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Le intercettazioni nei codici di procedura penale

1. La storia

1.2. Le intercettazioni nei codici di procedura penale

In Italia, dalla nascita del Regno che fu ufficializzato il 17 marzo 1861, si sono succeduti quattro codici di procedura penale.

Il primo codice, entrato in vigore il 1° gennaio 1866, ignorava del tutto la disciplina delle intercettazioni, non contenendo alcuna traccia di queste.

Quarantasette anni dopo il suddetto codice, si sentì la necessità di un nuovo modello di codificazione e così, con la legge 20 giugno 1912, n. 598, con proroga contenuta nella legge 29 dicembre 1912, n. 1349, il governo del Re fu autorizzato a pubblicare il nuovo codice di

10 Ex plurimis, G. Illuminati, La disciplina processuale delle intercettazioni, 1983, p. 1 ss; G.

Giacobbe, voce Riservatezza (diritto alla), in Enc. dir., 1989, p. 1244; S. Rodotà, La “privacy”

tra individuo e collettività, in Pol. dir., 1974, p. 545 ss.; E. Graziadei, Privatezza: rimedi vecchi e offese nuove, in Giur. it., 1971, p. 1 ss.; G. Vassalli, La protezione della sfera della personalità nell’era della tecnica, in Studi in onore di Emilio Betti, 1962, p. 673 ss.; F. Ligi, Il diritto alle vicende e la sfera della personalità, in Foro it., 1955, p. 387.

procedura penale. Con il Regio Decreto 27 febbraio 1913, n. 127 venne poi approvato il testo definitivo, formato da 653 articoli11.

Il primo cenno legislativo alle intercettazioni, seppur con riferimento solo a quelle telefoniche, lo troviamo proprio all’interno di questo codice con una formulazione del tutto approssimativa agli articoli 170 e 23812, perché in quel periodo delle intercettazioni si faceva poco uso per il fatto che c’erano scarsi strumenti tecnici e, non avendo colto immediatamente l’efficacia a scopo probatorio, non erano nemmeno ipotizzabili le problematiche che ne sarebbero derivate in relazione alla riservatezza. Inoltre, il codice del 1913 attribuiva alla polizia giudiziaria, al giudice istruttore e al Procuratore del re, la possibilità di effettuare intercettazioni di comunicazioni, disciplinando però solamente le intercettazioni di comunicazioni a distanza tra privati e non menzionando assolutamente quelle “inter

praesentes”.

L’inconsapevolezza che circondava l’istituto si può inferire per esempio, dal primo caso documentato di intercettazione in Italia, e cioè quello avvenuto nel 1903 tra un Ministro e sua moglie, di cui abbiamo parlato precedentemente13. Questo fu un evento del tutto casuale, infatti il centralinista ascoltò involontariamente la telefonata, non ritenendola usuale ne annotò gli estremi, chiese udienza al Capo di Gabinetto del Primo Ministro e, raccontandogli l’accaduto, provocò il rinvio del decreto citato precedentemente14.

La conseguenza più significativa di questo evento fu tuttavia un’altra, e cioè la nascita del citato “Servizio di Intercettazione”.

Nel 1925, in pieno regime fascista, l’allora Guardasigilli Alfredo Rocco presentò un disegno di legge per modificare la legislazione

11 T. De Giovanni, cit., 2017, p. 23 ss.

12 U. Aloisi, E. Mortara, Spiegazione pratica del codice di procedura penale, 1914, p. 473. 13 Paragrafo 1 del presente capitolo, p. 32.

penale vigente, e il 19 ottobre 1930 con Regio Decreto n. 1399 venne promulgato il terzo codice di procedura penale formato da 404 articoli.

In questo periodo non si andò a migliorare l’approssimativa disciplina che riguardava le intercettazioni, perché la mancanza di principi garantisti che caratterizzava l’istituto era perfettamente in linea con le esigenze autoritarie del regime.

Quindi, il Codice Rocco, agli articoli 226 e 339, riconfermò in maniera praticamente integrale la legislazione del codice del 1913, e lasciò invariato il forte potere posseduto dalla parte inquirente; continuando a menzionare solamente le intercettazioni di comunicazioni telefoniche, telegrafiche o effettuate con collegamento su filo o a onde guidate, non facendo alcun riferimento alle conversazioni tra presenti.

Inoltre, mantenendo la totale assenza di principi garantisti, conservò il fortissimo potere che era stato attribuito nel vecchio codice alla Polizia Giudiziaria e al Giudice, infatti, legittimò questi a disporre le intercettazioni, nelle rispettive fasi di investigazione e di istruttoria, senza bisogno di una motivazione.

