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Il litem suam facere che travalica i confini della responsabilità privata

3. L’evoluzione successiva della connotazione di litem suam facere

3.3. Il litem suam facere che travalica i confini della responsabilità privata

Senza approfondire la responsabilità pubblica del giudice nel tardo-antico465, occorre soffermarsi su locuzioni sintattiche simili a quella di litem suam facere per comprendere se la distinzione tra tale ultima locuzione e le pene per i crimina giudiziali fosse ancora così netta come nel periodo classico.

Se osserviamo:

CTh. 9.27.5 = C. 9.27.3466:

IMPP. GRATIANUS, VALENTINIANUS ET THEODOSIUS AAA. HAVE MARCELLINE KARISSIME NOBIS. Omnes cognitores et iudices a pecuniis atque a patrimoniis manus abstineant neque alienum iurgium putent suam praedam. Etenim privatarum quoque litium cognitor idemque mercator parem capitis ac vitae, quae peculatos reos consuevit involvere, cogetur subire iacturam.

464 Cfr. SCEVOLA,In margine, cit., p. 476 ss., che pur ammette ciò, ma che ritiene la descrizione di D. 44.7.5.4

e D. 50.13.6 (Gai., res cottidianae, 3) non classica.

465 Ad esempio quella che avevamo visto con P.S. 5.25.4 la responsabilità del iudex qui contra sacras principum

constitutiones pronuntiat. Cfr. F. NASTI, L’attività normativa di Alessandro Severo I. Politica di governo riforme amministrative

e giudiziarie, Napoli, 2006, p. 112 ss.; LAMBERTINI,Testi e percorsi, cit., p. 206 ss. Per altri casi si rinvia a BARBATI,

Abusi, cit., p. 388 ss.

466 Tra le due costituzioni c’è una differenza di pena, come evidenziato da BARBATI,Abusi, cit., p. 362 ss. e

DAT. PRID. NON. MEDIOLANO MEROBAUDE II ET SATURNINO CONSS. (4 apr.

383).

ciò che a noi interessa, è proprio la costruzione iudices qui alienum iurgium putent suam

praedam, che ricorda molto, come forma linguistica e a livello concettuale, il iudex qui litem suam fecerit, eppure per il giudice che “avesse considerato sua preda il giudizio altrui”,

unitamente a colui che “aveva messo le mani su denari e patrimoni”, è prevista la pena capitale, come nel caso di peculato. Se ne rileva, dunque, una piena responsabilità criminale.

Probabilmente qui il termine praeda si riferisce precipuamente alla concussione467, dal momento che sembrerebbe sottindendere un comportamento estorsivo di ricchezze: ciò avrebbe conferma nell’equiparazione al livello penalistico tra concussione, corruzione (al quale si riferirebbe, invece, il termine mercator468) e peculato.

La costruzione, però, di alienum iurgium putare suam praedam e litem suam facere, come si evince dalle fonti tardo-antiche è, tuttavia, molto simile e la differenza sembrerebbe consistere unicamente nell’assunto che, mentre per il primo caso l’atteggiamento sanzionato è, appunto, la concussione, nel secondo è un generitico favoritismo doloso nei confronti di una parte, non dettato da volontà di arricchimento.

L’aporia, però, ha contorni molto flessibili e si può superare soltanto con buona dose di attività ermeneutica.

Problema parzialmente analogo si rinviene anche per quanto riguarda l’atteggiamento del “giudicare in causa propria” come si evince da:

CTh. 2.2.1 (=BREV. 2.2.1):

IMPP. VALENS, GRATIANUS ET VALENTINIANUS AAA. AD GRACCHUM PRAEFECTUM URBI. Promiscua generalitate decernimus neminem sibi esse iudicem debere. Cum enim omnibus in re propria dicendi testimonii facultatem iura submoverint, iniquum ammodum est licentiam tribuere sententiae. LECTA KAL. DECEMB. VALENTE V ET VALENTINIANO AA. CONSS. (1 dec. 376).469

