manipulation. (1992: 2)

Per “fattori concreti” Lefèvere intende non solo i parametri estetici e ideologici ma anche fattori extraletterari, come ad esempio la situazione socioeconomica che condiziona dall’esterno il sistema letterario. In Passato questo meccanismo di controllo veniva operato dalle Istituzioni letterarie, come l’Accademia della Crusca in Italia o l’Académie Française in Francia, che regolavano la produzione e diffusione della conoscenza, stabilivano gli standard linguistici (le “bon usage” della lingua) e decidevano la modalità di trasmissione della cultura. Questo concetto viene riassunto sotto il termine di

“Patronato” (1998: 13) mentre viene indicato con “master code”(ibid.) l’insieme dei valori che dominano una società in un dato periodo storico e che fanno sì che un autore e le sue opere vengano recepiti da quella cultura poiché tradotti o riscritti secondo norme stabilite. In questo senso la letteratura viene considerata come facente parte di un complesso sistema sociale all’interno del quale vi sono i testi e coloro che li leggono, li scrivono e li riscrivono. I traduttori e riscrittori fungono da intermediari fra due culture e nel loro atto di interpretazione dell’opera originale la riplasmano e la adattano in funzione della società e della cultura ricevente per la quale scrivono. Colui che riscrive deve essere ben consapevole del fatto che una traduzione intraculturale ha il potere di agire sull’immagine e sull’ assimilazione di un autore. Nasi parla di “responsabilità del traduttore”(2010: 69) il quale non deve per forza attenersi a rigide regole e leggi imposte dalle istituzioni e valide ad oltranza, ma deve comunque valutare le conseguenza del suo agire. In questo senso non ci sono leggi assolute, degli imperativi categorici, ma ogni traduttore dovrà tenere ben presente che la sua è un’attività da svolgere con lealtà e correttezza. Il traduttore potrà, a seconda del suo intento, propendere per una

(23)

23

traduzione “addomesticante” (2010:76), oppure per una traduzione “stranierizzante”

(ibid.). La prima finisce col “forzare la lingua di arrivo” (ivi:77) introducendo ad esempio strutture sintattiche che sono proprie alla lingua di partenza ed estranee a quella di arrivo; la seconda asseconda le abitudini del lettore, espropriando tuttavia l’originale della sua diversità. Nel scegliere il proprio atteggiamento traduttivo, il traduttore dovrà, secondo Nasi agire responsabilmente, tenendo sempre a mente il primo e più importante principio etico da osservare: la cura verso l’integrità del testo da tradurre. Nonostante gli adattamenti o le modifiche sintattiche e semantiche, l’identità dell’opera deve essere preservata.

Di fondamentale importanza quando si riscrive o si traduce sarà valutare la componente pragmatica, il contesto. Un po’ come scriveva Gobber nel suo articolo su Avvenire, è importante stabilire per chi si sta scrivendo o traducendo. Esistono ad esempio traduzioni semplificate di un’opera che si rivolgono ai bambini o agli studenti delle scuole medie e superiori, oppure traduzioni per stranieri in cui il lessico utilizzato è ridotto e le strutture sintattiche semplificate, riscritture per la messa in scena teatrale e così via. Spesso vi sono dunque delle motivazioni pratiche che guidano ogni traduttore nelle proprie scelte.

Tornando al ruolo del patronato e ai valori socioculturali che influenzano i testi, nel prossimo paragrafo si desidera mettere in luce quali sono, secondo alcuni filologi, i fattori extralinguistici che rendono le riscritture letterarie necessarie al giorno d’oggi, delineando brevemente i sintomi di quello che Mengaldo ha definito il “disagio” dei parlanti del neoitaliano dinnanzi all’italiano letterario; tale disagio ci porta infatti a prendere in considerazione l’altra grande dialettica che si affianca a quella di lingua antica e lingua moderna: quella fra italiano popolare e italiano letterario.

1.2 Da una cultura all’altra

Tutto si muove, tutto corre,

tutto volge rapido.