Nel 1948, il Costituente, visto quanto pericoloso potesse diventare il controllo dei singoli senza alcun limite e memore degli abusi commessi sotto il precedente governo15, volle distaccarsi dall’esperienza Fascista, e per far questo, definì la segretezza delle comunicazioni come uno dei diritti più forti all’interno dell’ordinamento, non solo ricomprendendolo nelle libertà “inviolabili”, ma proteggendolo anche con l’art 15 della Costituzione Italiana, tutto ciò per tutelare la libertà e la suddetta segretezza delle

15 U. Guspini, cit., 1973, p. 19 ss.; P. Rossi, Lineamenti di diritto penale costituzionale, 1954, p.

100; M. Pisani, La tutela penale della “riservatezza”: aspetti processuali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1967, p. 793; G. Baschieri, L. Bianchi D’Espinosa, C. Giannattasio, La costituzione Italiana, sub art. 15, 1949, p. 90.

comunicazioni. Infatti, con questo articolo, andò a porre un limite alle competenze della polizia, stabilendo che solo l’autorità giudiziaria, con un atto motivato conforme alla legge, avrebbe potuto richiedere un controllo delle comunicazioni. In questo modo si preclusero alla polizia interventi limitativi autonomi, diversamente da quello che accadde per la libertà personale e domiciliare.

Vi furono alcune critiche16, ma la scelta fu comunque ragionevole: non perché la privacy fosse più importante della libertà personale o domiciliare, ma perché diverse sono le tecniche di compressione di questi diritti, infatti, le misure che limitano la segretezza delle comunicazioni non incidono solo sull’inquisito, che, essendo inconsapevole, non può nemmeno esercitare controlli, diversamente dalle perquisizioni, a cui può presenziare o farsi assistere. Ecco allora che la dottrina prevalente sostenne il maggior rigore dell’art. 15, rispetto agli artt. 13 e 14 Cost. 17, ed evidenziò come la legislazione ordinaria avesse attuato con questo rigore l’art. 15 Cost. in materia di segretezza delle comunicazioni, lasciando spazio invece, a qualche cedimento in tema di libertà delle comunicazioni

16 Per P. Barile, E. Cheli, voce Corrispondenza (Libertà di), in Enc. dir., vol. X, 1962, p. 749,

la differente formulazione dell’art 15, rispetto agli artt. 13 e 14 Cost., sarebbe priva di qualsiasi spiegazione d’ordine razionale; analogamente R. Guariniello, Rapporti tra

amministrazione postale e autorità giudiziaria in tema di libertà e segretezza della corrispondenza, in Giur. cost., 1968, p. 1599 ss., parla del “paradosso […] insito nella configurazione di una normativa costituzionale atta ad assicurare alla “libertà della corrispondenza” una tutela palesemente superiore a quella contemplata a favore della libertà personale”; cfr. Id., Libertà di corrispondenza e garanzie giurisdizionali (considerazioni in margine alla legge 20 dicembre 1966, n. 1144), in Giur. it., 1968, p.

121; P. Ferrone, Il sequestro nel processo penale, 1974, p. 44.

17 G. Ubertis, in G. Ubertis, V. Paltrinieri, Intercettazioni telefoniche e diritto umano alla privatezza

nel processo umano, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1979, p. 594; D. Rossi, I presupposti delle intercettazioni telefoniche, ivi, 1987, p. 596; A. Pace, Commento all’art. 15, in, Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Rapporti Civili, 1977, p. 104; Id., Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, 1992, p. 264 ss; A. Zaccarini, Libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15 della costituzione e art. 226 c.p.p.), in Riv. pen., 1955, p. 449; G. Illuminati, cit., 1983, p. 57.

stesse, come ad esempio si è verificato con l’attribuzione di poteri limitativi a soggetti estranei alla magistratura18.

Negli anni successivi vi furono molte novità che portarono, come ho già ampiamente spiegato nel primo capitolo, alla fondamentale sentenza n. 34 del 197319.

Dal 1978 però, con la diffusione della criminalità organizzata, lo Stato attuò una legislazione d’emergenza antiterrorismo e quindi, con un forte cambiamento rispetto agli ultimi anni, andò ad eliminare quel garantismo introdotto pochi anni prima di cui abbiamo parlato.

