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Le novità dell’art 8, l n 148 del 2011: cosa cambia?

3. Retribuzione e livelli della contrattazione collettiva

3.3. Le novità dell’art 8, l n 148 del 2011: cosa cambia?

L’art. 8, l. 14 settembre 2011, n. 148 rappresenta una novità assoluta nel sistema italiano di relazioni sindacali in quanto il legislatore, per sostenere il secondo livello contrattuale, ha riconosciuto ai contratti collettivi aziendali e territoriali il potere di derogare agli accordi nazionali ed alla legge (comma 2

bis)120. È inoltre attribuita efficacia erga omnes a tali accordi qualora siano sottoscritti dai soggetti elencati al comma 1.

119 Cass., 22 marzo 2010, n. 6852, in Giust. Civ., Mass., 2010, 416; Cass., 19 febbraio 2009, n.

4078, in Giust. Civ., Mass., 2009, 272; Cass., 25 giugno 2008, n. 17310, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, 49 ss., con nota di A. Occhino; Cass., 4 novembre 2005, n. 21379, in Giust. Civ.,

Mass., 2005, 11. Molte delle controversie erano sorte in relazione all’art. 49, ccnl per il settore

bancario del 19 dicembre 1994, il quale introduceva una regolamentazione piuttosto dettagliata del premio; v. Cass., 4 novembre 2005, n. 21379, in Giust. Civ., Mass., 2005, 11; Cass., 25 giugno 2008, n. 17310, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, 49 ss.

120 Per una disamina della norma si rinvia ad A.P

ERULLI e V.SPEZIALE, L’articolo 8 della legge

14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E.

132/2011; G.FERRARO, Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del decreto n. 138/2011, in WP

C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, 129/2011; F.CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale:

il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 133/2011; P.

ICHINO, La storia (immaginaria) di Irene spiega perché l’art. 8 non può funzionare, in

Newsletter 19 settembre 2011, n. 167, in www.pietroichino.it; A.MARESCA, La contrattazione

collettiva aziendale dopo l’art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, in www.cuorecritica.it; M.

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L’elencazione delle materie (comma 2) nelle quali gli accordi “di prossimità” possono modificare le norme di legge ed il contratto nazionale è piuttosto ampia e comprende questioni “inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione” con riferimento finanche alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”. Tale ampiezza caratterizza pure le finalità perseguibili attraverso le deroghe che devono essere preordinate ad incrementare l’occupazione, a migliorare la qualità dei contratti di lavoro, a consentire l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, ad incrementare la competitività ed il salario ecc.

Poiché gli accordi di prossimità sono in grado di derogare alla legge e agli accordi nazionali “solo” nelle materie e per le finalità prescritte dalla legge, alcuni commentatori121 hanno affermato che i giudici avranno un ampio potere di sindacare la legittimità delle modifiche introdotte da tali contratti: potranno verificare se i mezzi utilizzati dagli accordi aziendali e territoriali per perseguire un dato fine siano ragionevoli e potranno, in caso di risposta negativa, invalidare la disciplina dell’accordo di prossimità.

L’intervento del legislatore potrebbe favorire il decollo del contratto collettivo di secondo livello, ma non nella direzione più auspicabile122 perché i contratti aziendali e territoriali interverranno con una disciplina in deroga ai contratti nazionali e alle norme di legge123, con il risultato di destrutturare il diritto del lavoro. Di conseguenza l’art. 8, l. n. 148 del 2011 rappresenta uno strumento più efficace rispetto a quelli introdotti dalle confederazioni sindacali (l’elemento economico di garanzia retributiva, le “clausole di uscita” dal contratto nazionale e le linee guida per la regolamentazione dei premi) per favorire la diffusione del secondo livello contrattuale, ma si muove nella direzione di destrutturare le tutele garantite dalle norme lavoristiche.

121 A.P

ERULLI e V.SPEZIALE, L’articolo 8..., op. cit., 26 ss.

