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del lavoro domestico alla prova del Covid-19 di Claudio de Martino

Ricevuto il 10.2.2021 - Accettato il 2.3.2021 Riassunto. Il saggio propone una riflessione sulla specialità del lavoro domestico, a par-tire dalla sua definizione legislativa e dalla tecnica normativa di tipo sottrattivo che caratte-rizza i diversi istituti, soffermandosi poi sulle ragioni della vasta diffusione del lavoro irre-golare. L’A. si sofferma, inoltre, sulle novità offerte dalla legislazione emergenziale e con-clude con alcune proposte per il superamento dell’irregolarità nel settore, con un particolare focus sulla tutela processuale.

Parole chiave: Lavoro domestico; Colf e badanti; Regolarizzazione; Indennità di accompa-gnamento; Emergenza sanitaria; Presunzione di subordinazione.

Abstract. Who looks after the carers? The specialty of domestic work under the test of Covid-19. The essay proposes a reflection on the specialty of domestic work, starting from its legislative definition and the subtractive legislative technique that characterizes the vari-ous institutes, then focusing on the reasons for the widespread diffusion of irregular work.

The Author dwells also focuses on the novelties offered by the emergency legislation and concludes with some proposals for overcoming irregularities in the sector, with a particular focus on procedural protection.

Keywords: Domestic work; Maids and carers; Regularization; Accompaniment allowance;

Sanitary emergency; Presumption of subordination.

1. Premessa. 2. La definizione di lavoro domestico tra legge e casistica giurisprudenziale. 3.

Identificazione statistica e demografica dei lavoratori domestici. 4. Il lavoro domestico:

strumento di welfare informale e pratica di sfruttamento del lavoro dei migranti. 5.

Regola- Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, Largo Papa Giovanni Paolo II, 71121 Foggia. E-mail:

cla.demartino@gmail.com.

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rizzazione dei migranti ed emersione del lavoro sommerso nel decreto “Rilancio”: brevi considerazioni. 6. La tecnica sottrattiva nella regolazione del lavoro domestico: una consue-tudine anche in tempo di Covid-19. 7. Per concludere: qualche indicazione de iure condito e de iure condendo.

1. La famiglia, per dirla con Carlo Arturo Jemolo1, è quell’isola che il diritto può solo lambire.

Il mare del diritto non riesce a superare le alte scogliere che proteggono i conte-sti familiari, e ciò vale anche per i rapporti di lavoro, in relazione ai quali, utiliz-zando questa volta le parole di Marco Biagi2, «sembra verificabile […] quanto ogni giurista ha sempre, seppur inconsciamente, intuito: ciò che è immensamente gran-de, come pure ciò che ha dimensioni lillipuziane, non può appartenere al mondo del diritto».

I rapporti di lavoro negli ambienti domestici, infatti, paiono non interessare il mondo del diritto3, o comunque l’ordinamento sembra ritirarsi dinanzi alle mura domestiche per lasciare spazio a modalità informali di regolazione dei rapporti (che sono lavorativi ma anche personali), attinenti più ai sistemi di diritto naturale dell’etica e della morale che al diritto positivo. Tale valutazione appare con somma evidenza in quella giurisprudenza4 che ha affermato una presunzione di gratuità delle prestazioni di cura in ambito familiare, in quanto rese affectio vel benevolen-tia (fatta salva la prova della subordinazione e il relativo accertamento in sede di giudizio di merito5), ma anche dall’analisi, che si proporrà brevemente nel presente contributo, degli istituti che, derogando allo statuto del lavoratore subordinato, fanno del lavoro domestico un àmbito affatto peculiare.

Il contesto nel quale le prestazioni vengono rese ha, infatti, portato il legislatore a modulare diversamente le regole giuslavoristiche, mediante la concessione di ampie deroghe in favore di quello strano datore di lavoro che è la famiglia. Non solo. L’ordinamento, come pure si vedrà meglio in seguito, sembra tollerare la va-sta diffusione del lavoro sommerso nel settore dei servizi domestici, molto più che in altri, dimostrando un’inerzia sul versante punitivo che si spiega solo in relazione alla particolare funzione di cura dei soggetti deboli (anziani, bambini, disabili), suppletiva del welfare pubblico, a cui le lavoratrici6 domestiche assolvono.

