una prima lettura del caso Uber Eats di Alessandra Galluccio
2. Presupposto per la comprensione dello sviluppo che la vicenda giudiziaria a ca- ca-rico di Uber sta prendendo è innanzi tutto – come si diceva – qualche cenno sulla
funzione preventiva e non punitiva che la misura dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34, c. 1, d.lgs. 159 del 2011 (d’ora in avanti, codice antimafia) riveste. Tale misu-ra di prevenzione patrimoniale – recentemente riformata dalla l. 161 del 20179 – rap-presenta infatti, nella sostanza, uno “strumento di bonifica” di attività economiche sostanzialmente sane, ancorché lambite da infiltrazioni criminali10 e costituisce un primo passo – proporzionato alla gravità delle circostanze emerse in indagini e fra i meno invasivi11 tra quelli a disposizione del giudice – della sterilizzazione della peri-colosità di fenomeni la cui gravità e pervasività potrebbe approfondirsi in futuro.
In particolar modo, al ricorrere di un presupposto negativo – l’impossibilità di-sporre le più gravose misure del sequestro e della confisca di prevenzione12 – e di un presupposto, invece, positivo – l’agevolazione, da parte dell’impresa, dell’atti-vità di persone sottoposte a procedimento penale per alcuni delitti “catalogo”, fra cui si annovera il c.d. “caporalato” (art. 603-bis c.p.) – l’autorità giudiziaria può disporre lo spossessamento gestorio dell’impresa agevolatrice, al fine di recidere i suoi contatti con la realtà criminale agevolata.
È importante sottolineare, dunque, come la misura di prevenzione in questione presupponga non la diretta perpetrazione del delitto da parte dell’impresa – situa-zione che darebbe luogo alle più incisive misure dal sequestro e della confisca di prevenzione – bensì la mera agevolazione, da parte dell’ente, del compimento, ad opera di altri, del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
In-9 L’antecedente storico di tale misura era rappresentato dalla «sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni connessi ad attività economiche», originariamente introdotta dall’art. 24, d.l. 306 del 1992, convertito con modificazioni in l. 356 del 1992.
10 In questo senso, cfr. Basile, Zuffada, 2020, 190.
11 Il Tribunale motiva circa l’impossibilità di disporre la più lieve misura del «controllo giudiziario delle aziende» cui all’art. 34-bis codice antimafia, in ragione della non occasio-nalità dei rapporti fra Uber e i fleet partners. Cfr. p. 3 ss. del decreto.
12 Disciplinati rispettivamente dagli artt. 20 e 24 del codice antimafia.
Opinioni e rassegne 109 somma, l’impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria è necessariamente – tanto dal punto di vista formale, quanto da quello sostanziale – terza13 rispetto agli autori del delitto di cui all’art. 603-bis c.p. Ed anzi, la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria si giustifica proprio perché consente la prosecu-zione dell’attività economica di società infiltrate dalla criminalità dopo averle ri-guadagnate alla piena legalità, realizzando così un’ambiziosa sinergia fra l’interesse pubblico e quello privato14.
Al fine di raggiungere questo obiettivo, il Tribunale nomina il giudice delegato nonché l’amministratore giudiziario, il quale – per un periodo non superiore ad un anno, ma prorogabile fino a due anni qualora ciò si riveli necessario per intervenire sulle situazioni che hanno dato luogo alla misura – viene, generalmente, immesso nel possesso dei beni e delle aziende oggetto della misura. L’amministratore eserci-ta «tutte le facoltà speteserci-tanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto del-la misura» e, qualora si tratti di società, «tutti i poteri spettanti agli organi di am-ministrazione e agli altri organi sociali secondo le modalità stabilite dal Tribunale, tenuto conto delle esigenze di prosecuzione dell’attività di impresa»15.
Una tale operazione può avvenire – ed è di fatto avvenuta, nella vicenda che ci occupa – anche qualora ci si trovi nella fase delle indagini preliminari per il delitto di cui all’art. 603-bis c.p., poiché per disporre la misura di prevenzione suddetta sono idonei «sufficienti indizi» tanto circa la sussistenza del delitto “agevolato”, quanto in relazione alla condotta “agevolatrice”. Un’agevolazione, poi, che assume di prefe-renza la forma colposa – che si verifica, insomma, per negligenza, imprudenza o im-perizia – poiché l’agevolazione dolosa del delitto di cui all’art. 603-bis c.p. potrebbe viceversa integrare sia forme di diretta responsabilità penale delle persone fisiche in-caricate del management dell’impresa (a titolo di concorso di persone nel reato, o di favoreggiamento personale o reale); sia forme di responsabilità dell’ente16.
