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II Letture critiche di John Dewey: la voce personalista

III. Pragmatisti e pedagogisti laici lettori del personalismo

3.1 Lamberto Borghi: tra istanze deweyane e personalismo laico

Giacomo Cives definisce Lamberto Borghi un pedagogista “che è stato di sicuro la figura più autorevole delle scienze dell’educazione del dopoguerra in Italia, e non solo di quelle di orientamento laico, con notevole rilievo anche fuori dall’Italia”.

Le origini ebree del pedagogista livornese, laureatosi in Filosofia nel 1929 nell’Università di Pisa con una tesi su Erasmo da Rotterdam e poi docente di ruolo nei licei, lo costrinsero a trasferirsi negli Stati Uniti a causa delle leggi fasciste del 1938. Oltreoceano ebbe modo di conoscere personalmente Gaetano Salvemini, Lionello Venturi, Nicola Chiaromonte, Ernst Cassirer, Jerome Bruner, John Dewey, e di accedere ai nuovi studi di scienze sociali nell’Università di Yale e quindi di approfondire i suoi interessi per il pragmatismo filosofico e pedagogico americano. Chiamato nel 1955 a ricoprire la cattedra di Pedagogia Generale nella Facoltà di Magistero dell’università di Firenze, succederà nella cattedra dell’Ateneo fiorentino ad Ernesto Codignola, l’ispiratore dell’educazione laica e democratica, nonchè il fondatore e direttore dell’eccellente rivista “Scuola e Città”, di cui lo stesso Borghi sarà direttore. Dopo Ernesto Codignola, sarà lui il coordinatore della cosiddetta "scuola di Firenze", quella di Visalberghi, De Bartolomeis, Laporta, Tornatore e altri illustri studiosi delle problematiche pedagogiche ed educative.

Tali premesse biografiche si rivelano essenziali per la comprensione del suo itinerario filosofico e pedagogico.

Fondamentale per tutto l’impianto del pensiero del Borghi è la sua posizione antifascista, la vicinanza alla visione del liberalsocialismo, non priva di valori autenticamente religiosi e la grande lezione libertaria della Critica della Ragione Pratica di Kant, che fa dei principi di libertà e di autonomia dell’uomo come persona “trascendentale” i cardini della dignità umana e di ogni teoria pedagogica. Partendo dall’analisi kantiana, il Borghi avvicina la filosofia alla pedagogia, facendo di quest’ultima, sulla scorta delle parole di Sergio Hessen, una “filosofia applicata”, e rifiutando possibili tralignamenti

140 empirici o mistificazioni pseudo-scientifiche con lo scopo di aggregare e

unificare, senza disperderle e spezzettarle, le varie scienze dell’educazione, e non solo di sottometterle ad un unico parametro di scientificità filosofica:

“Noi parliamo di educazione morale, scientifica (ovvero teorica), artistica,giuridica, religiosa, economica. Ma ciò significa che, nonostante il suo collegamento con i dati della psicologia e della fisiologia, essa non è altro, in sostanza, che una filosofia applicata(…) Perciò ad ogni disciplina filosofica corrisponde una sezione speciale della pedagogia sotto forma di parte applicata: alla logica la teoria della istruzione scientifica, all’etica la teoria della formazione morale e così di seguito”184.

Il personalismo pedagogico di Borghi, dunque, si forma su una solida base filosofica e dalla completa padronanza della migliore letteratura anarchica mondiale,da Tolstoj a Kropotkin,da Proudhon a Bakunin,da Reclus a Francisco Ferrer,da Camus ai francofortesi ecc., e muove da una precisa visione teoretica dell’educazione come processo attivo e progressivo capace di far emergere tutte le forme speciali dell’autosviluppo e dell’anticondizionamento tanto nella formazione intellettuale che in quella morale e civile.

Borghi, rifacendosi alla pedagogia non direttiva promossa dallo psicologo statunitense Carl Rogers, scrive nel libro La città e la scuola:

“Rogers ritiene che ogni individuo possieda la capacità di autosviluppo e di autoapprendimento. Occorre che egli si liberi della corazza di cui si avvolge nella dipendenza da influenze estranee a sé”185.