Umberto Boccioni

Tra le testimonianze di coloro che considerano le traduzioni dei classici come qualcosa che si può evitare, è emersa la considerazione di Riccardo Tesi sul carattere piuttosto

(24)

24

conservatore dell’italiano. Questa valutazione linguistica si basa sul fatto, come detto nel precedente paragrafo, che il punto di partenza dell’italiano moderno sia l’italiano o fiorentino antico e non quello medio. Numerosi linguisti ritengono che grazie a questa caratteristica specifica dell’italiano (per il francese ad esempio sarebbe impossibile, perché nel corso del tempo ha subito cambiamenti radicali) sia possibile lo studio di testi antichi come quelli di Dante, Petrarca e Boccaccio con il solo ausilio di alcune precisazioni di ordine grammaticale e lessicale. Tuttavia, come ha evidenziato Renzi nel suo articolo sul Corriere della Sera, anche parole di suono e forma equivalente durante le varie fasi di sviluppo dell’italiano, hanno cambiato significato e possono dare adito a fraintendimenti.

Si parla come per la traduzione interlinguistica, di “falsi amici” (Tesi 2004: 435), parole che vengono tradotte per la loro somiglianza di forma a parole moderne: gentile in italiano antico significa nobile e sarebbe un errore tradurlo con gentile in italiano moderno.

Queste due posizioni si concentrano sul binomio italiano antico versus italiano moderno, ma come accennato alla fine del paragrafo precedente ad entrare in gioco nel processo di comprensione di un testo non sono soltanto fattori linguistici, ma anche fattori sociali e culturali. Per questo si desidera prendere in considerazione la dicotomia fra lingua letteraria e lingua popolare e capire quali fattori sociali hanno portato i testi della tradizione letteraria ad essere così lontani dalla realtà odierna. Se si considera che il passaggio fra parole arcaiche e parole correnti ha avuto luogo nel ventennio 1860-1880 allora una traduzione di Manzoni è da considerarsi un rewording (o traduzione endolinguistica) e non una traduzione intralinguistica fra due sistemi linguistici diacronicamente distanti fra loro; ne consegue che la causa che porta il lettore a sentire la necessità di una tale riformulazione è da ricercarsi in fattori extralinguistici che hanno interessato il grande pubblico in tempi recenti.

Se il valore intrinseco di un’opera o di un classico della letteratura infatti, resta invariato nel tempo, è importante chiedersi quali siano quei fattori che al contrario cambiano e che fanno in modo che il linguaggio di quel testo perda “energia” (Steiner 2004: 46) e diventi privo di forza comunicativa agli occhi dei lettori moderni. Innanzitutto sono i lettori stessi che sono cambiati poiché é cambiato tutto ciò che li circonda ed influenza le loro capacità di ricezione: il contesto culturale, le ideologie dominanti, le istituzioni, le abitudini letterarie e così via. A metà del secolo scorso si è assistito alla fine di un’epoca: l’epoca del libro. Nel 1986 il presidente della Modern Language Association of America, J. Hillis

(25)

25

Miller dichiarò: “nostro malgrado, la cultura attuale è sempre meno una cultura del libro e sempre più una cultura del cinema, della televisione e della musica di consumo”. In passato i principali mezzi di comunicazione e di trasmissione dei valori di una società erano i libri e le opere letterarie; oggi questi hanno lasciato il posto ad altri canali di comunicazione quali la televisione, il cinema, i giornali i videoclip musicali e più recentemente i social networks. La letteratura definita “alta” non incontra più il favore del vasto pubblico, ma diviene fruibile soltanto in ambito scolastico ed universitario. Si è andata mano a mano delineandosi una spaccatura fra quella che Lefèvere chiama

“letteratura alta” e la “letteratura popolare” (1998:6) quella cioè comprensibile ai più.