Insomma, il procedimento di prevenzione volto ad applicare la misura di cui all’art. 34 del codice antimafia ha una consistenza eminentemente indiziaria ed è volto a neutralizzare il pericolo, futuro, di cointeressenza fra imprese “sane”, an-corché lambite da fenomeni criminali del tipo di quelli sui quali si indaga, e i sog-getti dediti a tali attività delittuose. Costituisce, dunque, uno strumento preventivo, diverso ed altro rispetto al – parallelo, nel nostro caso – procedimento penale volto ad accertare le responsabilità (passate) per condotte di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro e l’eventuale responsabilità – anche della persona giuridica
13 Cfr. Basile, Zuffada, 2020, 191; in relazione al caso in commento si veda Quattrocchi, 2020, 3.
14 Cfr. Basile, Zuffada, 2020, 191; ampiamente poi Menditto, 2020.
15 Cfr. art. 34 del codice antimafia.
16 Ai sensi del d.lgs. 231 del 2001, che vede fra i reati presupposto della responsabilità della persona giuridica, all’art. 25-quinquies, c. 2, lett. a, proprio il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Si segnala, in questo senso, la giurisprudenza di merito del Tribunale di Milano, che ha a più riprese affermato – come del resto ribadisce nel caso di specie – la rilevanza ai sensi dell’art. 34 del codice antimafia delle sole condotte di agevola-zione colposa. Cfr. T. Milano, sez. aut. mis. prev., decr. 23.6.2016, n. 6, in DPC, 11.7.2016, nt. Visconti.
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– a titolo di concorso in tale attività, in termini «prospettico-cooperativi» e non «re-trospettivo-stigmatizzanti»17.
3. Svolto l’opportuno approfondimento circa i requisiti e le finalità della misura di cui all’art. 34 del codice antimafia in relazione ai delitti di intermediazione ille-cita e sfruttamento del lavoro torniamo ora al caso oggetto di questa nota, soffer-mandoci su alcune delle sue peculiarità.
Innanzi tutto, la configurabilità del delitto di cui all’art. 603-bis c.p. in relazione alle condizioni di sfruttamento lavorativo cui vengono sottoposti – (almeno) dai fleet parteners – i ciclofattorini. Solo il procedimento penale ci dirà se le condotte poste in atto dalle società partner di Uber e dal colosso del food delivery, su cui la procura indaga, presentano tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Un’operazione, questa, tutt’altro che scontata per via delle molteplici insidie che la norma di cui all’art. 603-bis c.p.
presenta e della sua scarsa applicazione giurisprudenziale18, pur a fronte di un fe-nomeno di indubbia gravità e pervasività19.
Se delle incertezze applicative cui aveva dato luogo l’iniziale20 formulazione testuale del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro si è, in par-te, fatto carico il legislatore che lo ha recentemente riformato21, nuovo e sostan-zialmente inesplorato è lo scenario che vede l’applicazione dell’art. 603-bis c.p. al lavoro tramite piattaforma e al “caporalato digitale”22, quale prodotto estremo della gig economy23. La trasposizione di una norma nata per contrastare lo sfruttamento dei braccianti, soprattutto nel meridione, ad opera della criminalità organizzata – e per alcuni ancora troppo legata al suo contesto «genetico»24 – a “nuovi” contesti di sfruttamento non è scontata né automatica.
17 Cfr., in questo senso, Visconti, 2019, 237 ss.
18 Di «norma manifesto», con specifico riferimento alla precedente formulazione, parla di Martino, 2015, 109; nello stesso senso cfr. Giuliani, 2015, 141; Merlo, 2020.
19 Sul caporalato come fenomeno empiricamente documentato e per di più oggetto di al-cuni eclatanti casi di cronaca cfr. Giuliani, 2015, 20 ss.; Ferranti, 2016.
20 La fattispecie di cui all’art. 603-bis è stata introdotta, nella sua originaria formulazio-ne, dal d.l. 13.8.2011, n. 138, convertito con modificazioni nella l. 14.9.2011, n. 148.
21 La norma è stata integralmente sostituita dall’art. 1, c. 1, l. 29.10.2016, n. 199. Per una panoramica sul punto sulle ragioni della riforma e sui suoi esiti cfr. De Rubeis, 2017, 221 ss.
22 Di «caporalato digitale» parla, seppur con accezioni parzialmente differenti, la dottri-na giuslavoristica. La locuzione viene adoperata, ad esempio: da Di Meo, 2019, 66 per defi-nire, in generale, la situazione di sfruttamento cui sono esposti i lavoratori tramite piattafor-ma; da Barbieri, 2020, VI e da Garofalo, 2020, 658 ss. specificamente in relazione al caso Uber. Nella dottrina penalistica si vedano Merlo, 2020; Barberio, Camurri, 2020, 8.