467 Di questo avviso anche BARBATI,Abusi, cit., p. 364. 468 Cfr. BARBATI,Abusi, cit., p. 364.

469 Il passo è l’unica costituzione del titolo 2 del secondo libro del Codex Theodosianus, intitolato NE IN

SUA CAUSA QUI IUDICET ed è riportata con qualche modifica formale in C. 3.5.1 e in C. 40.20.10. Il contenuto, poi è ripreso in Lex Rom. Burg. 42 e J. 3.5. Cfr. LAMBERTINI, Testi e percorsi, cit., p. 196 ss. La

costituzione ha influenzato anche l’opera di Isidoro di Siviglia. Cfr. P. BIANCHI,Il principio di imparzialità del giudice: dal codice Teodosiano all’opera di Isidoro di Siviglia in Ravenna capitale. Uno sguardo ad Occidente. Romani e Goti – Isidoro di Siviglia, Bologna, 2012, p. 181 ss.

Qui, infatti, vi è un caso di ricusazione/astensione obbligatoria, del quale già Ulpiano ci aveva dato testimonianza con la nozione di suae rei iudicem fieri470 o la simile di rei suae familiaris

periculo471, mettendo dunque in risalto la differenza con litem suam facere; in entrambi i casi, però la sanzione non è descritta e per tale ragione, coerentemente, Lambertini ritiene che la norma contenuta in CTh. 2.2.1 non vada oltre il precetto472.

È lo stesso autore, tuttavia, a notare come conseguenze criminali si possano intravedere da:

Cons. 8.1473:

Adde dum sollicitudinis tuae cura tractavit, ut de effractoribus et manifesto crimine comprehensis quam iudex debuit ferre sententiam, tractatus nostri pagina declaret: aut si maritus, quem iudiciariae potestatis cingit auctoritas, de servis, qui res uxorias manifesto crimine abstulisse convicti sunt, peremptoriam debuertit ferre sententiam, quasi id obici possit, in propria causa quis iudicet stulte: huic lex divorum principum quae infra legitur opponenda maritum illa tantum negotia uxoris velut extraneum auctore prosecuturum, quae procuratio emissa perscripserit. […] 8.8: Intellegat nunc improbus accusator cinctum iudicem et uxoria velut externa debuisse negotia definire: et non licuisse, ut alienum reatum metueret, cui de manifestis reis non licuit tardare sententiam.

Tralasciando le questioni di merito, dal termine improbus accusator utilizzato in Cons. 8.8, si potrebbe evincere la possibile responsabilità penale per il iudex in tale ipotesi474.

La differenza con il litem suam facere riguarderebbe, in quest’ultimo caso, il non diretto coinvolgimento, a differenza del caso di iudicare in propria causa, ma una generica propensione

470 Qui Ulpiano cita un’opinione di Salvio Giuliano, D. 5.1.17 (Ulp., ad edictum, 22): Iulianus ait, si alter ex

litigatoribus iudicem solum heredem vel ex parte fecerit, alius iudex necessario sumendus est, quia iniquum est aliquem suae rei iudicem fieri. Secondo FUENTESECA,El enigmatico significado, cit., p. 33 il contravvenire a tale precetto produrrebbe

la nullità della sentenza, ma ciò non è attestato dalle fonti a nostra disposizione.

471 Cfr. D. 5.1.18.pr., già riportato supra a proposito del rimedio de vacatione.

472 Cfr. LAMBERTINI,Testi e percorsi, cit., p.197, n. 17, il quale nota che un caso analogo avveniva anche per

l’officium di avvocato con la costituzione, riportata in CTh. 2.10.5 (= C. 2.6.6.pr.), di Valentiniano e Valente del 368/370.