Ecco allora che le riscritture acquistano un ruolo sempre più preponderante e divengono

“il filo sempre più tenue che conduce la letteratura ‘alta’ al vasto pubblico” (ivi: 6)

Si tratta di un fenomeno che non è esclusivamente italiano, ma che permea tutto l’Occidente. Scriveva il linguista Gobber nel suo articolo a proposito delle traduzioni intralinguistiche:

E’ un dato di fatto: i lettori di oggi, a meno che non siano fini conoscitori della nostra letteratura, faticano a raggiungere la competenza necessaria per cogliere la varietà letteraria. E’ un cambiamento di prospettiva generazionale, non soltanto italiano:

prende piede una lingua semplificata e sfugge sempre più la ricchezza della diversità stilistica. I modelli della lingua non sono più quelli letterari, ma quelli dei giornali, dei saggi o i lessici specialistici (2013:22)

La ricchezza della lingua oggi sfugge e la traduzione interna può salvare l’accesso alla tradizione.

L’esigenza di tradurre i classici è, secondo Santagata, un sintomo di una “frattura” fra la cultura umanistica e la nuova società industriale che si nutre di un linguaggio di comunicazione più immediato e concreto. Pasolini nel 1964, pubblicò sulla rivista Rinascita un saggio da titolo Nuove questioni linguistiche, dove osservò che molti termini italiani derivanti dal latino colto andavano via via scomparendo dall’uso quotidiano a favore di una terminologia proveniente dal lessico tecnico delle industrie. Il nuovo italiano rifletteva cioè i cambiamenti sociali di quel periodo.

(26)

26

Negli anni ’80 si accese un dibattito circa l’evoluzione popolare dell’italiano che da alcuni venne definito “lingua selvaggia” (Beccaria 1985: 1); ciò che la maggior parte dei linguisti e critici letterari lamentavano era il prevalere del parlato sullo scritto e l’influenza che il primo esercitava tramite la televisione, la radio e il cinema a discapito della forma scritta formale. Secondo Gian Luigi Beccaria, l’avvicinamento tra scritto e orale, non era altro che un fenomeno linguistico che altri paesi europei avevano già sperimentato nei secoli precedenti e che l’Italia viveva con ritardo. Nacque dunque quello che venne definito

“l’italiano medio” che lasciava spazio a costrutti più colloquiali e caratteristici del parlato.

Marazzini in Da Dante alla lingua selvaggia ci riporta alcuni esempi tratti da un saggio pubblicato nel 1985 da Francesco Sabatini dal titolo L’italiano dell’uso medio: una realtà tra le varietà linguistiche italiane, nel quale definì le caratteristiche principali dell’italiano medio. Fra i fenomeni più frequenti individuò: l’utilizzo del che polivalente, l’imperfetto al posto del congiuntivo, l’uso di gli al posto di le, loro, la preferenza per i soggetti lui, lei loro al posto di egli, ella, essi e così via. Il dilagare di questa tipologia di italiano più improntata verso la varietà orale della lingua spaventò non solo i conservatori e i puristi, ma numerosi insegnanti, linguisti e altri specialisti del settore che fecero sentire la propria voce sui giornali e tramite i media, reclamando la necessità di “un’educazione linguistica delle nuove generazioni” (Marazzini 1999: 219).

Questo contrasto fra lingua letteraria, conservatrice e normativa e lingua popolare, moderna e aperta a nuovi esperimenti linguistici è quello che secondo alcuni critici influenza maggiormente il tasso di comunicabilità di un testo e la difficoltà di approccio alla lettura dei classici sentita dalle nuove generazioni. I lettori sono abituati a venire in contatto con testi brevi, lineari e fluidi nella sintassi e con un lessico estremamente limitato. La mediazione fra i lettori e il testo antico o desueto diventa secondo alcuni linguisti qualcosa di irrinunciabile; Tuttavia, prescindendo da questo fenomeno di impoverimento della lingua che è sociologicamente e storicamente motivato, di fatto si è visto nel precedente paragrafo che il fenomeno della riscrittura non è esclusivamente di oggi e nemmeno lo è il delinearsi di una letteratura popolare che si contrappone alla letteratura di nicchia dei letterati.

