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3. Le politiche energetiche da Nixon a Carter: verso la transizione

3.3. Le politiche energetiche dell’amministrazione Nixon e Ford

In October 1973, the Organization of Petroleum Exporting Countries cut the American jugular and it bled oil(Rosenbaum, 1987: 3). Ancora prima dell’embargo che avrebbe inasprito la congiuntura, una seria situazione energetica aspettava Nixon all’entrata della Casa Bianca. Gli Stati Uniti si trovavano in un periodo di transizione da una lunga era di abbondanza di energia domestica a buon prezzo e di noncuranza per le conseguenze ambientali ad un periodo di scarsità di ‘carburanti puliti’ accettabili, aumento della dipendenza dai combustibili stranieri e sviluppo non adeguato delle fonti alternative di energia (Morton, 1973: 65).

Il sistema delle quote d’importazione, introdotto da Eisenhower nel 1959, portò alla restrizione dell’offerta di petrolio importato, l’aumento dei prezzi domestici e lo stimolo artificiale della produzione domestica di risorse non rinnovabili. Ciò portò ad una distorsione dello schema di produzione di petrolio nel mondo, oltre a stimolare la produzione da fonti sempre più limitate negli Stati Uniti (Mead, 1979: 353). Questo programma venne adottato in un momento storico in cui il paese aveva una capacità produttiva eccessiva, il mondo era sommerso di petrolio a prezzi molto bassi ed era necessario salvaguardare la capacità produttiva domestica (Morton, 1973: 70). Poco prima il controllo dei prezzi sul metano (introdotto nel 1954) portò una diminuzione degli stessi, ad un aumento della richiesta e quindi a una carenza di offerta. Si sopperì in parte a questa carenza con il petrolio e questo fu anch’esso un fattore che contribuì all’aumento delle importazioni e della dipendenza energetica dall’estero. Gli effetti invece del controllo sui prezzi del petrolio erano meno chiari. Uno studio condotto da Charles Phelps e Rodney Smith nel 1977, chiamato Petroleum Regulation: The False Dilemma of Decontrol, concluse che il prezzo dei prodotti raffinati non diminuì, ma questo sistema portò ad una redistribuzione del profitto dalla produzione di greggio alla raffinazione. Inoltre, nel caso del petrolio si aveva un’offerta quasi infinita sottoforma di importazioni e l’obbiettivo di risparmio

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energetico posto dal governo federale negli anni Settanta non poteva essere raggiunto in un mercato dove la domanda era stimolata artificialmente (Mead, 1979: 353).

“Something had clearly gone wrong with United States energy policies, but there was no consensus on the causes of the failure” (Rosenbaum, 1987: 3). Alcuni sostenevano che tale crisi fosse derivata dalle regolamentazioni imposte dal governo, che non permisero ai prezzi di adattarsi in base alle regole del libero mercato. Come già evidenziato nel capitolo 2, questa tesi era sostenuta fortemente dalle principali compagnie petrolifere. Altri sostenevano che fosse dovuta alle abitudini di consumo degli americani mentre altri ancora sostenevano che fosse una cospirazione delle major petrolifere. Un fattore di particolare rilevanza sembra però fossero gli accordi inappropriati in merito alla gestione delle risorse, che portarono ad un uso sproporzionato delle stesse. Come già sottolineato parlando dei ‘sottosistemi’, le politiche energetiche negli Stati Uniti prima dello shock petrolifero erano in realtà una semplice combinazione delle diverse politiche dei ‘sottosistemi’. Non esisteva un meccanismo permanente che potesse monitorare e valutare gli sviluppi energetici in maniera esaustiva, e neanche un metodo preciso per valutare i vantaggi e gli svantaggi delle diverse politiche dei ‘sottosistemi’ o riconciliare eventuali elementi conflittuali tra alcune di queste politiche (ibidem). Vietor (1984: 235) tentò di spiegare nel suo libro come la crisi energetica dell’inizio degli anni Settanta fosse dovuta alla convergenza di tre fattori: l’esaurimento delle riserve domestiche di gas e petrolio, la concentrazione e l’integrazione strutturale dell’industria energetica, e lo sviluppo del movimento ambientalista. La reazione politica a questa crisi mise a rischio l’ambivalenza che aveva caratterizzato fino a quel momento la relazione tra le compagnie e il governo.

