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LE CLASSIFICAZIONI DELLE ZONE ECONOMICHE SPECIALI

Nel documento il Porto franco di Trieste (pagine 67-73)

CAPITOLO 3: LE ZONE ECONOMICHE SPECIALI E LE ZONE FRANCHE

3.2 LE CLASSIFICAZIONI DELLE ZONE ECONOMICHE SPECIALI

Tenendo conto di quanto si è appena detto sulle differenti concezioni di ZES e di zone franche e delle innumerevoli tipologie di ZES che i singoli stati hanno istituito, appare semplice comprendere il motivo per cui anche le catalogazioni proposte dagli studiosi sono numerose. Peraltro non si può fare a meno di notare come vi sia anche chi ritiene addirittura sconsigliabile e fuorviante una classificazione poiché numerose tra le fattispecie che nei seguenti paragrafi identificheremo come sottospecie di free zones, «talvolta, di fatto, vengono strutturate con caratteristiche analoghe a quelle delle Zone Economiche Speciali: quindi la nomenclatura utilizzata, di per sé, non è limitante e pertanto sarebbe opportuno…analizzare concretamente il contenuto delle agevolazioni presenti nelle singole fattispecie»207.

Sebbene si condivida totalmente la posizione di D’Amico sulla necessità di una verifica concreta delle caratteristiche di ciascuna zona al fine di comprenderne la natura, dall’altro lato, va evidenziato come tale constatazione conferma la necessità di una riorganizzazione terminologica a livello internazionale.

206 Cfr. Special Economic Zones in the OIC Region: Learning from Experience, COMCEC Coordination Office, October 2017, p. 1: «In broad

terms, SEZs can be defined as demarcated geographic areas contained within a country’s national boundaries where the rules of business are different from those that prevail in the national territory. These differential rules principally deal with: • Investment conditions – including the provision of infrastructure, serviced land and flexible lease and purchasing options; • International trade and customs - typically access to imported inputs free of tariffs and duties; • Taxation – including the elimination of corporate taxes, VAT, other taxes and labour contributions; and • The regulatory environment – such as more efficient processes for company set up, licensing and operations, often through establishment of a ‘one-stop-shop’ arrangement».

207 Così M. D’Amico, Le Zone Economiche Speciali, una straordinaria opportunità per il rilancio dell'economia in Italia, Editoriale Scientifica S.r.l. e Passerino Editore, 2017, p. 7.

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3.2.1 LA CLASSIFICAZIONE WIR 2019

Una prima classificazione delle ZES è quella proposta da Bost pubblicata nel 2019 dall’UNCTAD. Senza ripetere quanto si è già detto sopra, ci si limita in questa sede a riportare il grafico di Bost da cui emerge chiaramente il rapporto genere – specie tra ZES e zone franche.

Fig. 1: schema della catalogazione delle ZES proposta da Bost.

Le tipologie di zone franche (free zones) individuate da Bost sono le seguenti:

- Free trade zones (FTZ, o commercial free zones): si tratta della prima tipologia di zona franca che si è sviluppata, e che nei secoli passati veniva chiamata semplicemente zona franca. Sono zone delimitate generalmente ubicate all’interno o nelle immediate vicinanze di porti (c.d. freeports) o di grandi aeroporti, in cui sono presenti magazzini e depositi ove la merce viene conservata per poi essere riesportata senza il pagamento dei diritti doganali. In alcuni casi in tali aree è possibile altresì l’esecuzione di alcune lavorazioni sulle merci come il packaging e l’etichettatura.

- Export processing zones (EPZ): sono aree industriali, la cui produzione è destinata principalmente a mercati esteri, nelle quali vengono applicati incentivi e particolari condizioni operative tipici delle free zones. Si tratta solitamente di attività manifatturiere e di servizi che possono essere forniti a distanza (quali elaborazione dei dati, call center, servizi finanziari). La peculiarità delle EPZ è il fatto che tutti i prodotti o servizi forniti, o comunque la maggior parte di essi, sono destinati all’esportazione (solitamente una percentuale fissata dalla normativa interna dello stato che varia tra l’80% ed il 100%).

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Qualora tali prodotti siano invece introdotti nel mercato interno del paese che ospita la EPZ, verranno applicati i dazi doganali equivalenti a quelli che si applicano ai prodotti di importazione. Alcuni esempi di tale fattispecie di free zone sono Shannon in Irlanda (dal 1959), Kaohsiung in Taiwan (dal 1966), Manaus in Brasile (dal 1967) e La Romana nella Repubblica Dominicana (dal 1968).

