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IL LAVORO SUL CAMPO

Nel documento L'etnografia di un bar. (pagine 41-52)

Da quasi due anni ormai lavoro a Ferrara, in pieno centro, proprio di fronte al Castello Estense e all’interno dello storico Palazzo Comunale, in un vero bar che da un anno <<ha rifatto il look e accoglie la sua clientela in un ambiente elegante “total white”, dall’involucro candido e comode poltrone, per un risveglio come vuole la tradizione. Un’occasione irrinunciabile per fare scorta di energia e iniziare la giornata con il sorriso sulle labbra.>>(Colazione da Tiffany. Isa Grassano)43. È cosi che la giornalista-scrittrice Isa Grassano descrive il bar pasticceria Duca D’Este nel suo nuovo libro “Colazione da Tiffany”. Ed è proprio servendo un caffè alla Grassano che mi è balenata quest’idea. Perché non unire i miei due impegni maggiori e farli diventare uno solo? Quindi, perché, appunto non sfruttare quelle ore di lavoro trasformandole in ore di studio? Studio, osservo, mi concentro su particolari che fino a quel momento sono stati la mia quotidianietà. Non sono per quei pochi istanti una cameriera-barista, mansione di cui assolutamente non mi lamento visto che mi è sempre piaciuto farlo, ma sono una “ricercatrice”, sto facendo ricerca etnografia, e mi piace!

Ma per una buona riuscita di una ricerca etnografica è, sicuramente, importante dividere il proprio lavoro in fasi. È cosi che ho deciso di svolgere il mio lavoro.

Nella prima fase, la formulazione del problema, mi sono chiesta intanto se fosse davvero interessante studiare un bar. Sono sincera, inizialmente, non ero molto sicura e mi chiedevo se ne fossi in grado. In effetti il mio bagaglio culturale sull’etnografia, sulla ricerca qualitativa non era molto vasto; sicuramente non lo è ancora ma ho cercato di documentarmi il più possibile e mi son chiesta: Rossana, ne vale davvero la pena?! Mi sono data qualche giorno per pensarci e ho deciso di provarci partendo dall’inizio. Quindi, cos’è un bar?

In Italia con l'uso del termine "bar" si intende essenzialmente un locale in cui vengono principalmente serviti e consumati sia analcolici sia alcolici oltre a caffè e altri prodotti di caffetteria, cibi dolci come cornetti e altre paste per la colazione,

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e salati come panini e pizzette per il pranzo. Un bar può anche disporre di luoghi appositi per la consumazione, all'interno o all'esterno del locale, ed è considerato nella cultura italiana un luogo per leggere i quotidiani ma soprattutto come uno dei principali punti di ritrovo, soprattutto nelle ore diurne e pre-serali.

Il reale scopo di questo lavoro e l’obiettivo che mi sono posta è capire perché il bar rappresenta oggi il più importante punto di aggregazione tra persone che soffrono di solitudine, che hanno bisogno di chiacchierare, di una parola di conforto o del piacere sottile del dare consigli. In un’epoca in cui i rapporti sociali sono sempre più controllati da nuove tecnologie di comunicazione, si avverte a volte il desiderio di costruire occasioni di incontro e “riscoprire” luoghi della comunità in cui poter sperimentare forme di socialità, dove poter discutere di problemi comuni, condividere esperienze, progettare insieme nuove forme di convivenza “sostenibili.

Una volta individuato l’oggetto della mia ricerca e le ragioni che mi hanno spinto a voler condurre una ricerca etnografica all’interno di una realtà molto particolare, come quella di un bar ho ritenuto conclusa la prima fase della mia ricerca;

