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4. I consumi alimentari

4.1. La spesa alimentare in Italia

L’obiettivo del presente paragrafo è analizzare le caratteristiche della spesa alimentare evidenziando le principali tendenze dell’ultimo decennio.

In particolare, l’analisi è stata orientata a studiare la struttura e la dinamica degli acquisti per alcune classi di prodotti alimentari (fresco, bevande, freddo e drogheria alimentare), con attenzione ai mutamenti emersi tra il 2008 e il 2009, in corrispondenza dell’aumento dei prezzi del 2008 e dell’acuirsi della crisi economica.

I timori relativi alla situazione occupazionale e alla diminuzione del reddito disponibile, sebbene mitigati dal rallentamento della spinta inflazionistica del 2009, hanno enfatizzato la necessità di effettuare scelte mirate, in un’ottica di razionalizzazione e di riduzione degli sprechi. I consumatori hanno privilegiato i prodotti base, tesi a soddisfare i consumi considerati necessari.

All’interno di questo quadro generale vi sono però tendenze contrarie, poiché il consumatore manifesta una domanda sempre più differenziata e mutevole nel tempo, ed effettua scelte, in alcuni casi, sulla base di criteri di consumo anche contrastanti tra di loro. Proprio in ragione di queste diversificazioni, è necessario esaminare anche il contesto sociale ed economico.

Le trasformazioni demografiche e i nuovi stili di vita (orario di lavoro, permanenza fuori casa etc.) hanno cambiato così profondamente le abitudini alimentari, che alcuni prodotti ad alto contenuto di servizio, malgrado il prezzo elevato, non sembrano essere stati colpiti dalla riorganizzazione del paniere di consumo. Un segno che una larga fascia della società sta evolvendo verso modelli di consumo più veloci e più selettivi. Infine, un paragrafo è stato riservato all’analisi del rapporto tra i comportamenti di acquisto e la condizione professionale del capofamiglia, una variabile che con l’aggravarsi della crisi è tornata ad essere significativa.

4.1.1. La struttura della spesa alimentare in Italia

I consumi alimentari sono una delle componenti della spesa familiare più importanti in Europa. Nel 2005 circa un quinto dei consumi dei 27 paesi membri era destinato ai prodotti alimentari (19,4%). Gli alimentari e le bevande sono quindi la seconda categoria di spesa dopo l’abitazione.

L’Italia non è da meno, i consumi alimentari sono una delle voci più importanti di consumo: sulla spesa media mensile delle famiglie gli alimentari pesano circa il 15%.

Nel 2008, ultimo dato disponibile, in Italia la spesa media mensile per generi alimentari e bevande si è attestata su 475 euro, circa 9 euro in più rispetto ai 466 euro registrati nel 2007. Il risultato sembra essenzialmente dovuto alla sostenuta dinamica inflazionistica della prima metà dell’anno che ha caratterizzato i generi alimentari (media annua pari a +5,4% ), effetto che è stato tuttavia mitigato dalla messa in atto di strategie di risparmio da parte delle famiglie: la percentuale di famiglie che ha dichiarato di aver limitato l’acquisto o scelto prodotti di qualità inferiore o diversa rispetto all’anno precedente è sempre superiore al 40%; in particolare si attesta al 43,4% per il pane, al 49,2% per la pasta, al 55,7% per la carne, al 58% per il pesce e al 53,7% per frutta e verdura. Come illustrato dalla figura 4.1, la voce più consistente della spesa delle famiglie italiane è la carne, 23,6%, seguita da pane e cereali (20,2%) e da latte, formaggi e uova (13,5%).

Figura 4.1 – Struttura della spesa alimentare

(2008, valori percentuali)

Fonte: elaborazioni su dati Istat.

Carne 23,6% Pesce 6,5% Oli e grassi 4,6% Frutta 7,0% Latte, formaggi e uova 13,5% Patate e verdura 11,1% Pasticceria, zucchero e marmellate 6,5% Generi alimentari n.a.c. 0,3% Caffe', te' e cacao 1,4% Acque minerali, e altre bevande 5,3% Pane e cereali 20,2%

Le abitudini alimentari hanno subito profonde trasformazioni nel corso del tempo, in funzione di una molteplicità di fattori.

I cambiamenti demografici e sociali hanno condizionato significativamente le scelte di consumo. L’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro, la riduzione del numero di componenti della famiglia media, la maggiore mobilità sul territorio richiesta per motivi lavorativi e l’influenza esercitata dai mezzi di comunicazione e dalla pubblicità hanno contribuito alla riformulazione della dieta degli italiani.

Ad esempio, uno dei primi effetti del progressivo aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro è la crescente tendenza all’aumento dell’importanza delle consumazioni extradomestiche. Bisogna considerare, inoltre, anche la distanza che separa il luogo di lavoro dalla propria abitazione.

Specialmente nei grandi centri urbani le distanze sono dilatate e molti si spostano dall’hinterland, il che rende non agevole il rientro a casa nella pausa lavorativa per il pranzo. Per la popolazione giovanile attiva il ricorso alla consumazione di pasti fuori casa sembra essere sempre più frequente anche per il pasto serale, quale occasione di incontro dopo la giornata lavorativa o anche come esigenza, dato il sempre più frequente spostamento dell’orario lavorativo che lascia poco spazio alla preparazione domestica del cibo.