- single factory free zones (o single company free zones): lo schema di questo tipo di zona franca è assai simile a quella precedente con la differenza che, in questo caso, non si tratta di una zona, ma di un’unica industria, che può essere collocata ovunque all’interno dello stato, alla quale vengono concessi incentivi simili a quelli previsti per le EPZ208. Ciò che la distingue rispetto alle altre tipologie di ZES è proprio il fatto di non essere confinata geograficamente.

Ci sono esempi di tale variante in Messico, Madagascar, Isole Mauritius e negli Stati Uniti. Un’ulteriore fattispecie rilevante è quella dei punti franchi (free points), molto meno studiati e molto meno visibili rispetto alle zone franche nello scenario mondiale. Essi, secondo la ricostruzione proposta dal WIR 2019, sono una categoria che, per quanto appaia sotto alcuni aspetti simile a quelle viste prima, per le sue caratteristiche non può rientrare né tra le free zones, né tra le ZES. In particolare, i punti franchi si distinguono dalle zone franche in quanto la loro costituzione non avviene in un luogo specifico, ma è legata, invece, alle società cui vengono attribuiti una serie di vantaggi, indipendentemente dal luogo in cui la stessa sia posizionata. I punti franchi e le single factory free zones sono concetti assai simili e si distinguono unicamente per il fatto che le seconde vengono ufficialmente dichiarate “zone franche”. Tuttavia sarebbe auspicabile, ai fini di chiarezza, riclassificare le single factory free zones in punti franchi209. Quanto alle ulteriori voci di ZES non rientranti nella sottocategoria di free zones basta in questa sede evidenziare come si tratti di zone accomunate da vantaggi di natura economica che non prevedono però la finzione giuridica della collocazione extradoganale della merce210.

208 Il WIR 2019 individua tra gli obiettivi dell’istituzione di tali zone franche lo sviluppo di un progetto di investimento di impatto economico e sociale (ad es. per la Colombia), la diminuzione della disoccupazione e la modernizzazione delle infrastrutture e la promozione di nuove tecnologie (Messico). La mancata previsione di una zona delimitate quale sede delle industrie beneficiarie di tali vantaggi permette alle industrie di integrarsi meglio nell’economia locale.

209 Cfr. Bost, Special economic zones: methodological issues and definition, cit., p. 149.

210 Anche in questo caso le classificazioni e le definizioni sono molteplici. Nel WIR 2019 non troviamo alcuna definizione specifica di tali sottocategorie. La definizione di alcune tra di esse la rinveniamo in una pubblicazione dell’UNIDO (United Nations Industrial Development Organizaation) del 2015 (Economic Zones in the Asean. Industrial parks, special economic zones, eco industrial parks, innovation districts as

strategies for industrial competitiveness, www.unido.org). In tal caso la macrocategoria definite come “Economic Zones” conterebbe cinque

sottotipi definiti nei seguenti termini. I c.d. Industrial Park (IP) sono definiti come «a tract of land developed and subdivided into plots according to a comprehensive plan with provision for roads, transport and public utilities with or without built-up (advance) factories, sometimes with common facilities and sometimes without them, for the use of a group of industrialists». Le Special Economic Zone (SEZ) sono definite come «a designated

estate where trade laws such as tariffs, quotas, or duties differ from the rest of the country». In tal caso, sebbene sia prevista la possibilità di una

normative differente in ambito doganale, si ritiene che il termine di ZES sia comunque inteso in senso specifico. Gli Eco-Industrial Park (EIP) sono invece aree in cui le imprese che vi si insediano attraverso la collaborazione promuovono lo sviluppo economico in maniera ecosostenibile («a community of manufacturing and service businesses seeking enhanced environmental and economic performance by collaborating in the

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In merito a tale classificazione è stato osservato come l’evoluzione delle zone franche, ed in generale delle ZES, rispecchi il processo di evoluzione dell’economia mondiale: alle più tradizionali forme di zona franca improntate sull’agricoltura e sulla manifattura, si sono aggiunte in tempi più recenti le service-oriented zones che si occupano, come si è detto, non più solo di produrre beni, bensì di fornire servizi211.