 Nella seconda fase, la ricerca di sfondo e l’analisi della letteratura, mi sono dedicata allo studio, appunto, della letteratura. Infatti, la ricerca etnografica è spesso ambigua riguardo alla questione della preparazione che precede il lavoro sul campo ma una salda preparazione prima della discesa sul campo è da intendersi come la via maestra da seguire. Son partita dall’inizio e quindi dalla nascita dell’etnografia. Come abbiamo visto nelle prime parti del mio lavoro, l’etnografia nasce come metodo dell'antropologia culturale sul finire del XIX secolo, è il suo tratto distintivo e il suo oggetto sono le le lingue, i costumi, le culture dei popoli ma nell’ultimo secolo, l’etnografia ha guadagnato spazio anche nelle altre scienze sociali, soprattutto in quelle che privilegiavano metodi interpretativi. Un modo poco elegante di distinguere la sociologia dall’antropologia è sostenere che, a differenza dell’antropologia, la “tribù” della sociologia siano le persone che ci circondano nella vita di tutti i giorni. Tutto ciò fu possibile grazie alla Scuola di Chicago e di Robert Park, che convinto che il metodo dell’indagine antropologica fosse indispensabile per comprendere i tratti comuni della vita urbana e allo stesso tempo le diversità tra i quartieri

urbani ed insegnò ai propri studenti ad abbandonare i propri libri e a scendere in strada per servirsi dei propri occhi e delle proprie orecchie. Quando parliamo di etnografia abbiamo tendenzialmente in mente una prospettiva ampia di ricerca, all’interno della quale possono coesistere numerose tecniche di ricerca come l’intervista, l’analisi documentale o secondaria, i focus group e l’osservazione partecipante. Nel proprio lavoro, l’etnografo usa un ventaglio piuttosto ampio di tecniche di ricerca che sono in qualche maniera subordinate al lavoro di osservazione costante e partecipativa all’interno del contesto prescelto. Mi sono documentata su tutte queste tecniche di ricerca ma quella che più mi ha colpito e ho deciso di approfondire per la mia ricerca è l’osservazione partecipante; tecnica di ricerca che richiede a chi la conduce di passare un periodo di tempo sufficientemente prolungato e a stretto contatto con il fenomeno prescelto, in modo da giungere a una comprensione profonda delle diverse specificità che lo caratterizzano. È’ la tecnica principale all’interno di quel ramo delle scienze sociali che ha come obiettivo quello di restituire ai propri pubblici la complessità della vita all’interno dei diversi contesti sociali, cioè l’etnografia. L’osservazione partecipante deve essere condotta in prima persona dal ricercatore; Il periodo di osservazione deve essere relativamente lungo, mesi o addirittura anni, in modo tale da permettere di cogliere le dinamiche del gruppo e l’aspetto dinamico dei fenomeni che studia; la partecipazione deve avvenire nell’habitat naturale del gruppo; l’attività del ricercatore deve riguardare sia l’osservazione sia la partecipazione attiva alla vita del gruppo; la distanza tra osservatore e oggetto osservato si annulla e il ricercatore entra dentro i confini dell’oggetto osservato; lo scopo è descrivere e comprendere la realtà “vedendo il mondo con gli occhi dei soggetti osservati”.44

‘Guardare’45 è cosa diversa da ‘osservare’. Non che l’una delle due sia, rispetto all’altra,

meno importante, o appagante, o intensa:solo diversa. Guardo un tramonto. Guardo il viso di una donna, guardo la cittàdall’alto di un grattacielo. L’atto del guardare è un atto olistico, chelascia aperte tutte le altre possibilità. Non è una dimensione solamente cognitiva, ma implica emozioni, sensazioni ‘di pancia’, odori,suoni... si guarda in generale, e ci si lascia

44 L’osservazione partecipante. Una guida pratica. Giovanni Semi 2010 45

pervadere da ciò che si sta guardando. Invece osservo un uccello in volo che mi colpisce per la sua traiettoria, osservo una macchia della pelle, osservo un mezzo che sta facendo una manovra spericolata. Quando si osserva, si compie un atto volutamente riduzionistico: ci si concentra su un particolare, e si segue un’intenzione precisa. Si cerca di ridurre tutto quello che esula dal focus specifico di attenzione, tentando di eliminare allo stesso tempo gli stimoli che ci vengono dall’interno –emozioni, associazioni di idee, sensazioni soggettive. Guardare e osservare non sono due attività nettamente separate: sono collocate su un continuum, che potremmo descrivere come oscillazione tra due poli opposti sotto il profilo dell’intenzione conoscitiva. Da una parte, un’apertura indifferenziata verso un oggetto. Dall’altra, una forte intenzione mirata verso certi suoi particolari. In entrambi i casi, sia che ci interessi un particolare, sia che stiamo cercando di farci un’idea del quadro generale, c’è un terzo verbo collegato a guardare e osservare: vedere. Che non è una cosa ovvia. Perché si può tanto guardare, quanto anche osservare senza riuscire a vedere. Ed è proprio la paura di non riuscire a vedere, a generare una delle prime domande che sorgono quando parliamo di osservazione sul campo ,nelle scienze, o in qualsiasi altra attività: ‘Da dove comincio ’? ‘Che cosa devo guardare’? 46

