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Problemi posti dal ritorno dei confin

La rinascita dei confini nel mondo globale

6. Problemi posti dal ritorno dei confin

Secondo Sabino Cassese, il ritorno dei confini pone tre problemi alla coscienza moderna (Cassese 2015).

In primo luogo, erigere muri comporta per chi fugge dalla guerra o dalla fame la perdita non solo dei diritti, ma del diritto ad avere diritti. L’erezione di barriere priva i profughi di quelle protezioni che derivano dall’appartenenza a una comunità; comporta l’espulsione dall’umanità, l’essere relegati in un limbo giuridico, se non la condanna alla morte.

Come ricordava Hannah Arendt a proposito dei profughi,

una volta lasciata la patria d’origine essi rimasero senza patria, una volta lascito il loro stato furono condannati all’apolidicità. Privati dei diritti umani garantiti dalla cittadinanza, si trovarono a essere senza alcun diritto…La prima perdita da loro subita è stata quella della patria, cioè dell’ambiente circostante, del tessuto sociale in cui sono nati e in cui si sono creati un posto nel mondo. Una simile sventura è tutt’altro che senza precedenti… Quel che è senza precedenti non è la perdita di una patria, bensì l’impossibilità di trovarne una nuova… La disgrazia degli individui senza status giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della libertà, del perseguimento della felicità, dell’eguaglianza di fronte alla legge e delle libertà di opinione, ma nel non appartenere più ad alcuna comunità… Ci siamo accorti dell’esistenza di un diritto ad avere diritti solo quando sono comparsi milioni di individui che lo avevano perso» (Arendt 1999, pp. 372, 406-407, 409-411).

Tra i diritti dell’uomo ci sono anche quelli di avere una patria e di scegliere la regione del mondo dove vivere.

In secondo luogo, la chiusura delle frontiere è disposta da paesi che si richiamano alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della rivoluzione francese (prima dell’uomo che del cittadino, nota Cassese) e che hanno sottoscritto la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite del 1948 e che sono dunque tenuti a garantire non solo i diritti dei connazionali, ma di tutti gli individui. L’art. 13.2 della dichiarazione universale recita: “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”. Dunque, i diritti dell’uomo vanno riconosciuti indipendentemente dalla nazionalità.

Infine, secondo Cassese, la chiusura nazionalistica ripropone l’interrogativo: che cosa è una nazione? Una nazione è un gruppo sociale caratterizzato da una lingua comune, da tradizioni e costumi condivisi, oppure è una comunità di ideali più ampi, che si allargano anche a chi non vi è nato? è una comunione di interessi o anche una comunanza di principi, tra cui quello di dare asilo a chi fugge da guerre e persecuzioni

9 Fernando Savater, Se il cittadino diventa un “cittadino della gleba”, 8 aprile 2014 in

Nello stesso articolo Savater definisce il populismo un surrogato della democrazia a uso degli ignoranti.

10 Étienne Balibar, “Un conflitto oltre le frontiere”. il manifesto, 18 settembre 2015 in

nella propria patria? La nazione implica un’appartenenza definita dal sangue, dal ceppo genealogico, che porta all’aberrazione dello Stato monoetnico e alla pulizia etnica? oppure è partecipazione a una collettività più vasta che include tutti i residenti nel territorio, indipendentemente dal luogo di nascita, che decidono di vivere insieme nell’osservanza delle stesse leggi e dotati di eguali diritti e doveri? L’elemento identitario della cittadinanza (cosmopolitica) diventa il patriottismo costituzionale di Habermas nei cui valori i cittadini si riconoscono indipendentemente dal luogo di origine. La cittadinanza è così separata dall’origine etnica e legata alla residenza ed è aperta a tutti coloro che scelgono di vivere in un quel dato territorio.

Fernando Savater ricorda che nel Medioevo esistevano i servi della gleba legati al terreno che coltivavano; oggi ci sono i cittadini della gleba, cioè cittadini che sono tali in quanto l’esercizio dei loro diritti di cittadinanza è vincolato al territorio dove sono nati9.

L’Europa aveva avviato una risposta a questo problema con il trattato di Maastricht, che istituiva la cittadinanza europea. Il godimento di alcuni diritti (per esempio, il diritto elettorale attivo e passivo alle elezioni europee e comunali) veniva separato dalla nazionalità e basato sulla residenza; ma la cittadinanza europea, dopo essere stata istituita, non si è sviluppata, non ha esteso il suo ambito a nuovi diritti, è rimasta embrionale.

Se la nazione non è una comunità di sangue, ma include tutti coloro che vivono su un determinato territorio e condividono i principi fondamentali del vivere insieme, quale atteggiamento deve sviluppare l’Europa verso i rifugiati che premono alle sue frontiere? Che cosa può offrire loro?

Gli stranieri che sono arrivati e che arriveranno in Europa, e di cui l’Europa ha bisogno, non possono essere relegati in un ghetto, in una sorta di esilio interno, con la conseguente formazione di due società, di cui una senza diritti, radicalizzata e ostile ai valori occidentali. Secondo Étienne Balibar la risposta è l’accesso alla cittadinanza europea, con i diritti sociali e culturali connessi, compreso il diritto al lavoro. Balibar propone provocatoriamente un’alternativa: istituire, accanto all’accesso alla cittadi- nanza europea attraverso la strada della cittadinanza nazionale, un accesso diretto a una nazionalità federale; oppure la generalizzazione dello jus soli in tutta l’UE, in modo da garantire l’avvenire ai figli dei rifugiati, fattore di integrazione per gli stessi genitori. Per far ciò, secondo Balibar occorre che questa nozione esca dal limbo nel quale è relegata dal rifiuto degli Stati di aprire la strada alla sopranazionalità10.

L’accoglienza presenta, ovviamente, dei costi che gli Stati non sono oggi in grado di sostenere. Occorre allora aumentare il budget dell’UE e promuovere politiche di solidarietà fra gli Stati membri, come peraltro imposto dall’art. 3 del Trattato

32 De Europa

11 «L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita

economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela dell’ambiente… Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».

sull’Unione11. Ciò pone il problema di mettere in grado l’UE di agire in questa direzione,

cioè il problema delle riforme istituzionali tese a rafforzare i poteri comunitari.

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