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L'etnografia di un bar.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE.

Pag. 2

CAPITOLO UNO. COME SI STUDIA.

Pag.5

1.1 CHE COS’E’ L’ETNOGRAFIA; Pag. 5

1.2 LA SCUOLA DI CHICACO; Pag. 7

1.3 CO’E’ L’OSSERVAZIONE PARTECIPANTE; Pag. 9

1.4 METODI E TECNICHE DELL’OSSERVAZIONE PARTECIPANTE. Pag. 13

CAPITOLO DUE. IL DISEGNO DELLA RICERCA.

Pag.22

2.1 LA RICERCA QUANTITATIVA; Pag.23

2.2 LA RICERCA QUALITATIVA; Pag.25

2.3 L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO. Pag.33

CAPITOLO TRE.IL LAVORO SUL CAMPO.

Pag.41

CAPITOLO QUATTRO. CONCLUSIONI.

Pag.62

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INTRODUZIONE

Lo scopo della presente tesi nasce da una mia esperienza personale. Sono alla fine del mio percorso universitario e da quasi due anni ormai lavoro in un bar in centro a Ferrara per mantenere i miei studi. L’idea di fare una ricerca etnografica sul bar dove lavoro mi è balenata servendo un caffè alla giornalista-scrittrice Isa Grassano che nel suo nuovo libro “Colazione da Tiffany” ha descritto il nostro bar-pasticceria Duca D’Este. Mi son chiesta perché non unire i miei due impegni maggiori e farli diventare uno solo? È grazie a questo lavoro e alla disponibilità delle persone che mi permettono di lavorarci adeguando i turni alla mia disponibilità che sto riuscendo anche negli studi. Quindi, perché, appunto non sfruttare quelle ore di lavoro trasformandole in ore di studio? Studio, osservo, mi concentro su particolari che fino a quel momento sono stati la mia quotidianità.

Scopo di questo lavoro è capire perché il bar rappresenta oggi il più importante punto di aggregazione tra persone che soffrono di solitudine, che hanno bisogno di chiacchierare, di una parola di conforto o del piacere sottile del dare consigli. In un’epoca in cui i rapporti sociali sono sempre più controllati da nuove tecnologie di comunicazione, si avverte a volte il desiderio di costruire occasioni di incontro e “riscoprire” luoghi della comunità in cui poter sperimentare forme di socialità, dove poter discutere di problemi comuni, condividere esperienze, progettare insieme nuove forme di convivenza “sostenibili”. Per fare ciò ho dovuto cambiare “veste”, non sono più una semplice cameriera-barista, mansione di cui assolutamente non mi lamento visto che mi è sempre piaciuto farlo, ma sono una “ricercatrice”, sto facendo ricerca etnografia, e mi piace! Ma da dove inizio? Come si fa una ricerca etnografica? Ho iniziato leggendo molto. L’etnografia è in larga parte un metodo che si è costruito nel corso di oltre un secolo di elaborazione e in tutto questo tempo si sono succedute generazioni di antropologi e sociologi che hanno affrontato e, di volta in volta, risolto la questione di come raccogliere i dati, di cosa raccogliere, di cosa osservare, cosa fare sul campo,

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come scrivere le note etnografiche, quando e come smettere di scrivere, come analizzare i dati, praticamente come scrivere la propria esperienza.1

Nella prima parte del mio lavoro ho ancorato il mio contributo a ragioni scientifiche, e dunque a dei precisi filoni di ricerca e metodologici che hanno prima di me trattato fenomeni simili al mio. Sono partita dalla nascita dell’etnografia e la sua evoluzione, cercando fondamentalmente di capire cosa sia davvero l’etnografia. L’uso delle tecniche etnografiche, utilizzate come dispositivi di ricerca per lo studio di ambienti complessi e diversi, come i bar, le scuole, gli uffici si è sviluppato solo recentemente in Italia ,pur essendo una metodologia che offre una varietà di strumenti di indagine, con i quali affrontare le questioni della ricerca a partire dall’esperienza vissuta nei contesti soprattutto attraverso l’osservazione partecipante, strumento, per l’appunto, privilegiato della ricerca etnografica.

Ed è proprio dell’osservazione partecipante che parleremo tantissimo nelle prossime pagine, una tecnica di ricerca dalla natura contestata e ibrida2. A seconda delle discipline che la utilizzano regolarmente, mutano le definizioni, alcuni concetti o le prospettive teoriche ad essa associate. Le due famiglie che l’hanno inventata, teorizzata, criticata e modificata più di altre sono l’antropologia e la sociologia, ma sarebbe arrogante pensare che possiedono il copyright su una tecnica che si fonda sul più banale degli assunti conoscitivi umani, e cioè che per comprendere la realtà occorre viverla in prima persona. Psicologia, economia, geografia, urbanistica ma anche storia ed etologia utilizzano tecniche osservative che possiamo senz’altro associare all’osservazione partecipante. Ciò che le scienze sociali, in primis antropologia e sociologia, hanno voluto fare è dare una forma compiuta a questo moto di interesse verso gli altri, che chiamano “ricerca” o “ricerca sociale”, e condividono una tecnica di investigazione che chiamano “osservazione partecipante” o, in maniera più ampia e senza dubbio più ambigua, “etnografia” o “lavoro sul campo”.

Continuerò il mio lavoro soffermandomi sul disegno della ricerca, sulla differenza fra la ricerca quantitativa e quella qualitativa. Ci troviamo in un momento di transizione: da un lato la necessità di riconcettualizzazione e quindi di messa in critica della capacità esplicativa di variabili “classiche”, come la classe sociale e il genere, invita a trovare

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nuove definizioni e i nuovi concetti, da “convalidare” con tecniche quantitative, dall’altro la complessità e la difficoltà di stare dietro all’incalzare del mutamento apre la strada alla rivalutazione della capacità esplicativa delle metodiche qualitative.

Attraverso l’etnografia ho potuto osservare dall’interno le interazioni che avvenivano tra i diversi attori in campo, rilevando fattori di facilitazione ed elementi di ostacolo al costituirsi di “buone relazioni”. Importante è considerare la base del pensiero interazionista, secondo le quali gli esseri umani agiscono verso le cose intese come oggetti sociali, quindi anche le persone secondo il significato che queste hanno per loro. A questa logica non può sfuggire lo studioso della società, che interpreterà le cose che vede sulla base del senso che queste hanno per lui. L’unico modo per poter raggiungere risultati significativi e non fuorvianti, è dunque quello di acquisire lo stesso punto di vista delle persone che vivono nel contesto che si vuol comprendere.

Nell’ultima parte del mio lavoro svolgerò la mia ricerca sul campo e trarrò dal lavoro le mie conclusioni alle domande che mi sono posta all’inizio del mio lavoro. Quali sono le dinamiche ricorrenti e principali del bar? Quali ruoli?

In un’epoca in cui i rapporti sociali sono sempre più controllati da nuove tecnologie di comunicazione, si avverte a volte il desiderio di costruire occasioni di incontro e “riscoprire” luoghi della comunità in cui poter sperimentare forme di socialità, dove poter discutere di problemi comuni, condividere esperienze, progettare insieme nuove forme di convivenza “sostenibili”.3

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CAPITOLO 1. COME SI STUDIA.

1.1 CHE COS’E’ L’ETNOGRAFIA

L’etnografia è una descrizione scritta o una rappresentazione dell’organizzazione sociale di un dato gruppo di uomini. E’ il prodotto di un processo di ricerca, condotto in parte attraverso un’osservazione oggettiva e distaccata, e in parte attraverso una partecipazione dall’interno. È divenuta una pratica intensiva di ricerca, caratterizzata dalla lunga durata dei soggiorni nei villaggi. È il tratto distintivo dell’antropologia e pone al centro dell’attenzione sempre di più le persone rispetto alla cultura. L’etimologia della parola etnografia è “ritratto di un popolo” (etano = popolo, graphein = scrivere, descrivere). Ponendo l’accento sul suffisso grafia, si vuole sottolineare che essenzialmente è una rappresentazione testuale. Il lavoro etnografico è infatti un lungo processo di comprensione che inizia molto prima di andare sul campo e continua dopo che si è partiti. Tale processo di comprensione può essere simbolizzato dallo scarto temporale che separa le note e i diari dalla testualizzazione finale.