Poco dopo essere entrato per la prima volta alla Casa Bianca, Nixon disse che l’economia americana non poteva più aumentare la sua dipendenza dal petrolio importato (Goldstein, 1978: 180). Nel 1969, il presidente Nixon assemblò una task force all’interno del suo gabinetto sotto la direzione del Segretario al Lavoro, George Schultz. Il compito della task force era quello di ragione sui controlli e le quote sulle importazioni di petrolio. Schultz era giunto alla conclusione che fosse arrivato il momento di rimuovere le quote d’importazione, anche se questo significava aumentare la dipendenza dal petrolio straniero a basso prezzo, ma Nixon non si trovò d’accordo con le opinioni della task force (Jacobs, 2016). Dato che la situazione non era più quella della fine degli anni Cinquanta, bisognava, da un lato aumentare le importazioni per riuscire a soddisfare la domanda di petrolio, ma dall’altro bisognava anche adottare misure volte a limitare o ridurre la dipendenza nel lungo termine dal petrolio importato, incoraggiando la produzione domestica (Morton, 1973: 70).

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Quasi in vista della crisi che si stava avvicinando, Nixon il 4 giugno 1971, anno in cui gli Stati Uniti raddoppiarono le loro importazioni di petrolio, inviò un messaggio al Congresso sul tema dell’energia:

For most of our history, a plentiful supply of energy is something the American people have taken very much for granted. In the past twenty years alone, we have been able to double our consumption of energy without exhausting the supply. But the assumption that sufficient energy will always be readily available has been brought sharply into questions within the last year. [Recent events] have all demonstrated that we cannot take our energy supply for granted. A sufficient supply of clean energy is essential if we are to sustain healthy economic growth and improve the quality of our national life.9 L’amministrazione decise quindi di portare avanti una serie di iniziative che avrebbero fornito supporto allo sviluppo delle energie alternative, al nucleare e al risparmio energetico. Parlò anche della velocizzazione della vendita delle concessioni per estrarre petrolio e gas dalla piattaforma continentale, dell’espansione del programma per convertire il carbone in gas pulito, lo sfruttamento delle vaste risorse domestiche di scisto bituminoso e altre misure (Shabecoff, 1971). Riconoscendo il risparmio energetico come una necessità a livello nazionale, menzionò il bisogno di sviluppo di un’etica energetica nazionale volta al risparmio dell’energia utilizzata e alla ricerca di modi di limitarne l’uso in futuro. Fece appello ad ogni americano perché facesse la propria parte e provasse a ridurre il proprio consumo del 5%. Diede poi istruzioni a tutte le agenzie federali perché sviluppassero e implementassero programmi per conservare energia (Morton, 1973: 71). Concluse il suo messaggio dicendo: “I am confident that the various elements of our society will be able to work together to meet our clean energy needs. And I am confident that we can therefore continue to know the blessings of both high‐energy civilization and beautiful environment.”10

Visto la poca popolarità e fiducia di cui godeva l’industria petrolifera, sia l’amministrazione sia l’industria stessa decisero che il risparmio energetico sarebbe stato necessario per evitare che le carenze diventassero crisi, che avrebbero così richiesto un intervento governativo ancora maggiore. In tal modo, anche le compagnie petrolifere andarono a sostenere questa nuova etica del risparmio. Tutte le major petrolifere rimossero le loro pubblicità della benzina e le rimpiazzarono con appelli pubblici al

9 Office of the White House Press Secretary, 04/06/1971, “President’s Energy Message on 4th June 1971, in United

States. Congress”, Joint Committee on Atomic Energy, 1971, Hearings and Reports on Atomic Energy, Vol. 147: pp.519-528, U.S. Government Printing Office;

10 Office of the White House Press Secretary, 04/06/1971, President’s Energy Message on 4th June 1971, in United States.

Congress, Joint Committee on Atomic Energy, 1971, Hearings and Reports on Atomic Energy, Vol. 147: pp.519-528, U.S. Government Printing Office;

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risparmio (Mehra & Kefalas, 1980: 349; Jacobs, 2016). Come disse Rawleigh Warner Jr., AD della Mobil: “The American public must develop a new national ethic with respect to the use of energy (…) because the energy shortage will be with us for a long time” (Jacobs, 2016).

