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La sovrapposizione tra causalità generale e causalità individuale

Tra le ulteriori aspetti problematici dell’accertamento del nesso causale nei reati omissivi, un ruolo fondamentale è rivestito dalla tendenza a sovrapporre due forme di causalità che, invece, sono tenute ben distinte nell’impianto della sentenza Franzese: la causalità individuale e quella di tipo generale.

Come già chiarito in precedenza, per causalità generale si intende l’astratta idoneità di un fattore di rischio a produrre un evento lesivo, ricavata da una legge scientifica di copertura, universale o, per lo più, statistica, secondo cui, in una certa percentuale di casi, al realizzarsi del fattore A consegue l’evento B;viceversa, la causalità individuale risulta dall’accertamento effettuato nel singolo caso concreto e consiste nel giudizio secondo cui un determinato fattore di rischio ha effettivamente cagionato l’evento dannoso, agendo conformemente ad una legge scientifica generale “di copertura”.

Ebbene, quantomeno in astratto, la suddetta distinzione risulta ben nitida: la valutazione relativa alla causalità generale precede e costituisce un presupposto della causalità individuale, il cui accertamento è imprescindibile ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato. Come emerge anche dalla nota sentenza Franzese, infatti, in conformità ad una corretta applicazione del principio di personalità della responsabilità penale, non risulta essere sufficiente la verifica circa l’idoneità di un preciso fattore di rischio, secondo una legge

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scientifica, a cagionare un evento lesivo, bensì si richiede che venga dimostrato che quel fattore causale ha in concreto determinato l’offesa al bene giuridico in rilievo nel singolo caso.

In tale ottica, dunque, ad esempio, ai fini dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato, non è sufficiente considerare solo l’idoneità dell’amianto a cagionare determinate patologie (asbestosi, mesotelioma pleurico, tumore al polmone), ma è necessario accertare che la morte del singolo lavoratore sia effettivamente riconducibile all’omissione del datore di lavoro che lo ha esposto alla sostanza tossica.

Analogamente, nel settore della responsabilità medica, l’indagine compiuta dall’organo giudicante non può arrestarsi, ad esempio, alla valutazione relativa all’idoneità della mancata somministrazione di un farmaco ad influire sulle condizioni di vita del paziente, ma deve essere voltaa verificare che l’evento lesivo sia riconducibile all’omissione del sanitario e non, invece, a fattori causali concorrenti o alternativi.

Tuttavia, come poc’anzi accennato, con riguardo alle ipotesi di causalità omissiva, la distinzione di cui sopra, sebbene chiara in astratta, sovente, fatica a trovare applicazione nelle aule di giustizia, in particolare in relazione al settore della responsabilità del datore di lavoro per l’insorgenza di malattie professionali.

Le difficoltà inevitabilmente connesse allo statuto della causalità omissiva, infatti, sommate all’incertezza scientifica che governa determinati ambiti della biologia e della medicina hanno indotto spesso la giurisprudenza a distaccarsi, quantomeno in via sostanziale, dagli insegnamenti della sentenza Franzese e ad adottare un modello valutativo in cui l’affermazione della responsabilità penale si basa sulla mera causalità generale.379

Di tale pericolosa sovrapposizione è ben consapevole autorevole dottrina, la quale si è occupata di porre in rassegna una serie di pronunce dalle quali emerge nitidamente la svalutazione dell’accertamento bifasico e, dunque, il rispetto solo formale degli insegnamenti della sentenza Franzese.380

Si pensi, ad esempio, alla sentenza relativa al caso Macola381 ove la Suprema Corte,

preso atto della circostanza per cui la mancata eliminazione o riduzione delle esposizioni alle

379 In senso contrario, Cass. pen. sez. IV, 14 marzo 2017, n. 12175 (caso Montefibre -bis), in www.italgiure.it, che,

in relazione alla vicenda che ha visto coinvolti alcuni ex amministratori e direttori dello stabilimento di Verbania- Pallanza facente capo a Montefibre s.p.a, si è conformata all’impostazione accolta dalla Suprema Corte nel caso Cozzini, annullando con rinvio le condanne inflitte dalla Corte d’Appello per difetto di motivazione. Ebbene, tra le principali cause che hanno condotto alla suddetta censura vi è il difetto di prova in ordine alla causalità individuale, essendosi i giudici di merito limitati a ribadire la valenza cancerogena dell’amianto e l’efficacia concausale del fumo di sigaretta e dell’asbesto, senza però spiegare il processo morboso rispetto ai singoli lavoratori. Per un commento alla sentenza, cfr. S.ZIRULIA,Amianto: la Cassazione annulla le condanne nel processo Montefibre – bis, sulla scia del precedente “Cozzini”, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 5/2017.

380F.STELLA,L’allergia alle prove della causalità individuale, op.cit., p. 379. 381 Cass. pen. sez. IV, 11 febbraio 2002, in Foro it., 2003, p. 324 ss.

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polveri di amianto incrementa il rischio di insorgenza di una patologia polmonare, giunge ad affermare la sussistenza della causalità individuale sulla base di considerazioni che attengono prettamente al piano della causalità generale, ossia relative all’idoneità delle polveri di amianto a cagionare l’evento lesivo o ad abbreviare il periodo di latenza della patologia.