Lo spaesamento, del tutto naturale, può prendere in situazioni diverse tra loro. Quando, ad esempio, siamo stati adibiti ad un compito nuovo per noi, i cui contorni ci sfuggono, e le cui caratteristiche ci preoccupano perché, per quanto possano essere semplici non siamo ancora in grado di dominarne cognitivamente i confini. O ancora, come nel caso dell’osservazione nelle scienze umane, quando siamo chiamati a osservare il già noto, la vita sociale, e cioè quello che viviamo ogni giorno, ma secondo un apparato concettuale e terminologico che non è quello del senso comune. Lo spaesamento, in questo ultimo caso, è dato dalla difficoltà a separare l’apparenza fenomenica, che è quella cui siamo abituati, quella di ogni giorno, dalla natura dei fenomeni che vogliamo analizzare.

Questi fenomeni hanno due caratteristiche:

 sono invisibili processi sociali, strutture o gruppi, enti di carattere supraindividuale;

 sono enti, inoltre, che non concettualizziamo in ogni caso come facciamo, anche nell’astrazione, nella quotidianità. Se nel discorso comune parliamo di ‘gruppo’, intenderemo sempre e comunque qualcosa di diverso di quando

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studiamo dei gruppi in Antropologia, o in Sociologia. Le nostre osservazioni, singolari o generali, verranno approssimando progressivamente forme cognitive nelle quali riconosciamo l’esperienza (il già-noto), ma tenendoci aperti anche a ciò che alla nostra esperienza non appartiene, al non-già-noto: le forme dell’esperienza che non avevamo mai incontrato prima si definiranno con chiarezza man mano che avremo individuato nella situazione gli elementi che già ci appartenevano: emergeranno per differenza.

Una domanda che ci si pone da subito è ‘da quale livello concettuale occorre che si parta, facendo ricerca sul campo?’. Ebbene, le teorie, le generalizzazioni, i frame, gli schemi di riferimento, questi strumenti astratti mediante i quali tentiamo di interpretare il mondo, sono scatole vuote che riempiamo in modo non sequenziale, esattamente come le nostre osservazioni si accumulano in mucchi disordinati e questo proprio perché ognuno di noi, prima di essere uno studioso o un professionista in un certo campo è quello che è come persona: con tutte le caratteristiche, cioè, che lo rendono un unicum. Le caratteristiche di quest’unicum a livello cognitivo ed emotivo si riflettono immediatamente sulla sua appercezione del mondo, in maniere non fisse, non uguali per tutti, e anche non prevedibili. se parliamo di approccio alla realtà empirica sotto il profilo della teoria, c’è chi vede la struttura, c’è chi vede le interazioni, chi lo spazio fisico, e chi i processi in divenire, chi gli elementi di carattere culturale, e chi quelli economici, chi il collettivo e chi l’individuale. Qualcuno partirà da subito a ragionare in termini macrosociologici, qualcuno lavorerà come Goffman, e qualcuno ragionerà ogni volta in termini di reti e comunità. E nessuno starà facendo nulla di sbagliato: sono soltanto approcci alla comprensione del mondo, egualmente legittimi ed egualmente fruttuosi.47 Un elemento importante da cui si dovrebbe partire è la mappatura del territorio fisico di osservazione. La nostra vita sociale esiste e si dispiega in spazi e tempi fisici. Ed è l’interazione tra l’una e gli altri a creare lo spazio sociale e il tempo sociale. La struttura di un edificio e dei suoi piani; la forma di una città, dei suoi viali e delle sue piazze; la forma di una grande stazione. Nella vita sociale molto è decidibile e interpretabile, e quasi tutto è negoziabile. Ma la vita sociale si svolge entro setting fisici che dettano i nostri spazi di libertà, e allo stesso tempo ne costituiscono un limite invalicabile. Potrà parere una banalità, ma il pensiero astrattivo delle scienze sociali tende talvolta a dimenticare che tutto ciò che è umano si svolge entro realtà spaziali e fisiche.