Emblematica fu la legge 18 maggio 1978, n. 191, conversione del D.L. 21 marzo 1978, n. 5920, con la quale si introdusse alcune riforme per migliorare le investigazioni degli inquirenti, ma allo stesso tempo, si andò a ledere fortemente le libertà personali degli individui, perché con questa legge si introdusse la possibilità di prorogare per un numero indefinito di volte i quindici giorni previsti originariamente come limite temporale per la durata delle operazioni; si concesse poi al magistrato la possibilità di autorizzare “oralmente” la Polizia Giudiziaria a compiere le operazioni; si permise l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni anche in procedimenti diversi da quello per cui l’intercettazione era stata autorizzata e per cui le notizie erano state raccolte; e soprattutto, si introdusse la possibilità di svolgere la cosiddetta intercettazione preventiva, vero

18 P. Giocoli Nacci, Libertà di corrispondenza, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da G.

Santaniello, vol. XII, 1990, p. 127; V. Italia, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle

comunicazioni, 1963, p. 134, nota 9; C. Troisio, voce Corrispondenza (libertà e segretezza della),

in Enc. giur., vol. IX, 1988, p. 7; E. Fortuna, Ancora sulla legittimità delle intercettazioni e “blocchi”

telefonici, in Giur. merito, 1972, p. 31; A. Melchionda, Ancora sulla legittimità costituzionale di limiti alla libertà di corrispondenza senza intervento dell’autorità giudiziaria, in Scuola pos., 1967, p.

642 ss.; P. G. Grosso, Dubbi sulla legittimità costituzionale delle norme che attribuiscono

all’amministrazione postale poteri di controllo sul contenuto della corrispondenza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1966, p. 1413.

19 Paragrafo 1.3 del 1° capitolo, p. 15.

20 Com’è noto, questo provvedimento fu emanato cinque giorni dopo il sequestro dell’on.

“monstrum informe che sfugge ad ogni controllo, compreso quello di

costituzionalità, perché non appare mai, né dentro né fuori il processo”21. L’evoluzione storica dell’istituto, caratterizzata da quell’involuzione in senso autoritario che aveva caratterizzato gli anni di piombo e dalle altre circostanze che avevano reso l’istituto ricco di problemi e bisognoso di una disciplina per reprimere gli abusi, porterà ai lavoratori preparatori per il nuovo codice, e sarà la base per la redazione degli articoli in materia di “intercettazioni di conversazioni o comunicazioni” presenti nel nuovo codice di procedura penale promulgato nel 1988 ed entrato in vigore nel 1989, formato da 746 articoli, con il quale si cercherà di introdurre regole certe ed eque per entrambe le parti del processo penale, visto che fino a quel momento, le intercettazioni erano state troppo spesso utilizzate come strumento di regime, e che, la loro disciplina era stata molte volte modificata in base alle esigenze politiche e sociali del periodo.

Il titolo III del libro terzo è infatti interamente dedicato ai mezzi di ricerca della prova e il capo IV, che va dall’art 266 all’art 271, disciplina l’istituto delle “intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”. Come detto in precedenza, solo con questo codice il legislatore va a disciplinare in maniera chiara le intercettazioni ambientali ed infatti un’importante novità rispetto ai precedenti codici di procedura penale è proprio la regolamentazione delle captazioni tra presenti con l’art 266, comma 2, le quali possono essere effettuate nei luoghi di privata dimora solo quando c’è il sospetto di svolgimento dell’attività criminosa.

Un’altra novità di questo codice è che le intercettazioni non sono più un mezzo di prova come in passato, ma un mezzo di ricerca

21 Così G. Fumu, Commento all’art 266, in Commento al nuovo codice di procedura penale,

della prova ed infatti, a differenza del vecchio codice dove l’intercettazione era praticamente un “atto della Polizia Giudiziaria”, in quello attuale è un atto di indagine del Pubblico Ministero, svolto previa autorizzazione o convalida del G.I.P. a garanzia delle indagini preliminari.

Dopo 3 anni dal nuovo codice, a causa dell’emergenza della criminalità organizzata, la disciplina delle intercettazioni viene nuovamente modificata prima con il D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge n. 203 del 1991 e poi con la legge 7 agosto 1992, n. 356, le quali, come vedremo meglio nel paragrafo 4 di questo capitolo22, hanno allungato i termini delle operazioni di intercettazione e, per le intercettazioni “inter praesentes”, hanno eliminato il necessario “sospetto che in quei luoghi si stia svolgendo l’attività criminosa”.

Infine, l’incessante sviluppo tecnologico legato all’informatica e alla rete internet ha fatto sì che nascessero nuove condotte penalmente rilevanti, con la conseguente necessità di adeguare la disciplina a queste nuove forme di comunicazione realizzate attraverso sistemi informatici, infatti, questi nuovi strumenti hanno permesso di porre in essere con modalità nuove e diverse fatti già costituenti reato; oltre ad aver creato nuovi fenomeni criminali che, ledendo beni giuridici meritevoli di tutela, hanno indotto il legislatore ad introdurre nuove e specifiche fattispecie penali incriminatrici.

La criminalità informatica e la facilità con cui questa può manifestarsi hanno fatto sì che il legislatore, con la legge 23 dicembre 1993, n. 547, apportasse diverse modifiche ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica, tra le quali, l’introduzione dell’art. 266-bis

c.p.p., con il quale si è consentito l’intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche, di cui parleremo ampiamente nel prossimo capitolo.

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