1 Jemolo, 1948, 241.

2 Biagi, 1978, 13.

3 Definisce il lavoro domestico «fattispecie negletta nel diritto del lavoro», De Simone, 2009b, 63, la quale evidenzia anche la scarsa riflessione dottrinale sviluppatasi sul tema.

4 Cass. 15.3.2006 n. 5632, GCM, 2006, 3. In senso sostanzialmente conforme, cfr. Cass.

29.5.1991 n. 6083, DL, 1991, II, 373; Cass. 17.2.1988 n. 1701, FI, 1988, I, 2306; Cass.

13.5.1982 n. 2987, GI, 1983, I, 1, 1944. Per una specifica riflessione sulla gratuità e non professionalità del lavoro di cura familiare, v. Gottardi, 2001, 123-125.

5 In termini, v. Inps, messaggio 12.6.2007 n. 15451.

6 Si avverte che, poiché le analisi demografiche dimostrano come la maggioranza degli impiegati nel settore sono donne, si utilizzerà convenzionalmente il genere femminile quale forma neutra “inclusiva”, per ricomprendere gruppi di persone individuati con entrambi i generi.

Claudio de Martino 55 La riflessione che qui si propone si articolerà, dunque, lungo due direttrici: la specialità della disciplina, contestualizzata nell’attuale emergenza pandemica, e l’altissimo tasso di irregolarità del lavoro domestico, al fine di verificarne le ragio-ni, e di proporre nuove soluzioragio-ni, anche de jure condendo.

2. È bene ricordare che l’art. 1, l. 2 aprile 1958, n. 339, mutuando l’analoga scelta legislativa del periodo corporativo7, ha definito il lavoro domestico in rela-zione alle finalità delle prestazioni di lavoro utilizzate. La norma identifica gli «ad-detti ai servizi personali domestici» nei «lavoratori di ambo i sessi che prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare»8.

Sulla base di tale definizione, la dottrina aveva immediatamente distinto due elementi della fattispecie9: uno finalistico, volto ad accertare la destinazione della prestazione, l’altro strutturale, legato cioè al tipo di convivenza con cui il rapporto trova esecuzione.

Quanto al requisito finalistico, per la giurisprudenza la specialità del lavoro domestico risiede nella circostanza che l’opera del prestatore è finalizzata al fun-zionamento della vita familiare, con conseguente esclusione tanto dei rapporti di-retti ad altri scopi, ad esempio lucrativi10, quanto dei rapporti di lavoro di cura che si svolgano in contesti non domestici11.

7 L’art. 3, c. 1, del R.d. n. 1955 del 1923 considerava lavori domestici «tutte le presta-zioni d’opera inerenti al normale funzionamento della vita interna di ogni famiglia o convi-venza, come: convitto, collegi, convento, caserma, stabilimento di pena». Il codice civile, invece, non fornisce una definizione, ma, come è stato osservato (Bascherini, Niccolai, 2010, 513), declina il lavoro domestico in un rapporto da specie a genere con la locatio ope-rarum, dedicandovi un apposito capo (artt. 2239-2246 c.c.). Sui caratteri del lavoro domesti-co nel periodo domesti-corporativo, un fine giurista osservò che la domesti-convivenza tra domestidomesti-co e fami-glia generava «atteggiamenti di protezione e di devota fedeltà, uno spirito di reciproca coo-perazione, di mutua benevolenza quale dalla fabbrica capitalistica era da tempo scomparso, se pure vi fosse mai esistito», che al legislatore fascista apparvero come valori da preservare ad ogni costo (Mancini, 1968, 1612).

8 Va precisato che la legge è applicabile ai rapporti di lavoro concernenti gli addetti ai servizi domestici che prestano la loro opera, continuativa e prevalente, per almeno quattro ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro. Le Sezioni Unite (Cass. S.U. 22.7.1964 n.

1961, GC, 1964, I, 1960) hanno azzerato «ogni preteso ruolo qualificatorio riferibile alla misura dell’impegno orario» (così Basenghi, 2000, 13-14) chiarendo che, benché non si ap-plichi la l. 339/1958, il rapporto di lavoro di meno di quattro ore giornaliere deve comunque qualificarsi di lavoro domestico.