Una catalogazione molto simile viene proposta dalla WFZO che, occupandosi solo della sottocategoria delle zone franche, le suddivide in due sole ampie categorie sulla base della loro funzione: le Free trade zones e le c.d. Industrial and services free zones (la cui definizione è sovrapponibile a quella di export processing zones). Anche in questo caso vengono considerati come categoria a parte i punti franchi.

3.2.2 LA CLASSIFICAZIONE “TRADIZIONALE”

Per quanto attiene agli Autori italiani, la classificazione (v. fig. 2 a pag. 68) è leggermente diversa sebbene, gran parte delle categorie sia sovrapponibile a quelle indicate nella precedente classificazione.

Come si può notare, D’Amico, come altri212, distingue in primo luogo le “Free Zones” (intese in senso ampio) tra zone franche classiche e zone franche c.d. d’eccezione o di seconda generazione. La definizione di zona franca appartenente alla prima categoria è di «uno spazio escluso dal territorio doganale d’uno Stato o anche, eccezionalmente, di due Stati contermini, ed ai cui limiti esterni non vengono riscosse le imposte di dogana, cioè i cosiddetti “dazi” d’importazione o di esportazione, al fine di favorire per lo più il commercio internazionale e talvolta lo sviluppo industriale o agricolo degli spazi stessi e indirettamente di quelli circostanti»213.

Questa categoria rispecchia quella delle “free zones” proposta nella classificazione del WIR 2019.

collective benefit that is greater than the sum of the individual benefits each company would realize if it optimized its individual performance only»). I Technology Park (TP) o Science Parks (IASP) vengono definiti come «an organization managed by specialized professionals, whose main aim is to increase the wealth of its community by promoting the culture of innovation and the competitiveness of its associated businesses and knowledge-based institutions. To enable these goals to be met, a Science Park stimulates and manages the flow of knowledge and technology amongst universities, R&D institutions, companies and markets; it facilitates the creation and growth of innovation-based companies through incubation and spin-off processes; and provides other value-added services together with high quality space and facilities». Infine gli Innovation District (ID) sono definiti come dei technology park siti in un’area urbana. Altri autori ne individuano poi di ulteriori. H. G. Grubel menziona anche

le free banking zones, le free insurance zones (che grazie ai vantaggi concessi ha permesso la rapida ascesa dei Lloyds of London), le free gambling

zones e le free enterprise zones (per un approfondimento v. H. G. Grubel, Towards a theory of free economic zones, in Review of World Economics,

1982, n. 118, p. 39-61.

211 V. Unctad 2019 p. 51.

212 Negli stessi termini si è espressa anche C. Buccico, Il fondamento giuridico delle zone franche urbane e l’equivoco con le zone franche di diritto

doganale, in Dir. prat. Tribut., 2008, p. 108-109.

213 La definizione richiamata da M. D’Amico (La disciplina delle zone franche. Parte prima: la normativa comunitaria, cit., p. 559) è quella di M. Udina - G. Conetti, Zone Franche, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, Treccani, Vol. XXXII, 1998.

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Le sue sottocategorie sono parzialmente sovrapponibili in quanto D’Amico preveda un’ulteriore categoria, che nei suoi scritti denomina «zone franche tout court o classiche»214 (quindi creando un’ulteriore ambiguità semantica), che ricomprende al suo interno i depositi franchi, i punti franchi (che invece Bost riteneva esterni alla categoria delle ZES), le zone franche portuali, i porti franchi215 e le città franche216.

La seconda categoria, quella delle zone franche commerciali (free trade zones o commercial free

zones) è invece la stessa di cui si è detto sopra.

La terza categoria di zone franche classiche agglomera, invece, le ulteriori due categorie viste sopra di export processing zones e di single factory free zones sotto la più ampia categoria di zone franche industriali (industrial free zones). Nella medesima categoria inserisce anche le c.d.

maquiladoras.

Queste ultime, invece (ma a ben vedere anche le single factory free zones), secondo la teoria di Bost, sarebbero riconducibili al differente concetto di free point (concetto secondo l’Autore esterno rispetto alle free zones ed alle ZES appunto per l’assenza nella sua concezione di una zona geografica definita).

Nella seconda macrocategoria sono, invece, incluse le zone in cui, oltre ad essere previste delle agevolazioni fiscali, sono previsti vantaggi finanziari e di tipo amministrativo per le imprese, o anche benefici di carattere socio-economico per i lavoratori.