Il lavoro etnografico per eccellenza è il lavoro sul campo e la situazione etnografica è una situazione di campo. Ogni antropologo stabilisce una relazione privilegiata col proprio campo.4

L’etnografia nasce quindi come descrizione dell’”etnos” ,etnia, riguardante non il proprio paese ma gli altri al di là del confine. L’etnos viene descritto con lo stesso pregiudizio con cui oggi guardiamo gli extracomunitari, pregiudizio che ha attraversato secoli; non è quindi una descrizione oggettiva ma fantasiosa. Questo concetto resterà per tutto il Medioevo e permane come una modalità pregiudizievole. Durante il Medioevo i barbari assumono la fisionomia di genti non cristiane. L’uomo occidentale ha sempre portato nel Dna questo guardare l’altro con sospetto, per cui un paese è un organismo concluso e gli altri sono forestieri. Le crociate sono un esempio di questo principio, come pure il fatto che prima dell’arrivo di Colombo in America nel 1492 si pensava che le popolazioni non mediterranee avessero la testa nel petto e fossero esseri mostruosi. L’altro ha quindi sempre fatto paura perché filtrato dalla fantasia. Nelle terre dell’America la gente non aveva vestiti, non aveva strutture così come le conosceva Colombo, non aveva religione :

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egli li chiama “ selvaggi”. Se facciamo una sorta di excursus storico dei termini con cui è stato indicato l’altro nel corso dei secoli abbiamo quindi : oi barbaròi , comprende tutto il mondo classico; gli infedeli ,fino al 1492; i selvaggi ,i non civili; gli extracomunitari.

Secondo la classificazione di Marcel Griaule l'etnografia registra informazioni su diversi popoli, Fare etnografia significa recarsi tra coloro che si vuole studiare per un certo periodo di tempo, ed utilizzare alcune tecniche di ricerca (come l'osservazione o l'intervista) allo scopo di collezionare un insieme di dati che una volta interpretati, rendano possibile la comprensione della cultura in esame. Riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze, comportamenti, artefatti, sono i principali fenomeni di interesse dell'etnografo, attraverso i quali la cultura si rende intelligibile.

Padre dell’etnografia è considerato Müller che descrisse e categorizzò l'abbigliamento, le religioni e i rituali dei gruppi etnici siberiani. Ma si ritiene che l'etnografia nasca come metodo dell'antropologia culturale sul finire del XIX secolo, quando le grandi potenze imperialiste, coinvolte nella colonizzazione diretta di gran parte dei paesi non occidentali, sviluppano specifici interessi conoscitivi in relazione alle strutture sociali e ai sistemi culturali delle popolazioni da esse controllate. I primi lavori etnografici si caratterizzano per un forte stile "realista", stile che sarà tipico dello struttural-funzionalismo , concezione che proprio a partire da queste prime esperienze sarà teorizzato negli studi antropologici seguenti i primi decenni del Novecento.

Esempi di descrizioni etnografiche del periodo "classico" sono quelle di Bronisław Malinowski e di Franz Boas, fondatori delle due maggiori scuole antropologiche del 900’. Mentre quest’ultimo afferma la necessità di studiare le culture nel loro particolare contesto storico, evitando parallelismi privi di fondamento, Malinowski ritiene che ogni cultura sia un sistema chiuso, un complesso di elementi legati tra loro da relazioni funzionali. Uno degli studi più importanti del primo periodo antropologico è offerto proprio da Malinowski sulla vita quotidiana degli abitanti delle isole Trobriand, popolazione del Pacifico occidentale, producendo una rigorosa descrizione scientifica delle credenze e delle pratiche dei “nativi”.5 Oggetto dell’antropologia diventa quindi la singola cultura. Questo segna l’avvio

della fase delle grandi imprese etnografiche, tese a ricostruire la cultura di un popolo, sulla base del principio dell’osservazione partecipante. Per dirla con le parole di James Clifford:

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ha inizio una collezione di culture. Da quel momento in avanti la “ricerca sul campo” è divenuta un luogo pratico e teorico sempre più complesso.6

Finalmente,con il lavoro di Malinowski e Boas è possibile parlare veramente di etnografia come la intendiamo oggi. Il ricercatore lascia la sedia e va a studiare in situ, attraverso l’osservazione partecipante e imbarca in un processo relativizzante delle sue proprie credenze e valori. Il lavoro di campo diviene una parte costitutiva dello studio in cui si impara la lingua, i costumi e la cultura del nativo, vivendo con loro. Si cambia atteggiamento da uno che li vedeva come fonti di informazione da usare in teorie preconcette, in favore di uno che li identifica come maestri che insegnano il loro sapere locale al ricercatore.

1.2 LA SCUOLA DI CHICAGO

Nell’ultimo secolo, l’etnografia ha guadagnato spazio anche nelle altre scienze sociali, soprattutto in quelle che privilegiavano metodi interpretativi. Un modo poco elegante di distinguere la sociologia dall’antropologia è sostenere che, differenza dell’antropologia, la “tribù” della sociologia siano le persone che ci circondano nella vita di tutti i giorni. Si ritiene abitualmente che l’etnografia sociologica sia nata negli anni venti, promossa dai sociologi della Scuola di Chicago, che invocano l’utilità del metodo etnografico per studiare le città nordamericane nel loro complesso. Uno dei fondatori della scuola, Robert Park, era convinto che il metodo dell’indagine antropologica fosse indispensabile per comprendere i tratti comuni della vita urbana e allo stesso tempo le diversità tra i quartieri urbani: aggirandosi per le vie cittadine lo studioso, oltre a respirare l’atmosfera particolare dei diversi contesti, individua luoghi e aspetti cruciali dell’interazione e raccoglieva le storie di vita dei suoi abitanti.

Chicago è la città per eccellenza, che bene si presta a esemplificare la visione dei fenomeni urbani elaborata da Park e dai suoi allievi.7 Ed è proprio a loro, agli studenti dell’Università di Chicago che insegna ad abbandonare i propri libri e a scendere in strada per servirsi dei propri occhi e delle proprie orecchie e disse loro :

6 Dal tribale al globale. Introduzione all’antropologia. Fabietti Ugo. 2010 7

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<< Vi è stato detto di rovistare nelle biblioteche cosi da accumulare una massa di appunti e farvi un abbondante rivestimento di sporcizia. Vi è stato detto di scegliere degli argomenti per i quali potrete sempre trovare mucchi ammuffiti di dati raccolti. Questo è ciò che viene chiamato 2 sporcarsi le mani nella ricerca” chi vi dà questi consigli è senza dubbio persona onorevole e saggia. Ma un’altra cosa è necessaria: l’osservazione in prima persona. Andate a sedervi nelle hall degli alberghi di lusso o sui gradini delle peggiori topaie. Sedetevi sui divani della Gold Coast e nei letti delle baracche dei quartieri malfamati; sedetevi in una sala da concerto e nel teatrino di Star and Garter. In breve, signori miei, andate a sporcarvi i pantaloni nella vera ricerca .(Park, citato in Brewer, 2000, p.13)>> 8

Sono numerose e famose le ricerche svolte da questi studenti, a partire da quella di Nels Anderson sulla vita dei vagabondi in città. Fra questi Anderson distingue cinque tipi diversi, dal lavoratore migrante al barbone, di cui analizza lo stile di vita, le strategie di sopravvivenze e le forme di organizzazione. Nello stesso periodo la scuola di Chicago promuove, con o studio delle bande giovanili, una ricerca pioneristica sulla delinquenza urbana e con l’indagine sul quartiere ebraico della città mette in luce l’origine e le caratteristiche di un’area urbana sorta spontaneamente, una “area naturale” secondo l’espressione utilizzata da questi sociologi, analizzandola in relazione e contrasto con i ghetti europei. Un’altra ricerca si concentra su una nuova istruzione urbana nella Chicago di quegli anni, un particolare tipo di sala da ballo in cui giovani donne si offrivano come partner da ballo a pagamento. La taxi dance hall viene studiata come un mondo sociale distinti e separato dal resto della realtà cittadina, con i suoi modi di pensare, parlare e agire, condivisi dai proprietari, dalle ragazze a noleggio e dai clienti. La prospettiva adottata da questi sociologi è stata successivamente contestata per aver prodotto ricerche su comunità artificialmente isolate dal contesto più ampio, su contesti “semplici” astratti da una complessità globale, che i metodi della Scuola di Chicago non sarebbero stati in grado di cogliere. Nondimeno, gli esponenti di questa Scuola hanno indubbiamente svolto un intenso lavoro etnografico, inaugurando l’esplorazione di quasi tutti gli ambiti tematici che sono ancora oggi oggetto di attenzione da parte degli antropologi urbani: quartieri etnici, bande e gruppi devianti, luoghi di incontro e di lavoro e comportamenti in pubblico.9