9 Persiani, 1961, 630.

10 Cass. 14.12.2005 n. 27578, GCM, 2005, 9; Cass. 1.4.2005 n. 6824, GCM, 2005, 4;

Cass. 21.12.2010 n. 25859, GCM, 2010, 12, 1631. Nella giurisprudenza di merito, merita di essere segnalato quell’orientamento che, in un’ipotesi in cui era stato accertato lo svolgi-mento delle medesime mansioni (nel caso, di stiratore) in ambito domestico ed aziendale, ha configurato la sussistenza di una duplicità di rapporti, di cui uno di lavoro domestico (T. Mi-lano 20.3.2017 n. 771, Bollettino ADAPT, 24.4.2017). La giurisprudenza ha inoltre escluso l’applicabilità della disciplina sul lavoro domestico agli addetti alla pulizia di uffici e stabili,

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A proposito invece del requisito strutturale, per “famiglia”, la giurisprudenza ha inteso il “nucleo familiare”, cioè la “famiglia anagrafica” e, quindi, – secondo la nozione emergente dal Regolamento anagrafico12 – quell’insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune, e che può essere costituita anche da una sola persona13. Ed invero, la prassi amministra-tiva ha riconosciuto la qualità di datore di lavoro domestico anche a comunità sta-bili (religiose o militari), che riproducono nella loro vita di relazione le stesse rego-le della vita familiare (vincolo associativo, stabilità e permanenza, condivisione di tetto e di mensa, assenza di finalità lucrative)14; analogamente, la giurisprudenza ha considerato lavoro domestico l’attività svolta dalla cuoca e addetta alle pulizie di una comunità religiosa conventuale, ancorché tale comunità ospiti, fuori da qual-siasi scopo di lucro, saltuariamente persone diverse dai religiosi15.

D’altra parte, la Corte costituzionale ha rinvenuto nell’oggetto della prestazione di lavoro e nella natura dei soggetti coinvolti l’elemento essenziale per scrutinare la legittimità di alcune disposizioni speciali in materia di lavoro domestico. Ha, così, individuato il tratto saliente della specialità nella circostanza che il lavoro domesti-co «non è prestato a favore di un’impresa avente, nella prevalenza dei casi, un si-stema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata, con possibilità di ri-cambio o di sostituzione di soggetti», bensì «di un nucleo familiare ristretto e omo-geneo; destinato, quindi, a svolgersi nell’ambito della vita privata quotidiana di una limitata convivenza»16.

in quanto le loro prestazioni non sono dirette al servizio della persona o della famiglia (v.

Cass. 24.2.1979 n. 1235, GC, 1979, 784, I).

11 La giurisprudenza di legittimità (Cass. 1.4.2005 n. 6824, GCM, 2005, 4), sul presup-posto che, alla stregua dell’art. 1, l. 339/1958, l’elemento caratterizzante il rapporto di lavo-ro domestico è la prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare, ha escluso il nesso funzionale diretto con i servizi domestici e familiari nell'attività avente ad oggetto l’assistenza di minore portatore di handicap psicofisici svolta in ambito scolastico ed in col-laborazione con l’insegnante di sostegno, concludendo per l’esistenza di un rapporto di lavo-ro subordinato non domestico, sottratto al regime di cui all’art. 4, d.P.R. 31.12.1971 n. 1403.

12 Art. 4 del d.P.R. 30.5.1989 n. 223.

13 Cfr. Cass. 5.3.2012 n. 3418, GCM, 2012, 3, 273.

14 L’art. 1, d.P.R. 1403/1971 assoggetta ai fini previdenziali alla disciplina del lavoro domestico i lavoratori che eseguono prestazioni di servizi diretti e personali nei confronti dei componenti le comunità religiose o militari di tipo familiare. L’Inps (circolare 6.5.1989 n.

89) ha chiarito che possono considerarsi datori di lavoro domestico i seminari (in quanto esplicano attività religiosa senza scopo di lucro), nonché le altre convivenze tra persone non legate da vincoli di sangue, che rispondono ai seguenti requisiti: comunità stabile, perma-nente e continuativa di tetto e di mensa; assenza dei fini di lucro, politico, culturale, sportivo o di svago.

