3. L’evoluzione successiva della connotazione di litem suam facere
1.4. Le actiones in factum adversus nautas, caupones et stabularios: uno sguardo
factum adversus nautas, caupones et stabularios e tracciare delle linee conclusive sui quasi delicta in
relazione al iudex qui litem suam fecerit.
Innanzitutto si può notare come anche questa sia una categoria di azioni in factum, che però non ha trovato una perifrasi altrettanto includente come litem suam facere e a differenza di questa rimane una categoria anche sotto il diritto giustinianeo.
Tali rimedi trovano compiutezza in quanto le azioni di ius civile a tutela del furto e del danneggiamento avrebbero potuto essere non sufficienti per la tutela dei danni subiti da
vectores e viatores530, in epoca classica furono istituite dal pretore delle tutele in factum contro
nautae (armatori), caupones (albergatori) e stabularii (stallieri)531. Se analizziamo i testi:
J. 4.5.3:
Item exercitor navis aut cauponae aut stabuli de dolo aut furto, quod in nave aut in caupona aut in stabulo factum erit, quasi ex maleficio teneri videtur, si modo ipsius nullum est maleficium, sed alicuius eorum, quorum opera navem aut cauponam aut stabulum exerceret: cum enim neque ex contractu sit adversus
530 Cfr. MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 187 ss. L’azione a tutela del furtum sia manifestum, che nec manifestum era già
presente ai tempi della Lex XII Tabularum, mentre per il danneggiamento vi era l’actio legis Aquiliae.
531 Per un approfondimento ex professo su tali rimedi cfr. su tutti F.M. DE ROBERTIS,Receptum nautarum.
Studio sulla responsabilità dell’armatore in diritto romano, con riferimento alla disciplina particolare concernente il caupo e lo stabularius, Bari, 1952, nonché il più recente contributo di R. FERCIA,Criteri di responsabilità dell’exercitor. Modelli culturali dell’attribuzione del rischio e «regime» della nossalità nelle azioni penali in factum contra nautas, caupones et stabularios, Torino, 2002.
eum constituta haec actio et aliquatenus culpae reus est, quod opera malorum hominum uteretur, ideo quasi ex maleficio teneri videtur. in his autem casibus in factum actio competit, quae heredi quidem datur, adversus heredem autem non competit.
D. 44.7.5.6 (Gai., aurea, 3):
Item exercitor navis aut cauponae aut stabuli de damno aut furto, quod in nave aut caupona aut stabulo factum sit, quasi ex maleficio teneri videtur, si modo ipsius nullum est maleficium, sed alicuius eorum, quorum opera navem aut cauponam aut stabulum exerceret: cum enim neque ex contractu sit adversus eum constituta haec actio et aliquatenus culpae reus est, quod opera malorum hominum uteretur, ideo quasi ex maleficio teneri videtur.
notiamo che la responsabilità per i soggetti sovra menzionati fosse automatica in caso di danno o furto e, infatti, l’imputabilità per essi poteva venire meno solo per caso fortuito o forza maggiore532.
I due passi si differenziano oltre che per il dato formale del diverso modo e tempo di sum nel primo periodo, anche per la sostituzione di damno con dolo e l’aggiunta del periodo finale da parte dei compilatori533.
Proprio tale ultimo periodo aggiunto dai compilatori, va chiarito, presenta il richiamo alle
actiones in factum, assente nella descrizione delle altre figure quae quasi ex delicto nascuntur,
perché, come abbiamo già sostenuto in precedenza durante la trattazione delle actiones in
factum, nel diritto giustinianeo si considerano tali tutti i rimedi esperibili per azioni non corpore534.
Per tale ragione gli studiosi che si sono cimentati sul punto535 individuano in tale figure le c.d. actiones damni et furti in factum adversus nautas, caupones et stabularios per il periodo classico, che è corretto definire actiones doli et furti in factum per il periodo giustinianeo.
Il danneggiamento o il furto, infatti, non venivano commessi direttamente e, dunque,
corpore dal nauta, dal caupo o dallo stabularius, altrimenti si sarebbe configurato un delitto e
un’azione diretta per furto o danneggiamento in capo a quest’ultimi536.
532 Si evince ciò da D. 4.9.3.1 (Ulp., ad edictum, 14). Cfr. MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 189, n. 4.
533 Per quanto concerne la sostituzione di damno con dolo la ragione si rinvenirebbe nella tendenza bizantina
a configurare il dolo come una figura a sé di delictum civile. Cfr. G. FALCONE, Il metodo di compilazione delle
Institutiones di Giustiniano in AUPA 45,1, p. 221 ss. (342). Per il problema della intrasmissibilità passiva e la trasmissibilità attiva all’erede di tali azioni cfr. MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 240 ss., la quale sottolinea la presenza
di questa norma già in D. 4.9.7.6 (Ulp., ad edictum, 18).
534 Vedi supra J. 4.3.16. Cfr. DESANTI, La legge Aquilia, cit., p. 68. 535 Cfr. MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 190, n. 5 per bibliografia.
Il richiamo alle actiones in factum sarebbe, dunque, qui specificato, al contrario delle altre figure della categoria, dal momento che si trattava di rimedi da poter essere utilizzati al posto delle corrispettive azioni dirette, in quanto non si conoscevano gli autori materiali degli illeciti e non vi poteva essere l’azione di regresso, quindi, contro questi.
