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Le aperture della giurisprudenza sul possibile risarcimento

Pur tenendo fede al dogma dell’irrisarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi, la giurisprudenza, in un primo momento, ha riconosciuto tutela risarcitoria a posizioni che nella sostanza erano

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83 d’interesse legittimo oppositivo, facendole passare, tramite artifizio, per diritti soggettivi.

Occorre a riguardo accennare alla netta distinzione, tracciata dalla giurisprudenza tradizionale e sorretta dalla dottrina predominante, tra diritti derivati, così detti interessi oppositivi di diritti derivati, e diritti originari, così detti interessi oppositivi di diritti originari. I primi si caratterizzano per la derivazione da un atto ampliativo della P.A. come ad esempio una concessione. I secondi, invece, sono diritti nati perfetti ma degradabili a interessi legittimi laddove si verifichi un’incompatibilità con 1’interesse pubblico. Per quanto riguarda i diritti oppositivi di diritti derivati, la giurisprudenza ha in un primo momento ammesso il risarcimento del danno nel solo caso di illegittima compressione di diritti originari. Da lungo tempo, infatti, la Corte regolatrice non ha dubitato riguardo alla possibilità, per il privato, di agire per il risarcimento del danno, previo annullamento a opera del G.A. di un provvedimento illegittimo idoneo a recidere una posizione di diritto soggettivo originariamente goduta, degradandola a mero interesse legittimo. La forza retroattiva della sentenza di annullamento del G.A. nei riguardi dell’atto illegittimo determinava la rinascita con effetti ex tunc, della posizione di diritto soggettivo compressa, lasciando residuare una lesione della medesima suscettibile di ristoro in ambito extracontrattuale. Si è così creato un meccanismo che consentiva al privato di rivolgersi al Giudice ordinario per il risarcimento, una volta ottenuta la riespansione dei diritto compresso grazie alla pregiudiziale pronuncia del Giudice amministrativo di annullamento, la così detta pregiudiziale amministrativa.

Per quanto riguarda, invece, i diritti nati in virtù di un atto ampliativo della P.A., la giurisprudenza ha inizialmente negato la risarcibilità del danno conseguente a un atto di ritiro poi annullato

84 dal Giudice Amministrativo, sul rilievo che, seppure in capo al privato viene a configurarsi a seguito del rilascio dell’atto una posizione di diritto soggettivo, tale diritto, proprio perché partorito dalla volontà dell’Amministrazione, gode, di fronte al potere di autotutela decisoria della stessa, di una protezione nient’affatto incondizionata, ma subordinata al perseguimento dell’interesse pubblico.

In questa materia si sono registrate significative aperture da parte della giurisprudenza. In ossequio alle sollecitazioni della dottrina più evoluta, si è evidenziato come tra le due categorie di diritti soggettivi non fosse ravvisabile alcuna differenza strutturale. Si tratta infatti in entrambi i casi di diritti risolutivamente condizionati, non v’è quindi ragione di applicare due distinte modalità di risarcimento. Indipendentemente dalla derivazione o meno della situazione soggettiva da un provvedimento amministrativo, i titolari vedono parimenti riespanso, con effetto retroattivo, il proprio diritto per via della sentenza di annullamento del G.A.

Finalmente abolita una discriminazione vetusta ed anacronistica, la Suprema Corte, con la storica pronuncia delle Sezioni Unite del 1979, in materia di licenze di commercio, ha osservato che l’interesse pretensivo, al varo di un atto ampliativo per lo svolgimento di attività economiche riconosciute dall’ordinamento, pur essendo in origine un mero diritto in attesa di espansione, una volta conseguito l’atto richiesto è da considerarsi come diritto soggettivo perfetto. La relativa compressione a mezzo di un provvedimento contra legem di ritiro, legittima pertanto l’esperimento dell’azione civile innanzi al G.O. per il risarcimento del danno, ovviamente solo dopo l’annullamento in sede amministrativa.

85 La parte della giurisprudenza che dichiara l’impossibilità di risarcimento di interessi legittimi di natura pretensiva, è stata ampiamente criticato in dottrina, e l’insostenibilità del dogma dell’irrisarcibilità è emersa anche nella legislazione anteriore al 1999, soprattutto grazie all’intervento del diritto comunitario. Va infatti ricordato in materia l’oggi abrogato art. 13 della L. 142/1992, legge emanata in attuazione della dir. CE/89/665 in tema di appalti.

La norma in esame prevedeva che “i soggetti che hanno subito

una lesione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o delle relative norme interne di recepimento possono chiedere all'Amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del danno. La domanda di risarcimento è proponibile dinanzi al Giudice ordinario da chi ha ottenuto l'annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo”

L’obiettivo della direttiva europea era quello di evitare che le pubbliche amministrazioni, in caso di concorsi, favorissero le imprese

nazionali a scapito di quelle degli altri Paesi comunitari. Per garantire ciò, il Legislatore comunitario ha imposto di garantire forme rimediali comprendenti il risarcimento del danno, ritenuto indispensabile per garantire una tutela effettiva.

La giurisprudenza nazionale s’è dunque posta il problema se tale citato art. 13 fosse da inserire nel nostro ordinamento come norma eccezionale o principio generale.

A soluzione di tale quesito la Cassazione si è pronunciata optando per il carattere eccezionale della norma, in quanto dettata in un settore specifico, gli appalti. Ad avviso della Suprema Corte , il riconoscimento normativo della risarcibilità di posizioni d’interesse legittimo in un settore particolare, quale quello degli

86 appalti, era la conferma della regola della generale irrisarcibilità degli interessi legittimi pretensivi.

Di gran rilievo in materia è poi il D.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, il quale, nel ridisegnare la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nei settori dei servizi pubblici, dell’edilizia e dell’urbanistica, ha statuito all’art. 35, comma 1, che "il giudice

amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto".

La norma è stata ampiamente valorizzata nei passaggi motivazionali della celebre sentenza n. 500/99, motivo per cui ha avuto una portata rivoluzionaria. Per la prima volta è stato infatti riconosciuto al giudice amministrativo il potere di condannare al risarcimento del danno, pur se limitatamente all’ambito della giurisdizione esclusiva individuato dagli artt. 33 e 34 del D.lgs. 80/98, .

Il G.A., dunque, cessava di essere il giudice di mero annullamento e si vedeva attribuita la possibilità di garantire una tutela piena, non più solo demolitoria, ma anche risarcitoria.99