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Manuale di ricerca sociale e qualitativa. David Silverman 2008

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La Scuola di Chicago10 , così come comincia ad essere chiamata negli anni trenta, ha avuto due filoni. Il primo era interessato alla sociologia urbana, come mostrano i lavori di Park e Burgess sull’organizzazione sociale della città in differenti “zone” e i movimenti nel tempo delle popolazioni da una zona all’altra. Il secondo filone, associabile a Everett Hughes, offre invece vivide descrizioni degli ambienti urbani, in particolare delle occupazioni “svantaggiate” e dei ruoli “devianti”

Questa tradizione è proseguita per due decenni dopo la Seconda guerra mondiale e spesso va sotto il nome di seconda Scuola di Chicago. Negli anni cinquanta, Becker condusse uno studio, divenuto ormai un classico, sull’uso di droghe. Egli era particolarmente interessato alla relazione tra la comprensione dei fumatori di marijuana e le interazioni nelle quali erano inseriti. Becker scoprì che la partecipazione delle persone ai gruppi di consumatori insegnava loro come reagire alla droga. Senza questo apprendistato, il neofita non avrebbe potuto capire come fumare marijuana e come reagire ai suoi effetti. Conseguentemente con si sarebbero”sballati” e non avrebbero più continuato ad usarla.

1.3 COS’E’ L’OSSERVAZIONE PARTECIPANTE

Per tutto l'Ottocento fino alla prima guerra mondiale il modo di fare antropologia principale era basato su ricerche superficiali incentrate prevalentemente su questionari strutturati. Gli etnografi si recavano sul campo per brevi soggiorni, nei quali ospitavano vari rappresentanti della popolazione studiata ed occidentali che vivevano nell'area ,missionari, amministratori coloniali, al fine di compilare questionari ed intervistare informatori privilegiati. Addirittura alcuni dei più importanti antropologi dell'epoca, come James Frazer e Edward Burnett Tylor, non hanno mai svolto ricerca sul campo. In generale gli antropologi evoluzionisti consideravano la loro ricerca un lavoro di teorizzazioni su dati che altri soggetti procuravano loro. Il punto di partenza per quella che sarebbe divenuta una serrata revisione critica delle procedure alla base della costruzione del sapere antropologico a cominciare proprio dalla sua fase iniziale, fu la pubblicazione dei diari di campo dell'etnografo-antropologo Bronislaw Malinowski11. Nei diari appariva una diversa

10 Manuale di ricerca sociale e qualitativa. David Silverman 2008 11

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immagine dell'etnografo e, di conseguenza, dello studio etnografico, certamente molto più complessa di quanto non trasparisse dai manuali e dalle concezioni accademiche e ufficiali della disciplina12. L'etnografo, immerso in una situazione che gli era estranea e poco familiare, era alle prese con notevoli difficoltà nel tentativo di capire gli uomini con i quali era a contatto, difficoltà che si traducevano a livello teorico in problemi di comprensione, interpretazione, descrizione e spiegazione. Di conseguenza, l'etnografìa ha acquisito un rilievo epistemologico sempre maggiore nel quadro delle operazioni conoscitive dell'antropologia culturale, finendo per essere considerata un aspetto cruciale di una ricerca di antropologia. Malinowski nella sua prima e più celebre monografia etnografica Argonauti del Pacifico occidentale critica l'approccio evoluzionista e impone l'osservazione partecipante come metodo fondamentale dell'antropologia. Questo grazie anche al grandissimo successo editoriale, che la rese una delle monografie antropologiche più lette della storia.

L'idea chiave è quella che l'etnografo deve partecipare alle attività della società da studiare, imparare la lingua e le categorizzazioni dei soggetti studiati, permanendo sul campo per uno o due anni. Questo per stabilire un'empatia che permetta di rendere nella descrizione il punto di vista dei nativi. Fondamentale per quest'attività di studio è la capacità mimetica dell'antropologo, la sua abilità a conquistare la fiducia e diventare nativo.

Va però evidenziato che l'antropologo pur impregnandosi dei modi di fare dell'ambiente in cui si trova non si trasforma in un membro della società. Vi è anzi un continuo e fondamentale passaggio mentale tra il mondo di appartenenza e quello che si sta studiando. L'osservazione partecipante consente quindi di considerare con un certo distacco l'esperienza condivisa con gli appartenenti ad una cultura diversa dalla sua.

Anche nella sociologia negli anni successivi verrà ampiamente applicata questa metodologia dagli studiosi, come abbiamo già detto, della scuola di Chicago.13

Alcuni sociologi contemporanei condividono con i primi antropologi l’idea che per capire il mondo in prima persona si debba partecipare alla vita delle persone invece di osservarla dall’esterno. Da questa convinzione è nato quello che normalmente chiamiamo il metodo dell’osservazione partecipante. In realtà, in senso molto generale, l’osservazione

12 Dal tribale al globale.Introduzione all’antropologia. Fabietti Ugo 2010 13

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partecipante consiste in molto di più che un semplice metodo. Essa descrive una logica di base della ricerca sociale:14

“in questo senso, tutta la ricerca sociale è osservazione partecipante, perché non possiamo studiare il mondo sociale senza farne parte. Da questo punto di vista, l’osservazione partecipante non è solo una particolare tecnica di ricerca, ma il modo caratteristico dei ricercatori di far parte del mondo (Arkinson, Hammersley, 1994, p. 249)

Come abbiamo detto, l’osservazione partecipante è quella tecnica di ricerca che richiede a chi la conduce di passare un periodo di tempo sufficientemente prolungato e a stretto contatto con il fenomeno prescelto, in modo da giungere a una comprensione profonda delle diverse specificità che lo caratterizzano. È la tecnica principale all’interno di quel ramo delle scienze sociali che ha come obiettivo quello di restituire ai propri pubblici la complessità della vita all’interno dei diversi contesti sociali, cioè l’etnografia.

Quando parliamo di etnografia abbiamo tendenzialmente in mente una prospettiva ampia di ricerca, all’interno della quale possono coesistere numerose tecniche di ricerca come l’intervista, l’analisi documentale o secondaria, i focus group e, appunto, l’osservazione partecipante. Nel proprio lavoro, l’etnografo usa un ventaglio piuttosto ampio di tecniche di ricerca che sono in qualche maniera subordinate al lavoro di osservazione costante e partecipativa all’interno del contesto prescelto. Un ragionamento diffuso vorrebbe che la ricerca vera e propria iniziasse nel momento in cui “entriamo sul campo”, come se tutti i preparativi precedenti non fossero già in sé altrettante opzioni, scelte e interrogativi di ricerca. La verità è che ne momento in cui balena in noi il progetto di condurre una ricerca etnografica, abbiamo in qualche modo già iniziato.15

Fra le tecniche di indagine empirica che esistono nelle scienze sociali, abbiamo detto , che le più note sono sicuramente:

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Manuale di ricerca sociale e qualitativa. David Silverman 2008

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L’intervista: strumento necessario no solo per le scienze umane (sociologia e antropologia)ma anche ,ad esempio, per le professioni giornalistiche e per le attività di marketing: <<la usano i sociologi e gli antropologi; la usano gli storici,gli studiosi di scienze politiche e gli avvocati; la usano gli psicologi, gli psichiatri, i counselors e gli assistenti sociali; la usano gli educatori e gli amministratori; la usano i medici e gli infermieri.. Del resto la specie umana comunica attraverso la parola>> ( Atkinson,1998;tr. It, 2002, p.65). Nelle scienze sociali per intervista si intende un’interazione diretta, visiva o vocale, tra due soggetti che assumono ciascuno un ruolo specifico, intervistatore e intervistato, allo scopo di produrre informazioni rilevanti su un oggetto cognitivo a fini di ricerca.16

