3. La malattia dei costi nel settore delle arti performative
3.2 Rimedi
3.2.2 Rimedi dal punto di vista dell’offerta
Aldilà delle scelte in termini di assetto organizzativo, le soluzioni che un’azienda può adottare per far fronte alle difficili condizioni economico-finanziarie si possono dividere in rimedi che dipendono dall’azione dell’organizzazione stessa (supply-side) e rimedi che scaturiscono dal comportamento dei consumatori (demand-side).
Dal punto di vista dell’offerta, la principale soluzione è l’incremento del livello di produttività grazie a un’innovazione tecnologica, che permette di produrre con maggiore efficienza e quindi di abbassare notevolmente i costi. A beneficiare di miglioramenti produttivi basati sulla tecnologia sono soprattutto le organizzazioni maggiori, che hanno una struttura più consolidata e budget più consistenti a disposizione. 118 Ad esempio, la Chicago Symphony Orchestra può incrementare le fonti
di guadagno vendendo la registrazione di un concerto, sfruttando così le possibilità offerte dalla registrazione elettronica. Dal momento che operazioni di questo tipo richiedono spesso un notevole sforzo finanziario, le orchestre minori sono spesso impossibilitate a intraprendere questa via. 119
Un’altra soluzione che coinvolge i processi produttivi è lo sfruttamento di economie di scopo. Secondo Lange e Luksetich (1993) un’organizzazione può realizzare sensibili risparmi producendo una molteplicità di output diversi sfruttando gli stessi, o simili, input. Un’orchestra può, ad esempio, scomporsi in tanti piccoli ensemble così da poter gestire molti programmi diversi. In sostanza,
118 Brooks (2000) definisce organizzazioni maggiori quelle che hanno a disposizione un budget di almeno 5 milioni di dollari.
119 ARTHUR C. BROOKS, “The “Income Gap” and the Health of Arts Nonprofits. Arguments, Evidence, and Strategies”, in Nonprofit Management and Leadership, 10 (3), 2000, p. 282.
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un’organizzazione può utilizzare le stesse componenti di una struttura produttiva per produrre beni/servizi diversi. Appare evidente che una soluzione di questo tipo richiede una notevole flessibilità nei processi produttivi e la disponibilità economico-finanziaria della gestione di volumi di output elevati. Dunque, una politica di differenziazione del prodotto è percorribile soprattutto dalle organizzazioni maggiori, mentre le realtà più piccole dovrebbero specializzarsi.
Inoltre, un’organizzazione può avvalersi di tecniche time-saving per alleggerire la pressione dei costi di produzione; l’esempio più chiaro è la riduzione dei tempi per le prove. Una scelta di questo tipo tuttavia avrebbe delle ripercussioni sulla qualità del prodotto e di conseguenza un impatto negativo sulla domanda dei consumatori. Secondo Brooks (2000), “considerati i minori costi di produzione e
allo stesso tempo i minori ricavi generati dai consumatori, il risultato netto delle entrate è per un’azienda ambiguo”.120 Esiste dunque una relazione tra diminuzione dei costi di produzione e
diminuzione della qualità che comporta il cosiddetto deficit artistico. Nonostante sia una scelta facile da applicare, un taglio dei costi di questo tipo può modificare la natura e la qualità del prodotto finale, con un conseguente calo della domanda.
Il tema è approfondito da McCarthy et al. (2001). Gli autori parlando di strategie production-
shrinking, che prevedono la riduzione delle dimensioni di produzione in seguito a tagli nel cast.
Sebbene si tratti di una soluzione rischiosa, in quanto “un approccio minimalistico nei confronti della
produzione potrebbe finire per ridurre l’audience più di quanto potrebbe far calare i costi”, molte
istituzioni di medio-grandi dimensioni si sono mosse in questa direzione. 121 Baumol (1985a) rileva che tra il 1946 e il 1976, nell’ambito del circuito teatrale di Broadway, il cast medio è passato da 16 a 8 unità, se si escludono i musical. 122 In un articolo pubblicato sul Los Angeles Times, Phillips fa
notare che, se negli anni ’70 per “large cast” si intendeva un gruppo di 30-35 persone, già negli anni ’80 “il significato di ‘large’ è diventato più piccolo, indicando un cast di circa 20 unità”.123
Attualmente, per grande cast si intende un insieme di 10-12 artisti al massimo. Scelte strategiche volte
120Ivi, p. 277. Orig.: “Given lower production costs and lower consumer-generated revenues, the net result for the firm’s revenue position is ambiguous”.