Tabella 4.1 – Evoluzione della spesa alimentare

(1992-2007; valori percentuali) 1992 2007 Variazione quota Effetto quantità Effetto prezzi relativi Pane e cereali 16,9 19,3 2,4 2,9 -0,5 Carne 26,8 23,6 -3,2 -3,2 0,0 Pesce 6,6 6,8 0,2 -0,1 0,3

Latte, formaggi e uova 13,4 13,4 0,0 -0,4 0,4

Oli e grassi 5,1 4,7 -0,4 -1,0 0,6

Frutta 7,7 7,1 -0,6 0,2 -0,8

Patate e verdura 10,6 11,1 0,5 0,3 0,3

Pasticceria, zucchero e

marmellate 5,5 6,8 1,2 0,8 0,4

Generi alimentari n.a.c. 0,3 0,3 0,0 0,0 0,0

Caffè, tè e cacao 1,8 1,4 -0,4 -0,4 0,0

Acque minerali, e altre bevande 5,3 5,6 0,3 0,8 -0,5

All’inizio degli anni Novanta il paniere della spesa alimentare delle famiglie italiane – che valeva circa il 18% del totale dei consumi – era costituito prevalentemente da carni (quasi il 27%), da pane e cereali (16,9%) e da latte, formaggi e uova (13,4%). La verdura rappresentava il 10% circa, mentre le bevande analcoliche il 5%. Discorso a parte meritano i pasti consumati fuori casa. All’inizio dello scorso decennio la spesa nei pubblici esercizi rappresentava il 6,5% dei consumi totali e oltre il 26% di quelli alimentari complessivi (dati da quelli domestici e quelli extradomestici).

Nel 2007 l’incidenza dei consumi alimentari si è ridotta e rappresenta il 14,6% della spesa complessiva. La composizione odierna della spesa differisce sensibilmente da quella dell’inizio degli anni ’90, con un deciso incremento della quota dei consumi di “pane e cereali”.

La principale differenza riguarda però il consumo di carne che scende dal 26,8% del 1992 al 23,6% del 2007. La quota di spesa per consumi di pesce sembra rimanere in sostanza inalterata, passando dal 6,6% al 6,8%. Stabile è anche la quota di latte, formaggi e uova (13,4%).

Leggeri cambiamenti si notano per i consumi di frutta e verdura: gli ortaggi e le patate acquistano circa mezzo punto percentuale sul valore della spesa, mentre la frutta passa dal 7,7% al 7,1%. I pasti fuori casa valgono ormai ben il 33% dell’alimentare totale.

Per comprendere la dinamica evolutiva dei consumi alimentari bisogna esaminare due fattori: l’andamento dei prezzi relativi e delle quantità.

Osservando le variazioni dei costi relativi, è possibile comprendere se e dove stia operando un effetto sostituzione tra categorie di alimenti. Ad esempio, l’aumento del peso del pane e derivati sulla quota di volumi consumati di beni alimentari a scapito della quota delle carni potrebbe derivare da un effetto sostituzione legato ad una riduzione dei prezzi relativi del pane superiore a quella delle carni. I prodotti i cui prezzi relativi sono cresciuti di più sono: pesce, latte, formaggi, uova, oli e grassi e verdura.

Sulla frutta e la verdura sembra aver inciso anche un cambiamento delle preferenze alimentari. Al significativo ridimensionamento dei prezzi relativi della frutta corrisponde solo un lieve aumento della quantità, mentre nel caso della verdura all’aumento dei prezzi relativi si accompagna un incremento dei volumi di consumo. Un andamento contro-intuitivo che può essere interpretato solo tenendo conto del cambiamento nella dieta alimentare.

Come esaminato nel capitolo precedente i beni non durevoli, e quindi anche gli alimentari, sono quelli che dovrebbero fluttuare meno nel corso del ciclo. Negli ultimi quindici anni però la spesa delle famiglie per l’alimentare sembra aver trovato nuova volatilità. Non si tratta di modifiche nelle quantità di cibo consumate in base all’evoluzione del reddito familiare, ma piuttosto di modifiche delle tipologie di beni acquistate.

Di fronte ad aumenti dei prezzi che erodono il potere d’acquisto, i consumatori tendono ad accrescere gli acquisti di prodotti a minore valore unitario e la spesa cresce a ritmi inferiori rispetto ai prezzi.

Questo effetto è tanto più importante quanto maggiore è ampia la gamma dei prezzi

delle referenze18 disponibili per una medesima categoria di prodotto, ovvero quanto

maggiore è l’assortimento. Se si pone la spesa per prodotti di marca pari a 100, quella a marchio commerciale si aggira intorno a 80 e, passando ai ‘primi prezzi’, è possibile arrivare a livelli anche inferiori ai 40. Le famiglie possono, quindi, limitare l’erosione di potere d’acquisto modificando il loro paniere. Un fenomeno noto con il nome di downgrading della spesa.

I consumi di prodotti alimentari hanno cominciato ad evidenziare un andamento di tipo ciclico a partire dalla recessione dei primi anni Novanta e sulla scorta delle prime esperienze di hard discounting.

Da allora si osservano fluttuazioni anche relativamente marcate, e che consentono di interpretare la seconda parte degli anni Novanta come un periodo di espansione (con una crescita mediamente prossima al 2%), seguito da un brusca recessione (con un valore in media vicino allo zero fra il 2001 e il 2004), una successiva ripresa nel biennio 2005-2006 e un nuovo declino in corrispondenza della crisi.