23 Di «capitalismo delle piattaforme» parlano, ad esempio: nella dottrina penalistica, Merlo, 2020; e in quella giuslavoristica, Perulli, 2018, 115 ss.
24 Merlo, 2020, per cui «tale “etichetta” ha finito per costituire una sorta di ipoteca er-meneutica sulla fattispecie […] da anni, infatti, gli studi sociologici hanno gettato luce su forme di “super sfruttamento in ambiente urbano” non meno rilevanti, per intensità e dimen-sione, di quello delle campagne». Nello stesso senso Merlo, 2019.
Opinioni e rassegne 111 Com’è noto, infatti, l’art. 603-bis c.p. descrive la condotta di chi «recluta mano-dopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori» e di chi tale manodopera utilizza, assume o impiega, fermi restando i requisiti del necessario sfruttamento e dell’approfittamento della condizione di bisogno delle vittime. Al fine di meglio pre-cisare in cosa consista il concetto di «sfruttamento», di per sé piuttosto vago, il legi-slatore si è poi premurato di inserire all’interno della norma alcuni indici sintomatici di tale condizione: la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali, o comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della norma-tiva relanorma-tiva all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie; la sussistenza di violazioni delle norme in ma-teria di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; la sottoposizione del lavoratore a con-dizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Le condotte contenute nel catalogo appena enunciato, inteso dal legislatore qua-le strumento di agevolazione probatoria del requisito dello sfruttamento25, hanno finito, nella prassi, per assumere un ruolo sostanziale nella definizione del fatto ti-pico, mettendo di fatto in ombra il – pur necessario – requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno del lavoratore26, sostanzialmente presunto27 in presenza di una o più degli indici di sfruttamento suddetti.
Deve ritenersi significativa, invece, l’impostazione data al caso di specie dalla Procura prima e dalla Sezione specializzata poi, volta ad enfatizzare, in primo luo-go, proprio l’approfittamento di uno stato di bisogno particolarmente significativo dei lavoratori, disposti a tutto, o quasi, per non veder fallire il “sogno migratorio”.
Ciò, anche prescindendo da un puntuale riscontro degli indici sintomatici contenuti all’interno dell’art. 603-bis c.p.28; operazione particolarmente difficoltosa, nel caso che ci occupa, a causa delle incertezze circa la disciplina civilistica applicabile al lavoro tramite piattaforma29.
Una seconda, significativa peculiarità del caso di specie – a più riprese segnala-ta dai commensegnala-tatori30 – riguarda il “vero” ruolo da attribuirsi ad Uber nella
gestio-25 In questo senso cfr. ancora Merlo, 2020, oltreché Fiore, 2013, 887; De Rubeis, 2015, 226; Di Giuseppe, 2018, 136; Bin, 2020, 11; nel senso della natura sostanziale degli indici Gaboardi, 2017, 4 ss. Di «processo di definizione “dinamico” della tipicità del fatto» parlano di Martino, 2020, 63 ss. e passim e Torre, 2020.
26 Cfr., ad esempio, la recentissima Cass. pen. 29.1.2020 n. 10209, Anghileri, in cassa-zioneweb.it e i precedenti ivi citati.
27 Il rischio di un automatismo di tal genere – già segnalato in sede di commento della ri-forma da Padovani, 2016, 50 – è ribadito da Gaboardi, 2017, 6.
28 Proprio la difficoltà di riscontrare gli indici sintomatici di sfruttamento ha messo fine alla vicenda torinese a carico di un’altra famosa piattaforma di food delivery, Foodora, in cui il giudice del lavoro adito da alcuni riders non ritenne di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica; cfr. A. Torino n. 26/2019, su cui Merlo, 2019.
29 Lo sottolinea incisivamente Torre, 2020.
30 Cfr., in particolar modo, Torre, 2020; Quattrocchi, 2020, 3; Barberio, Camurri, 2020, 15 ss.
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ne dei riders: la corretta qualificazione civilistica del rapporto di lavoro intercor-rente fra i ciclofattorini e le varie imprese della “galassia Uber” e, sul fronte pena-listico, la configurabilità di una responsabilità penale della società e/o dei suoi di-pendenti (e non solo dei fleet partners) per il delitto di cui all’art. 603-bis c.p. I due profili non sono necessariamente interconnessi: stante l’ampiezza della nozione di
«utilizzo» prescelta dal legislatore, ben si potrebbero immaginare condizioni di sfruttamento anche all’interno di rapporti di lavoro “tipici”, magari in violazione della normativa giuslavoristica; certamente, però, la corretta qualificazione dei rapporti intercorrenti fra le parti in gioco faciliterebbe l’individuazione, in concre-to, degli indici di sfruttamento richiesti dall’art. 603-bis c.p.
