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Lavoratori italiani nello Stato di São Paulo e la città di Rio de Janeiro

2. Gli italiani in Brasile dal 1870 e le loro professioni

2.2. Lavoratori italiani nello Stato di São Paulo e la città di Rio de Janeiro

Queste aree avevano in comune molte caratteristiche, una di esse riguardava il caffè, che costituiva la coltura principale della zona. Di conseguenza, erano presenti molte fazendas che si occupavano della coltivazione di questa pianta altamente remunerativa, ed erano inoltre presenti molte banche data l’entità dei capitali in circolazione.

Lo Stato di São Paulo costituiva una delle maggiori mete per l’immigrante, offriva infatti lavoro nel centro urbano ma soprattutto nella campagna circostante. Proprio in questo ambiente rurale risiedevano i fazendeiros, eredi dei primi pionieri che dissodarono il terreno paulista per creare piantagioni di canna da zucchero. Questa coltura venne in pochi anni sostituita dalla coltivazione del caffè, che trovava in questa

terra roxa l’ambiente ideale per crescere. Nacquero quindi molte fazendas, specializzate

nella coltivazione di questa pianta, che risultava la principale entrata del Brasile soprattutto negli anni Venti. Inizialmente queste strutture erano molto diffuse nelle aree vicino alla costa, poi man mano si svilupparono verso l’interno per sfruttare i terreni non ancora utilizzati. Per questo motivo divenne necessaria anche la costruzione di strade ferrate e l’ampliamento di ferrovie, di proprietà dei fazendeiros. Gli immigrati che avevano come meta l’ambiente agricolo paulista, potevano avere l’opportunità di essere lavoratori dipendenti dal fazendeiro, in quanto questa gerarchia aveva bisogno di manodopera in sostituzione della schiavitù nera che era stata abolita. In secondo luogo, l’immigrato poteva aspirare a diventare padrone della fazenda, dopo un lungo e faticoso percorso, che prevedeva molti anni di lavoro in un rapporto di mezzadria. Dopo circa sei anni l’immigrato poteva aspirare all’acquisto della fazenda; questa impresa non era facile perché buona parte del guadagno del lavoratore veniva utilizzato per pagare, presso la bottega presente dentro la fazenda, i debiti che creava per svolgere la sua attività. Una seconda ragione per cui non era semplice divenire proprietario della

fazenda, consisteva nel fatto che essa comportava dei costi ingenti come quello della

casa e del terreno, oltre ad altre spese come l’anticipazione delle sementi; per molti anni quindi la forma di lavoro prevalente per l’immigrato restò quella del dipendente presso il fazendeiro.

Tutto ciò non esclude che in alcuni centri, come quello di Santo Antônio e Campos Salles, il colono italiano sia riuscito ad emanciparsi e a diventare finalmente

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proprietario della terra nella quale lavorava71; in questo nuovo scenario, l’italiano assumeva un comportamento diverso da quello mantenuto nella fazenda, curando il luogo dove abitava e dedicandosi ad altre colture oltre a quella esclusiva del caffè, come i fagioli, le patate, il riso, il granoturco.

Geremia Lunardelli fu uno dei più importanti esempi tra gli immigrati italiani che riuscirono a diventare proprietari di una fazenda. Egli arrivò in Brasile con i genitori intorno al 1886, dalla provincia di Treviso, ed iniziò a lavorare sotto padrone sin da piccolo nelle fazendas. Quando ebbe circa sedici anni iniziò la sua attività cominciando con un sitio, una piccola proprietà, e svolgendo al contempo altri lavori che gli consentivano di far fronte alle ingenti spese che comportava l’avviamento di un’attività agricola di questo tipo. Con il tempo arrivò ad estendere il suo terreno fino allo Stato di Paraná, creando piantagioni sempre più estese e divenendo O rei do café. Negli anni Cinquanta avrebbe poi posseduto 14 milioni di piante di caffè, 11.500 ettari di terra dove era coltivato il cotone e 5.000 per la coltura della canna da zucchero, circa 25.000 ettari a foraggio, un zuccherificio e 30.000 capi di bestiame72.