15 Cass. 6.9.1988, n. 5049, RIDL, 1989, II, 44.

16 C. Cost. 23.12.1987 n. 585, MGL, 1988, I; C. Cost. 13.2.1974 n. 27, testo disponibile al sito: https://www.giurcost.org/decisioni/1974/0027s-74.html (consultato il 31.1.2021).

Claudio de Martino 57 Ne consegue, per il Giudice delle leggi17, che le specificità del lavoro domesti-co sono tali e tante che non sarebbe «razionale e domesti-conforme alla natura del rapporto»

sottoporre i soggetti coinvolti «ad una disciplina che non tenga conto della peculia-rità del rapporto stesso». Anzi, proprio in ragione delle caratteristiche del rapporto, la Consulta – enunciando un principio di portata generale – ha ritenuto legittima l’inapplicabilità del divieto di licenziamento della lavoratrice madre, in quanto le sue implicazioni pratiche eccedono i limiti della «ragionevole tollerabilità di una famiglia media»18.

Infatti, la specialità del lavoro domestico coincide, il più delle volte, con l’utilizzo di una tecnica legislativa «sottrattiva»19, consistente nella non applicazio-ne delle tutele predisposte per gli altri lavoratori20, solitamente giustificata dalla considerazione che non sarebbe “tollerabile” per una famiglia media l’estensione meccanica degli obblighi imposti ai datori di lavoro “professionali”.

Tale affermazione merita oggi di essere rimeditata, non fosse altro perché, di-versamente dal passato, il lavoro domestico non solo non è più un fenomeno mar-ginale, ma presenta anche un tasso di occupazione irregolare fra i più elevati in tut-ti i settori di occupazione.

3. È dunque necessario partire proprio da alcuni dati, non prima però di alcune precisazioni terminologiche. In luogo dei termini “colf” e “badanti” 21, ormai diffu-si anche nei dosdiffu-sier ufficiali, diffu-si preferiranno le locuzioni “collaboratrici domesti-che” ed “assistenti familiari”22, per intendere rispettivamente le lavoratrici che

17 C. Cost. 13.2.1974 n. 27, cit. a nt. 16.

18 C. Cost. 15.3.1994 n. 86, RIDL, 1994, II, 439.

19 Basenghi, 2000, 211. Come spiegato dallo stesso A. (Id., 2010, 209), «quando il legi-slatore interviene su una data materia, la deroga per il lavoratore è spesso dietro l’angolo, a volte resa esplicita, a volte sotterranea, a volte declinata sul piano della “compatibilità” con il tipo ordinario, secondo il paradigma di cui all’art. 2239 del codice civile».

20 Sinteticamente, e senza alcuna pretesa di esaustività, si può ricordare l’esclusione del lavoro domestico dai regimi limitativi dei licenziamenti individuali (art. 4, c. 1, l. 11.5.1990 n. 108); l’inapplicabilità del divieto di licenziamento fino al compimento di un anno di età del bambino (in virtù dell’art. 62, c. 1, d.lgs. 26.3.2001 n. 151) e del divieto di recesso per causa di matrimonio (ex art. 35, c. 9, d.lgs. 11.4.2006 n. 198); l’esclusione del diritto ai con-gedi parentali, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 151/2001; l’inapplicabilità, in certi casi, delle disposizioni in tema di orario normale settimanale, durata massima, lavoro straordinario, riposo giornaliero, pause e lavoro notturno, ai sensi dell’art. 17, c. 5, d.lgs. 8.4.2003 n. 66;

l’inutilizzabilità delle norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui al decreto legislativo 9.4.2008 n. 81 (su cui si tornerà più ampiamente al § 6).

21 L’utilizzo di detti termini, ormai entrati nell’uso comune, è stato stigmatizzato da Sa-raceno, 2009, 1 e 29. In proposito, Ambrosini ricorda che il termine “badanti”, utilizzato per definire l’attività di sorveglianza degli anziani, denota la tendenza a sminuire la pesantezza delle mansioni e la responsabilità affidata alle lavoratrici e sottolinea che nell’italiano del

‘400 il termine si riferiva a chi veniva incaricato di sorvegliare il bestiame, al contrario pre-ferendo l’anglicismo care worker (Id., 2013, 36 e 89).