122

Tale intento potrebbe essere svilito dal fatto che nell’accordo siglato il 21 settembre 2011, CGIL, CISL, UIL e Confindustria si sono impegnate a rispettare l’accordo interconfederale del 28 giugno dello stesso anno. Ciò ha “fortemente ridimensionato” le aspettative sull’efficacia dell’art. 8, l. n. 148 del 2011. Cfr. al riguardo A.PERULLI e V.SPEZIALE, L’articolo 8..., op. cit., 51 ss.

123 Cfr. la ricostruzione di F. C

ARINCI, Al capezzale..., op. cit.,70 ss., il quale evidenzia la problematicità di un potere così ampio di deroga riconosciuto agli accordi aziendali e territoriali rispetto alle norme di legge, potere che arreca un vulnus all’inderogabilità della normativa lavoristica e rischia di determinare una frammentazione del diritto del lavoro non a livello regionale, ma addirittura aziendale.

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Se si considera che il trattamento economico dei lavoratori è determinato dai contratti collettivi124, per tale regolamentazione non rileva tanto il potere degli accordi di prossimità di derogare alle norme di legge125, quanto il potere che l’art. 8, comma 2 bis, l. n. 148 del 2011 riconosce agli accordi di secondo livello di modificare le previsioni del contratto nazionale di categoria.

Come si diceva relativamente alle “clausole di uscita” dell’A.I. del 28 giugno 2011 e ancora prima dell’A.I. del 15 aprile 2009, esse non rappresentano una “novità” in quanto la giurisprudenza consolidata afferma che il contratto collettivo di secondo livello possa derogare anche in peius al contratto nazionale ed, in questo caso, le sue previsioni sono pienamente legittime a prescindere dalla presenza delle “clausole di uscita”. Tale interpretazione ha portato a riconoscere la possibilità che gli accordi aziendali flessibilizzino una parte del trattamento economico del contratto nazionale, fermo restando il rispetto dei minimi retributivi.

Si può ritenere che in seguito all’approvazione dell’art. 8, l. n. 148 del 2011 muti qualcosa in materia retributiva?

Le soluzioni ermeneutiche prospettabili sono diverse: la giurisprudenza potrebbe continuare a sostenere la piena legittimità delle deroghe introdotte dal contratto collettivo di secondo livello al contratto nazionale a prescindere dal rispetto dei limiti prescritti dall’art. 8, l. n. 148 del 2011. In quest’ultimo caso gli accordi aziendali non avranno efficacia erga omnes ex art. 8, comma 1, l. n. 148 del 2011, ma saranno comunque legittimi. In tale ipotesi le parti sociali a livello aziendale sarebbero legittimate a flessibilizzare una parte del trattamento economico erogato in cifra fissa dall’accordo nazionale, fermo il rispetto dei minimi di trattamento ex art. 36 Cost., senza che venga in rilievo l’art. 8, l. n. 148 del 2011.

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Questa regolamentazione può essere “diretta” quando le parti sono vincolate ad applicare il contratto collettivo in conseguenza dell’affiliazione sindacale od in base agli altri meccanismi di elaborazione giurisprudenziale, o “indiretta” quando il trattamento economico del contratto nazionale si applica in conseguenza dell’interpretazione che la giurisprudenza fa dell’art. 36 Cost. Cfr. al riguardo § 1.1.

125 La soluzione sarebbe diversa se il legislatore avesse introdotto una legge sui minimi

retributivi. Anche in tal caso però il potere derogatorio sarebbe stato limitato dalla necessità di rispettare i vincoli costituzionali. Pertanto qualora i minimi legali fossero stati ritenuti attuativi del precetto dell’art. 36 Cost. sarebbero stati comunque inderogabili ex art. 8, comma 2 bis, l. n. 148 del 2011.

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In alternativa la giurisprudenza potrebbe legittimare le deroghe del contratto di prossimità all’accordo nazionale solo nei limiti di materia e secondo le finalità prescritte dall’art. 8, l. n. 148 del 2011, in considerazione del fatto che tutto ciò che non è consentito da tale norma deve ritenersi precluso: in tal caso laddove si applichi il contratto nazionale, l’accordo di secondo livello non sembra in grado di derogare alla regolamentazione della retribuzione dell’accordo nazionale perché fra le materie nelle quali può esplicarsi il potere modificativo non è compresa la retribuzione. A tale conclusione si perviene in quanto la formula di apertura dell’art. 8, comma 2 (“la regolamentazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento”) non rende esemplificativa l’elencazione che la segue126

in cui non è legittimata alcuna modifica alla disciplina del trattamento economico. In tal caso non sarebbe nemmeno necessario richiamare il comma 2 bis dell’art. 8 per imporre il rispetto dell’art. 36 Cost. come limite alle deroghe alla legge e al contratto nazionale, perché questo risultato è già garantito dalla preclusione per gli accordi di prossimità del potere di derogare al trattamento economico del contratto nazionale127.

