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Le scomuniche e il futuro della Calabria.

Nel documento Religione e mafia. (pagine 84-96)

Io posso ogni cosa in Colui che mi fortifica (FI 4, 13)

3.3 Giovanni Ladiana – Anche se tutti, io no.

3.3.3 Le scomuniche e il futuro della Calabria.

Noi che viviamo in questa terra sappiamo che la ‘ndrangheta usa processioni, santini, riti, santuari; i loro adepti frequentano Messe, seguono culti, prendono parte ai sacramenti; assumono ruoli di padrini e catechisti. Ma sappiamo anche, come ha ribadito in varie occasioni Papa Francesco, che le organizzazioni mafiose ed il Vangelo sono fortemente inconciliabili. Al termine di questi incontri con Padre Ladiana, partendo da due punti di vista differenti,

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siamo giunti alla medesima conclusione: è possibile applicare una sanzione agli appartenenti alla ‘ndrangheta?

Come per l’aborto si applica la scomunica, secondo il canone 1398 Cjc, «perché non fare così anche per la questione ‘ndranghetista? Ciò aiuterebbe i pavidi a non esporsi e costringerebbe chi dà assoluzioni ‘facili’ a non concederle, pena la scomunica anche del prete.

Ad esempio, quando un testimone di Geova vuole ritornare a far parte della Chiesa cattolica deve fare apostasia, così come aveva fatto prima, tramite un cammino verificabile da parte dei membri ecclesiali. Bisognerebbe lavorare per cercare gli strumenti che, forse per analogia, andrebbero utilizzati per gli ‘ndranghetisti che pentendosi chiedono il perdono dei peccati.

Come sai, Giovanni Paolo II si è pronunciato dopo l’incontro con i genitori del giudice Livatino e ha toccato con mano una testimonianza di fede e ancor di più il martirio, lanciando un anatema, ma non dando alcuna indicazione in generale, ‘costringendo’ la Conferenza Episcopale Siciliana a scrivere un documento, dove si è parlato per la prima volta di scomunica.

In seguito Francesco, prima di arrivare a Cassano, incontrò i parenti di Cocò e scelse di parlare a braccio della ‘scomunica’, dando nuovi elementi alla Conferenza Episcopale Calabra nel prendere atto del cancro esiziale che flagella questa regione.

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Considerando le posizioni dei due Pontefici, dal mio punto di vista, il documento di Falerna del 2007, E’ cosa

nostra, è molto più sensato e ponderato, perché nato dalla

collaborazione di laici e sacerdoti, che vivono

quotidianamente le difficoltà e i disagi che questa struttura mafiosa procura.

Possiamo offrire strumenti per dare suggerimenti dinanzi a ciò che si potrebbe fare, secondo la coscienza dei sacerdoti, ma è inutile nascondersi: ci sono preti ‘ndranghetisti che si celano dietro un forte spiritualismo e altri invece che hanno paura.

Pur avendo in mano strumenti per debellare il sistema mafioso, togliamoci dalla testa che vedremo soluzioni: come ai deportati di Babilonia, Geremia suggerì di non pensare a come e quando avrebbe avuto fine la loro deportazione, così anche noi non sapremo la fine di tutto ciò, ma avremo la consapevolezza di come vorremo vivere questo tempo.

Che voglio dire con questo? Io so che non potrò vedere il cambiamento, però quando Geremia disse che durerà settanta anni, diceva un numero simbolico, conosciuto solo dal Padre Eterno, ma sono certo che arriverà la fine, certo!

Il punto è qui: quello che abbiamo bisogno di salvaguardare è la consapevolezza che, anche se non vedrò la fine, so perché devo andare avanti fino alla fine!

Allora ricordati cosa hai imparato dalla vita, grazie ai tuoi nonni e ai tuoi genitori che ti hanno dimostrato con esempi e non con chiacchiere il valore della gratuità e

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dell’onestà. Questi insegnamenti fanno parte del tuo bagaglio culturale, morale e spirituale: solo con la gratitudine la Calabria potrà risorgere. Un altro aspetto fondamentale che credo possa aiutare i giovani e l’intera comunità reggina è la capacità di saper guardare l’altro negli occhi. Perché dietro agli occhi di tutti c’è un desiderio di vita che devi riconoscere: capisci subito se quello di fronte a te ha occhi di sofferenza, ma guardandoti sono più importanti le tue lacrime. Senza questi due sguardi non potrà mai funzionare un matrimonio, un’amicizia, un impegno sociale e civile.