22 Anche utilizzato dal ccnl Lavoro domestico dell’8.9.2020.

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svolgono mansioni attinenti al normale andamento della vita familiare e quelle im-pegnate in attività di cura a persone non autosufficienti.

Stando alle ultime indagini statistiche23, i rapporti di lavoro domestico per i quali è stata versata la prevista contribuzione sono stati 848.98724 nel 2019. Sul totale degli addetti, l’88,7% è rappresentato da donne e il 70% da cittadine straniere.

Secondo i dati Istat25, relativi al quarto trimestre del 2018, l’incidenza di rap-porti di lavoro full-time è pari al 19%, più elevata per le assistenti familiari (38%) e, al suo interno, per la componente straniera (47%). In ogni caso la condizione più frequente è quella del part time, pari, per le collaboratrici domestiche, al 63%.

Ma forse il dato più interessante è relativo al numero di ore di lavoro, posto che nel lavoro domestico esso determina le aliquote contributive su cui poi si calcolano gli oneri previdenziali, stabiliti in misura fissa ed indipendente dalla retribuzione26. Ebbene, mentre le assistenti familiari sono soprattutto impiegate con contratti a tempo pieno, con una forte concentrazione statistica sul limite massimo di 54 ore previsto dalla contrattazione collettiva27, sia per le collaboratrici domestiche che per le assistenti familiari si registra un addensamento statistico di rilievo intorno alle 25 ore28, il che può derivare dalla circostanza che, per orari superiori alle 24, sono previste aliquote contributive più basse29.

Se poi si guardano i dati su un arco temporale più ampio (dal 2012 ad oggi)30, l’andamento del numero degli addetti nel settore dei servizi domestici è molto alta-lenante e fortemente influenzato dalle normative di regolarizzazione. Non è un caso, infatti, che nel 2012, in cui operò una sanatoria31, si sia registrato un picco di lavo-ratrici domestiche, seguito, negli anni successivi, da una costante diminuzione32,

23 Idos, 2020, 293.

24 In realtà, da altre indagini statistiche emerge che, visto che spesso insistono in capo al-la stessa al-lavoratrice più rapporti di al-lavoro, il numero di al-lavoratrici è in realtà inferiore. Cfr.

Istat, 2020, 41.

25 Istat, 2020, 41.

26 In particolare, per i rapporti sino a 24 ore sono previsti tre scaglioni corrispondenti ad altrettante fasce retributive. Oltre le 24 ore non è previsto alcun legame con la retribuzione.

Cfr. Inps, circolare 6.2.2020 n. 17.

27 Art. 14 ccnl sulla disciplina del lavoro domestico dell’8.9.2020. In questo lavoro, il ri-ferimento sarà sempre al ccnl sottoscritto dalle organizzazioni più rappresentative del com-parto: Fidaldo e Domina, sul versante datoriale, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil e Federcolf, su quello sindacale. Sul dumping contrattuale presente anche nel settore, e per un’analisi delle criticità del ccnl Fidaldo, v. Borelli, 2020, 174-181.

28 Anche dai dati Inps per il 2019 emerge che circa un quarto dei rapporti di lavoro do-mestico sono stipulati per una media da 25 a 29 ore settimanali.

29 Cfr. Inps, circolare 6.2.2020 n. 17.

30 Osservatorio nazionale Domina sul lavoro domestico, 2019, 60. Il trend discendente è confermato dall’indagine Inps in relazione all’ultimo triennio.

31 Il riferimento, in particolare, è all’art. 5, d.lgs. 16.7.2012 n. 109.

32 Nel periodo 2012-2018 il calo è stato pari al 15,2% (cfr. Osservatorio nazionale Do-mina sul lavoro domestico, 2019, 63). Il calo è proseguito anche nel 2019, nella misura del 1,8% (cfr. Osservatorio nazionale Domina sul lavoro domestico, 2020, 131).

