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La pericolosa sovrapposizione tra la causalità omissiva e il momento omissivo della colpa

Rilevate le complessità che ruotano intorno all’accertamento della causalità omissiva e alla praticabilità del modello delineato nella sentenza Franzese, non possono non essere manifestate le notevoli perplessità relative alla tendenza registratasi presso parte della dottrina e della giurisprudenza a confondere nelle fattispecie colpose il piano dell’omissione con quello della colpa.

Non di rado, infatti, soprattutto nel’ambito della responsabilità medica e dell’imprenditore per esposizione a sostanze tossiche, si assiste ad una pericolosa

371 Sulla categoria del danno da perdita di chance, cfr. CHINDEMI,Il danno da perdita di chance, Milano, 2010. In

giurisprudenza, si veda Cass. civ. sez. lav., 19 novembre 1983, n. 6906 la quale rappresenta la prima sentenza che, in ambito civile, ha ammesso l’esistenza della categoria del danno da perdita di chance, riconoscendo, dunque, la risarcibilità del danno in favore di alcuni lavoratori ai quali era stata impedita la partecipazione a delle prove concorsuali. Sulla trasposizione della suddetta categoria nell’ambito del diritto penale, cfr.M.DONINI,La causalità omissiva e l’imputazione per l’aumento del rischio, op. cit., p. 70.

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contaminazione tra la causalità omissiva e il momento omissivo della colpa che, notoriamente, consiste nel mancato rispetto di una precisa regola cautelare.373

In particolare, il tentativo di sovrapporre nei reati colposi il piano della colpa a quello del nesso di causalità si manifesta sotto due diverse angolazioni.

Da un lato, vi è chi nei reati omissivi colposi ritiene assorbito nell’omissione il profilo della colpa giacché considera come provata la violazione di un obbligo di cautela per il sol fatto di aver constatato la sussistenza di una posizione di garanzia e dell’evento lesivo o, viceversa, prescinde dall’accertamento del nesso di causalità ritenendo sufficiente la violazione dell’obbligo cautelare.

In quest’ottica, dunque, attraverso una pericolosa sovrapposizione tra il concetto di violazione dell’obbligo di garanzia e quello di inosservanza dell’obbligo cautelare, si fa derivare automaticamente dalla violazione di un dovere di diligenza la sussistenza della responsabilità omissiva del garante, senza procedere ad alcun accertamento in concreto circa la rilevanza del nesso di causalità tra l’omissione e l’evento lesivo.

Dall’altro lato, va dato atto, altresì, dell’impostazione, perlopiù di matrice giurisprudenziale, connotata da una ricostruzione del nesso causale secondo il modello della causalità omissiva, a prescindere dal fatto che la condotta posta in essere sia attiva o omissiva. Spesso la giurisprudenza, infatti,al fine di legittimare un accertamento probatorio del nesso causale meno rigoroso, mossa dalla (errata) convinzione secondo la quale la verifica della causalità omissiva possa essere fondata anche su criteri più elastici,ha qualificato come omissive delle condotte attive colpose. Si pensi, ad esempio, a quanto accaduto recentemente nel noto caso Fincantieri ove, proprio in tema di malattie professionali, la Suprema Corte di Cassazione, confondendo il piano della causalità con quello della colpa, ha qualificato la responsabilità del garante quale omissiva e, di conseguenza, ha basato la sentenza di condanna sulla mera constatazione che l’amianto, secondo alcune leggi scientifiche statistiche, aumenta il rischio di ammalarsi.374

373 Sul punto, cfr.M.DONINI,La causalità omissiva e l’imputazione “per aumento del rischio,cit., 1999, 50 ss.; M.

MANTOVANI,Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Milano, 1997, p. 138 ss.;G.MARINUCCI,La colpa per inosservanza di leggi, Milano, 1985, p. 101 s.;C.E PALIERO, La causalità dell'omissione: formule concettuali e paradigmi prasseologici, in Riv. it. med. leg., 1992, p. 830 ss;F.SGUBBI,Responsabilità per omesso impedimento dell'evento, Padova, 1975, p. 149 ss.;P.VENEZIANI,I delitti contro la vita e l'incolumità individuale, Tomo II, I delitti colposi, in Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto da G. MARINUCCI –E.DOLCINI, Padova, 2003, 242 ss