Gli anni Settanta furono il decennio principale di sviluppo del movimento ambientalista come lo conosciamo oggi, che emerse sulla scena come nuovo attore nelle decisioni energetiche. Alcuni eventi importanti giocarono un ruolo primario nel rafforzamento e nella diffusione del movimento ambientalista, come per esempio la fuoriuscita di petrolio subita dalla piattaforma della Union Oil nel canale di Santa Barbara nel 1969 (Vietor, 1984: 229). Il principale lascito del movimento ambientalista fu la nuova sensibilità ambientale, alla quale dovettero rendere conto le compagnie petrolifere riguardo la produzione di combustibili fossili (Vietor, 1984: 234, Kash & Rycroft, 1984: 83). L’aumento della richiesta di energia, ormai proveniente da fonti che mettevano maggiormente a rischio l’ambiente, diede forza al movimento ambientalista che fomentò la resistenza popolare contro le miniere di carbone a cielo aperto (coal-strip mining), le nuove centrali nucleari, l’estrazione di petrolio offshore e la Trans- Atlantic Pipeline. La fuoriuscita di petrolio nel canale di Santa Barbara mise le problematiche ambientali al centro del dibattito politico e fece notare ai politici che molti elettori si preoccupavano per questi temi. In quel periodo, gli ambientalisti erano scettici nei confronti di qualsiasi cosa non fosse conservazionismo e molti sostenevano che l’unico futuro sostenibile fosse uno in cui la dipendenza dal petrolio era stata fortemente ridotta (Jacobs, 2016). Dato che l’industria dell’energia era naturalmente portata ad avere un impatto ambientale negativo, le compagnie energetiche furono fortemente interessate da questa nuova coscienza ambientale. In generale infatti, si videro limitare le loro opzioni d’azione e subirono una infiltrazione maggiore dell’attività di governo nella regolamentazione delle proprie operazioni giornaliere. Questo contribuì ad aumentare l’ostilità tra le compagnie stesse e il governo e le sue agenzie (Vietor, 1984: 235).

Nel 1969 ci fu abbastanza consenso in Congresso per passare il National Environmental Policy Act, legge che fece dei notevoli cambiamenti in materia di proprietà privata, funzionamento dei mercati e diritti d’azione dei singoli Stati (Jacobs, 2016). L’obbiettivo della legge era:

To declare a national policy which will encourage productive and enjoyable harmony between man and his environment; to promote effort which will prevent or eliminate the damage to the environment and biosphere and stimulate the health and welfare of man; to enrich the understanding of the ecological

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systems and natural resources important to the Nation; and to establish a Council on Environmental Quality.11

Le politiche ambientali pur non essendo dirette alla gestione della produzione energetica, essendo tendenzialmente rivolte a combattere o controllare lo sfruttamento dell’ambiente e delle sue risorse, ebbero un impatto sulle politiche energetiche e si potrebbero quindi definire complementari ad esse. A luglio del 1970, Nixon creò l’Environmental Protection Agency (EPA), agenzia volta ad applicare le presenti e future leggi in campo ambientale. Questa nuova agenzia aveva vari poteri in ambiti disparati come controllare le imprese in diversi settori dell’economia, imporre costi di conformità e stabilire e fornire autorizzazioni agli Stati. Nixon sperava che sarebbe riuscito ad esercitare maggiore influenza, centralizzando la responsabilità relativa all’implementazione delle politiche ambientali (Jacobs, 2016). Il Presidente sembrava avere capito che la questione ambientale fosse una questione che aveva guadagnato terreno politico e sociale, diventando un tema di particolare interesse per il pubblico americano. Con un occhio già alla rielezione, Nixon si rese conto che spingere per una maggiore protezione ambientale fosse la strada che gli avrebbe maggiormente giovato. In questo contesto, a fine dicembre del 1970, Nixon firmò il Clean Air Act che impose degli standard di qualità dell’aria nazionale e delle scadenze obbligatorie da rispettare. L’atto non prendeva di mira solo le fabbriche e gli impianti di produzione di energia elettrica, ma anche le automobili, all’epoca le principali fonti d’inquinamento (Jacobs, 2016). Questa regolamentazione ebbe degli effetti avversi sull’industria del carbone, il cui sviluppo e sfruttamento veniva sostenuto dal Presidente, proprio perché imponeva delle restrizioni all’emissione di ossidi di zolfo, particolato e altri agenti inquinanti nell’atmosfera. Per cercare di mitigare l’impatto che le politiche dell’EPA avrebbero avuto sull’estrazione di carbone, il Presidente chiese che venissero implementati gli standard necessari solo a raggiungere gli obbiettivi primari (volti a tutelare la salute della popolazione, da raggiungere entro il 1975) e che per i secondari (volti a tutelare l’ambiente, senza una scadenza) se ne parlasse dal 1975 (Morton, 1973: 70).