Claudio de Martino 59 nonostante il leggero incremento dell’occupazione femminile (di cui lo sviluppo del lavoro domestico è considerato variabile inversa33) e il costante invecchiamento della popolazione. Il calo ha riguardato tutte le componenti di origine straniera34, mentre la componente italiana ha registrato un incremento del 29,6%, passando da 190 mila a 246 mila unità.

Il calo delle lavoratrici straniere si può comprendere considerando che, dopo essersi regolarizzate, ricercano lavorazioni più remunerative e meno faticose. Inve-ce, il notevole aumento della componente italiana35, significativo soprattutto tra le assistenti familiari, è stato spiegato36 in primo luogo con la crisi economica, che ha spinto molte donne ad entrare (o a rientrare) nel mercato del lavoro domestico e, in secondo luogo, con l’aumento delle acquisizioni di cittadinanza italiana37.

Fin qui le cifre relative ai rapporti di lavoro regolari, che, però, come già antici-pato, rappresentano la minoranza delle lavoratrici domestiche. Infatti, il tasso di irregolarità è, per il 201838, del 57,6%39, nettamente superiore rispetto alla media di tutte le attività economiche, che si attestano al 12,9%.

Ebbene, da una semplice proporzione matematica tra il numero di rapporti di lavoro denunciati all’Inps e il tasso di irregolarità rilevato dall’Istat, si ricava come in Italia nel 2019 fossero in corso poco meno di 2 milioni di rapporti di lavoro do-mestico, di cui più della metà (circa 1,1 milioni) irregolari. E ciò, nonostante la di-sciplina del lavoro domestico contempli ampie deroghe all’applicazione dello sta-tuto protettivo del lavoratore subordinato con incomparabili benefici normativi.

4. Ma quali sono le ragioni della vasta diffusione del lavoro irregolare nell’ambito dei servizi domestici e per le quali il diritto del lavoro sembra arrestarsi davanti alle case dove vivono i bambini da accudire e gli anziani da assistere?

33 In proposito cfr. Ambrosini, 2013, 85. In realtà, le politiche pubbliche di cura, ed in particolare i servizi per la prima infanzia, per gli anziani fragili o non autosufficienti, per i disabili, sono uno degli strumenti principali delle politiche di conciliazione, in quanto “libe-rano tempo” a chi ha responsabilità di cura e lo dirottano dal lavoro familiare (non remune-rato) al lavoro remunerato, aumentando così l’occupazione femminile (così, Battisti, 2019, 84). V. anche Borelli, 2020, 85, secondo cui l’inadeguatezza dei servizi di cura è stata rite-nuta dalla Commissione europea la causa principale del basso tasso di occupazione femmi-nile misurato in vari Paesi, tra cui l’Italia.

34 L’Europa dell’Est, ovvero la più numerosa, ha registrato un 19,2%; le Filippine un -9,6%, l’Asia orientale addirittura un -54,6%.

35 L’incremento del numero di lavoratori italiani rispetto agli stranieri è confermato nell’ultimo anno anche dalla già citata indagine Inps sul lavoro domestico.

36 Osservatorio nazionale Domina sul lavoro domestico, 2019, 63.

37 Infatti, considerato che negli ultimi dieci anni sono stati quasi un milione i nuovi cit-tadini, è molto probabile che tra di essi vi siano state anche numerose lavoratrici domestiche.

38 Ultimo dato disponibile al 31.1.2021.

39 Cfr. Occupazione regolare, irregolare e popolazione: Tassi di irregolarità, in http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=11882 (consultato il 31.1.2021).

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Invero, non sono solo di rango sociologico-giuridico40, ma attengono, più pro-saicamente, alla funzione suppletiva del welfare statuale che le lavoratrici addette ai servizi di cura assolvono e che rende quasi indispensabile per la tenuta sociale del Paese una certa compressione dei diritti individuali di quante sono impiegate nel comparto41.

In effetti, i mutamenti demografici (caratterizzati da un inesorabile invecchia-mento della popolazione42) e la parallela crisi del welfare pubblico hanno reso

In effetti, i mutamenti demografici (caratterizzati da un inesorabile invecchia-mento della popolazione42) e la parallela crisi del welfare pubblico hanno reso