374 “ Il processo di formazione della patologia cancerogena (ossia, sia del carcinoma polmonare che del

mesotelioma) viene descritto come un’evoluzione a più stadi, la cui progressione è determinata dalle successive esposizioni al fattore cancerogeno(…) ne consegue che, a prescindere dall’ individuazione della dose innescante, le esposizioni successive devono essere considerate concausa dell’evento proprio perché esse abbreviano la latenza (...) deve quindi affermarsi che il rischio aumenta all’aumentare della dose e che indubbia rilevanza causale posseggono gli effetti cumulativi delle esposizioni successive rispetto a quella iniziale (…) Sulla base di tali

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Ebbene, diverse sono le ragioni poste alla base della sovrapposizione tra la componente omissiva della colpa e la causalità omissiva.375

In primo luogo, sicuramente giova porre in evidenza l’analogia strutturale tra i due concetti di cui sopra giacché nella colpa è sempre insito un momento omissivo consistente nell’inosservanza di una precisa regola cautelare.

In secondo luogo, la ricostruzione della condotta dell’agente come omissiva indubbiamente agevola il compito della magistratura poiché, partendo dall’erroneo presupposto per il quale la natura ipotetica della causalità omissiva legittima la possibilità di effettuare dei giudizi maggiormente elastici, consente di procedere ad un accertamento probatorio meno gravoso.

Da ultimo, non può non rilevarsi che, soprattutto in determinati settori quali, ad esempio, quello dell’attività medica, spesso risulta complesso individuare quando si è in presenza di effettive omissioni e ciò a causa della presenza di diverse condotte eterogenee in cui è presente un intreccio di momenti attivi con momenti omissivi. Ne deriva, dunque, che non risulta sempre agevole valutare quando la violazione della lex artis riguardi una vera e propria omissione di intervento e quando, invece, acceda semplicemente a un comportamento positivo scorretto.

Come rilevato da autorevole dottrina376, infatti, soprattutto nel contesto dell’attività

medica, la situazione si presenta complessa poiché spesso, ai fini della qualificazione della

principi, non può che condividersi la conclusione cui è pervenuto il primo giudice secondo la quale tutte le esposizioni alle sostanze nocive, cui pacificamente sono stati sottoposti i lavoratori deceduti, hanno svolto un ruolo concausale, con la conseguenza che, qualora gli odierni imputati avessero adottato le cautele previste dalla legge, ciò sarebbe servito a ridurre la dose di esposizione alle sostanze cancerogene e, pertanto, a posticipare l’insorgenza della malattia”, così Cass. Pen. , 27 agosto 2012, n. 33311 (caso Fincantieri), inwww.italgiure.it, pp. 15-16. In senso contrario si è espressa Cass. Pen. 17 settembre 2010 n. 43786 (caso Cozzini) che, in relazione ad un caso analogo, ha criticato la tendenza a valorizzare il profilo omissivo della colpa in favore di un inquadramento della responsabilità come omissiva. Conseguentemente a tale critica, pertanto, a differenza di quanto avvenuto in relazione al caso Fincantieri, la Suprema Corte ha operato anche un controllo maggiormente stringente con riguardo alla causalità individuale, ripudiando il criterio dell’aumento del rischio. Sulle differenze che intercorrono tra le due pronunce, cfr. S. ZIRULIA, Ancora oscillazioni nella giurisprudenza di legittimità sulle “morti da amianto”. Brevi riflessioni a margine della sentenza sul caso Fincantieri (Cass. pen., sez IV, n. 33311 del 2012, Pres. Brusco, Est. Grasso, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 2012.

Si vedano, altresì, Cass. sez. IV, 11 luglio 2002, Macola, in Foro it. 2003, II, p. 324 ss.; Cass. sez. IV, 2 ottobre 2003, Monti in Dir. pratica. lav. 2003, p. 2759 ss.; Cass. sez. IV, 2 maggio 2003, Trioni, ivi, p. 1686 ss.