Ancora prima dell’inasprimento della crisi energetica causato dall’embargo del 1973, nel ragionare sullo sviluppo di un futuro piano energetico nazionale, i consiglieri di Nixon gli dissero di non imporre nessun programma obbligatorio e che una volta messi i controlli sarebbero stati molto difficili da rimuovere. Inoltre, George Schultz gli ricordò che controlli sull’allocazione non avrebbero eliminato le carenze e avrebbero semplicemente distorto il mercato. Ciò nonostante, nel 1970 firmò

11 Department of Energy, The National Environmental Policy Act of 1969, energy.gov, (url:

https://www.energy.gov/nepa/downloads/national-environmental-policy-act-1969), data ultima consultazione 18/01/2020;

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l’Energy Stabilization Act, che portò ad un controllo generale dei prezzi e dei salari, volto a combattere la crescente inflazione. Questa legge venne articolata in quattro fasi e l’ultima risulta la più rilevante per la presente analisi (Jacobs, 2016). La fase quattro del congelamento dei prezzi, che doveva durare dal 13 agosto 1973 al 30 aprile 1974, era una fase di ottemperanza volontaria con eliminazione graduale dei controlli. L’industria petrolifera era una chiara eccezione. Venne creato un sistema nel quale tutto il petrolio domestico era diviso in due categorie artificiali: ‘vecchio’, prodotto da pozzi già in attività nel 1972, e ‘nuovo’, il petrolio restante, incluso anche quello che veniva da pozzi che producevano meno di 10 barili al giorno. Questa fase bloccò i prezzi del petrolio ‘vecchio’, che rappresentava circa il 60% della produzione domestica, a 4,25 dollari al barile, mentre il prezzo del petrolio ‘nuovo’ rimase libero. Secondo coloro che avevano elaborato questo sistema, ciò avrebbe dovuto permettere un aumento della produzione, mantenendo però i prezzi sotto controllo (Jacobs, 2016). Durante questa fase, il petrolio ‘nuovo’ raggiunse più del doppio del prezzo fisso del petrolio ‘vecchio’. Prima dell’embargo la differenza di prezzo alla vendita tra petrolio ‘vecchio’ e ‘nuovo’ era di circa 1 dollaro. Il prezzo del ‘nuovo’ petrolio seguiva i prezzi OPEC e quindi, a settembre 1973, era venduto a 5,12 dollari al barile, mentre a dicembre aveva già raggiunto i 10,35 dollari al barile e dopo cinque mesi dall’embargo, il prezzo del petrolio importato quadruplicò (Kash & Rycroft, 1984: 194). Questo sistema promuoveva la trivellazione di nuovi pozzi, ma distorceva il mercato e creava disincentivi per la produzione di petrolio ‘vecchio’. Molte compagnie petrolifere quindi rimossero dal mercato i pozzi da cui veniva estratto petrolio ‘vecchio’ perché si rifiutavano di vendere a meno della metà del prezzo di mercato. Solo l’eliminazione di questo sistema avrebbe portato ad un aumento della produzione domestica (Jacobs, 2016).

Dal punto di vista dell’energia, l’evento più importante durante l’amministrazione Nixon fu proprio l’embargo del 1973. La risposta immediata della presidenza fu quella di cercare nuove fonti di energia, e in particolare energia che potesse provenire dallo sviluppo di nuove tecnologie. Vennero aggiunte alla lista molte nuove fonti energetiche, ma il problema era che molte di queste erano caratterizzate da un forte livello di incertezza. Non erano ancora disponibili commercialmente e l’enorme varietà di fonti alternative complicò il raggiungimento di un consenso riguardo la politica energetica (Kash & Rycroft, 1984: 16). L’amministrazione adottò quindi una politica energetica volta ad assicurare un’offerta adeguata e affidabile per riuscire a rispondere alla richiesta energetica del paese e “to assure its prosperity and security in ways which are consistent with the nation’s environmental and social goals” (Morton, 1973: 65). Optò così per stimolare un aumento dell’utilizzo di tutte le fonti energetiche che si trovavano negli Stati Uniti, come gli idrocarburi trovati nella

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piattaforma continentale esterna, oltre alla rimozione dei prezzi artificiali e delle barriere burocratiche che limitavano il flusso di gas naturale e petrolio sul mercato (Morton, 1973: 65). Il Presidente stabilì una serie di programmi esaustivi per la ricerca e lo sviluppo per ottenere energia da fonti alternative. Al fine di aumentare la disponibilità di fonti di energia in territori federali, accelerò il processo per ottenere le concessioni sulla piattaforma continentale esterna (Morton, 1973: 67). L’intenzione era quella di migliorare ogni tecnologia esistente e svilupparne di nuove per assicurare che le necessità energetiche della nazione potessero essere soddisfatte. A tal proposito, il 29 giugno del 1973, il Presidente propose al Congresso che venisse creata una nuova Energy Research and Development Administration con un budget di 10 miliardi di dollari da usare per 5 anni dall’anno fiscale 1975 (Morton, 1973: 72).