Le opere di consumo o di intrattenimento, quelle cioè tese ad essere “consumate” e apprezzate dal grande pubblico erano già presenti ad esempio nel teatro antico greco e romano; in tempi successivi si può pensare alla figura stessa del Boccaccio e alla

(27)

27

contrapposizione tra prosa volgare e prosa latina che per molto tempo contrappose due mondi culturalmente opposti; o ancora, al Verismo della seconda metà dell’Ottocento e alla legittimazione dei termini dialettali nella letteratura. La storia letteraria e artistica si configura come un alternarsi fra stabilità letteraria ed entrata in conflitto con la tradizione e conseguente rottura con quest’ultima. Lefèvere definisce questa situazione “diglossia letteraria” (1998: 19) e sostiene che: “la letteratura sia prodotta da un élite più o meno ampia che orbita intorno ai centri del potere” (ivi: 19).

Accanto a questa letteratura tradizionale, sostenuta dalle istituzioni, all’interno di una società spesso si sviluppa una produzione letteraria “diversa”, che viene considerata dai fautori della letteratura tradizionale come “dissidente” e “rimane relegata alla condizione di letteratura ‘dozzinale’ o ‘popolare’” (ibid.)

Nel 1826 Leopardi rivisitò in maniera capillare le Canzoni di Petrarca riscrivendole in prosa. Il suo lavoro lo definì come un’operazione di interpretazione e all’interno della premessa al testo scrisse:

Nessuno oggi in Italia, fuori dei letterati (io voleva dire fuori di pochissimi letterati), conosce né può intendere facilmente la lingua italiana antica […] L’intento di questa interpretazione si è di fare che chiunque intende mediocremente la nostra lingua moderna, possa intendere il Petrarca […] La chiamo Interpretazione perch’ella non è un comento come gli altri, ma quasi una traduzione del parlare antico e oscuro in un parlare moderno e chiaro, benché non barbaro.( 1826: 1)

Le sue parole appaiono terribilmente attuali, Leopardi chiarisce il suo obiettivo, la finalità del suo lavoro di riscrittura: comprende che il parlare della maggioranza sfugge alle norme linguistiche proprie a quel periodo storico e desidera per questo farsi mediatore di quel disagio che i lettori provano dinnanzi a quel “parlare antico e oscuro” traducendolo in un parlare moderno e chiaro. Anche Pirandello si espose riguardo al problema della

‘diglossia letteraria’. In uno scritto del 1890, intitolato Prosa Moderna, scrisse: “Se letteratura, o meglio, tradizione letteraria ha mai fatto impedimento al libero sviluppo d’una lingua, questa più di ogni altra è l’italiana”. E aggiungeva: “si pensi alla prosa dei nostri classici. Io, per me, lo dico senza ipocrisia di frasi, io leggendo quella prosa ho sempre finito col cascarci sopra con tutto il peso del più pesante sonno” (1890: 853).

(28)

28

Pirandello riflette sulla reticenza della lingua letteraria italiana ad aprirsi alla modernità, allo stare al passo con i cambiamenti culturali e sociali, sulla suo inadeguato conservatorismo.

Come si vede, nonostante sia più consueto riflettere sulla traduzione interlinguistica, il problema della traduzione interna ad una stessa lingua è sentito e discusso. Al di là dell’accoglienza positiva o negativa da parte dell’opinione pubblica di tale pratica di riscrittura dei classici e dei fenomeni socioculturali ad essa connessi, si vuole ora considerare quali sono le possibili soluzioni prese in esame dai riscrittori per dare risposta alle difficoltà dei lettori e per permettere ad un’opera di ribellarsi all’immobilismo.

Citerò di seguito alcuni metodi proposti e concretizzati nel corso degli anni e alcune delle considerazioni positive o negative che sono state formulate a proposito di questi metodi:

Mengaldo propone i commenti al testo antico senza parafrasi, le note e i commenti sono ridotti al minimo, il testo è centrale. Questo metodo permette, secondo il linguista, di stimolare la curiosità dei lettori che si trovano in una condizione di autosufficienza e non vengono sommersi da commenti pieni di termini tecnici. O ancora, secondo Sabatini, sviluppano la capacità di leggere direttamente i testi letterari.

Anna Laura Lepschy e Giulio Lepschy suggeriscono invece l’uso delle note con parafrasi utilizzata come ausilio interpretativo. Essi le considerano più utili della versione in italiano moderno che rischierebbe, a parer loro, di causare la “perdita e il fascino dell’originale”.