Anche la finalità della costituzione di tali aree differisce dalla categoria delle zone franche classiche. In tal caso, infatti, l’obiettivo è di catalizzare le scelte allocative delle imprese e l’afflusso degli investimenti in determinate zone al fine di risollevarne l’economia.

Nella seconda categoria rientrano le zone economiche speciali (intese in senso stretto)217, le zone di impresa (enterprise zones) e le zone franche urbane218.

214 V. M. D’Amico, La disciplina delle zone franche. Parte prima: la normativa comunitaria, cit., p. 559.

215 La distinzione tra porto franco e zona franca portuale riguarda unicamente l’estensione dell’area sottoposta alla franchigia doganale che nel primo caso riguarda tutto il porto mentre nel secondo riguarda solo una parte di esso. La zona franca portuale, quindi, non è altro che un punto franco situato in zona portuale.

216 In tal caso la zona franca coincide con un’area abitativa urbana e conseguentemente i residenti in tale area sono considerati al di fuori dell’area doganale. Tra gli esempi di zone franche che comprendono aree abitative vi sono Hong Kong, Macao e Las Palmas de Gran Canaria.

217 Per un approfondimento sul concetto di ZES v. M. D’Amico, Le zone economiche speciali, cit.

218 Si tratta di un modello di zona economica speciale (in quanto sebbene la sua nomenclatura la definisca «franca» non prevede alcuna franchigia doganale) che si è sviluppato inizialmente in Francia (introdotta con la legge n. 987 del 14 novembre 1996) con lo scopo di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico ed occupazionale. Le Zone Franche Urbane (ZFU) sono aree geografiche di dimensione prestabilita in cui è prevista la defiscalizzazione e decontribuzione per le imprese che vi operano. In Italia esse sono state istituite ai sensi dell’articolo 1, comma 340 e seguenti, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e (legge finanziaria 2007) e oggetto di successivo intervento ai sensi dell’articolo 1, comma 561 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 (legge finanziaria 2008). La loro definizione è contenuta nel decreto interministeriale 10 aprile 2013, come modificato dal decreto interministeriale 5 giugno 2017. Per un approfondimento sulle zone franche urbane v. G. Luchena, Coesione economica, sociale e territoriale: le zone franche urbane tra diritto europeo

e ordinamento nazionale, in Studi sull’integrazione europea, 2016, p 289 ss.; P. Barabino, Le zone franche urbane alla ricerca di una politica urbana europea, in Riv. dir. tribut., 2015, n. 4, p. 323 ss; C. Bucicco, Il fondamento giuridico delle zone franche urbane e l’equivoco con le zone franche di diritto doganale, cit., p. 105 ss.

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Fig. 2: schema della catalogazione delle ZES presentate da M. D’Amico alla conferenza dal titolo Il ruolo delle “Zone

speciali” nel quadro dell’interlocuzione UE/Cina per lo sviluppo sostenibile della “Obor intiative” in Italia e nel Mediterraneo del 26 novembre 2018.

3.2.3 ULTERIORI CLASSIFICAZIONI

Come si è anticipato, altri studiosi non hanno condiviso la classificazione in diversi sottogruppi proposta dai due orientamenti sopra esaminati, ritenendo sconveniente una tale catalogazione. In tal senso si è espressa anche la Banca Mondiale, che si limita ad elencare le principali tipologie di ZES senza preoccuparsi di suddividerle ulteriormente in base alle loro caratteristiche comuni (v. fig. 3 a pag. 69).

Tale classificazione, ripresa da quella proposta dalla stessa Banca Mondiale in un precedente studio del 2008, distingue le differenti tipologie di zone economiche speciali sulla base di fattori chiave quali l’oggetto dello sviluppo che si vuole andare ad incrementare, la loro posizione ed i tipi di attività che vengono svolte in tali zone.

Non vengono invece considerati gli industrial park ed i technology parks in quanto non rientrano nella definizione di ZES della Banca Mondiale secondo cui tali zone sarebbero caratterizzate da una normativa specifica e/o dagli incentivi per le imprese che operano sul territorio predeterminato della zona.

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Fig. 3: schema della catalogazione delle ZES pubblicata dalla Banca Mondiale in Tracking Special Economic Zones

in the Western Balkans nel 2017.

3.3 LA DISCIPLINA DELLE ZONE FRANCHE NELLA NORMATIVA DELL’UNIONE

Nel documento il Porto franco di Trieste (pagine 67-73)