Per Nixon ora si prospettava il problema di dover risolvere la crisi petrolifera e di dover gestire le conseguenze di Watergate. Il suo obbiettivo principale era quindi quello di far rimuovere l’embargo. Il 7 novembre del 1973 fece un discorso in cui dichiarò apertamente che vi era una crisi energetica. Secondo lui, la soluzione era che il Congresso offrisse sostegno al suo Project Indipendence, piano che aveva l’obbiettivo di portare gli Stati Uniti ad essere autosufficienti dal punto di vista energetico entro il 1980. Secondo Nixon, “American science, technology, and industry can free the United States from dependence on foreign oil.”12 L’obbiettivo iniziale era quello di eliminare le importazioni di petrolio, obbiettivo che venne però da lì a poco trasformato in quello di limitare la vulnerabilità economica dovuta quasi completamente alle importazioni di petrolio. Questo cambiamento di direzione aprì la porta a tutta una serie di politiche volte a rafforzare la sicurezza energetica americana. Tra le politiche vi era la creazione della Strategic Petroleum Reserve e lo sviluppo di nuove tecnologie (Bohi & Toman, 1996: 3).

A dicembre 1973, Nixon annunciò che William Simon sarebbe diventato il capo del nuovo Federal Energy Office. La creazione del FEO e poi della FEA furono le prime significative iniziative della Casa Bianca nella storia americana a promuovere la pianificazione di un piano energetico esaustivo (Rosenbaum, 1987: 4). Dalla fine del 1973, la Casa Bianca era ufficialmente entrata nel campo dell’energia e con ogni legge e programma diventava sempre più imbrigliata in questo complesso sistema (Jacobs, 2016).

12 Department of Energy, Timeline of Events: 1971 to 1980, energy.gov, (url: https://www.energy.gov/management/office-

management/operational-management/history/doe-history-timeline/timeline-events-1), data ultima consultazione 18/01/2020;

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Ancora prima dell’embargo, a gennaio del 1973, Nixon durante il suo secondo discorso inaugurale parlò a sostegno di un ruolo limitato del governo:

We have lived too long with the consequences of attempting to gather all power and responsibility in Washington (…) That is why today I offer no promise of a purely governmental solution for every problem. (…) In trusting too much government, we have asked of it more than it can deliver. This leads only to inflated expectations, to reduced individual effort, and to disappointment and frustration that erode confidence both in what government can do and in what people can do.13

Il 18 aprile del 1973 Nixon inviò il suo secondo messaggio sull’energia al Congresso: “Now we must build on our increased knowledge, and on the accomplishments of the past twenty-two months, to develop a more comprehensive, integrated national energy” (Morton, 1973: 67). Uno dei punti principali di questa nuova politica energetica era incoraggiare lo sviluppo di fonti energetiche domestiche, tra cui gas naturale, petrolio, carbone, nucleare, scisto bituminoso. Per stimolare la produzione di gas naturale, il Presidente chiese al Congresso di far passare una legislazione che ponesse fine alla regolamentazione sui prezzi del gas naturale dai pozzi della Federal Power Commission, dai nuovi pozzi, del gas naturale riservato ai mercati interstatali e di quello che diventa disponibile dopo la scadenza degli attuali contratti. La proposta prevedeva anche che il Segretario dell’Interno dovesse monitorare i prezzi del gas e potesse imporre un tetto massimo sui nuovi prezzi, se ritenuto necessario. Inoltre, il Presidente ordinò al Segretario dell’Interno di applicare un programma di concessioni del suolo pubblico più fluido e rapido, particolarmente nel caso della piattaforma continentale esterna, dove si stimava che più della metà del petrolio e del gas americani estraibili fossero. Il programma sottolineava che questi idrocarburi sarebbero stati estratti solo se l’impatto ambientale legato alla loro estrazione fosse stato considerato accettabile (Morton, 1973: 68). Nixon annunciò poi che avrebbe eliminato le restrizioni sulle importazioni per alleviare le carenze di breve