121 KEVIN F. MCCARTHY, ARTHUR C. BROOKS, JULIA LOWELL, LAURE ZAKARAS, The Performing Arts in a New Era, Rand, 2001, p. 95. Orig.: “minimalist approaches toward productions may end up shrinking audiences by more than they shrink costs”.
122 WILLIAM J. BAUMOL. HILDA BAUMOL, “The Future of the Theater and the Cost Disease of the Arts”, 1985a, in RUTH TOWSE (a cura di), Baumol’s Cost Disease. The Arts and Other Victims, Edward Elgar Publishing, 1997, p. 200.
123 MICHAEL PHILLIPS, “More Than Four Actors Need Not Apply”, in Los Angeles Times, 11 marzo 2001. <http://articles.latimes.com/2001/mar/11/entertainment/ca-36070>. Orig.: “the meaning of "large" had become smaller, indicating a cast of perhaps 20”.
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alla riduzione delle dimensioni produttive si possono applicare anche all’uso di un minor numero di solisti e guest star, di certo assai esigenti dal punto di vista contrattuale, e all’uso di un solo set, riducendo così i costi associati al mantenimento di una moltitudine di stage. In ogni caso, una sindrome i cui sintomi sono camuffati in questo modo non è una sindrome che è stata curata. L’utilizzo di tecniche production-shrinking non è altro che “la cupa realtà della vita teatrale, una
metafora di un’era in cui si tira la cinghia”.124
Come certifica lo studio di Heilbrun (2001), un’altra strategia vincente è quella di puntare sui cosiddetti cavalli di battaglia, cioè opere tradizionali dal grande richiamo di pubblico. Un’organizzazione che si muove in questa direzione mette in scena una serie di spettacoli le cui caratteristiche li rendono molto attrattivi per un certo gruppo di consumatori. Ad esempio, la realizzazione di concerti in luoghi non convenzionali, come possono essere le chiese o anfiteatri all’aperto, potrebbe attirare un’audience interessata anche all’aspetto costruttivo-architettonico della messa in scena. Uno studio di Pierce analizza la relazione, nell’ambito delle compagnie d’opera americane, tra i cavalli di battaglia e l’entità delle donazioni pubbliche e private. Pierce scopre che in genere, la possibilità di ricevere o meno un contributo governativo altera le scelte dell’organizzazione in termini di repertorio. In particolare, i governi locali tendono a imporre la produzione di opere convenzionali. Questo perché i politici che supportano opere ad alto rischio creano un maggiore rischio per sé stessi nella forma di insoddisfazione degli elettori. Dunque “i governi locali, nel
momento in cui aiutano finanziariamente un’organizzazione, assumono gli stessi rischi che corrono le compagnie stesse”.125 Al di là di questa considerazione, puntare su opere convenzionali e
tradizionali è una soluzione poco rischiosa che permette di incrementare notevolmente gli incassi e allo stesso tempo fare contenti potenziali donatori.
In conclusione, è necessario far notare che i rimedi elencati sono più o meno efficaci a seconda delle dimensioni dell’organizzazione. Alcune delle soluzioni analizzate richiedono esborsi monetari non affrontabili dalle organizzazioni con un budget ridotto. In generale, è opportuno che il manager, ovvero colui che prende le decisioni, studi le modalità con cui massimizzare i benefici ottenibili da ogni soluzione, in relazione anche al budget e alle caratteristiche dell’organizzazione.
124 Ibidem. Orig.: “a grim fact of theatrical life, a metaphor for a belt-tightened, bottom-line era”.
125 J. LAMAR PIERCE, “Programmatic Risk-Taking by American Opera Companies”, in Journal of Cultural Economics, 24 (1), 2000, p. 57 . Orig.: “local politicians, by supporting an opera company, assume the same programmatic risks that the companies do”.
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