2. Il settore delle arti performative: specificità economico-finanziarie
2.1 Il settore delle arti performative: assetto organizzativo
2.1.1 Le arti performative come settore non-profit
Nel settore delle arti performative dal vivo, la maggior parte delle attività sono svolte da istituzioni non-profit. Nonostante esistano molte imprese for-profit (su tutte il Broadway Theatre), la ricerca del profitto è, in questo settore, un’eccezione.
Un’organizzazione può essere definita non-profit se è legalmente impossibilitata a ridistribuire utili. Nella pratica ciò significa che è limitata nell’accesso alle proprie risorse finanziarie. Si tratta quindi di enti senza finalità di lucro i cui avanzi di gestione sono reinvestiti per il raggiungimento delle finalità istituzionali. Per dirla con O’Hagan (1993) sono istituzioni “per natura più legali che
economiche”, nel senso che a un’organizzazione non-profit è impedita per legge la distribuzione dei
profitti alle persone che la controllano e la gestiscono (manager, direttori, ecc.). 38 Comunque,
l’assenza dello scopo di lucro non è, per un ente non-profit, un impedimento all’esercizio dell’attività imprenditoriale, anche se quest’ultima deve assumere un ruolo sussidiario. L’ampia categoria delle non-profit comprende enti che operano nei più svariati settori, sia in ambito pubblico che privato. Nel settore privato, le imprese possono essere divise in non-profit donative, le cui fondamenta si basano su contributi pubblici e privati, contributi governativi e lavoro volontario, e non-profit commerciali, che fanno affidamento perlopiù sulle entrate provenienti dalla vendita e da altre attività commerciali sussidiarie. In ogni caso, è necessario svolgere un attento controllo sulle attività generatrici di profitto, in modo da non compromettere gli standard istituzionali. Se l’aspetto commerciale prevale, può succedere che per legge un’impresa perda il proprio status di non-profit, rinunciando quindi a tutti i
38 JOHN O’HAGAN, MARK PURDY, “The Theory of Non-Profit Organizations: An Application to a Performing Arts Enterprise”, in The Economic and Social Review, 24 (2), 1993, pp. 156-157. Orig.: “it is essentially legal rather than economic in nature”.
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benefici, a livello legale e di tassazione, che le organizzazioni senza scopo di lucro possono ricevere dai governi centrali.
Le aziende e organizzazioni operanti nel settore delle arti performative dal vivo dipendono nella maggior parte dei casi da contributi pubblici e privati. Secondo gli studiosi (Baumol e Bowen, 1966; Cwi, 1980; Fullerton, 1991), tale ambito di attività “è interessato da notevoli esternalità positive che
offrono una giustificazione logica al supporto pubblico e privato”.39 Ad esempio, istituzioni culturali prestigiose e ben radicate nel territorio garantiscono prestigio e afflusso turistico. Inoltre, le imprese non-profit perseguono finalità di utilità sociale e collettiva, il che le rende partner ideale della pubblica amministrazione. In realtà, come osserva Hansmann (1981), la maggior parte delle donazioni giunge da gruppi o individui che assistono in prima persona alla performance e non da soggetti che potrebbero beneficiare delle numerose esternalità positive tipiche del settore. Si crea dunque una situazione paradossale, in cui le donazioni sono offerte dalle stesse persone che comprano il biglietto.
Figura 2.1 – Fonti di ricavo delle organizzazioni non-profit negli Stati Uniti, 1997
Fonte: McCarthy et al. (2001), p. 84, da: US Census Bureau, 1997, Economic Census.
Nel settore in esame i costi fissi costituiscono la gran parte dei costi totali, mentre i costi marginali sono piuttosto bassi. Quando infatti uno spettacolo è già stato ideato, allestito ed eseguito, il costo di
39 HENRY HANSMANN, “Nonprofit Enterprise in the Performing Arts”, in The Bell Journal of Economics, 12 (2), 1981, p. 352. Orig.: “exhibit substantial beneficial externalities, and that this in turn provides a rationale for both public and private subsidies”.
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una performance addizionale è relativamente basso. Dunque se il prezzo del biglietto è fissato in corrispondenza del valore dei costi variabili, non è possibile coprire i costi totali con la sola vendita dei biglietti. Solitamente un’istituzione, piuttosto che alzare semplicemente il prezzo del biglietto40,
cerca di attuare una politica di discriminazione volontaria dei prezzi. Hansmann spiega che una scelta di questo tipo permette a un’azienda di fronteggiare gli alti costi fissi operativi: nel settore delle arti performative dal vivo la curva di domanda di una determinata performance si assesta quasi sempre al di sotto della curva di costo medio, dunque non esiste alcun prezzo per cui il totale dei biglietti pagati coprirà del tutto i costi totali. La discriminazione dei prezzi permette a un’organizzazione di coprire i costi operativi sfruttando al meglio il surplus del consumatore. Nella maggior parte dei casi i prezzi vengono differenziati in base al posto a sedere, in modo da “far confluire tutti gli individui
caratterizzati da una domanda anelastica rispetto al prezzo nei posti migliori al prezzo più alto”, al
fine di massimizzare l’audience. 41 In sostanza, agli spettatori che sono disposti a pagare di più per i
posti migliori viene fatto pagare un prezzo più elevato. Tuttavia, la discriminazione dei prezzi è resa ardua dalla difficoltà nel definire con precisione i diversi segmenti di mercato. Da qui la necessità, da parte di una non-profit operante nel settore delle arti performative dal vivo, di servirsi delle donazioni per far fronte ai costi. Dunque, la scelta più agevole è quella di stimolare e indurre il pubblico a offrire volontariamente una somma di denaro variabile. È importante, tuttavia, far notare che una performance dal vivo è interessata spesso dal cosiddetto comportamento di free-riding. Molti agenti non contribuiscono, la maggior parte versa una cifra decisamente minore al proprio potenziale economico.
Dal momento che, come ha osservato Baumol (1966) nel suo modello originale, tale settore registra incrementi di produttività lenti e sporadici e che la domanda di spettacoli non è in aumento, la scelta di una forma istituzionale non-profit permette a un’organizzazione culturale di accedere più facilmente alle donazioni pubbliche e private, a differenza delle istituzioni for-profit che devono affidarsi esclusivamente agli introiti derivanti dalle attività di vendita. 42
In conclusione, le organizzazioni che operano nel settore delle live performing arts sono per la maggior parte inquadrabili nell’ambito del Terzo Settore. Il loro obiettivo non è la massimizzazione
40 Come osserva Hansmann, oltre che una probabile ripercussione sul numero di spettatori, un potenziale aumento del prezzo dei biglietti è un dannoso deterrente per eventuali contributi in denaro, poiché un eventuale donatore potrebbe percepire l’aumento dei biglietti come il tentativo, da parte dell’istituzione non-profit, di massimizzare i profitti, logica che è del tutto contraria allo spirito delle non-profit.
41 Ivi, pp. 343-344. Orig.: “that will channel those with inelastic demand into the good seats at high prices”.
42 Dal momento che, per legge, una non-profit è impossibilitata a ridistribuire gli avanzi di gestione, un potenziale donatore ha la certezza che il proprio denaro verrà utilizzato per fini istituzionali.
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del profitto, bensì la produzione e la diffusione di un servizio di qualità elevata, attraverso l’utilizzo di performers di alto livello e di infrastrutture e palcoscenici di impatto. Ancora più importante è la massimizzazione dell’audience, non per scopo di lucro, ma per diffondere la cultura a un pubblico più ampio possibile.