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Naturalmente la mappatura dello spazio fisico è uno solo dei possibili punti di partenza. Non è necessario partire per forza da lì ma suggerisce molte idee, e aiuta a sistematizzare i punti di vista. Ed è proprio da lì che ho deciso di iniziare. 48

Il bar pasticceria Duca D’Este , che come ho già detto, si trova di fronte al Castello Estense è molto grande. Ciò che è possibile notare entrando è il bancone, cioè la zona caffetteria con due baristi, uno dei titolari e la mia collega Mel, pronti ad accogliere sempre i clienti consumano velocemente un caffè. Il bancone è l’elemento centrale di un bar ed è proprio questo lo spazio in cui si creano maggiormente i rapporti umani tra personale e cliente. A destra si trova un’immensa vetrina piena di pasticceria artigianale fresca, dolce e salata. Quest’ultima, definita la più bella a Ferrara cattura l’attenzione di chi entra e incanta con le sue infinite delizie. A sinistra, invece, c’è una sala molto elegante e raffinata dove è possibile accomodarsi su poltroncine o sui divanetti di pelle bianca che fanno credere a chi si siede di essere ancora sul divano di casa. E’ tutto bianco con dei quadri raffiguranti immagini tipiche per un bar; infatti in uno di questi vi sono dei chicchi di caffè , in un altro è raffigurata la bottiglia di un campari bitter che spesso richiamano l’attenzione dei clienti. C’è anche uno shop, un angolo bottega per acquistare i prodotti artigianali tipici ferraresi, dal famoso pampapato ai “mandorlin dal Point”, un’antichissima e gustosa ricetta a base di albume d’uovo e mandorle, fino alla torta Tenerina, dal morbido cuore di cioccolato. Devo dire che lo shop è “meta” di molti turisti che gradiscono tanto comprare i golosi souvenir come il castello di cioccolato, ma anche per qualche elegante idea regalo. Per dare un tocco finale all’ambiente e creare un’impressione duratura nelle menti dei clienti un ruolo fondamentale riveste l’illuminazione; le luci soffuse indirizzate verso punti specifici come il bancone e i tavolini crea una sensazione di dinamicità. Ma non è ovviamente finita qua, c’è anche una graziosa gelateria con 16gelati artigianali, classici e buonissimi. Un gelato che molti clienti apprezzano soprattutto perché servito in coppe particolari come la “coppa del Duca”, fantastica alla vista e servita in un lungo bicchiere ovale trasparente con delle sfumature azzurre all’interno del quale mettiamo sei palline di gelato al bacio, fragola, fior di latte e stracciatella, sulla parte superiore tagliamo della frutta fresca fatta di fragole, mele, mandarini e kiwi e per finire un enorme ciuffo di panna; la coppa Tenerina presentata su un piatto quadrato di porcellana molto elegante dove tagliamo in 8 piccoli cubetti parti della torta tenerina e aggiungiamo tre palline di gelato al gusto di

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mascarpone variegato alla nutella, tre o quattro ciuffetti di panna, una colata di cioccolata fusa e per dare un tocco finale una bella spolverata di cacao amaro; la coppa pittore servita su una tavolozza con sei gusti gelato alla frutta dai colori diversi. E per non farci mancare niente all’esterno c’è una distesa, coperta e riscaldata d’inverno formata da sedici tavolini, ognuno dei quali ha una grande tovaglia bordeaux sopra la quale ne mettiamo un’altra bianca più piccolina; è piena di tende eleganti bianche ma soprattutto ha un bellissimo panorama caratterizzato da un meraviglioso contesto storico.