In alternativa il potere di deroga degli accordi di prossimità rispetto alla regolamentazione della retribuzione dell’accordo nazionale potrebbe essere fondato sull’art. 8, comma 2, lett. e), nel quale le intese modificative sono legittimate relativamente alla disciplina del rapporto di lavoro. Questa non andrebbe riferita esclusivamente al “tipo contrattuale” scelto dalle parti, come fa pensare il successivo richiamo alle collaborazioni a progetto e alle “partite I.V.A.”, ma più in generale a tutta la disciplina del rapporto di lavoro

126 In questo senso è convincente l’interpretazione proposta da F.C

ARINCI, Al capezzale..., op.

cit., 36, ad avviso del quale «data la natura assolutamente eccezionale di questa normativa, tale e

tanta da far dubitare della sua costituzionalità, è da escludere che la clausola omnibus premessa al “con riferimento” possa trasformare l’elencazione da tassativa ad esemplificativa».

127 Questa soluzione interpretativa potrebbe condurre ad un’ulteriore conseguenza: nei rapporti

di lavoro ai quali non si applica il contratto nazionale il giudice potrebbe determinare il trattamento economico ex art. 36 Cost. facendo riferimento alla retribuzione complessivamente regolata nell’accordo nazionale e non solo ai minimi (come fa oggi nella maggioranza dei casi). Questa soluzione garantirebbe maggiore coerenza con la preclusione, per l’accordo di prossimità, del potere di derogare al trattamento del contratto nazionale in quei rapporti ai quali si applichi l’accordo nazionale. La soluzione interpretativa finale sarebbe inoltre maggiormente conforme all’intento dei costituenti di garantire, tramite la retribuzione ex art. 36 Cost., un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia.

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subordinato128. L’accordo di prossimità in deroga al trattamento economico del contratto nazionale incontrerebbe come limite l’art. 36 Cost. (ex art. 8, comma 2

bis) e sarebbe legittimo solo qualora rispettasse le finalità delineate dal comma

1: la flessibilizzazione della retribuzione del contratto nazionale potrebbe essere giustificata dal fine di accrescere le forme di partecipazione dei lavoratori, di aumentare la competitività delle imprese o i salari.

Laddove l’art. 8, l. n. 148 del 2011 riconosce al contratto di secondo livello il potere di derogare alle previsioni dell’accordo nazionale nelle materie e secondo le finalità indicate dalla legge, il legislatore incide in modo dirompente sull’autonomia collettiva intesa come possibilità per le organizzazioni sindacali di determinare la struttura contrattuale e, quindi, anche il rapporto fra contratti collettivi di diverso livello. Tramite questa previsione il legislatore si disinteressa del riparto di competenze fra i diversi livelli contrattuali delineato dalle parti sociali nell’A.I. del 28 giugno 2011 e spoglia l’accordo nazionale del ruolo di garante della certezza di trattamenti normativi comuni a tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale, funzione che invece gli hanno conferito le parti sociali nel punto 2 dell’accordo di giugno. A causa di ciò la disposizione pare in contrasto con l’art. 39, comma 1 Cost. e «con la nozione classica di autonomia collettiva»129 da essa deducibile. Le conclusioni sono ancora più problematiche per il potere di deroga alle norme di legge che l’art. 8, l. n. 148 del 2011 attribuisce agli accordi di prossimità: in tal modo si arreca un vulnus all’inderogabilità delle norme lavoristiche e si rischiano di destrutturare le tutele in esse previste.

4. Il ruolo della legge nel lavoro privato: le agevolazioni a favore della