Con riguardo alla giurisprudenza più risalente, in dottrina viene considerata altresì un leading case della tendenza a confondere colpa e omissione la sentenza della Pretura di Torino, 9 febbraio 1995, in Foro it., 1996, II, c. 107 ss. che in relazione al caso Asbestosprayha qualificato come omissiva la responsabilità del datore di lavoro per la morte del dipendente che, dopo aver respirato per oltre un ventennio polveri di amianto in modo continuativo, aveva contratto un mesotelioma pleurico. Per un commento alla suddetta pronuncia, M.DONINI,op. ult. cit., p. 67

ss.

375 Sulle cause della tendenza a confondere l’omissione con il momento omissivo della colpa, cfr.M.TRAPASSO,

Imputazione oggettiva e colpa tra azione ed omissione: dalla struttura all’accertamento, in Ind. pen. 2003, p. 1233

ss. Cfr., altresì, M.DONINI,op. ult. cit., p. 55, secondo il quale il rischio di sovrapporre le due differenti componenti

è maggiormente elevato nelle ipotesi in cui la l’atteggiamento colposo del garante consiste prevalentemente nel non aver attivato le condizioni salvifiche (cd. condizioni negative) ossia quelle che impediscono e, pertanto negano, l’evento e la cui assenza, dunque, determina l’evento.

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responsabilità come commissiva, non è sufficiente che sia stato posto in essere un facere da parte del sanitario, ma si richiede che la condotta si sia inserita nel decorso causale innescando il processo che ha condotto alla produzione dell’evento lesivo. In altri termini, la mera presenza di un’azione non è idonea a tracciare il confine tra causalità attiva ed omissiva giacché si richiede un accertamento volto a valutare se il processo eziologico sia stato innescato da una condotta positiva. In particolare, nell’ambito dell’attività medica, dottrina e giurisprudenza prevalenti hanno abbracciato il criterio del rischio, in virtù del quale la responsabilità rientra nell’ambito dell’art. 40, comma 1, c.p. se il soggetto agente ha introdotto un fattore di rischio prima non esistente, mentre, al contrario, viene qualificata come omissiva nei casi in cui il garante abbia omesso di neutralizzare un fattore di rischio già presente nel quadro clinico del paziente.

Ne deriva, pertanto, che ove il medico, ad esempio, abbia prescritto una terapia non idonea, ponendo in essere, quindi, una condotta attiva colposa, non per questo la responsabilità assume automaticamente un connotato commissivo poiché, secondo un’impostazione diffusa in dottrina; infatti la condotta medica potrebbe essere rimasta al di fuori del processo causale, e l’evento lesivo potrebbe essere ricollegabile al fatto che il soggetto agente abbia omesso di neutralizzare un fattore di rischio già esistente e, quindi, di impedire l’evento ex art. 40 comma 2 c.p.377

Ciò posto, nonostante siano presenti alcune analogie strutturali tra il momento omissivo della colpa e l’omissione vera e propria, non possono essere celate le perplessità relative alla tendenza connotata dall’esasperazione del profilo omissivo della colpa.

Quanto alla confusione tra obbligo di garanzia e obbligo di diligenza, infatti, giova fin da subito rilevare che l’omissione di cui all’art. 40 cpv. c.p. non costituisce un’omissione di cautele, bensì un omesso impedimento in rapporto al quale la valutazione dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) è distinta e successiva rispetto ad esso.

L’obbligo di garanzia, infatti, sia sotto il profilo cronologico che logico, sorge prima del dovere di diligenza giacché nei reati omissivi impropri l’obbligo di agire diligentemente può rilevare solo se a monte sussiste una posizione di garanzia che impone un obbligo di impedire l’evento.