Il personalismo di Borghi parla il linguaggio profondo della libertà intesa come una dimensione interiore, un a-priori che secondo la concezione rogersiana, da lui pienamente condivisa, si realizza nei seguenti termini:

“La libertà della quale parlo è essenzialmente una cosa interiore, qualcosa che esiste dentro ciascun essere umano indipendentemente da tutte quelle scelte esteriori di alternative in cui spesso siamo soliti far consistere la libertà (…) Alludo a quel tipo di libertà che è stato descritto efficacemente da Victor Frankl nel suo libro sui campi

184

Hessen S., (1942), Fondamenti della Pedagogia come Filosofia applicata, Sandron, Palermo, p. 20.

141 di concentramento, dove ai prigionieri veniva tolto tutto, dagli averi materiali al loro

stesso senso di identità. Ma persino dopo mesi e anni di questa vita resisteva una certezza, che cioè all’uomo può essere strappato tutto meno una cosa: l’ultima delle libertà umane, vale a dire la libertà di scegliere il proprio atteggiamento in qualunque circostanza, la libertà di scegliere il proprio modo di essere. (…) Essa consiste nella consapevolezza di poter essere me stesso, ora e in queste circostanze, per mia libera scelta”186.

L’educazione libertaria avrebbe dovuto proprio evidenziare e liberare la dimensione a-priori, ontologica, di cui ciascun uomo è portatore. Diversamente, cioè se tutta l’educazione fosse un totale autoapprendimento che si mette in moto da sé, per sola forza intrinseca, non vi sarebbe necessità di conquistare progressivamente l’emancipazione, né di rifiutare l’autoritarismo o di instaurare una prassi libertaria, e la scuola sarebbe un luogo pieno di attraenti inutilità. In questo senso Rousseau aveva insegnato nel suo Emilio che pur all’interno di una condizione di autoapprendimento è sempre necessario sviluppare una forte azione educativa che vi aderisca organicamente con la predisposizione di tutti gli strumenti utili all’autoformazione.

In riferimento a quanto esposto, Francesco Codello, ricordando il maestro livornese, dice che la “pedagogia di Borghi si configura sempre come ricerca infinita della natura sociale della condizione umana” e che “l’educazione è sempre creazione del nuovo e mai riproduzione dell’esistente”, e cita un’intervista del 1987 nella quale egli metteva in discussione l’esercizio del “trasmettere” da parte del docente e rimetteva in auge la fatica dell’apprendere da parte dell’allievo, dando per acquisito che per Borghi in nessun momento il docente può rinunciare ad assumere una posizione di centralità socratica per realizzare l’obiettivo di far auto-ritrovare ed auto- ricercare al suo giovane allievo la “propria verità”:

“Borghi è stato un maestro nel senso socratico: mite ma fermo e deciso nelle sue convinzioni, ha saputo risvegliare in più di una generazione di studiosi, di

142 insegnanti, di uomini e donne alla ricerca della propria verità, gli aspetti più autentici

del proprio essere liberi.”187

Borghi ha avuto tra l’altro il grande merito di aver fatto conoscere in Italia il pensiero di Dewey e di altri importanti filosofi e pedagogisti americani, e di non aver mai ignorato la lezione di Gaetano Salvemini e di Carlo Cattaneo sul federalismo inteso nella forma libertaria dell’autogoverno locale e dell’autodifesa dalla sopraffazione politica del potere centralistico da parte delle periferie regionali. Non è un caso se all’inizio della sua attività saggistica si trova quel suo capolavoro storiografico che è Educazione e autorità nell’Italia moderna edito da La Nuova Italia nel 1951 e pensato durante il soggiorno forzato negli Stati Uniti per dimostrare la stretta connessione tra percorso educativo autoritario e sbocchi politici di tipo totalitario.

Borghi è rimasto per tutta la vita legato all’insegnamento di Dewey, che ha continuato a far conoscere e commentare fino alla morte, per la promozione attiva della mediazione tra individuo e società, all’insegna della libertà e della collaborazione, considerando giustamente il pragmatismo, oltre all’idealismo e al materialismo storico “un terzo movimento speculativo e pedagogico che ha improntato di sè la cultura della nostra epoca”188.

Ma anche in ciò senza dimenticare il suo spirito critico distintivo: e nella sua fedeltà di fondo all’ispirazione libertaria, ha osservato come Dewey, tenda a privilegiare il gruppo sociale, l’elemento della collettività, al quale il singolo deve conformarsi, ponendo quest’ultimo in una condizione di secondo piano, operazione non condivisa da Lamberto Borghi che postula il valore irriducibile e fondamentale della persona, alla luce di una continua opera di mediazione e di equilibrio con la società. Da qui, con Cattaneo, e in realtà con lo stesso Dewey, l’apprezzamento dell’autonomia e dell’autogoverno delle piccole comunità, ove la presenza dell’individuo è più identificabile, che non l’esaltazione dei grandi conglomerati, in cui la minaccia della spersonalizzazione e del conformismo è più forte.