473 Sulla Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti cfr. C.A. CANNATA, La cosiddetta ‘Consultatio veteris cuiusdam

iurisconsulti’ in Il diritto fra scoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia della giustizia civile. Atti del Convegno Internazionale della Società Italiana di Storia del Diritto (Napoli, 18-20 ottobre 2001), Napoli, 2003, p. 201 ss.; G. ZANON, ‘Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti’. Consultazione di un vecchio giureconsulto, Napoli, 2006; IDEM,

Indicazioni del metodo giuridico della ‘Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti’, Napoli, 2009. Sul testo specifico cfr. R. LAMBERTINI, Cons. 8, il ‘vetus iurisconsultus’ e il giudice in causa propria (Aspetti della responsabilità del giudice nel

tardoantico) in Principi generali e tecniche operative del processo civile romano nei secoli IV-VI d.C. Atti del convegno (Parma 18- 19 giugno 2009), Parma, 2010, p. 183 ss.

dolosa per una parte, che non si spinga, però, fino ad un immedesimazione per un interesse proprio del iudex o di un prossimo congiunto, come nel caso di Cons. 8.1.

Lo spazio, dunque, del litem suam facere, pur essendo un’ipotesi meno grave e con profili diversi rispetto alla corruzione e alla mancata astensione obbligatoria475, viene però, ora, ad essere utilizzato come una perifrasi che ha punti di contatto con entrambe le ipotesi, visibili anche sotto il punto di vista sintattico-lessicale.

La netta distinzione che si era notata a proposito del periodo a cavallo tra secondo e terzo secolo d.C. tra litem suam facere e responsabilità pubblica viene, dunque, qui a scemare, come è visibile anche da:

CTh. 2.1.6(=BREV. 2.1.6)476:

IMPPP. GRATIANUS, VALENTINIANUS ET THEODOSIUS AAA. NEOTERIO PRAEFECTO PRAETORIO. Exceptis his, quibus extra ordinem subvenitur, omnes iacturam litis incurrant, qui non ante in proprio foro iurgaverint, siquidem possint venire ad altioris iudicis notionem, cum iudicatum quod displicet appellatione excluserint: ita ut, si quis litigator se vel fastidio vel gratia cognitoris aut non auditum aut dilatum docuerit et eius litis quae protracta est aestimationem fisco nostro iudex praestet et in primores officii poena deportationis ilico deprometur. DAT. PRID. KAL. MAI. MEDIOLANO ARCADIO A. I ET BAUTONE CONSS. (30 apr. 385).

Viene qui in luce che, nel caso in cui una delle parti abbia dimostrato che il giudice non abbia tenuto udienza ovvero abbia effettuato dilationes per suo fastidium o sua gratia, venga ad essere punito nei confronti del fisco per quanto è il valore della lis e i primores officii477 subiscano la pena della deportatio.

Qui vengono in luce due tipi di responsabilità: criminale e “penale-disciplinare”, ma si può subito notare come vi sia una maggior severità di repressione per comportamenti analoghi a quelli previsti da CTh. 2.6.2 (la quale prevedeva, invece, solo un indennizzo nei confronti del danneggiato), con una specificazione ulteriore però, ossia che non era sufficiente la neglegentia o la desidia, ma doveva essere provato il fastidium o la gratia del giudice.

475 Per certi aspetti sembrano concordare DE MARTINO,‘Litem suam facere’, cit., p. 24 e LAMBERTINI,Testi e

percorsi, cit., p. 199 ss.

476 Per approfondimenti sul passo cfr. LAMBERTINI, Testi e percorsi, cit., p. 203 ss. e BARBATI,Abusi, cit., p.

357 ss. (e ivi n. 45 per l’errore di attribuzione a Graziano che era già morto nel 383).

477 Per quanto concerne i primores officii, LAMBERTINI, Testi e percorsi, cit., p. 203, n. 27, traduce come

“principali dell’officium”, mentre BARBATI,Abusi, cit., p. 356 rende con “responsabili dell’officium”. In accordo con l’interpretatio ad Brev. Alar. 2.1.6, il quale riproduce il concetto con la perifrasi qui consiliis suis adhaerent, sembra alquanto pacifico che la pena sia estesa anche a tutti gli aiutanti del giudice.

Se, dunque, assumessimo la covigenza delle due constitutiones478, se ne dedurrebbe che il mutamento dell’elemento psicologico comportava una diversificazione della natura di responsabilità.