Si deve specificare, inoltre, che il pretore aveva inserito nell’editto questi rimedi, sebbene Pomponio ritenesse che la posizione dei danneggiati potesse essere adeguatamente tutelata da altri rimedi già presenti nel ius civile537, a testimonianza del fatto che lo stesso soggetto poteva utilizzare diverse strategie processuali per poter far valere la propria pretesa.
In tale porzione edittale, probabilmente, come per le altre figure della categoria, non vi era nessuna indagine intorno all’elemento psicologico del nauta, del caupo o dello stabularius, ma già Gaio parlava per essi di aliquatenus culpae, formula ripresa dai compilatori giustinianei.
C’è chi ha sostenuto che tale forma avverbiale indefinita servisse a voler giustificare una responsabilità per fatto altrui538, altri hanno, invece, scorto nell’avverbio una sorta di presunzione di colpa539; indubbiamente tale locuzione è stata mantenuta dai compilatori giustinianei per giustificare il fondamento di culpa in eligendo e culpa in vigilando540, ma a me sembra che l’utilizzo fattone da Gaio fosse del tutto diverso.
Se analizziamo letteralmente il termine aliquatenus indica un qualcosa di incompleto, che non si spinge fino al limite massimo e, dunque, di limitato; a mio giudizio, dunque, aliquatenus
culpae indicherebbe, secondo il riferimento gaiano, una colpa non piena, qualcosa cioè che
rientra nell’ambito dell’imputabilità, ma non può essere definita come culpa piena, alla stregua dell’imprudentia nel iudex qui litem suam fecerit541.
Tale visione è corroborata, inoltre, dalla descrizione gaiana delle obbligazioni ex variis
causarum figuris ossia che nascono proprio iure542; secondo tale impostazione, come abbiamo già
536 Cfr. su tutti F. SERRAO,Impresa e responsabilità a Roma nell’età commerciale, Pisa, 2002, p. 109.
537 D. 4.9.3.1 (Ulp., ad edictum, 14): Ait praetor: "nisi restituent, in eos iudicium dabo". ex hoc edicto in factum actio
proficiscitur. sed an sit necessaria, videndum, quia agi civili actione ex hac causa poterit: si quidem merces intervenerit, ex locato vel conducto: sed si tota navis locata sit, qui conduxit ex conducto etiam de rebus quae desunt agere potest: si vero res perferendas nauta conduxit, ex locato convenietur: sed si gratis res susceptae sint, ait Pomponius depositi agi potuisse. miratur igitur, cur honoraria actio sit inducta, cum sint civiles: nisi forte, inquit, ideo, ut innotesceret praetor curam agere reprimendae improbitatis hoc genus hominum: et quia in locato conducto culpa, in deposito dolus dumtaxat praestatur, at hoc edicto omnimodo qui receperit tenetur, etiam si sine culpa eius res periit vel damnum datum est, nisi si quid damno fatali contingit. Per approfondimenti sul punto cfr. MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 189, n. 4 e ivi bibliografia sul punto.
538 Cfr. FERCIA,Criteri di responsabilità, cit., p. 40 ss., n. 38.
539 Cfr. su tutti F.M. VITRANO,Note intorno alle azioni «in factum» di danno e di furto contro il «nauta» il «caupo» e lo
«stabularius», Palermo, 1909, p. 43, n. 2 e ivi letteratura citata; C.A. CANNATA,Sul problema della responsabilità nel
diritto privato romano, Catania, 1996, p. 94 ss. e più recentemente MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 196, n. 17. 540 Cfr. sul punto MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 197 n. 18 e p. 238 ss.
541 Sulla comunanza di forme indefinite per la responsabilità delle obbligazioni quae quasi ex delicto nascuntur
cfr. MATTIOLI,Ricerche, cit., p. 196, n. 16.
ribadito, non si potevano applicare i medesimi criteri dei contratti e delitti e, pertanto, nemmeno le categorie soggettive di dolo o colpa.
Nonostante ciò Gaio nella descrizione delle obbligazioni quasi ex maleficio teneri per non spingersi sino alla qualificazione di culpa per le actiones in factum adversus nautas, caupones et
stabularios, aveva attenuato con l’avverbio aliquatenus l’elemento minimo integratore delle
fattispecie delittuose.
Nella mente del giurista antoniniano, dunque, l’indeterminatezza era necessaria proprio per non definire il grado di responsabilità, ma in qualche modo escluderlo dall’alveo della colpa piena, che, invece, caratterizzava i delicta.
Iniziali profili di culpa in eligendo si ravvisano in: D. 4.9.7.4 (Ulp., ad edictum, 18):
Hac autem actione suo nomine exercitor tenetur, culpae scilicet sui qui tales adhibuit…
ove si profilerebbe una giustificazione dell’imputabilità dell’exercitor543, per la colpa di aver assunto il dipendente che aveva causato il danno.
Secondo tale impostazione, dunque, si potrebbe dedurre che in età severiana si sia cominciato a gettare le basi sulla responsabilità come culpa in eligendo e in vigilando per quanto concerne l’actio adversus nautas, caupones et stabularios, concetto che si sarebbe poi sviluppato sotto Giustiniano.
1.5. La differenza tra l’impostazione gaiana e giustinianea nelle obbligazioni quasi ex maleficio