• Non ci sono risultati.

PROCEDIMENTO PENALE ITALIANO

3. La valorizzazione del diritto operata dalla Corte

costituzionale.

La figura dell’interprete è stata valorizzata dall’elaborazione giurisprudenziale della Corte Costituzionale secondo la quale “grazie al collegamento delle norme internazionali richiamate con l’art. 143 c.p.p., che ad esse assicura la garanzia dell’effettività e applicabilità in concreto, il diritto dell’imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato nella lingua da lui conosciuta della natura e dei motivi

dell’imputazione contestatagli deve essere considerato un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile”(198).

L’art. 143 c.p.p. che va interpretato “come una clausola generale, di ampia applicazione, destinata ad espandersi e a specificarsi”(199) pare “suscettibile di un’applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio dell’interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale…il diritto all’interprete può essere fatto valere e può essere fruito, stando al tenore letterale dello stesso art. 143 c.p.p., ogni volta che l’imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali”(200).

La Consulta ha, altresì, puntualizzato che l’art. 143 c.p.p. correttamente configura “il ricorso all’interprete non già come strumento tecnico a disposizione del giudice per consentire o facilitare lo svolgimento del processo in presenza di persone che non parlino o non comprendano l’italiano, ma come oggetto di un diritto individuale dell’imputato, diretto a consentirgli quella partecipazione cosciente al procedimento che…è parte ineliminabile del diritto di difesa”(201).

Altro dato significativo per la nostra indagine è la “costituzionalizzazione” del diritto all’assistenza linguistica a

(198) Cfr. Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10, cit., 61. (199) V. Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10, cit., 58. (200) Ancora Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10, cit., 63.

seguito della riforma(202) dell’art. 111 Cost., ai sensi del quale, nell’ambito delle garanzie apprestate dall’ordinamento per l’attuazione del giusto processo, si colloca l’espressa previsione dell’assistenza di un interprete a favore dell’imputato che non comprenda o non parli la lingua impiegata nel processo (art. 111, comma 3, Cost.)(203).

Inoltre, in tempi più recenti, la Corte costituzionale, dopo aver ribadito che “la partecipazione personale e consapevole dell’imputato al procedimento, mediante il riconoscimento del diritto in capo all’accusato straniero, che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete, rientra nella garanzia costituzionale del diritto di difesa nonché nel diritto al giusto processo, in quanto l’imputato deve poter comprendere, nella lingua da lui conosciuta, il significato degli atti e delle attività processuali, ai fini di un concreto ed effettivo esercizio del proprio diritto di difesa”, ha precisato che “il riconoscimento in capo all’imputato straniero che non conosce la lingua italiana del diritto di nomina di un proprio interprete non può soffrire alcuna limitazione”(204) e ha dichiarato, pertanto, l’illegittimità

(202) Il riferimento è alla Legge cost. n. 2 del 23 novembre 1999.

(203) Giova ricordare che la disposizione citata, pur presentando natura meramente ricognitiva e non certo innovativa, ha tuttavia il merito di aver esplicitato un principio già recepito nell’ordinamento costituzionale mediante il richiamo operato dall’art. 11 Cost. alle disposizioni di diritto internazionale pattizio più significative in subiecta materia. Per approfondimenti v., tra gli altri, C.CONTI, voce Giusto processo (dir. proc.

pen.), in Enc. dir., vol.V, Milano, agg. 2001, 627; P. FERRUA, Il “giusto processo”, II ed., 2007, Bologna, 90.

(204) V. Corte cost., 6 luglio 2007, n. 254, in Cass. pen., 2007, 4441- 4442, con nota di D. CURTOTTI NAPPI, La spinta garantista della Corte

costituzionale dell’art. 102 d.p.R. n. 115 del 2002, nella parte in cui non prevede, per lo straniero ammesso al patrocinio dello Stato che non conosce la lingua italiana, la possibilità di nominare un proprio interprete con l’ulteriore precisazione che “la materia inerente a questa figura di interprete dovrà essere compiutamente disciplinata dal legislatore”(205).

Poi, richiamando, oltre agli artt. 24 e 111 Cost., l’art. 6, comma 3, lett. e) Cedu e l’art. 14, comma 3, lett. f) Patto int., la Consulta ritiene che deve essere riconosciuto in capo all’accusato straniero, che non conosce la lingua italiana, il diritto di nominare un interprete di fiducia(206) la cui “figura differisce sia da quella del consulente di parte sia da quella dell’interprete nominato dal giudice”(207).

Infatti, va rilevato come l’assistenza dell’interprete d’ufficio, in considerazione della poliforme valenza delle sue

costituzionale verso la difesa dello straniero non abbiente, nonché in Giur. cost., 2007, 2524 e ss., con nota di P. SECHI., Straniero non abbiente e diritto ad un interprete, e G. REPETTO, L’ammissione degli stranieri al patrocinio a spese dello Stato e l’ “obbligo del condizionale”.

(205) Cfr. Corte cost., 6 luglio 2007, n. 254, cit., 4442.