(1999: 20) Le note permettono inoltre di dar conto del modo in cui certe espressioni fossero utilizzate diversamente da come lo sono oggi.

Riccardo Tesi propende invece per la traduzione con testo antico a fronte, cioè con l’originale affiancato e accompagnata da un commento in fondo alla pagina. L’impianto sinottico permette al testo riscritto di “dialogare da vicino col testo antico di cui vuole essere la riscrittura” (2004: 453) e dall’altro lato permette una lettura lineare e continuata di ciò che con il metodo della parafrasi si troverebbe nella parte inferiore della pagina e in forma frammentata e non continua.

Numerose sono poi le forme di adattamento testuale, le modernizzazioni e i rifacimenti che servono scopi diversi: dalle forme di scrittura semplificata alle altre forme espressive come teatro, cinema, televisione. In questo tipo di riscrittura prevale il rapporto indiretto con il testo e prevale la trasmissione dei contenuti rispetto alla forma. Cito Santagata a questo proposito che nel saggio L’isola che non c’è in Di fronte ai classici scrive:

(29)

29

Ad alcuni potrà sembrare una perdita; in ogni caso, è un segno di vitalità. Un classico è vitale, al punto di sopravvivere alla scomparsa del proprio corpo. Direi di più, un classico è tale grazie alla sua vitalità. (2002: 227)

Di fatto il confronto fra le diverse posizioni potrebbe non finire mai, Il punto è che qualsiasi sia la strategia traduttiva messa a punto, prima di criticare una traduzione occorre analizzarne il progetto traduttivo: la posizione che il traduttore assume, cioè il modo in cui decide di porsi di fronte alla sua traduzione e l’esigenze a cui cerca di rispondere riscrivendo il testo. Il traduttore e critico Antoine Berman, ha dedicato un libro all’analisi della traduzione come atto critico, nel quale ha preso in considerazione i diversi atteggiamenti dei traduttori nei confronti del testo che traducono e l’importanza della critica come lavoro che “rende più piene le opere, rivelandone il significato infinito, e arricchendo allo stesso tempo la letture del pubblico” (2000: 26). Berman parte dal presupposto che in materia di traduzione non si può e non si deve essere neutrali e che ogni traduttore concepisce e percepisce diversamente il proprio compito e interiorizza in maniera differente la propria posizione dinnanzi all’opera. La posizione traduttiva è qualcosa che si sceglie anche se essa è influenzata da fattori storici, sociali ideologici e letterari. E’ grazie alla scelta di una posizione che il traduttore sfugge da quelli che Berman definisce: “i tre principali pericoli: l’informità camaleontica, la libertà capricciosa e la tentazione della rimozione”(ivi: 60). Inoltre ogni traduzione che si rispetti deve essere sostenuta da un progetto che tenga conto delle finalità e delle esigenze del tradurre. La posizione e il progetto del riscrittore sono contenuti in un orizzonte definiti dall’autore come: “i parametri che determinano il sentire, l’agire e il pensare del traduttore” (ivi: 64). Una volta chiariti questi punti, ciò che viene richiesto al traduttore è di agire con lealtà nei confronti dell’originale e del progetto traduttivo esistente su di esso. “Il traduttore ha tutti i diritti se agisce lealmente” (ibid.)

Dichiarare l’intento della propria traduzione significa spiegare al lettore il perché di alcune omissioni o interventi sul testo. Dice Nasi : “ il traduttore dovrebbe esercitare di continuo la virtù della modestia e dell’onestà” (2010: 124). Si tratta di una forma di rispetto che colui che riscrive deve avere nei confronti del testo che traduce, cercando il più possibile di farsi piccolo, di contenere la propria esuberanza e di non imporre il proprio stile all’opera di partenza.

