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Le frontiere storiche del Chiapas indigeno

Nel documento La rinascita dei confini nel mondo globale (pagine 138-142)

Orizzonti di realizzazione e spazi indigeni della frontiera sud messicana Piero Gorza

3. Le frontiere storiche del Chiapas indigeno

Fig. 1: Regiones de Chiapas (Viqueira)*

Avvicinando la lente al nostro campo di ricerca possiamo constatare che, per un verso, lo stato del Chiapas si trova in posizione strategica per la vicinanza al confine e per le sue vie di comunicazione (seppur molte asfaltate solo dopo il 1994), mentre, per altro verso, rimane una delle aree più povere della nazione, con territori difficilmente accessibili (Los Altos e la Selva) popolati da indigeni che sono sopravvissuti in una condizione di segregazione razziale e, di fatto, lontani dal controllo dello Stato. Tuttavia la marginalità economica e sociale e, di conseguenza, le dinamiche interetniche, si differenziano notevolmente nelle regioni che lo costituiscono. Il Chiapas è uno degli

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stati che annovera maggiore presenza indigena: su 5.217.908 abitanti, 1.141.499 sono di origine amerindiana2 e su 118 municipi, 47 sono catalogati come pueblos indígenas,

con una popolazione maya che supera il 40% del totale. Negli anni ’90 la presenza di persone che si autodefinivano di discendenza precolombiana rappresentava circa il 26% del totale della popolazione censita, percentuale che troviamo leggermente incrementata nel presente, con un 28%. Si tratta perlopiù di gruppi etnici che parlano lingue maya: tzeltal, tzotzil, chol, tojolabal e il zoque (quest’ultima non rientra nella famiglia delle lingue mayensi, ma mixe-zoque).

2 Fin dagli anni Trenta del passato secolo un’estesa letteratura antropologica e giuridica s’è cimentata

nell’intento di definire chi potesse rientrare nella categoria di indigeno e tuttavia il dibattito è aperto e gli equivoci continuano a permanere (Cfr. Gorza 2011:53-87; 180-193). Nel presente caso si accettano le indicazioni e i criteri che sono stati scelti dall’INEGI e che trovano corrispondenza nel lessico giuridico delle costituzioni statali messicane. Rispetto all’espressione “amerindiano”, diversi e riconosciuti storici e antropologi (tra gli altri Ruggero Romano, Serge Gruzinsky e Carlo Severi) hanno utilizzato questa forma di categorizzazione.

Fig 2: Inegi, 11, 2015*

Fig.3: Diffusione delle lingue indigene in Chiapas

Prima di procedere nell’analisi del contesto locale, è importante ricordare due aspetti: a) i Maya sono presenti in altri stati della federazione e sono distribuiti lungo tutto il confine della frontiera Sud del Messico (Tabasco, Quintana Roo) e, anche al di là di questa, in Guatemala, Belize e Honduras. È una realtà transfrontaliera in cui i confini politici hanno spezzato un continuum che è durato fino all’affermazione degli stati liberali; b) Oaxaca e Yucatán annoverano sicuramente percentuali più alte di persone che parlano lingue indigene, ma in nessuna altra area come in Chiapas troviamo una concentrazione territoriale così significativa e un monolinguismo che si è conservato così a lungo, seppure si debba subito sottolineare che questo non è avvenuto in tutte le regioni dell’entità. Queste considerazioni introducono un problema che gli studiosi di demografia storica e di etnostoria, in particolare Juan Pedro Viqueira, hanno cercato di comprendere. Abbiamo detto che in alcune zone la presenza indigena si è mantenuta nel tempo, mentre in altre i processi di meticciamento l’hanno quasi cancellata (Viqueira 2002: 261-285; 2011: 221-270). In alcuni casi, alla catastrofe demografica causata dalla Conquista segue una costante riduzione numerica dei nativi, fino a far pensare nel XX secolo a una loro definitiva scomparsa. A livello statale gli indios nel XIX secolo costituivano ancora una maggioranza, ma già a metà del XX erano ridotti al 33%. Ciò che è accaduto nella selva e nelle terre alte delle Montañas Mayas è, invece, di segno diverso: le barriere etniche sono rimaste storicamente significative, con una presenza che non ha subito tracolli e che è rimasta perlopiù stabile con percentuali che vanno da oltre il 70% a più del 90%.

