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Le scelte di Ankara nel nuovo ordine mondiale

Nel documento L'Influenza della Turchia nei Balcani (pagine 46-49)

III. POLITICA ESTERA TURCA NEI BALCANI NEL DOPO GUERRA FREDDA

3.3 Le scelte di Ankara nel nuovo ordine mondiale

Con l’avvicinarsi del nuovo millennio Ankara cominciava ad interrogarsi sul tipo di approccio di politica estera da adottare nei confronti dei suoi alleati, potenze regionali e globali. Questo dibattito era strettamente correlato anche con la questione dell’identità nazionale turca. Riguardo alla linea a cui avrebbe dovuto attenersi la nuova politica estera, la Turchia si trova divisa secondo opinioni contrastanti. Per una parte della politica interna il paese avrebbe dovuto creare nuovi legami con i paesi del Caucaso e Asia Centrale con cui condivideva una cultura comune secondo l’ideale della ‘turchicità’; Altre voci invece erano a favore di una politica estera orientata alla religione e quindi a rafforzare i legami con i paesi di maggioranza musulmana. Secondo altre visioni la Turchia doveva continuare il proprio orientamento ‘occidentale’, come durante gli anni del bipolarismo. La scelta di Ankara fu proprio quella di continuare la propria vocazione occidentale e quindi seguire il cammino europeo senza però ignorare altri sentieri come l’importanza delle regioni confinanti e di tutti quei attori che erano stati trascurati dalla politica estera fino a quel momento. L’eredità ottomana storica

59 In cui 'soydaş' significa della stessa discendenza, mentre 'dindaş' della stessa religione.

60 Esra BULUT, The Role of Religion in turkish reactions to Balkan Conflicts, giugno 2004, URL:

44 della Turchia ha sempre costituito un elemento cruciale nell’identità nazionale e culturale del paese. Nonostante la politica estera avesse cercato sin dalla fondazione della Repubblica di respingere categoricamente qualsiasi collegamento o influenza che tale eredità potesse esercitare in materia di politica estera, sicurezza e addirittura nella società turca, negli anni ’90, segnati dalla politica Özalista, si è assistito ad un periodo in cui viene a galla il passato ottomano della Turchia.

Quello della Turchia è un esempio concreto di come la politica estera sia influenzata dalle nozioni di identità nazionale e dall’evoluzione delle percezioni che la società ha su sé stessa. La nozione di identità nazionale è un concetto mutevole e si riflette in ultima istanza anche nella politica estera del paese, la quale ha la funzione di contraddistinguere un paese dagli altri. In altre parole, la cultura è il mezzo attraverso il quale un paese esporta i valori fondamentali della propria sovranità e cerca di promuovere la propria immagine. Nel caso della Turchia le dinamiche dell’identità nazionale e della politica estera sono fortemente correlati. Ora, pochi paesi nell’era contemporanea possiedono una identità multi-sfaccettata come quella turca, diventando spesso oggetto di interpretazioni e percezioni contrastanti e aspramente contestati. La questione dell’identità culturale si è poi combinata con l’emergere dei conflitti di tipo etnico-nazionalistico nei confronti delle comunità musulmane nei Balcani soggetti ad un allontanamento etnico, i quali erano considerati da parte dei Turchi in patria, degli ‘souvenir’ ottomani rimasti nel territorio balcanico, facendo ricordare loro l’eredità storico- culturale lasciato dall’impero Ottomano. L’ombra del passato lasciato alle spalle non poteva essere più ignorato soprattutto con i tumulti nella vicina regione balcanica e in particolare con lo scoppio della guerra in Bosnia.

Come si è sottolineato spesso, la politica estera turca ha subito un’inversione una volta che è venuta meno la dinamica dei blocchi, lanciando nuove iniziative politiche ed economiche dirette verso diverse regioni tra cui i Balcani. La politica estera verso i Balcani va configurata tenendo conto di una congiuntura di tre importanti vettori tecnici: innanzitutto la svolta che ha interessato il sistema internazionale, i cambiamenti domestici della Turchia in termini demografici, economici, politici e sociali, ed infine anche la critica transizione politica dei Balcani occidentali. In questa sezione ci occuperemo di analizzare le iniziative intraprese dalla Turchia e quelle in cui quest’ultima vi ha partecipato per porre fine ai conflitti balcanici di qualche decennio fa.