Non è possibile, inoltre, ignorare le sollecitazioni filosofiche e religiose che Borghi con grande apertura mentale, e senza nutrire alcun pregiudizio,

187

Codello F., (2001), Educare cioè educarsi. Ricordando Lamberto Borghi, in Rivista Anarchica, anno 31, n.269.

143 aveva recepito dal personalismo francese di Mounier e Maritain e da quello

italiano di Giuseppe Flores d’Arcais, Mario Casotti, Aldo Agazzi e Luigi Stefanini, dei quali egli non mancò di apprezzare l’ontologia personalistica propria del Cristianesimo, che si traduceva nell’attribuzione della dignità ad ogni soggetto e nella valorizzazione della pedagogia in quanto scienza filosofica. La loro idea pedagogica consentiva di collocare il rapporto educativo nella concretezza dell’ambiente storico e nella dipendenza verticale dal “vero” Maestro che alla coscienza dettava le istanze profonde dell’interiorità nell’apprendere e nell’agire stimolato dai segnali di un maestro esteriore e della socialità mediatrice. A proposito del pensiero personalista di Stefanini, che deteneva con merito la doppia qualifica di filosofo e pedagogista, egli così si esprimeva:

“L’esigenza fondamentale della pedagogia contemporanea era giustamente scorta da Luigi Stefanini nel riconoscimento e nella valorizzazione del principio della libertà come capacità dell’alunno di svilupparsi secondo le esigenze della sua stessa natura.”189

Borghi, insieme a Visalberghi e Laporta è una delle massime espressioni di quel personalismo laico, i cui contributi di filosofia dell’educazione sono essenzialmente dei modi differenti di leggere Dewey. In particolare per Lamberto Borghi la relazione con l’alterità assume un orientamento prevalentemente di tipo orizzontale, pur non trascurando la presenza nel suo pensiero, di una sensibilità religiosa esplicantesi nei termini di un sentimento di pienezza e di armonia con la realtà:

“La persona non attinge la sua pienezza (…) se non sulla base di un profondo accomunamento, cogli altri e in vista dell’uguale sviluppo della personalità degli altri. La finalità individuale dell’educazione è la creazione di esseri capaci di portare un contributo allo sviluppo ulteriore di se stessi e degli altri, capaci, cioè, di istituire profondi legami cogli altri e di sentire l’unità profonda della propria persona con una realtà e una società sempre più vaste, nel tempo e nello spazio, in un processo di universalizzazione.”190

189

Borghi L., (1958), Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea in Italia, SFI, Roma, p.467.

144 Educazione, dunque, come processo di universalizzazione, come

acquisizione della capacità di conquista dell’universalità, sia attraverso la fondazione di rapporti umani che non escludono nessun uomo, sia attraverso l’organizzazione intellettuale del mondo oggettivo attraverso l’indagine scientifica e la comprensione di quelle che si chiamano leggi naturali, sia, infine, attraverso quello sforzo di valorizzazione e idealizzazione di tutta l’esistenza in ogni suo particolare momento della vita propria e dell’universo in cui il pensiero assume un aspetto religioso. Forti, in queste riflessioni, sono le istanze deweyane che evidenziano l’imprescindibilità delle scienze e del metodo sperimentale, nonché l’aspetto psicologico e sociale dell’educazione. La sporgenza di Borghi relativa alla concezione sociale dell’educazione rispetto al Dewey, si evince nella sua concezione del potere del pensiero secondo la quale nel processo di sviluppo, questo giunge a sciogliersi da ogni legame sociale dopo il periodo dell’incipiente adolescenza, definito il periodo “della grazia sociale”, per cui il sentimento dell’universale che ha avuto fino a quel momento un prevalente carattere sociale ed ha necessitato di riferimenti sensibili, si libera per elevarsi al mondo del concetto. Tale capacità di pensiero puro, specifica il Borghi, non rimane una finalità chiusa in sè, ma serve a fecondare ulteriormente i rapporti sociali con le persone e con le cose.191

Con il riferimento all’aspetto religioso del pensiero e del processo di sviluppo, il pedagogista toscano chiarisce il suo intento partendo da una giustificazione socio-psicologica per cui la considerazione della vita come tesa a fondare legami con gli altri di assoluta intimità e in un rapporto di amore- identificazione, giustifica al fede in un fondamento di pura interiorità spirituale che avvalori e sostanzi la tensione di ogni uomo verso “l’accomunamento con gli spiriti altrui nel proprio spirito, quasi un’anima delle anime sottratta alla precarietà, agli smarrimenti, agli arresti, e quasi garanzia dei nostri sforzi”.