Come posto in evidenza da uno dei più grandi studiosi in tema di causalità, dunque, non di rado i giudici di legittimità, attraverso una sovrapposizione tra valutazioni relative alla causalità individuale e quelle inerenti alla causalità generale, ritengono soddisfatta la prova della causalità individuale la quale, però, in concreto, viene basata non su positivi riscontri probatori relativi al singolo caso, quanto, invece, su mere evidenze epidemiologiche le quali, com’è noto, soprattutto in tema di malattie professionali, integrano lo strumento principale per accertare la causalità generale.382

L’epidemiologia, infatti, intesa letteralmente quale scienza delle epidemie, integra un metodo di ricerca finalizzato all’analisi delle cause della diffusione di determinate patologie e processi morbosi all’interno di una determinata popolazione di riferimento.383

Come sarà approfondito nella parte relativa all’analisi delle soluzioni prospettate per ovviare alle difficoltà che riguardano la causalità omissiva nel settore delle malattie professionali, la scelta di affidarsi alla sola epidemiologia, in realtà, è stata presa in considerazione anche da una parte della dottrina.

In quest’ottica, ad esempio, tale orientamento, muovendo dalla consapevolezza secondo la quale sovente la scienza medica non è in grado di fornire conoscenze idonee a fondare un’adeguata spiegazione della causalità individuale, giunge a valorizzare l’epidemiologia quale strumento di indagine all’interno del processo penale.384

Ne consegue, dunque, che, poste le rilevanti difficoltà concernenti la prova della causalità individuale nel settore delle malattie professionali, una valida alternativa sarebbe quella di considerare sufficiente la prova della causalità generale ai fini di un’eventuale condanna per omicidio o per lesioni personali.

382 Circa la possibilità di utilizzare le evidenze epidemiologiche nel processo penale, cfr. Cass. pen. SS. UU, 11

settembre 2002, n. 30328, Franzese, par. 7 secondo la quale “è indubbio che coefficienti medio bassi di probabilità cd. frequentista per tipi di intervento, rilevati dalla legge statistica (e ancor più da generalizzazioni empiriche del senso comune o da rilevazioni epidemiologiche), impongono verifiche attente e puntuali sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie concreta. Ma nulla esclude che anch’essi, se corroborati dal positivo riscontro probatorio, condotto secondo le cadenze tipiche della più aggiornata criteriologia medico- legale, circa la sicura non incidenza nel caso di specie di altri fattori interagenti in via alternativa, possono essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del necessario nesso di condizionamento”.

383 Cfr. C.BRUSCO,Il rapporto di causalità. Prassi e orientamenti, Milano, 2012, p.214, il quale, con l’ausilio della

nota pronuncia del Tribunale di Venezia emessa in occasione del caso Petrolchimico di Porto Marghera, riporta i termini maggiormente utilizzati nella scienza epidemiologica.

384L.MASERA,Epidemiologia e nesso di causalità, in Cass. pen. 2008, p. 445;ID,La malattia professionale e il

diritto penale, Relazione al convegno “Il male della polvere: storia e storie dei minatori in Valle Camonica nel secondo dopoguerra, in www.dirittopenalecontemporaneo.it., 2001.

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La scienza medica, infatti, soprattutto quella di tipo oncologico, tendenzialmente non riesce a fornire una spiegazione circa il nesso individuale intercorrente tra esposizione e patologia, ma si limita perlopiù ad individuare una connessione relativa ad una determinata popolazione di riferimento. Pertanto, se non si vuole rinunciare all’intervento del diritto penale quantomeno con riguardo al campo delle malattie professionali, l’unica soluzione prospettabile sembra essere quella di abbandonare la spiegazione fondata sul concetto di causalità individuale e di accontentarsi, dunque, della prova della causalità generale basata sulle evidenze epidemiologiche.

In particolare, come sarà precisato nell’ambito del paragrafo dedicato alla soluzione di cui sopra, alla base di tale impostazione vi è la valorizzazione dell’istituto giuridico dell’ “accertamento alternativo della vittima”, il quale consentirebbe di legittimare una condotta per lesioni personali o per omicidio anche qualora non sia possibile accertare la causalità relativa al singolo caso, purché, tuttavia, “risulti scientificamente certo che una quota di tali vittime ha contratto la sua patologia proprio in ragione di tale esposizione”.385

Ebbene, è indubbia l’importanza rivestita dall’epidemiologia nell’ambito dei giudizi penali aventi ad oggetto malattie professionali cagionate da sostanze tossiche. Attraverso studi epidemiologici affidabili e avvalorati dal parere di periti e di esperti, infatti, il giudice è in grado di possedere precise conoscenze statistiche relative ad una data popolazione di riferimento.

Tuttavia, come si è rilevato poc’anzi, tale disciplina scientifica presenta l’insormontabile limite di non riuscire a fornire una spiegazione hic et nunc della causa all’origine del processo morboso riferito al singolo lavoratore.

E allora, ancora una volta, occorre domandarsi se le difficoltà sottese all’accertamento del nesso causale possano davvero condurre alla rinuncia alla causalità individuale in favore di una mera causalità generale. A parere di chi, scrive la risposta non può che essere negativa: l’esigenza di fornire un’adeguata tutela alle vittime, infatti, non può e non deve condurre ad un’indebita sostituzione della causalità individuale con quella di tipo generale la quale, senza dubbio alcuno, non riesce ad essere conforme al principio di personalità della responsabilità penale ex art 27 Cost.

Come si vedrà successivamente, dunque, la soluzione va rinvenuta altrove.

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CAPITOLO IV

CAUSALITA’ OMISSIVAED ESPOSIZIONE A SOSTANZE

TOSSICHE