I focus group, o interviste di gruppo: una delle due parti non è un singolo individuo ma un gruppo di persone, aggregate secondo un qualche criterio, e questo incide a tal punto sul modello di interazione fra intervistatore e gruppo di intervistati da farne un gruppo a sé. Elaborato dal sociologo americano Robert Merton durante la ll guerra mondiale per valutare il morale dei soldati coivolti nel conflitto bellico. Questo metodo ha preso via via piede nei decenni successivi nell’ambito delle ricerche di mercato e più recentemente nel settore pubblico e nel volontariato sociale, ad esempio per comprendere l’efficacia di un determinato intervento di assistenza sociale con gruppi di soggetti vulnerabili.17

L’ analisi secondaria : in questa tecnica non solo è escluso un contatto diretto fra le due parti, ma il contributo dei soggetti è decisamente remoto in quanto mediato da strumenti di rilevazione applicati in sedi diverse e spesso per scopi diversi. Non sempre nella ricerca sociale è possibile raccogliere nuovi dati per rispondere ai quesiti cui si è interessati. Non per questo si deve rinunciare all’impresa: si potrà infatti intraprendere un’analisi secondaria utilizzando dati già raccolti da altri. Questa opportunità è sempre più rilevante grazie alla crescente disponibilità di dati

16 La ricerca come relazione. L’intervista nelle scienze sociali. Stefania Tusini 2006 17

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provenienti da inchieste campionarie, la cui raccolta è spesso istituzionalizzata e svolta a intervalli regolari nel tempo.18

L’osservazione partecipante: generalmente non prevede l’assunzione di un ruolo attivo da parte dei soggetti in indagine che pertanto restano nella posizione di osservati più o meno consapevoli; la raccolta di documenti o autobiografie non contempla un contatto diretto tra le due parti, la cui unica relazione è costituita dal materiale cartaceo, o affini, prodotto da soggetti che assumono piuttosto il ruolo di informatori che quello di intervistati.19

1.4 METODI E TECNICHE DELL’OSSERVAZIONE

PARTECIPANTE.

È importante per un ricercatore capire quale sia lo strumento adatto alla sua ricerca. Ci sono molti aspetti che possono essere studiati utilizzando indicatori dei fenomeni sociali ed educativi, ma non altri, ai quali ci si deve accostare utilizzando altri metodi di ricerca se non si vuole correre il rischio di continuare a ragionare su presunte realtà educative. Non si tratta quindi di negare la validità di certi strumenti di indagine, quando piuttosto di considerare attentamente l’adeguatezza degli strumenti in relazione ai problemi di studiare.

Per analizzare problematiche delicate dei comportamenti e degli atteggiamenti le indagini non possono che essere frutto di rigorosa ricerca osservativa e di studio e di studio di casi, indagati etnograficamente, e con l’obiettivo di giungere a una quantificazione, frutto di un’accumulazione di casi, che permetta di raggiungere livelli di significatività e di rappresentatività dei fenomeni studiati.20

18L’analisi secondaria nella ricerca sociale. Ferruccio Biolcati. Cristiano Vezzoni 2013

19 La ricerca come relazione. L’intervista nelle relazioni sociali. Stefania Tusini 2006 20

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L’osservazione partecipante è una tecnica per la raccolta di informazioni sul comportamento non verbale tipica del paradigma interpretativo. Oltre ad “osservare” e “ascoltare”, il ricercatore ha un contatto diretto e personale con il soggetto studiato: nell’osservazione partecipante il ricercatore si immerge nel contesto sociale che vuole studiare anche per molto tempo, vive con e come le persone che studia, ne condivide la quotidianità, le interroga per scoprire le loro concezioni del mondo e le loro motivazioni all’agire. Ciò gli consente di sviluppare una visione “dal di dentro” che è la base della comprensione.

Importanti sono gli obiettivi di questa tecnica. Bryman elabora una lista delle principali caratteristiche della ricerca qualitativa che è rielaborati in sei punti possono diventare una guida essenziale dell’etnografia:

1. Guardare attraverso gli occhi dei nativi: <<osservando eventi, azioni norme,valori dal punto di vista delle persone studiate>>

2. Descrivere: <<avendo cura dei dettagli più banali, che aiutano a caire cosa sta succedendo in un contesto particolare e offrono indizi e passaggi ad altri livelli di realtà>>

3. Contestualizzare: <<il messaggio più importante che portano i ricercatori qualitativi è che, qualsiasi sia la sfera nella quale sono stati raccolti i dati, gli eventi diventano comprensibili solo se situati in un contesto sociale e storico più ampio>>

4. Badare al processo: <<guardando alla vita sociale come una serie di eventi interconnessi>>

5. Adottare un disegno di ricerca flessibile: <<la ricerca del punto di vista dei soggetti ha fatto sì che i ricercatori qualitativi siano molto accorti nell’evitare di imporre a priori uno schema interpretativo che spesso si rivela inappropriato. Questo porta a preferire una ricerca aperta e non strutturata che aumenta la possibilità di imbattersi in temi inaspettati>>

6. Evitare l’utilizzo precoce di teorie e concetti: << rifiutando i tentativi di imporre teorie e concetti che possono essere poco aderenti alla prospettiva dei soggetti partecipanti>> (adattata da Bryman 1988, pp 61-6)21

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Inoltre l’osservazione partecipante :

1. Deve essere condotta in prima persona dal ricercatore;

2. Il periodo di osservazione deve essere relativamente lungo, mesi o addirittura anni, in modo tale da permettere di cogliere le dinamiche del gruppo e l’aspetto dinamico dei fenomeni che studia;

3. La partecipazione deve avvenire nell’habitat naturale del gruppo;

4. L’attività del ricercatore deve riguardare sia l’osservazione sia la partecipazione attiva alla vita del gruppo;

5. La distanza tra osservatore e oggetto osservato si annulla : il ricercatore entra dentro i confini dell’oggetto osservato;

6. Lo scopo è descrivere e comprendere la realtà “vedendo il mondo con gli occhi dei soggetti osservati”.22

L’osservazione partecipante può essere applicata allo studio di tutte le attività umane ogni qualvolta si vuole scoprire dall’interno la loro visione del mondo. In particolare, è utilizzata quando si sa poco di un fenomeno sociale, quando esistono forti differenze tra il punto di vista dall’interno e quello dall’esterno,quando il fenomeno sociale si svolge al riparo da sguardi estranei e quando il fenomeno è deliberatamente nascosto agli sguardi estranei.

Per intraprendere una ricerca etnografica utilizzando l’osservazione partecipante come tecnica principale è opportuno dividere il nostro lavoro in tre tappe fondamentali: un “prima”, un “durante” e un “dopo”. Ognuna di questa è fondamentale per una buona ricerca etnografica.23

Per quanto riguarda la prima tappa, abbiamo già detto che è opinione diffusa che la ricerca ha inizio nel momento in cui”entriamo sul campo” ma in realtà nel momento in cui balena in noi il progetto di condurre una ricerca etnografica, abbiamo in qualche modo già iniziato. È’ importante scegliere il proprio oggetto di ricerca. Le ragioni che ci portano a sceglierlo possono essere scientifiche o extrascientifiche. Le prime sono più facili da individuare e da definire perché ogni lavoro etnografico possiede una giustificazione di carattere intellettuale e scientifico. Queste sono sembrate per lungo tempo sufficienti a giustificare questo tipo di ricerca e tanto nell’antropologia che nella sociologia è stato così fino agli anni settanta, quando le crepe prodotte dalla pubblicazione di alcuni celebri diari

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www.treccani.it

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di campo, come quello di Malinowski, hanno lasciato per la prima volta filtrare l’idea che l’etnografo fosse prima di tutto un essere umano, con un corpo, delle emozioni e delle ragioni che andavano al di la del semplice avanzamento del progresso scientifico. Scienza e vita personale si sono trovate riunificate nella figura umana e soggettiva dell’etnografo. Per ragioni extrascientifiche intendiamo, quindi, tutte quelle motivazioni che hanno a che fare con la biografia di ciascuno di noi, con la nostra storia passata e personale e che ci portano a volerne dare un senso in più compiuto ed approfondito attraverso la ricerca.