Pertanto, nonostante le affinità tra colpa e omissione, non può essere legittimata una sovrapposizione tra l’obbligo di garanzia e quello di diligenza; essi presentano identità e

377In senso contrario,M.DONINI,La causalità omissiva, op. ult. cit., p. 59, il quale ritiene che in presenza di un

intervento positivo del sanitario, la responsabilità vada qualificata come commissiva giacché questi, prescrivendo una terapia errata, non ha omesso l’impedimento dell’evento ex art. 40 comma 2 c.p., bensì l’utilizzazione delle conoscenze in suo possesso (o che dovrebbero essere in suo possesso), agendo, quindi, positivamente con imperizia.

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funzioni differenti. La posizione di garanzia, infatti, indica il dovere di agire e il bene nei cui confronti l’azione deve svolgere la sua funzione di tutela; l’obbligo di diligenza, invece, fornisce la modalità di comportamento imposta al soggetto agente.

Ribadita tale differenza, non può che destare perplessità la tendenza a ritenere automaticamente sussistente il nesso causale tra omissione ed evento lesivo in virtù della mera violazione di una regola cautelare. In questo modo, infatti, oltre ad aversi una indebita sovrapposizione tra elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie, si legittima una “volatilizzazione del nesso causale” il quale, invece, inquanto elemento costitutivo necessita di essere sottoposto ad un preciso accertamento.

Pur in presenza di una posizione di garanzia e di una violazione delle regole cautelari, infatti, non è detto che l’evento lesivo sia effettivamente riconducibile all’omissione del garante. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui un datore di lavoro, al fine di abbassare i costi, ponga in essere una serie di inosservanze delle norme antinfortunistiche, omettendo di predisporre tutte le cautele necessarie volte a proteggere i lavoratori a contatto con materiali e sostanze nocive dal rischio di contrarre malattie polmonari. Ebbene, nel caso di specie, pur trovandosi in presenza di una posizione di garanzia e di un comportamento colposo, non si può prescindere dall’accertamento del nesso tra omissione ed evento, che, all’esito di un’adeguata valutazione, potrebbe risultare connesso ad una causa differente dalla condotta del garante (es. ad un fattore genetico).

Ne deriva, dunque, la necessità di tenere ben distinti il piano causale da quello dell’accertamento della colpa poiché, come più volte ribadito, la violazione della regola cautelare non può mai far presumere l’esistenza del rapporto di causalità.

Non minori preoccupazioni desta, come si è accennato, l’utilizzazione del momento omissivo della colpa quale strumento per convertire automaticamente ogni reato colposo in una fattispecie omissiva. In quest’ottica, infatti, in presenza di una condotta che omette di conformarsi alla regola cautelare, il fatto viene qualificato automaticamente come omissivo, ponendo nel nulla, quindi, l’azione che ha innescato il processo causale.

Poc’anzi si è già visto come tale tendenza sia particolarmente evidente in relazione alla responsabilità dell’imprenditore, la quale viene considerata omissiva anche nell’ipotesi in cui sia rintracciabile una prevalente condotta positiva consistente nell’esposizione alla sostanza pericolosa.

A parere di chi scrive, anche tale impostazione non appare pienamente condivisibile giacché, come rilevato in dottrina, considerare ad ogni costo come prevalente il momento omissivo della colpa a fronte di una condotta attiva che ha innescato il processo causale,

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equivarrebbe a “qualificare in termini omissivi il fatto dell’automobilista che cagiona un incidente, omettendo di dare la precedenza”.378

Ebbene, se è pur vero che a partire dalla sentenza Franzese il distinguo tra causalità attiva ed omissiva ha perso di rilievo poiché entrambe esigono, o almeno dovrebbero esigere, il medesimo rigore valutativo, non può non essere evidenziato che dietro tale tendenza si cela il rischio di strumentalizzare la qualificazione della condotta come omissiva per basare le pronunce di condanna su una valutazione meno rigorosa.

In conclusione, dunque, il punto critico della suddetta tendenza non risiede tanto nella trasformazione tout court di ipotesi di responsabilità commissiva in omissiva, quanto, invece, nella finalità sottesa all’esasperazione del momento omissivo della colpa che, come sopra rilevato, spesso consiste nell’aggirare le difficoltà relative alla prova della causalità individuale nelle ipotesi dominate da una forte incertezza sotto il profilo delle spiegazioni scientifiche.