Esiste, però, nelle riflessioni del Borghi anche una lettura in chiave intellettuale-oggettiva circa l’aspetto religioso: l’uomo compie un’opera senza fine tesa ad introdurre nei limiti delle realtà il pensiero, l’ideale e il valore sebbene tale processo non sfugge dal cerchio dell’esperienza, egli concepisce,

145 sulla scia di Alfred Whitehead e in certa misura anche dello stesso Dewey,

questa progressiva organizzazione e unificazione del molteplice, come referente ad un’ “unità operante di reale e ideale”, definizione con cui Dewey esprime la sua idea di Dio, oppure ad un’essenziale unificazione del mondo dei fatti grazie al mondo del valore e all’idea di Dio come “esistenza fondata nel valore e persuasiva verso un’ideale coordinazione” (Whitehead).

Idea religiosa, dunque, come principio euristico e regolativo, come sentimento della totalità, che si collega alla finalità religiosa dell’educazione come sforzo volto a rendere sensibili gli animi dei giovani all’idea di interiorità spirituale come guida nell’accomunamento con gli altri uomini, e all’idea di unità dinamica di reale e ideale in cui si sostanziano gli sforzi dell’uomo diretti a introdurre ordine e ragione nel mondo192.

Religioso è, per Borghi, il legame dell’uomo con l’universo attraverso la conoscenza e l’azione sul mondo volta ad infondere idealità, ordine e razionalità nelle cose, legame che pone l’esigenza di un accordo dinamico e operoso tra essere e pensiero, tra reale e ideale, tra fatti e valori. Tale accordo è espresso dall’idea di Dio, molto lontana da una concezione istituzionale della religione e della società.

Pertanto la Chiesa cattolica e la sua concezione educativa, sintetizzata nell’enciclica Divini Illius Magistri, emanata da papa Pio XI il 31 dicembre 1929, documento ufficiale dell’attivismo cattolico degli anni ‘30, in cui si afferma di voler tutelare "il principio dell’autonomia della coscienza individuale", appare al pedagogista livornese incongruente nel risolversi in definitiva "a beneficio dell’autorità della Chiesa, della sua guida e del suo controllo". Per Borghi emerge una contraddizione: "Mentre quindi si vede chiaramente lo sforzo della dottrina cattolica di fondare su stabili assi la coscienza individuale e la persona umana, l’affermazione che essa non si formi nella sua integrità alla perfezione morale che le compete senza che vi penetri il sacerdote e con esso l’autorità della Chiesa rende vacillante quella base che prima si era costruita".193

Borghi scorge le contraddizioni nel personalismo cattolico e nelle pedagogie sedicenti libertarie nell’azione e nella tentazione plasmatrice

192

Ibidem, pp.16 – 17.

146 dell’insegnante che non sembra riuscire a garantire, per una sorta di istinto

interventistico e prevaricatore, la crescita autonoma e libera della soggettività del proprio allievo. Questo il pericolo denunciato dal Borghi: il principio motore corre, così, il rischio di essere nuovamente trasferito dall’alunno al maestro, non inteso, però, in senso socratico. Appare chiaro, invece, al Borghi il ruolo dell’insegnante che, sulla scorta del pensiero del Dewey, definisce “expeditor of growth”, sollecitatore di sviluppo, capace di aiutare l’alunno a prendere contatto con la realtà naturale e sociale, attraverso un lavoro di “semplificazione” dell’ambiente, ricorrendo sempre ad un’espressione del grande pragmatista americano. Riconoscimento della natura, degli impulsi e degli interessi dell’alunno, organizzazione dell’ambiente, rispetto e libertà reciproci, creazione di una intima vita comunitaria con gli alunni, attenzione non solo all’aspetto intellettuale del processo di apprendimento, ma costruzione di una profonda sintonia affettiva, creatrice di sicurezza e liberatrice di attività, e grande rilievo agli stati emotivi: il tutto riassumibile in quell’atteggiamento di amore che, per Lamberto Borghi, è il solo capace di soddisfare i bisogni dell’alunno e di riconoscerne e indirizzarne gli interessi.