Attraverso l’osservazione partecipante interagiamo con delle persone con lo scopo di approfondire la nostra conoscenza sul mondo che le riguarda. Dire che ci occupiamo di “oggetti” è perfettamente corretto se intendiamo riferirci alle nostre unità di analisi in quanto nostro fine conoscitivo. Parliamo invece di “soggetti” se ai fenomeni di cui ci occupiamo riconosciamo di essere composti principalmente da esseri umani, da persone.

Una volta individuato l’oggetto della nostra ricerca e le ragioni che ci hanno spinto a voler condurre una ricerca etnografica all’interno di una qualche forma di realtà, dobbiamo tenere in considerazione che non tutto è possibile. In particolare, le possibilità di accesso al campo sono fortemente influenzate, per non dire consentite al campo stesso. C’è chi parla a questo proposito, di “sottomissione all’oggetto” da parte del ricercatore e la considera una condizione naturale della ricerca qualitativa. E’ possibile distinguere tra fenomeni accessibili e inaccessibili. Il nostro scopo più evidente è quello di raccogliere il materiale più ricco possibile, cioè metterci nelle condizioni di avere abbastanza elementi a disposizione nella fase finale del lavoro, quella in cui dovremo trasformare l’esperienze vissute sul campo in un testo scritto. Questo implica che le persone, le situazioni, il campo, siano state accessibili. Si può entrare sul campo perché possediamo alcune caratteristiche e perché le persone che lo abitano ce lo consentano; diventa quindi importante la relazione di mutuo riconoscimento tra noi e le persone che ci permettono di stabilire questa relazione24.

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Le 4 caratteristiche di accessibilità al campo sono:

la vicinanza al campo: conoscere e aver avuto rapporti col contesto che si intende studiare;

la vicinanza nelle dimensioni strutturali: vicinanza data dalle possibili affinità che si generano dalla condivisione di alcune dimensioni strutturali tra il ricercatore e la persone che incontra( età, generazione, genere, classe sociale e colore della pelle);

tempi giusti: importante riconoscere le diverse temporalità senza darle per scontate perché possono andare contro le richieste del ricercatore;

spazi giusti: esistono spazi costruiti, spazi vuoti, spazi che mutano nel corso della giornata, spazi indefinibili che potrebbero portare fuori strada l’etnografo che si aspettasse un ingresso in uno spazio precostituito e preesistente.

Per quanto riguarda i fenomeni inaccessibili esistono dei contesti difficili; un ‘organizzazione segreta che conduce attività illegali, condurre ricerche segnate da conflitti sociali intensi implica necessariamente una ridotta accessibilità. La lista di possibili fenomeni inaccessibili è chiara quando pensiamo ai rischi che la nostra persona e personalità possono arrivare a correre.

La ricerca etnografica è spesso ambigua riguardo alla questione della preparazione che precede il lavoro sul campo ma una salda preparazione prima della discesa sul campo è da intendersi come la via maestra da seguire. È’ consigliabile prestare ascolto a due approcci americani: la Grounded Theory e l’ induzione analitica.

La Grounded theory nasce come modello di ricerca qualitativa nell'ambito della sociologia ad opera di Barney Glaser e Ansem Strauss; è un metodo di indagine che si prefigge di studiare un fenomeno dal basso, cioè di costruire delle teorie a partire dall'osservazione. La sua specificità è quella di non essere fortemente strutturata, ma di adattarsi alla realtà25

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L’induzione analitica è il tentativo di raffinare progressivamente la spiegazione di

un particolare fenomeno fino a che tutte le eccezioni siano state prese in considerazione26.

Nella fase che precede la presenza vera e propria del ricercatore nella dimensione osservativa e partecipatoria, ognuno di noi è stato sfiorato da alcuni timori ricorrenti. È giusto studiare questo fenomeno? Con quale diritto decido che è giusto impormi agli altri? Le scienze sociali hanno il dovere morale di testimoniare l’esistenza, e in certi casi la sopravvivenza, di alcune dimensioni della realtà e fenomeni che vengono per lo più taciuti e messi sotto silenzio. Una volta, quindi, accettato che osservazione partecipante implica stabilire relazioni sociali con altre persone è possibile superare l’imbarazzo ed esaminare le altri due fasi del durante e del dopo.

La seconda tappa, il “durante”, inizia come se fosse il primo giorno di scuola. E’ un’esperienza quotidiana. Le realtà in cui gli etnografi si calano sono realtà già abitate, popolate da persone che erano lì prima di noi e che , sicuramente rimarranno quando noi ce ne saremo andati. Bisogna non pensare all’ingresso sul campo come se si esaurisse in una situazione temporale singola, “quel giorno”, ma come a tante situazioni in cui veniamo riconosciuti da altri come esistenti e degni di essere frequentati. Occorrono pazienza e capacità relazionali. Nella letteratura sulla metodologia etnografica, la questione del ruolo ha sempre goduto di molte attenzioni. Per ruolo, innanzitutto, intendiamo la forma che assume la nostra partecipazione sul campo. Raymond Gold pensa alle forme di partecipazione come disposte lungo un continuum di progressivo distacco che partiva dalla “completa partecipazione”, passava per la “partecipazione osservativa”, “l’osservazione partecipante” e terminava nella “completa osservazione”. Si distinguevano, quindi, quattro tipi di partecipazione che andavano da una partecipazione assoluta a una completamente assente.

Molti autori, però, invitano a mettere l’accento sul grado di copertura che assumiamo sul campo, piuttosto che sul grado di partecipazione. Infatti, è possibile distinguere tra osservazione coperta e scoperta, intendendo nel primo caso quella forma della partecipazione in cui è ignota a tutti l’identità professionale del ricercatore e le sue finalità, e nel secondo l’esatto opposto. La forma della

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partecipazione, comunque, non è un contratto senza clausola di rescissione, o meglio non è nemmeno un contratto. È’ possibile quindi rivelare anche successivamente la propria identità di ricercatore.

Ma cosa fa, esattamente, un etnografo? “Vive con” e “vive come” il più possibile, il che significa che se il mondo che si vuole conoscere è quello della strada e delle persone che lo abitano, si è chiamati ad assumere la loro prospettiva sulla vita nella maniera più significativa possibile. “Vivere con” implica una vicinanza spaziale, una prossimità fisica, ma anche la riduzione della distanza personale e sociale con il mondo in cui intendiamo immergerci. Questo non significa abitare nel quartiere dove abitano quelle persone ma condividere il più possibile con loro le esperienze quotidiane. “Vivere come” è un passaggio molto delicato della nostra esperienza sul campo. Se si vuole testimoniare e capire le esperienze dei consumatori di crack,ad esempio, non significa che ne dobbiamo assumere noi stessi le dosi, esistono dei limiti al buon senso.

Nella ricerca etnografica bisogna preparare il terreno, seminare, curare la crescita dei rapporti e ad un certo punto raccogliere. I dati della ricerca sono un insieme di elementi, alcuni dei quali già presenti sulla scena mentre altri, per la maggior parte sono il risultato dell’interazione che avviene tra noi e il mondo che studiamo. Si distingue fra “parole ed azioni”, “dati supplementari” e la terza categoria residuale, “le frattaglie”. Le prime sono in assoluto il materiale più prezioso, infatti la prima ragione per fare una ricerca è quella di sentire cos’hanno le persone da dire sul mondo che abitano ed osservare in maniera partecipativa alle azioni che questi producono incessantemente; bisogna quindi imparare ad ascoltare oltre ad osservare. I dati supplementari sono quel materiale che ci consente di attrezzare la descrizione del mondo che stiamo indagando; sono in pratica documenti prodotti dalle persone che stiamo frequentando, come uno scontrino di un bar, il volantino di promozione di una festa di strada; anche i materiale fotografico che raccogliamo fa parte di questa categoria. Distinguere le frattaglie dai dati supplementari non è sempre utile, è come una raccolta differenziata dei materiali di ricerca.

La trasformazione dell’esperienza in dato è anche una trasformazione della persona qualunque in etnografo e ciò avviene grazie a degli oggetti che da sempre definiscono l’identità degli etnografi sul campo: il taccuino e la penna. Cosa scrivere

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nel taccuino è un processo molto personale, dipende dalla propria memoria fotografica; alcuni hanno bisogno di scrivere molto mentre altri sono più analitici. Mentre questi oggetti sono fondamentali per il lavoro sul campo, altri oggetti occupano un gradino inferiore: macchina fotografica, registratore, videocamera.