Come abbiamo già avuto modo di osservare, tuttavia, la ricostruzione dei rap-porti fra (i singoli dipendenti del)le varie società emergono solo frammentariamen-te dal compendio probatorio posto a fondamento della proposta di misura di pre-venzione formulata dalla procura e non consentono, allo stato, di sciogliere il nodo fondamentale della effettiva terzietà di Uber rispetto ai fatti, in ipotesi costituenti reato, messi in atto delle imprese della cui partnership la società si avvaleva. Solo un’agevolazione colposa – come la misura di prevenzione prescelta parrebbe sug-gerire – o, invece, forme di concorso nel reato o di favoreggiamento (ex art. 378 o 379 c.p.)? Anche per conoscere la risposta a questa domanda dovremo aspettare le evoluzioni della vicenda in commento sul piano propriamente punitivo; tenendo bene a mente, comunque, che uno dei possibili esiti dell’amministrazione giudizia-ria di cui all’art. 34 del codice antimafia – oltre alla proroga e, ovviamente, alla re-voca (anche con contestuale applicazione della più lieve misura del controllo giu-diziario di cui all’art. 34-bis del codice antimafia) – è quello della confisca dei beni che dovessero presentarsi, dopo un esame più accurato, quali frutto o provento di attività illecita31.
Qualche parola, infine, sulla particolare tipologia di amministrazione giudiziaria disposta dal Tribunale nel caso di specie, particolarmente elastica e sensibile alle no-tevoli dimensioni della società nei confronti della quale la misura si indirizza32.
Va rilevato, in particolar modo, come l’amministratore giudiziario non sia stato, nel caso che ci occupa, immesso nel possesso dei beni aziendali, bensì semplice-mente incaricato del duplice compito di esaminare l’assetto della società con parti-colare riferimento ai rapporti intercorrenti con le altre imprese appartenenti alla
“galassia Uber”, nonché di verificare l’idoneità del modello organizzativo e ge-stionale (ex art. 6, d.lgs. 231 del 2001), di cui la società è dotata, a prevenire reati della specie di quelli oggetto di indagine, con particolare riferimento ai rapporti con la flotta di riders. All’amministratore è poi dato mandato di valutare il com-plessivo atteggiamento assunto dalla società proposta a valle del provvedimento del Tribunale con riferimento alla composizione degli organi amministrativi e alle politiche contrattuali intraprese con riferimento alla gestione dei ciclofattorini e di vigilare sulla corretta osservanza delle regole. Una forma di amministrazione giu-diziaria, insomma, particolarmente mite e flessibile (e, nelle sue caratteristiche,
31 Cfr. ancora Basile, Zuffada, 2020, 193.
32 Cfr. p. 59 del decreto.
Opinioni e rassegne 113 molto simile alla più lieve misura di cui all’art. 34-bis del codice antimafia) e una concentrazione di poteri gestori in mano all’amministratore molto limitata a fronte di un compito certamente non semplice.
Insomma, un approccio “innovativo” alle complesse vicende di sfruttamento della manodopera che si registrano in relazione al lavoro su piattaforma e che coinvolgono fasce particolarmente deboli di lavoratori.
Non ci resta, allora, che attendere il prossimo capitolo di una vicenda che cer-tamente ce ne riserverà ancora molti33 e che rappresenta, oggi, una «punta avanza-tissima»34 dell’esperienza applicativa delle misure di prevenzione patrimoniale a fenomeni di estrema rilevanza prasseologica, la cui disciplina – tanto sul piano giu-slavoristico, quanto su quello penalistico – permane tuttavia caratterizzata da forti incertezze.
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34 In questo senso Merlo, 2020.
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Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 169, 2021, 1 (ISSN 1720-4321, ISSNe 1972-5507) DOI: 10.3280/GDL2021-169007
MATERIALI
Recensione a C. Trigilia (a cura di), Capitalismi e democrazie. Si posso-no conciliare crescita e uguaglianza?, il Muliposso-no, 2020 (Marzia Barbera e Claudio Lucifora)*
Con il mondo intero sull’orlo del precipizio dopo il Covid-19 e i governi nazionali alla ricerca di politiche per ripristinare crescita economica e con-trastare le diseguaglianze, il volume curato da Carlo Trigilia offre una pro-spettiva multidisciplinare sulla sosteni-bilità ed inclusività dei programmi di sviluppo economico adottati nei Paesi più sviluppati negli ultimi decenni. Il libro muove da una domanda di ricerca
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