(30)

30

Se si riscrive un testo, lo si cambia inevitabilmente; riprendendo Steiner e la sua metafora sulla musica: “Ogni esecuzione musicale è una nuova ‘poiesis’ che si differenzia da tutte le altre” (2004:52), allo stesso modo ogni traduzione è unica e si configura come una nuova e differente esecuzione dello stesso brano musicale. Laurence Venuti nel saggio Traduzione tra l’universale e il locale, spiega come una traduzione letteraria implichi sempre un atto di “interpretazione”(2009: 33); la traduzione si fonda sul linguaggio e il traduttore sa ed è consapevole che la sua è soltanto una delle tante possibili interpretazioni alternative. La lingua, infatti, dice Venuti “ è una forza attiva e plasmante che, di volta in volta, è riplasmata da chiunque la usi. Un testo fonte varia per forma, significato ed effetto, e tutti questi subiscono una trasformazione durante il processo traduttivo”. (ivi: 33) Non per questo però il traduttore si deve sentire legittimato a operare interventi sul testo senza aver prima motivato il proprio intervento. Riprendo e cito Berman:

Vi è non veridicità soltanto se tali manipolazioni vengono taciute, passate sotto silenzio.

Non dire ciò che si fa, per esempio adattare invece di tradurre, o fare una cosa diversa da quanto si è detto, è valso alla categoria l’adagio italiano traduttore-traditore, ed è appunto ciò che il critico deve denunciare con forza. (Berman 2000: 77)

L’introduzione ad un testo riscritto o tradotto è un momento importante in cui il lettore può comprendere che tipo di testo si troverà davanti e prepararsi ad orientare la propria lettura verso una certa idea di traduzione. E’ dunque in base all’intento dichiarato che si dovrà valutare la lealtà di un traduttore nei confronti del testo che traduce. Si è deciso di riportare di seguito uno stralcio della nota introduttiva dello scrittore Alessandro Baricco, che nel 2004, ha riscritto l’Iliade in prosa sulla base di una precedente traduzione di Maria Grazia Ciani, apportando tagli e modifiche che motiva rivolgendosi ai lettori nelle prime pagine del volumetto:

Poche righe per spiegare come è nato questo testo. Tempo fa ho pensato che sarebbe stato bello leggere in pubblico, per ore tutta l’iliade. Quando ho trovato chi era disposto a produrre l’impresa [..] mi è subito parso chiaro che, in realtà, così com’era, il testo era illeggibile: ci sarebbero volute una quarantina di ore e un pubblico davvero molto paziente. Così ho pensato di intervenire, per adattarlo ad una lettura pubblica. C’era da scegliere una traduzione- tra le tante, autorevoli, disponibili in italiano- e ho scelto

(31)

31

quella di Maria Grazia Ciani perché era in prosa e perché, stilisticamente, era vicina al mio sentire. E poi ho fatto una serie di interventi. Per prima cosa ho praticato dei tagli per ricondurre la lettura a una durata compatibile con la pazienza di un pubblico moderno.[…] ho cercato di non riassumere mai e di creare piuttosto delle sequenze più stringate usando sezioni originali del poema. Per cui i mattoni sono quelli omerici, ma il muro risulta più essenziale […]. (Baricco 2004: 7)

L’introduzione in realtà è molto più lunga e continua con l’elenco e la spiegazione di tutti i tagli e gli interventi apportati al testo e la ragione per cui essi si sono resi necessari.

Decidere di non mantenere l’integrità del testo è sicuramente una scelta forte, Baricco spiega ai lettori che si tale scelta è motivata dalle necessità che la sua riscrittura ha di prestarsi alla messa in scena teatrale. Deve cioè poter essere raccontata a voce alta e per questo l’integrità del testo non può essere mantenuta e nemmeno la sua complessità. Il lettore è così preparato e sa da quale orizzonte sarà partito l’autore. Questa parentesi sulla dichiarazione di intento degli autori ci permette di collegarci al concetto di ricezione di un’opera tradotta riconducendo tutte le considerazioni in merito all’utilità o il danno delle traduzioni dei classici ad un’unica considerazione finale: qualsiasi sia il metodo scelto per riappropriarsi di un’opera e riscriverla in chiave contemporanea, sia esso una traduzione libera o un testo accompagnato da note che aiutano il lettore a comprendere il senso dell’opera e a situarla storicamente, dinnanzi alla riscrittura permane sempre un certo senso di insoddisfazione per un testo che è altro rispetto a quello di partenza. Una sorta di disagio per qualcosa che non è come ce lo si aspetterebbe. Tuttavia, dice Berman in La traduzione e la lettera o l’albergo nella lontananza, la ri-traduzione di un testo antico “riapre l’accesso ad opere che hanno modellato in maniera decisiva il nostro modo di sentire e di esistere […] ma che allo stesso tempo, sono state esaurite dalla loro stessa gloria nel corso dei secoli. La ritraduzione moderna è una memoria rimpatriante.”