(206) Al riguardo, M.CHIAVARIO, Processo e garanzie della persona, II, Le garanzie fondamentali, Milano, 1984, p. 168, nota 70, si domanda se

l’accusato, il quale voglia disporre di un interprete di fiducia remunerandolo a proprie spese, sia autorizzato a rifiutare l’interprete nominatogli gratuitamente d’ufficio. Tale previsione, osserva, “non è contemplata dalle norme internazionali sulla nomina dell’interprete, ed in effetti, anche se sembra trattarsi di qualcosa di meno oneroso per lo Stato, il riconoscimento di una simile facoltà può aprire grossi problemi, mentre d’altro canto, l’imposizione dell’interprete d’ufficio potrebbe sminuire la portata difensiva della garanzia”.

funzioni, che travalicano la sfera di tutela dell’imputato(208),

risulta saldamente ancorata alle sole vicende

procedimentali/processuali che si snodano davanti all’autorità giudiziaria ma non coinvolge anche “l’elaborazione della difesa che si svolge all’esterno delle aule processuali nel rapporto tra difensore e assistito, e che di conseguenza richiede l’assenza di barriere linguistiche nel rapporto professionale”(209).

Quindi, l’esigenza di garantire, sotto ogni profilo, l’effettività del diritto di difesa(210) sembra aver indotto la Consulta a ritenere necessaria anche la nomina di un interprete di parte(211). Ne consegue, alla luce della citata sentenza n. 254 del 2007, che l’imputato alloglotto può, per un verso, avvalersi gratuitamente della prestazione dell’interprete d’ufficio di cui all’art. 143 c.p.p., dall’altro, nominare un interprete di fiducia o

(208) Come osserva F.GIUNCHEDI, Diritto all’interprete per lo straniero.

Progresso o involuzione?, cit., 1857, “…la figura dell’interprete si ravvisa

ancora quale ausiliare dell’autorità procedente e, quindi, del giudice, del pubblico ministero o della polizia giudiziaria…Non si può effettivamente dar torto a chi continua a inquadrare l’interprete nell’ambito degli ausiliari dell’autorità giudiziaria, facendo leva sull’ “obbligo di verità” di cui all’art. 146”.

(209) In questi termini G. REPETTO, L’ammissione degli stranieri al

patrocinio a spese dello Stato e l’“obbligo del condizionale”, cit., 2535-

2536.

(210) Come osserva P. SECHI., Straniero non abbiente e diritto ad un

interprete, cit., 2531, “…invero, anche la facoltà, per l’imputato, di potersi

avvalere dell’interprete per conferire con il proprio difensore tutte le volte che lo desideri rientra nell’ambito del contenuto del diritto di difesa personale, apparendo strumentale alla possibilità di esplicazione di tale

species del diritto di difesa sotto il profilo del raccordo con la difesa tecnica

ai fini dell’impostazione di una linea difensiva utile”.

(211) Per tale conclusione v. A.P. CASATI, Il diritto all’assistenza di un

“di parte”, di cui, tuttavia, deve accollarsi, se non sia stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, i relativi oneri economici(212): tale rilievo pare porsi in linea con la nuova formulazione dell’art. 111, comma 3, Cost. che non contempla, infatti, il requisito della gratuità con riferimento all’assistenza dell’interprete.

L’interprete di parte potrà affiancare l’interprete eventualmente nominato dall’autorità procedente ai sensi dell’art. 143 c.p.p., specularmente al rapporto perito/consulente tecnico(213), in modo tale che l’interprete di parte e quello di ufficio possano far fronte alle eventuali e differenti esigenze di traduzione/interpretazione avanzate rispettivamente dall’accusato e dall’autorità giudiziaria. Del resto, non si può negare che l’interprete d’ufficio “visto dal giudice, somiglia al perito”(214). E

(212) Al riguardo, M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale. Profilo

istituzionale, Roma, 2007, 247, si domanda se con tale sentenza “si sia

realmente allargato il campo della garanzia di gratuità rispetto a quanto già previsto, in generale, dall’art. 143, comma 1, c.p.p.: la fascia di soggetti per cui può operare la normativa sul patrocinio a spese dello Stato è, invero, più ristretta di quella dei soggetti nei cui confronti dovrebbe già valere la garanzia di gratuità della prestazione dell’interprete, prevista dalla norma del codice”.

(213) Possibilità esclusa da P.P.RIVELLO, La struttura, la documentazione e la traduzione degli atti, 1999, cit., 225 ss. e da D. VIGONI, Minoranze, stranieri e processo penale, cit., 387; auspicata, invece, da F. GIUNCHEDI,

Diritto all’interprete per lo straniero. Progresso o involuzione?, cit., 1857.