Potrebbe sembrare che il lavoro di osservazione sia solo e semplicemente una libera scelta dell’osservatore, che può improvvisare su un canovaccio o addirittura comporre lui cognitivamente un’immagine del mondo cognitivo dell’altro. Una sorta di dominio artistico, invece che scientifico. Che nell’osservazione ci siano alcuni ineliminabili elementi di carattere interpretativo e perfino di carattere artistico-letterario appare chiaro. Ed è inoltre evidente che l’osservazione sul campo usa, nelle sue descrizioni, un linguaggio molto vicino a quello della vita quotidiana, dal momento che si svolge esattamente come la vita quotidiana. Ma il lavoro dell’osservatore non è un lavoro di tipo impressionistico. Il compito dell’osservazione è far emergere modelli sottaciuti, o modelli inconsci, presenti nelle pratiche sociali del gruppo umano studiato. Osservare non basta mai, ma è fondamentale anche ascoltare la versione del mondo che ne dà chi in quel mondo vive. L’osservazione può essere paragonata metaforicamente ad un Terzo Occhio: noi guardiamo con due occhi, che sono facili da ingannare perché noi siamo dentro il mondo sociale; ma vediamo il mondo sociale nelle sue componenti profonde con il Terzo Occhio, con un’attenzione critica curiosa, distaccata e analitica, che si acquisisce solamente con l’addestramento, e si raffina con gli anni e con molto lavoro sul campo.49

Una caratteristica distintiva delle scienze umane e sociali è rilevare le informazioni sui propri oggetti di studio, le persone, ricavandole in larga misura da affermazioni delle stesse. Il sociologo e l’antropologo intervistano gli informatori appartenenti ad un certo gruppo umano o ad una data categoria per sapere quale significato essi diano ad una certa pratica sociale. Molti specialisti basano il loro lavoro sulle dichiarazioni delle persone: l’investigatore, il giudice, il giornalista, il confessore sono alcuni esempi.

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Nessuna delle scienze che si occupano della persona umana, e delle professioni che lavorano con le, per le, e sulle persone, cioè, si sottrae a questa regola: i fenomeni umani di carattere simbolico, culturale e psicologico prendono corpo nella, e sono comunicati dalla narrazione di coloro che li vivono. Sia al livello individuale sia al livello collettivo, quindi, le affermazioni delle persone che ascoltiamo potranno comprendere raziona- lizzazioni, autoinganni, spiegazioni ideologiche, rimozioni, negazioni dell’evidenza. Ognuna di queste forme di interpretazione del reale potrà essere maggiormente importante per l’uno o per l’altro professionista.

Basandosi sulle affermazioni delle persone, bisogna dunque evitare due sovrapposizioni:

 La sovrapposizione tra quello che un soggetto crede di pensare e quello che il soggetto pensa effettivamente;

 La confusione tra quello che un soggetto afferma e il contenuto dell’affermazione. Ciò che il soggetto dice ad un intervistatore non è un insieme di ‘dati’, e nemmeno di ‘informazioni’. È’ solo la sua selezione ed interpretazione della propria esperienza. È possibile individuare tre livelli di enunciazione:

(1) Affermazioni frutto di esperienza diretta; (2) Affermazioni frutto di esperienza mediata; (3) Affermazioni frutto di esperienza immaginata.

L’osservazione e l’ascolto sono le strategie di ricerca più rilevanti, ma non per tutte le scienze umane e per tutti i professionisti in eguale misura. Discipline come quelle giuridiche applicate e quelle storiche mirano a cercare riscontri documentali o testimoniali nell’ottica della conferma di quadri probatori, o della corroborazione-affievolimento di ipotesi di carattere ricostruttivo.

L’antropologo e il sociologo usano spesso questa strategia, e lo fanno sempre nel momento in cui il lavoro che stanno svolgendo è il vero e proprio lavoro etnografico sul campo. Più precisamente, per tutti questi studiosi o professionisti, il problema di fondo è quello del controllo incrociato delle informazioni che si rilevano. A questa operazione, nelle scienze umane, si dà il nome di triangolazione.50

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La triangolazione non è altro che l’uso di più ricercatori, o di diversi strumenti, o di più strategie(strategie osservative, assieme a strategie basate sull’intervista, assieme a strategie di analisi dei do-cumenti) per ottenere informazioni diverse in merito ai medesimi fenomeni in modo da poterle comparare tra loro.

Nella ricerca sul campo ci si trova a confronto con tre dimensioni.

 Un mondo sociale che è il contesto della nostra stessa azione, e che è formato tanto dalle componenti morfologiche del luogo dove stiamo lavorando, quanto dalle persone che compongono la comunità che stiamo studiando;

Nel documento L'etnografia di un bar. (pagine 41-52)

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