Le note di campo sono il materiale per eccellenza della ricerca etnografica. Costituiscono la maggior parte dei nostri dati e se scritte in maniera appropriata potranno anche essere usate per altri lavori. Molti sociologi e antropologi hanno continuato a riflettere e a basarsi su note scritte venti o trent’anni prima. In pratica le note sono la traduzione scritta della nostra esperienza di ricerca sul campo. La regola è quella di trascrivere la propria esperienza subito dopo averla vissuta o tutt’al più, dopo aver riposato il giusto. Non sono esattamente un diario viceversa sono scritte pensando ad un uditorio successivo, fatto di colleghi, membri del gruppo studiato ed amici, che le ritroveranno, trasformate, all’interno del lavoro finito. La scrittura è generalmente in prima persona. Il modo in cui le persone sono vestite, il tempo che faceva quel giorno, le impressioni che abbiamo avuto, i sentimenti che abbiamo provato, tutto questo deve necessariamente rientrare nella scrittura.

Ma come facciamo a sapere che abbiamo concluso la ricerca sul campo? La ricerca finisce perché abbiamo esaurito le nostre ragioni di permanenza sul campo e, viceversa, termina perché è il campo a scomparire o a chiederci, gentilmente o meno di levare le tende. Per alcuni è un momento di pura gioia, per altri di nostalgia. Per chiunque è un momento molto importante27.

Con la fase del durante finisce anche la fase di osservazione partecipante. Geertz afferma che <<l’etnografo scrive>> e quello che ha scritto è per molti versi un racconto. Per poter scrivere dobbiamo disporre del nostro materiale empirico nella sua totalità e dotato di un certo ordine. Le note di campo devono essere già tutte redatte, le interviste trascritte in forma integrale e i vari dati supplementari visibili e catalogati. L’analisi dei dati è ricerca e come tale deve essere concepita e cioè aperta, curiosa ed innovativa. La prima lettura del materiale costituisce l’inizio di ogni fase di analisi. Come se costituisse già un racconto, è importante leggere l’intero corpus di note di campo e iniziamo ad annotare quelli che sembrano

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elementi rilevanti e ricorrenti. Avendone annotati diversi procediamo alla codifica delle note che finiscono dentro un meccanismo di selezione, un imbuto che ne distilla a mano a mano gli elementi che riteniamo essere più rilevanti di altri. A questo punto si può procedere con la comparazione. L’idea che sia necessaria una comparazione costante è legata alla Grounded Theory, secondo la quale, se si osserva un evento, questo deve essere comparato con altri eventi per raggiungere una maggiore precisione e consistenza.

Il nostro compito è quello di mostrare ad altri ciò che abbiamo fatto sul campo, dando una forma scritta ad un esperienza osservativa che consenta agli altri di vedere, leggendo, le nostre interpretazioni del mondo. Siamo perciò giunti al “dunque”, al momento in cui trasformiamo delle esperienze personali in un insieme di testi che diventeranno autonomi rispetto a noi, avranno una propria vita, verranno utilizzati, modificati, criticati, ignorati ed infine dimenticati.

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CAPITOLO 2. IL DISEGNO DELLA RICERCA

Tutte le persone svolgono ricerche sociali, nel corso della loro vita. Probabilmente, si tratta del modo di osservazione più naturale ; facciamo, infatti, ricerca sul campo ogni volta che osserviamo e partecipiamo a un comportamento sociale e cerchiamo di comprenderlo. Per esempio, durante una lezione universitaria, nella sala di attesa di un medico o su di un aereo. Ogni volta che raccontiamo ad altri quello che abbiamo osservato riportiamo il risultato della nostra ricerca qualitativa sul campo. Secondo Herbert Blumer, una ricerca sociale valida è condotta principalmente con metodologie qualitative, etnografiche. Egli nega che si possa raggiungere una forma valida di conoscenza tramite una prospettiva oggettiva e distaccata, da una parte perché una prospettiva oggettiva non può esistere, dall’altra perché una prospettiva distaccata non ci permette di comprendere il senso di ciò che osserviamo. La distinzione tra qualitativo e quantitativo comporta una notevole differenza; sono due paradigmi che si contrappongono.

Il primo paradigma utilizza metodiche quantitative, campioni rappresentativi, analisi dei dati fondate su elaborazioni statistiche e modelli matematici. Il secondo paradigma, si basa sulla convinzione che l’unico modo per comprendere ogni fenomeno è di osservarlo nel suo contesto e privilegia metodiche qualitative. Sono infatti la natura dei dati, l’orientamento della ricerca, la sua flessibilità, il carattere oggettivo o soggettivo dei risultati che distinguono i due approcci, le cui differenze sono (o erano) così fondate da scatenare quella che è stata chiamata la “guerra dei paradigmi”, che ha enfatizzato l’incompatibilità tra le due posizioni epistemologiche, posizioni sottese ai due differenti tipi di ricerche. 28 Per lungo tempo, le tecniche quantitative hanno goduto di miglior credito e questo per due ordini di motivi. In primo luogo, l’entusiasmo verso la scienza e i suoi progressi ha sostenuto la visione del mondo e dei fatti sociali, per analogia al mondo della natura, come suscettibili di essere conosciuti e di essere “spiegati”. In secondo luogo, la diffusione degli elaborati elettronici ha consentito la gestione informatica di grandi masse di dati e ha incentivato inchieste quantitative su larga scala. Negli anni più recenti, il dibattito si è orientato verso lo studio di una possibile integrazione tra i due metodi.

28 Bisi “Le forme del conoscere i dati nella ricerca empirica” Bonanno Editore

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Nuove tecniche di osservazione che guardano al vissuto del soggetto al mondo della quotidianità, hanno rilanciato l’approccio qualitativo, evidenziandone le potenzialità e la migliore adesione all’attualità della nostra epoca. Ci troviamo così in un momento di transizione: da un lato la necessità di riconcettualizzazione e quindi di messa in critica della capacità esplicativa di variabili “classiche”, come la classe sociale e il genere, invita a trovare nuove definizioni e i nuovi concetti, da “convalidare” con tecniche quantitative, dall’altro la complessità e la difficoltà di stare dietro all’incalzare del mutamento apre la strada alla rivalutazione della capacità esplicativa delle metodiche qualitative.

2.1 LA RICERCA QUANTITATIVA

I sostenitori dell’approccio quantitativo si allagano principalmente alla tradizione positivista. Negli anni ’60, la diffusione degli elaboratori elettronici e il loro costo sempre più contenuto hanno dato forte impulso alle tecniche quantitative. Il problema, infatti, come è facile comprendere, sta proprio nel concetto di “misurazione”, che delega allo studioso la capacità di costruire variabili e di trovare strumenti di rilevazione, indicatori non solo quelle “naturali“ ( sesso, età, professione, etc. ) ma anche costruire artificialmente .Il termine di variabile è stato tratto dalla matematica e dalla fisica ed indica una misura o una classificazione sottoposta a regole formali , e che ha la capacità di descrivere adeguatamente un fenomeno o di un concetto, e di riprodurre il reale. Funzione della misura è quella di connettere ogni concetto a qualcosa, a qualunque livello di astrazione, alla realtà, preparando la verifica successiva delle ipotesi formulate29. La decisione più importante che il ricercatore deve prendere è definire in modo chiaro ed esaustivo cosa misurare: se si commettono errori in questa prima fase si continuerà a spendere solo soldi ed energia. Il “disegno” della ricerca quantitativa è divisibile in quattro tappe:

• FASE PRELIMINARE D’ IMPOSTAZIONE: Si definisce l’oggetto di studio attraverso la formulazione di opportune ipotesi sperimentali. Ciò si esplica mediante l’isolamento delle teorie già disponibili inerenti il tema d’esame. A partire da ciò, il ricercatore dovrebbe formulare delle ipotesi operative, indispensabili per guidare la fase di rilevanza delle informazioni necessarie alla ricerca. (Le azioni che abbiamo descritto, ovviamente, dipendono anche dalle risorse umane e finanziarie a

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disposizione dell’operatore, in quanto massima attenzione alla fattibilità del disegno di ricerca).