(2003: 99).

E’ grazie alle riscritture che possiamo accedere ai grandi testi della tradizione. E’ una sorta di risurrezione del testo che rivive attraverso le traduzioni contemporanee che gli danno la possibilità di muoversi e di ricomporsi, di acquistare una nuova forma e una nuova identità. Nel saggio L’isola che non c’è, Marco Santagata, risponde alla domanda: “Dove abitano i classici?”, “Nell’isola che non c’è”(2002: 215).

(32)

32

L’isola che non c’è in Peter Pan é un luogo senza tempo, che vive nell’immaginazione di chi sa fantasticare. Con questa metafora Santagata intende suggerire che, i classici della letteratura sono in grado di viaggiare nel tempo e di farsi strada fino a noi. Come arrivano? Risponde: “arrivano mutando d’abito di fisionomia” (ivi:217). Arrivano cioè tramite le interpretazioni, le riscritture, le trasformazioni, gli adattamenti e le riletture di tutti coloro che prima li smembrano e poi gli ridanno la consistenza di un corpo nuovo. E’

come una “galassia” (ibid.), aggiunge, che si espande velocissima e nell’espandersi si sbriciola e perde tutti i materiali che la compongono e li riduce in tanti piccoli pezzi. Quei pezzi arrivano ai lettori moderni e sono per essi la forma di conoscenza che li collega a quell’autore e a quell’opera, spingendoli magari a provare un senso di curiosità per l’opera stessa e a recuperarne la lettura integrale.

Le considerazioni da fare in merito sono ancora numerosissime, quanto i piccoli pezzi di testi sbriciolati che vorticano nella galassia letteraria; al fine di sviscerare meglio il fenomeno della traduzione intralinguistica ed uscire dal panorama propriamente italiano, si desidera ora spostare l’attenzione su uno degli autori più tradotti e manipolati di sempre: William Shakespeare. Parlare di traduzione di Shakespeare, significa addentrarsi in un campo davvero ampio. La riflessione critica intorno all’autore è stata e continua ad essere ricchissima. Ci si chiede: Shakespeare come autore classico, può rivivere sulla scena contemporanea? Può abbandonare la sua veste classica e assumere una forma nuova, differente, adatta a comunicare con il pubblico odierno? Può rivivere attraverso le sue riscritture?

Riferimenti

Documenti correlati

u  Il soggetto ospitante è individuato sulla base della “valutazione del potenziale” della/dello studentessa/studente, da parte del tutor accademico; a tal fine va inviato il

Per concludere ed evidenziare le differenze concrete tra i risultati che si possono ottenere utilizzando i vari metodi, si fa l’esempio di un caso reale, il bacino del fiume

Studio di Vulnerabilita' Sismica del Padiglione 8 degli Spedali Riuniti di

Utilizzando dei collettori a tubi evacuati, che hanno un rendimento termico più costante nell’arco dell’anno, le prestazioni nel periodo invernale risultano essere

Nel corso degli ultimi anni, presso il laboratorio geotecnico del DICEA sono state svolte molte prove di laboratorio per la caratterizzazione meccanica dei

 Seconda fase: è stata finalizzata alla riproduzione in scala ridotta, su modello di pendio, dell’innesco di colate di fango su terreno ricostruito in laboratorio, per effetto di

Al fine di analizzare gli effetti dei collettori BIPVT, del sistema a pavimento radiante, del sistema ADS e del sistema batteria, sul riscaldamento ed il raffreddamento del

Rejkyavik Capezio Andrea Bilancio idrico di un bacino artico attraverso hbv - light : il caso del fiume Ytri - Ranga in Islanda Vienna Como Maria Anastasia Sensitività ai