Nella sua analisi del rapporto maestro-scolaro Borghi coglie anche spunti preziosi da un idealista come Lombardo-Radice, definendo tale relazione educativa un rapporto tra due spontaneità, in cui il compito del maestro non si limita a quello dello scienziato, ma anche dell’artista, in un processo che si fa continuo garante di libertà, da una più stretta ad una più larga, come chiariscono gli studi di psicologia da Piaget a Winnicott, ai quali Borghi riserva grande attenzione per la costruzione del suo itinerario pedagogico.194

In relazione alla complessa tematica dei valori e da come è stata esaminata e riesaminata dal Dewey, Lamberto Borghi chiarisce alcuni punti sui quali concorda Gino Corallo, insigne pedagogista del fronte cattolico, che cita le parole del Borghi nel suo libro Dewey:

«Cercando di stabilire la differenza tra l’impostazione del pensiero del Dewey nel terzo e nel quarto periodo del suo sviluppo speculativo» , in cui si registra una maggiore considerazione per l’importanza dei valori e della finalità etica, «è forse

147 lecito dire vedendo come motivo essenziale della filosofia del Dewey lo sforzo diretto

a reintegrare la conoscenza e l’attività umana nel quadro generale della realtà e dei processi naturali, che laddove nel terzo periodo le prime si inseriscono in questo quadro senza drammaticità come elementi importanti, ma subordinati alla realizzazione dei processi naturali, nel quarto periodo le attività e i valori acquistano un rilievo nuovo nei confronti dei dati immediati dell’esperienza. L’unità tra valori e fatti si incrina sebbene non si rompa, vacilla, ma non cade. Il dramma del pensiero del Dewey sta in questo suo scavare il terreno sotto i dati del suo naturalismo, in questa sua sete inappagata di valore, in questo suo sforzo di umanizzazione dell’esperienza. Di questo dramma, che rende il suo filosofare cosa viva e pregnante, lo sviluppo del suo pensiero pedagogico dà ampia e documentata testimonianza»195.

Oltre che del Dewey, Lamberto Borghi si ritenne per tutta la vita debitore del filosofo e pedagogista Aldo Capitini, dal quale apprese, quasi per via osmotica, lo spirito esistenzialista, l’anelito alla solidarietà e uguaglianza tra gli uomini, il primato della libertà e la polemica con la realtà “così com’è”, la visione di una pedagogica antidogmatica e anticonformista, il concetto di educazione come tensione e liberazione196, ma anche il sentire religioso che, partendo da un netto rifiuto per l’istituzione, lo spinse a far suoi alcuni aspetti del cristianesimo che percepiva come più consoni al suo sentire e vivere l’esistenza: la solidarietà di tutti gli uomini nell’essere, come diceva Capitini, “crocefissi nei limiti di una realtà”; l’esigenza di un’universale redenzione; la resurrezione di tutti in una realtà nuova. Egli riteneva necessaria “la moltiplicazione” di Gesù per tutti gli uomini. Cioè l’estensione a tutti della sua esperienza di sacrificio e di rinascita.197 Netto, però, il rifiuto per il privilegio, l’autorità e la pretesa di potere da parte di chiuse istituzioni, sia la Chiesa che lo Stato.

Da Capitini Borghi attinse anche l’apertura verso l’eredità del pensiero umanistico, considerato portatore di libertà contro ogni dogmatismo e oppressione di uomini su altri e di fiducia nel progressivo sviluppo del mondo198, nonchè promotore dell’idea che “nessuno ha il privilegio di ciò che è

195 Borghi L., (1951), John Dewey e il pensiero pedagogico contemporaneo negli Stati Uniti, La Nuova Italia, Firenze,

pp. 239-240.

196 Cfr., Capitini A., (1951), L’atto di educare, La Nuova Italia, Firenze, p.5. 197

Borghi L., (2000), La città e la scuola, Fofi G. (a cura di), Milano, Eleuthera, p.79.

148 spirituale”, perché questo è alla portata di tutti, della libera e attiva coscienza,

fucina di valori.

Promotore dell’educazione libertaria, Borghi attinse dal già citato psicologo statunitense Rogers, forte critico del comportamentismo Skinneriano, dalla concezione kropotkiniana della libertà come “libera ricerca”, da Tolstoj e dallo stesso Kropotkin per la concezione di “educazione integrale” fondata sui principi anarchici, fino ad uno dei più grandi cultori di pedagogia