• RILEVAZIONE DELLE INFORMAZIONI PER LA PRODUZIONE DEI DATI: Si pone la necessità, a fronte di una sempre più frequente referenza alle fonti di statistica ufficiale, avuta per il basso costo delle informazioni, di individuare la fonte dalle quali ricavare i dati; successivamente si procederà alla selezione delle tecniche necessarie per la raccolta dei dati grezzi resisi disponibili.

• ORGANIZZAZIONE DEI DATI E SUCCESSIVA ELABORAZIONE: L’elaborazione dei dati deve essere coerente con le esigenze espresse dalle ipotesi operative: è opportuno mantenere una forte logica con il referente concettuale, pur lasciando allo studioso un grado di libertà nella parziale riformulazione delle ipotesi operative, qualora inadeguate alle esigenze originali di ricerca.

• FORMULAZIONE DEI RISULTATI Qui si chiude il processo di indagine, con la generalizzazione dei risultati. La generalizzazione terrà conto della strutturazione delle ipotesi e segnalerà gli aspetti più significativi individuati nel corso dell’indagine: si procede per livelli di approfondimento successivi, fornendo contemporaneamente, elementi descrittivi ed analisi interpretative. L’obiettivo della generalizzazione è passata dalle proposizioni descrittive a proposizioni interpretative dei fenomeni. (Il limite, infatti, della proposizione descrittiva è che tende a fare riferimento ad una circoscritta entità geografica e sociale con scarse possibilità estrapolative dei risultati acquisiti). 30

Il compito del ricercatore sarà, quindi: operare in un contesto empirico multidisciplinare, dominando diversamente “dimensioni” logiche del processo di ricerca, e manifestando doti di ANALISI E SINTESI. Deve quindi:

1) Conoscere in modo approfondito le teorie di riferimento;

2) Saper generalizzare;

3) essere predisposto all’analisi quantitativa ed esperto utilizzatore della statistica sociale;

4) essere abile nella lettura da dati statistici;

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5)essere attento e cauto nell’interpretazioni dei risultati;

6) Critico nelle proprie affermazioni.

Caposaldo, della tecnica quantitativa, è il QUESTIONARIO. Insieme strutturato di domande che consente una raccolta immediata e coesa di informazione e che porta a controllare le ipotesi di ricerca mediante la successiva elaborazione delle risposte ottenute. Ha una ampia diffusione nella ricerca empirica sia in indagini di statistica ufficiale, sia in altri tipi di rilevazioni. La costruzione del questionario richiede abilità: ad esempio, le domande devono essere poste in modo chiaro, e le possibili differenti modalità di risposta devono poter essere raccolte con facilità dall’ intervistatore. L’ utilizzo del questionario consente di ottenere dati comparabili e, in una certa misura, attendibili. La formalizzazione fa sì che esso possa essere utilizzato indifferenti ricerche. Il questionario, in definitiva, consente la raccolta di tipi di informazione:

1) Fatti e conoscenze

2) Comportamenti e atteggiamenti

3) Opinioni e motivazioni

4) Percezioni

La lunghezza del questionario non prevede regole fisse: per un questionario strettamente quantitativo la lunghezza è ottimale se compresa tra i 30-45 minuti, con una interruzione di 10-20 minuti per capire il contenuto delle domande. Non è un’operazione semplice formulare le domande di un questionario: si tratta di domande che devono essere rivolte ad un certo numero di persone e, quindi, dovranno eccellere in comprensibilità, flessibilità e rapidità espositiva.31 E’ buona regola domandarsi se tutti gli intervistati capiscono le domande, ma anche se l’interpretazione delle stessa sia univoca: i redattori devono, quindi, avere idee molto chiare sugli argomenti da investigare e sulle parole da usare nelle domande. E’ molto importante la scelta dei soggetti a cui sottoporre le nostre domande: sono gli obiettivi dell’indagine che hanno i criteri per sceglier chi interroga e per sapere che cosa chiedere. La scelta e la selezione delle persone da intervistare e da interrogare può

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essere diversa: se la popolazione di interesse è troppo vasta, si ricorre ad un campione; se non ci interessa la rappresentatività, ci troveremo nella condizione di “scegliere”, soggetti giusti per il nostro scopo (es. leader d’opposizione). CHE-CHI-COME sono strettamente legati. I requisiti di una domanda meritevole di essere inserita in un questionario sono:

1) CHIAREZZA DEL CONTENUTO: Esige precisione nella formulazione della domanda, ed univocità di significato.

2) FORMA ADATTA: L’uso di una forma specifica per ciascuno domanda può influire gradatamente sui risultati, anche a parità di contenuti della domanda stessa (i tipi più frequenti di forma sono: a risposta aperta, a risposta chiusa, a risposta strutturata, a risposta multipla, a risposta gerarchizzata).

3) ASSENZA DI EFFETTI SECONDARI: La domanda non dovrebbe influire l’intervistato, con la sottolineatura di particolari aspetti da sottoporgli al suo giudizio. Alcune domande possono intaccare la PRIVACY dell’ intervistato: il loro numero deve essere limitato, e il loro posizionamento nel questionario separato da domande di altra natura.

Nella ricerca quantitativa, lo strumento di rilevazione più importante a oggi risulta essere il questionari le cui procedure di somministrazione sono:

1) INTERVISTA DIRETTA: Dialogo tra una o più persone che propongono una serie di domande sui beni di ricerca , ed una o più persone che si ritiene siano in grado di dare risposte alle richieste. C’è la presenza fisica dell’intervista.

2) INTERVISTA TELEFONICA: Maggiore tempestività nella raccolta delle informazioni, costi alquanto contenuti, nonché una serie di registrazioni e controlli automatici.

3) AUTOCOMPILAZIONE: Qui i costi sono ancora minori, e l’organizzazione del lavoro sul campo è meno complessa.

Elemento necessario è il buon livello di collaborazione da parte dei rispondenti.32

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2.2 LA RICERCA QUALITATIVA

Da un punto di vista teorico, la ricerca qualitativa comprende una vasta e complessa area di metodiche, tematiche e strumenti di indagine, suoi propri, ritenuti più idonei a fornire conoscenza su aspetti e fenomeni complessi. Gli obiettivi di questo approccio sono: la maggiore conoscenza di un fenomeno poco approfondito, o emergente; l’esplorazione di un dato fenomeno quando, anche per effetto del mutamento sociale, non sia più interpretabile con le ipotesi e le teorie già esistenti; la ricerca di nuove idee, di nuove ipotesi, di nuove teorie. La ricerca qualitativa consente di conoscere un certo fatto in profondità, e questo è particolarmente utile quando si vuole investigare temi complessi oppure di particolare delicatezza, quali ad esempio la religione, la sessualità, la pena di morte e il razzismo, in generale tutti quei temi per i quali esiste una forte connotazione sociale. Un indiscusso vantaggio risiede nella ricchezza delle informazioni raccolte molto dettagliate. Il grande ostacolo che incontra questo tipo di indagine è nella scelta di come raccogliere le informazioni e nella trattazione di dati grezzi e non formalizzati. Il merito della ricerca qualitativa sta proprio nella capacità di descrivere un fenomeno in tutti i suoi dettagli. Un problema pratico, rende abbastanza sporadico l’uso di ricerche qualitative: il tempo che si deve dedicare alla ricerca, un tempo intensivo. Ed è proprio per questo motivo che è poco presente nel mondo accademico. Per pianificare una ricerca qualitativa, bisogna rispondere a quattro domande:

- Che cosa si vuole conoscere?

- Chi o che cosa può essere ben informato della questione?

- Qual è la via migliore per conoscere queste cose?

- Quali altre strategie possono essere applicate?