Nell’effettuare, dunque, un’indagine sulla descrizione degli “elementi soggettivi” dell’agente, il termine gratia è stato già analizzato in precedenza, dal momento che rientra nella casistica già prevista da D. 5.1.15.1 come sinonimo di coniventia479, ma più complessa è la resa di fastidium, lemma polisemico.

Secondo Barbati tale vocabolo alluderebbe alla neglegentia, tanto che lo rende con “trascuratezza”480, ma tale connotazione non sembra poter emergere dal latino fastidium o

superbia, sinonimo utilizzato nell’interpretatio visigotica del passo481.

Coerentemente alla resa di Lambertini482, il vocabolo andrebbe espresso come “atteggiamento di superiorità” e, dunque, a me sembra che anch’esso indichi una partecipazione dolosa, in quanto il giudice che con superbia procura un danno è pienamente consapevole delle proprie azioni.

In questo senso può allora essere utilizzata la testimonianza di Macrobio in Saturnalia 3.16.15, che, come abbiamo già visto, sembrerebbe proprio spiegare tale superbia dei iudices. L’autore scrive, infatti, la propria opera intorno al 430 descrivendo le abitudini lussuose dei giudici e sostiene inde ad comitium vadunt ne litem suam faciant, pur attribuendo tali parole a Caio Tizio.

Già si è detto abbondantemente a proposito dell’inattendibilità della testimonianza storica,483 ma vi sono tre indizi che potrebbero indurci a sostenere che l’erudito utilizzasse l’auctoritas di un retore antico per fare una satira sui iudices del periodo a lui coentemporaneo:

in primis il riferimento ai giudici come ad una “classe” di soggetti privilegiati, che ben si sposa

con la figura dei funzionari imperiali sotto il Dominato, in secundis il terrore di questi ultimi nel non presentarsi in giudizio, che ha connotati giustificabili dalla costituzione riportata in CTh. 2.1.6 e per ultimo, bisogna considerare che Macrobio si stava rivolgendo ad un pubblico che doveva immediatamente comprendere il riferimento ne litem suam faciant: qualora

478 Sembrerebbe di questa opinione BARBATI,Abusi, cit., p. 356.

479 LAMBERTINI,Testi e percorsi, cit., p. 204 è concorde nel tradurlo con connivenza. 480 BARBATI,Abusi, cit., p. 356 ss.

481 Interpretatio ad Brev. Alar. 2.1.6: … se vel superbiam vel propter amicitia adversarii sui probaverit…. 482 LAMBERTINI,Testi e percorsi, cit., p. 204.

si fosse riferito al rimedio esperibile sotto la vigenza del periodo formulare non lo avrebbe potuto intuire nessuno, fuorché i conoscitori del diritto classico484.

Il comportamento dei iudices descritto da Macrobio, inoltre, è proprio di fastidium, ma non si spingeva mai fino all’omissione del proprio officium presenziale e l’unica ragione di ciò era una responsabilità giudiziale così atterrente, come quella di CTh. 2.1.6, da indurre al presenzialismo.

Si può asserire che, in accordo con un’interpretazione sistematica di CTh. 2.1.6 e

Saturnalia 3.16.15, alla parte interessata sarebbe bastato dimostrare l’assenza del giudice nel

giorno previsto per l’udienza per fare incorrere quest’ultimo nella responsabilità suddetta, dovendosi presupporre l’elemento psicologico, quantomeno del fastidium, in caso di mancata comparizione senza un giustificato motivo.

Se ne deduce, dalla nostra ricostruzione, che il riferimento al iudex qui litem suam fecerit di Macrobio, attenesse non tanto ai profili sanzionatori dal lato pecuniario, in larga parte conformi con la massima ulpianea di D. 5.1.15.1485, ma alla pena della deportatio susseguente.

Tutto ciò induce a considerare il litem suam facere a cavallo tra quarto e quinto secolo come un’imputabilità per fatto doloso del iudex, che aveva assunto sempre più significati criminali.