Nell’area paulista, se gli italiani non riuscivano a diventare proprietari della

fazenda, difficilmente permanevano per molti anni alle dipendenze del fazendeiro,

decidendo di abbandonare la campagna e dirigendosi verso gli ambienti urbani alla ricerca di condizioni più convenienti; questo spostamento, testimoniato da molti episodi di fuga dalle fazendas soprattutto nell’Ottocento, valeva per le aree centrali (São Paulo, Minas Gerais, Espírito Santo e Rio de Janeiro) in cui prevaleva l’economia del caffè. In altri casi invece, gli immigranti provenivano già da ambienti urbani nella madrepatria, quindi una volta arrivati in Brasile tentavano la fortuna nelle città, ricercando impiego nelle industrie o avviando attività artigianali o commerciali.

Agli inizi del Novecento, la città di São Paulo stava vivendo un intenso sviluppo e l’immigrato italiano aveva l’opportunità di lavorare nell’industria nascente e nelle attività urbane; la presenza di molti abitanti della Penisola si può anche constatare dai

71 UBALDI, Pietro, L’espansione coloniale e commerciale dell’Italia nel Brasile, Roma, Loescher,

1911, p.135.

72 BERNARDI, Ulderico, “Geremia, o rei do café”, Messaggero di Sant’Antonio, n.1129, 1997.

Disponibile su:

<http://www.messaggerosantantonio.it/messaggero_emi/pagina_articolo.asp?IDX=249IDRX=44> [Data di accesso: 10/08/13]

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grandi quartieri italiani di Bras, Bom Retiro, Bexiga73. Coloro che lavoravano nelle fabbriche, compresi molti italiani, dovevano confrontarsi con l’assenza di una legislazione sul lavoro, e ricevevano una salario mediocre che non corrispondeva all’alto numero di ore di attività, oltre a prestare il loro servizio nell’assenza di un’assicurazione per malattie o incidenti. Poiché alla fine risultava difficile all’immigrato la possibilità di dare una svolta alla propria situazione sociale, molti operai ed agricoltori italiani iniziarono a lavorare in proprio, cominciando a dedicarsi a diversi tipi di impiego come il commerciante, l’autista, il venditore ambulante, il ristoratore. Gli immigrati della Penisola apportarono anche conoscenze tecniche apprese nella madrepatria, oltre all’esperienza di lavoro; vi sono molti nomi di ingegneri ed architetti italiani famosi come Luigi Pucci, Tommaso Gaudenzio Bezzi e Giuseppe Martinelli.

La città di Rio de Janeiro invece, oltre a rivelarsi un’importante colonia urbana dove erano presenti numerosi cittadini italiani, in particolare quelli provenienti dal Sud Italia (soprattutto le province di Salerno, Potenza e Cosenza) si distingueva sia per essere la capitale del Brasile, sia per costituire uno dei più importanti sbocchi commerciali del Paese. Come avveniva in molti centri urbani, e soprattutto nella capitale, molti immigrati provenienti dalle campagne brasiliane si riversavano nelle città fuggendo alle dure condizioni degli ambienti agricoli e sperando in lavori più remunerativi. A seguito della riforma urbana e delle politiche igieniste, nota anche come “haussmanizzazione74”, Rio de Janeiro agli inizi del Novecento stava vivendo un grande

rinnovamento edilizio e ciò attirava molta manodopera, soprattutto muratori, manovali, sterratori. Erano anche presenti italiani che esercitavano la professione di commercianti ed artigiani, come lustrascarpe, tipografi, barbieri e spazzini. La capitale richiamava inoltre l’interesse di vari proprietari, capitalisti e industriali italiani nella città.

73 TRENTO, Angelo, “In Brasile”. In: BEVILACQUA, Piero, DE CLEMENTI, Andreina,

FRANZINA, Emilio, Storia dell’emigrazione Italiana, Arrivi, vol.II, Roma, Donzelli, 2002, p. 12.

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Deriva dal nome del barone francese Georges Eugène Haussmann, noto funzionario francese, politico e urbanista. L’”haussmanizzazione” consiste nell’equilibrio tra amministrazione pubblica e proprietà immobiliare. La prima è incaricata di creare strade, ferrovie, piazze, ed impianti come acquedotti, fognature ed altri sistemi necessari alla fruizione delle utenze, mentre la seconda si occupa di servizi secondari come scuole e ospedali dove competono pubblico e privato.

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