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Hablantes de lenguas mesoamericanas en Chiapas (1759-2010)

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I grafici sopra riportati sono esemplificativi di questo andamento demografico ed esigono una spiegazione. Il Soconusco è sicuramente stato uno dei poli dello sviluppo, prima per le sue terre fertili, poi per la diffusione delle colture del caffè. Alla mancanza di manodopera i grandi produttori hanno sopperito importando braccia stagionali dalle terre più marginali e poi, in tempi più prossimi, dal Guatemala. Nella

Porcentaje de hablantes de lenguas mesoamericanas (1759-2010)

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Porcentaje de hablantes de lenguas mesoamericanas (1759-2010)

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SELVA LACANDONA LAS MONTAÑAS MAYAS MONTAÑAS ZOQUES LLANURAS DEL GOLFO

Depresión Central, durante la Conquista, i Chiapaneca si erano schierati dalla parte degli spagnoli e l’opzione favorì il diluirsi delle frontiere della pelle. Sulle montagne zoque l’integrazione economica e culturale ha contribuito all’abbandono delle lingue natie. Un copione differente si è affermato nel Valle di Comitán con la formazione di

haciendas, che si sono appropriate delle terre indie e hanno ridotto i Tojolabales in baldíos, obbligati a risiedere nelle proprietà padronali in stato di semi-schiavitù. Infine

abbiamo i due casi eccezionali di Los Altos e della Selva. Nel primo, la povertà dei suoli e la mancanza di risorse naturali produssero nei primi secoli della Colonia un controllo indiretto delle popolazioni indigene. L’ubicazione di Ciudad Real nella valle di Jovel favorì la crescita di una classe dominante spagnola parassitaria, che si specializzò nel controllo dell’unica risorsa: la popolazione indigena. In modo traumatico le autorità dell’Alcaldía Mayor e i domenicani portarono a termine l’opera di reducciones e la formazione di insediamenti accentrati, con deportazione della popolazione da una zona all’altra e con l’abbandono delle precedenti forme di radicamento sul territorio. Poi i tributi riscossi in denaro hanno obbligato gli indios a offrirsi come lavoratori stagionali nelle fincas. La pressione costante dall’esterno più che la resistenza, che peraltro s’è ciclicamente verificata, ha contribuito a creare segregazione congiunta a sfruttamento economico. La ferocia delle relazioni diseguali ha reso endemiche le frontiere etniche. Dal tempo delle repúblicas de Indios fino alla formazione dei municipios libres, nelle comunità si godette di un’autonomia nell’esercizio del potere locale interno con la conservazione di tradizioni preispaniche che, pur ibridate, hanno attirato l’attenzione di generazioni di antropologi. Nella Selva, invece, l’isolamento e poi le migrazioni di tzotziles, tzeltales, choles e tojolabales nel XX secolo hanno risposto alla necessità di dare soluzione alla mancanza di terra e al bisogno di allentare le tensioni sociali causate dalla crescita demografica. Proprio nel profondo delle cañadas è maturata quella koiné ribelle sfociata nella ribellione indigena del 1994. In queste due ultime regioni - a parte il XIX secolo in cui l’affermarsi dello Stato liberale s’è tradotto nel saccheggio delle terre indigene e nella penetrazione dei ladinos nelle comunità - la crescita demografica e il mantenimento delle parlate maya hanno caratterizzato un’anomalia nel quadro del Messico indigeno. Dalla decade del Settanta a quella del Novanta del passato secolo è cresciuta una conflittualità che ha portato a un progressivo riconoscimento dei diritti indigeni, a un recupero delle terre e ha trasformato le forme dell’autonomia nelle comunità, anche in relazione ai nuovi orizzonti di speranza e a un nuovo e forse più equo ruolo del nativo nella società. Le frontiere non sono scomparse, si sono solo modificate.

Nel documento La rinascita dei confini nel mondo globale (pagine 138-142)

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