(214) “Entrambi gli rendono un servizio: uno converte i discorsi alieni nella lingua del processo, l’altro fornisce premesse o dati a conclusioni induttive. I rispettivi uffici corrispondono nei requisiti personali”. Così F. CORDERO, Procedura penale, Milano, 2006, 329. Conferme sulla possibilità

di considerare assimilabile l’attività di interprete-traduttore a quella di perito si riscontrano pure in giurisprudenza. V., in particolare, Cass., sez. un., 24 febbraio 2011, E., in Cass. pen., 2011, 4176.

se anche l’opera di mediazione linguistica svolta dall’interprete d’ufficio reca un contributo solo indiretto alla formazione del convincimento del giudice(215), sembra imporsi, anche in tali ipotesi, la necessità di un “controllo” dell’interprete di fiducia sull’attività svolta da quello d’ufficio anche al fine di sollecitare, una volta accertata la mancanza di qualità della traduzione/interpretazione, la sua eventuale sostituzione. In tale prospettiva, si consentirebbe, almeno in via di fatto, la “ricusazione” di interpreti d’ufficio eventualmente privi della necessaria qualificazione(216). Infatti, per quanto la professionalità dell’interprete dovrebbe essere fisiologicamente connessa alla natura della prestazione, la sua mancanza non sembra rientrare nei motivi di ricusazione di cui agli artt. 144 e 145 c.p.p., ancorché le ipotesi ivi contemplate non siano esaustive(217). Ovviamente la traduzione svolta dall’interprete di ufficio e la relativa verbalizzazione non potranno prescindere dalle eventuali osservazioni o contestazioni avanzate dall’interprete di parte(218).

(215) Così E.DOSI, voce Interprete (dir. proc. pen) cit., 330.

(216) Per tali riflessioni v. A.P. CASATI, Il diritto all’assistenza di un

interprete e/o traduttore qualificato, cit., 243.

(217) Così G.UBERTIS, Commento all’art. 143, cit., p. 155.

(218) Sul punto cfr G.BATTARINO, Sarebbe auspicabile che il legislatore affrontasse anche altre evidenti criticità, in Guida dir., 2007, n. 32, 72, il

quale si chiede “quale sarà, per accennare ad uno solo dei problemi che si possono porre, la traduzione delle parole dell’imputato da verbalizzare: quelle dell’interprete di cui all’art. 143 c.p.p. o quella dell’ interprete di parte? o entrambe? E in questo caso con quale scelta in termini di utilizzazione?”.

La diversa tesi, proposta in dottrina(219), per cui la nomina da parte del’autorità giudiziaria potrebbe avvenire solo in mancanza di un’esplicita designazione di un interprete fiduciario da parte dell’accusato alloglotto, procedura senza dubbio meno onerosa per lo Stato, non tanto si scontra col dato normativo di cui all’art. 143 c.p.p. (che anche per la terminologia impiegata che si riferisce al “diritto di farsi assistere da un interprete”, non pare escludere una facoltà concorrente di nomina in capo all’accusato alloglotto(220)) quanto omette di considerare che la funzione dell’interprete di ufficio è quella di “procurare una percezione comune del dato linguistico nel contraddittorio”(221);

(219) In tal senso paiono orientati R.E. KOSTORIS, La rappresentanza dell’imputato, cit., 315, nonché M.R. MARCHETTI, Imputato alloglotta e diritto all’interprete, in Giust. cost., 1982, 163. Per R.E. KOSTORIS, La

rappresentanza dell’imputato, cit., 315, nota 82 e 316, l’imputato avrebbe la

facoltà di nominare un interprete di parte (beneficiando comunque gratuitamente delle sue prestazioni) se lo scegliesse nell’ambito degli elenchi predisposti presso gli uffici giudiziari: la gratuità dell’assistenza linguistica, infatti, non parrebbe compatibile con una scelta ad libitum da parte dell’imputato. Al riguardo, viene notato da M.CHIAVARIO, La tutela linguistica dello straniero nel nuovo processo penale, in Riv. dir. proc.,

1991, 348, che “come le fonti internazionali, anche l’art. 143, comma 1, c.p.p. tace, per converso, sul soggetto a cui spetti nominare l’interprete; ed il silenzio, qui come là, parrebbe escludere la configurabilità di un innesto del diritto ad un interprete di fiducia sul diritto all’interprete gratuito, come si avrebbe se si ammettesse invece che quest’ultimo possa essere liberamente “scelto dall’imputato”, mentre “la nomina del giudice verrebbe solo in mancanza di una esplicita designazione”. Non sembra peraltro da escludere – almeno per gli atti nei cui confronti non si pongano problemi di segretezza – la possibilità di un’assistenza, da parte di un interprete fiduciario, che si affianchi o che sostituisca quello operante gratuitamente ed i cui rapporti economici con l’imputato rimarrebbero di pertinenza esclusiva dei due soggetti interessati”.

(220) Così A.P. CASATI, Il diritto all’assistenza di un interprete e/o

traduttore qualificato, cit., 244.

egli funge da garante in generale della comunicazione per tutti i soggetti che operano nel processo compreso il pubblico, assicurando così anche la pubblicità del dibattimento(222) (e delle udienze ai sensi dell’art. 6, § 1 Cedu).