A seguito della morte di Josip Broz Tito, la Jugoslavia non riuscì a superare la crisi politica ed economica che saranno un primo segnale d’allarme verso lo sgretolamento della federazione. Le ragioni della frattura tuttavia sono riconducibili alle divisioni religiose e culturali tra gli gruppi etnici inclusi nella nazione, ai ricordi delle atrocità della seconda guerra mondiale ancora vividi nelle memorie, e alle forze centrifughe nazionaliste che avevano preso il sopravvento ancora una volta

45 sostituendo il comunismo come forze dominatrici.61

Una serie di eventi politici hanno agito poi da catalizzatori aggravando le tensioni interne della Repubblica Jugoslava, per poi sfaldarsi nel 1992. Nonostante l’adozione di un’economia di mercato e un sistema democratico multipartitico la federazione Jugoslava non sarà in grado di fermare la dissoluzione della stessa. La Serbia è l’unico stato federato fortemente determinato a mantenere in piedi l’unità della Jugoslavia e l’obiettivo di Slobodan Milošević62 è proprio quello di rafforzare il potere centrale della federazione attorno alla propria nazione. Da cui la decisione dell’amministrazione serba di reintegrare le sue due provincie autonome, ossia il Kosovo e la Vojvodina. In un primo momento infatti, la Turchia assume una posizione favorevole al mantenimento dell’unità da parte delle sei nazioni federate della Jugoslavia, al fine di mantenere la stabilità e lo stato quo.63

Nel frattempo la Slovenia e Croazia, stati fondatori della Federazione saranno le prime ad intraprendere la strada della separazione, dichiarando formalmente l’Indipendenza nel 1991, col costo di rigenerare i conflitti con la Serbia. Successivamente anche la Bosnia-Herzegovina e la Macedonia mostrarono la loro intenzione di seguire strade diverse rispetto alla volontà della Serbia dichiarando le proprie sovranità. La Serbia dopo essersi resa conto che Slovenia e Croazia non avrebbero più fatto ritorno sui propri passi, forma insieme al Montenegro la nuova Repubblica Federale della Jugoslavia il 27 aprile del 1992, come lo stato successore della vecchia Jugoslavia, non trovando però riconoscimento da parte della comunità internazionale. La dissoluzione della Jugoslavia, dalla formazione di sei stati federati a due, genera un’escalation di tensioni e una forte instabilità nell’intera regione. Tuttavia saranno principalmente le ideologie nazionaliste, fanatiche ed estremiste della Serbia a far ritemprare le ostilità e i conflitti tra i vari gruppi etnici e religiosi nei Balcani. La pace, la stabilità e la sicurezza sono state le priorità principali per la politica estera turca nell’era del post guerra fredda. La stabilità dei Balcani costituiva e costituisce un elemento fondamentale per l’intera regione, tra cui la Turchia stessa.

A seguito della dissoluzione, i paesi che hanno dimostrato sin da subito una chiara intenzione e volontà nell’instaurare buoni rapporti ed un miglioramento delle relazioni con la Turchia sono state la Bosnia, la Macedonia e l’Albania. L’inserimento della Turchia in questo vuoto creatosi a seguito della guerra fredda è stato agevolato dal legame storico con i Balcani, la vicinanza geografica e la presenza delle minoranze musulmane di origine turca. Questa serie di fattori ha contribuito a spianare

61 Edgar HÖSCH, Storia dei Balcani, Universale paperbacks Il Mulino, Bologna, 2006, pag. 85

62 Prima presidente della Serbia in quanto repubblica costituente della ex Federazione Socialista Jugoslava (1989-1997)

e poi divenuto presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia (1997-2000)

46 il cammino della Turchia nell’impiegare la propria politica estera nei confronti della regione. Così da una politica di confronto la Turchia comincia ad esercitare una politica di impegno costruttivo e assertivo nel suo vicinato. Le guerre in Bosnia e in Kosovo rappresentano delle ottime opportunità di cui la Turchia non poteva non usufruirne, e per poter forgiare la propria identità e la propria posizione nel nuovo ordine mondiale.

Nel documento L'Influenza della Turchia nei Balcani (pagine 46-49)