Si parte dalla definizione del problema per poi pensare a come concretizzare la ricerca. La fase di riflessione deve, quindi prevedere sia la ricerca di studi già condotti da altri sullo stesso argomento, sia la messa a punto delle ipotesi della ricerca. La differenza tra ricerca quantitativa e qualitativa è che, quest’ultima, ha concetti che non hanno la necessità di essere espressi in modo definitivo e resi operativi. Qui i concetti sono flessibili, approssimativi: si inizia quindi con un ragionamento di tipo induttivo, che considera i fatti relativi a situazioni specifiche senza avere come riferimento una teoria particolare. Grande

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attenzione per la specificazione del contesto: selezione dei casi, dei dati, dei modi e dei criteri per ottenere, senza ridondanze, i soggetti necessari allo studio e un ambiente idoneo. (L’approccio qualitativo il più delle volte si muove in un ambito circoscritto). Definite queste fasi, si passa alla strategia della rilevazione, che verrà scelta in sintonia con lo scopo della ricerca. La vera differenza tra i due tipi di ricerca sta nella capacità del ricercatore, soprattutto nella delicata fase della raccolta delle informazioni che lo vede partecipe, anche se con differente gradualità. Per questo, massima attenzione alle questioni etiche che devono essere tenute in massimo conto dai partecipanti allo studio. Doti del ricercatore qualitativo sono:

- Conoscenza approfondita di ciò che si vuole investigare

- Capacità di individuare prospettive teoriche utili

- Predisposizione al lavoro induttivo

- Pazienza e capacità di instaurare un rapporto empatico

- Conoscenza di più metodiche di ricerca sociale

- Meticolosità nella rilevazione scritta

- Sicurezza delle proprie interpretazioni

- Costante verifica e critica delle sue informazioni

- Capacità di redazione del suo studio ai fini della pubblicazione.

I dati qualitativi Includono virtualmente ogni informazione che può essere catturata e che non abbia una natura numerica. E nella ricerca qualitativa, le informazioni possono essere raccolte in vario modo:33

- INTERVISTA IN PROFONDITÀ: condotte su un numero limitato di soggetti con l’obiettivo di cogliere le idee dell’intervistato sul fenomeno d’interesse;

- STUDI DEL CASO: studio intensivo di un individuo specifico o di un contesto specifico;

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- OSSERVAZIONE( PARTECIPANTE O NON PARTECIPANTE): l’osservazione diretta si distingue dall’intervista in profondità perché l’osservatore non ha lo scopo di fare domande, ma quello di osservare;

- APPROCCIO BIOGRAFICO: questo approccio si basa sulla soggettività, un’intesa come unità e specificità;

- GRUPPO DI DISCUSSIONE: è una discussione accuratamente pianificata con un gruppo di persone comprese tra 7-12. Ha come obiettivo ottenere percezioni, idee ed opinioni su un’area di interesse ben definite e circoscritte;

- DOCUMENTI: ci si riferisce a documenti esistenti, quali giornali, riviste, archivi. Si considerano anche i documenti prodotti dalla comunicazione sociale, quali film, pubblicità, programma televisivi.

Per un sociologo scopo della ricerca qualitativa è la comprensione della vita sociale alla luce delle teorie, attraverso l’utilizzo di tecniche analitiche ben definite. Nonostante le molte tecniche della ricerca sul campo siano attività naturali, esse rappresentano abilità che devono essere imparate e affinate. Sebbene la ricerca sul campo possa raccogliere anche dati quantitativi, registrando ,ad esempio il numero di interazioni di un certo tipo entro uno specifico contesto, la ricerca sul campo è solitamente qualitativa, raccogliendo informazioni che è difficile riassumere attraverso i numeri. L’osservazione sul campo differisce da altri modi di osservazione poiché non si limita alla raccolta dei dati. Molte volte produce anche teorie. I ricercatori cercano di comprendere il significato di un processo il cui risultato non può essere anticipato. Immergendosi direttamente nel fenomeno sociale e osservandolo nel modo più completo possibile, i ricercatori possono riuscire a conoscerlo appieno. 34

La ricerca sul campo potrebbe individuare molte sfumature che non è possibile cogliere con altri metodi di osservazione . E’ particolarmente adatta per studiare gli atteggiamenti e i comportamenti direttamente nell’ambiente naturale in cui avvengono. Quindi, la ricerca sul campo offre il vantaggio di indagare la vita sociale nel suo ambiente naturale. Sebbene molte cose possono essere studiate con un questionario o in un laboratorio, per altre non è possibile e l’osservazione diretta sul campo permette di cogliere le forme di

comunicazione più sottili e altri eventi che non possono essere rilevati con altri strumenti.

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In una ricerca sul campo, i ricercatori possono ricoprire vari ruoli, compresa la partecipazione a quello che vogliono osservare.

Come notano Catherine Marshall e Gretchen Rossmann:

”il ricercatore può giocare un ruolo che richiede vari gradi di “partecipazione”. A un estremo, c’è la partecipazione completa che comprende i ruoli della vita ordinaria, oppure quelli costruiti nel contesto dell’osservazione. All’altro estremo c’è l’osservazione completa che non si concentra su tutti gli aspetti dell’interazione sociale e potrebbe sfuggire al coinvolgimento nel mondo studiato. E, ovviamente, tutte le posizioni intermedie all’interno di questo continuum(1995:60)”35

Il “partecipante completo” potrebbe partecipare a quello che sta studiando o potrebbe fingere di farli. Tuttavia, se sta interpretando il ruolo del partecipante completo potrebbe mostrarsi alle altre persone soltanto come un partecipante, non come un ricercatore. Per esempio, si sta studiando un gruppo composto da individui poco istruiti e incapaci di esprimersi farà meglio a non esprimersi come professore o uno studente universitario. Ma è corretto mentire alle persone che stiamo studiando nella speranza che ci confidino più facilmente quello che non direbbero se ci presentassimo come ricercatori? Nessun ricercatore mentirà mai col solo scopo di mentire; lo farà nella convinzione che ciò gli potrebbe permettere di raccogliere dati più validi e affidabili: i soggetti si comporteranno in maniera più naturale e onesta se non sanno che il ricercatore sta facendo un indagine. Se il ricercatore partecipa completamente potrebbe influire su quello che sta studiando. Infatti per svolgere il ruolo del partecipante deve partecipare. In definitiva quello che l’osservatore partecipante fa o non fa, avrà qualche conseguenza su ciò che sta osservando: è semplicemente inevitabile. Queste considerazioni morali e scientifiche fanno si che il ricercatore sul campo scelga spesso un ruolo diverso dalla partecipazione completa. Marshall e Rossman notano che i ricercatore possono variare il tempo dell’osservazione, possono cioè effettuare osservazione soltanto in alcuni momenti concentrando l’attenzione su qualche aspetto limitato del processo o possono osservarlo nella sua interezza.

I ricercatori sociali utilizzano il termine riflessività per indicare problematiche riguardanti la condotta dell’’osservatore. Le caratteristiche del ricercatore possono influire su quello che osserverà e su come lo interpreterà. Inoltre, il problema riguarda sia i soggetti della

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ricerca, sia il ricercatore. Uno dei problemi che è possibile riscontrare a livello sociale è che quando siamo completamente coinvolti nella vita delle persone che osserviamo, saremo probabilmente influenzati dai loro problemi e dalle loro crisi. Il ricercatore che conduce la ricerca progetta le domande, decide chi selezionare ed è responsabile dell’analisi dei dati raccolti.

Sono vari gli approcci del metodo della ricerca qualitativa. Fra i più importanti è possibile ricordare:

 APPROCCIO NATURALISTICO: uno degli approcci più tradizionali, secondo alcuni ricercatori la realtà sociale è evidente e basta osservarla e descriverla come è nella realtà; questo approccio si basa sul racconto delle storie dei protagonisti nel modo in cui sono realmente, non come secondo l’etnografo;

 ETNOMETODOLOGIA: le radici di questo metodo risalgono alla tradizione filosofica della fenomenologia; Schutz sosteneva che la realtà è una costruzione sociale, piuttosto che una realtà oggettiva da osservare; le persone descrivono il loro mondo non “come è” ma “come lo conoscono”; Garfinkel suggeriva che i ricercatori dovevano rompere le regole in modo da rivelare le aspettative date per scontate e chiamò questa tecnica etnometodologia.

 ETNOGRAFIA ISTITUZIONALE: si basa su interviste, sull’osservazione e sulla lettura di documenti; si distingue da altri approcci etnografici poiché non considera questi argomenti come l’oggetto della ricerca, ma come delle “chiavi” per comprendere le relazioni sociali. L’idea è attingere dall’esperienza delle persone;

 RICERCA-AZIONE PARTECIPATIVA: la funzione del ricercatore è costituire una risorsa per coloro che sta studiando; è un opportunità per agire effettivamente nel loro interesse. 36

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