Dicono che io sono sognatore? Beh, meno male, però ci sono i sognatori che sognano le illusioni e i sognatori che hanno visto la bellezza e non ci rinunciano!»

Mi ritengo fortunata ad aver incrociato gli occhi di Padre Giovanni perché con la sua testimonianza di vita, mi ha fatto partecipe del suo sogno, risvegliando in me quella voglia di apprezzare ancor di più la vera bellezza che nasce da chi ha vissuto e vive con e per gli ultimi.

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CONCLUSIONI

Il lavoro portato a compimento, grazie al sostegno datomi, ha fatto sì che ogni dubbio posto durante questo studio potesse essere sciolto. Di certo le soluzioni non sono di facile applicazione, ma tutto è possibile, parlandone e confrontandosi.

Sono partita dal nulla, in quanto la mia terra bella e martoriata non offriva né offre spunti di riflessione ‘tipici’, quale un documento o un libro, ma con un po’ di pazienza gli strumenti per riflettere sono giunti da testimonianze di vita vera, vissuta in trincea.

La ricostruzione storica sui rapporti tra la Chiesa e la criminalità organizzata risale ad anni remoti, però solo dal Novecento si può apprezzare la posizione della Chiesa, una posizione ‘umana’ in quanto ogni pronuncia contro il crimine non è mai stata frutto di studio pensato e ponderato, bensì di accadimenti disumani che hanno coinvolto i vari Pontefici: Giovanni Paolo II e il dolore dei genitori del ‘giudice ragazzino’, Francesco e lo strazio della famiglia di un bambino di tre anni ucciso senza alcuna colpa, Benedetto XVI e la ‘distruzione’ prima di Napoli, poi di Lamezia Terme.

Ogni Pontefice ha fatto proprio il grido di un popolo, un grido che nel corso degli anni mi auguro si trasformi in

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speranza, perché «la speranza porta in sé tutto il compito di fare ciò che devo fare di me. Il soffio dello Spirito che ci attraversa ci conduce in avanti e Dio continua la sua opera

attraverso i nostri occhi, cuori, mani»105.

Lo studio mi ha messo dinanzi alla difficoltà del popolo calabrese di scindere la fede dalla religiosità popolare, soprattutto dinanzi alle tradizioni e alle prassi consolidate. Niente di sbagliato, se solo non fosse che ogni tradizione porta con sé una deviazione dovuta ad un sentimento religioso diverso, ad un dio diverso che, oggi, necessita di un intervento in Calabria così come in Sicilia, Campania, Puglia, dove il crimine dilaga e la mentalità diffusa è quella del potere.

Non c’è bisogno di un intervento statale, è opportuno un intervento sulle anime e ancor di più sulle coscienze da formare o modellare alla luce di una nuova giustizia, che renda libera la vita sociale dalle iniquità. E chi può intervenire se non i Pastori che guidano un gregge?

Ecco la grande ‘soluzione’: la Chiesa potrebbe vincere solo se i singoli Vescovi sapranno osare quell’atto di responsabilità promesso a Gesù, facendosi testimoni veri della sua morte e del Vangelo.

I tempi odierni chiedono atti concreti. Gli uomini e le donne di oggi non hanno bisogno di parole ma di esempi che solo con le loro azioni danno testimonianza di fede o dei

105

Giovanni Ladiana, Anche se tutti, io no, La Chiesa e l’impegno per la giustizia, Editori Laterza, Roma – Bari, 2015, p. 128

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valori in cui si crede: solo una nuova giustizia può dar vita a nuovi valori, e insieme giustizia e valori rinnovati potranno creare un nuovo diritto per la Chiesa di questi tempi, in grado di annunziare il Vangelo.

A conclusione delle mie ricerche, ho avuto la fortuna di toccare con mano una testimonianza vera, di capire che in Calabria non tutto è perduto, nonostante la rassegnazione e il menefreghismo di molti.

Ho osservato e scrutato occhi pieni di amore per lo Sposo, ho apprezzato un ‘raccoglitore di lacrime’, «perché possa venire chiunque da me, anche solo per sfogarsi e andarsene scordando la mia faccia. Ma aiutami a raccogliere

ogni sfogo senza essere importante per l’altro»106

, queste le promesse di Padre Giovanni Ladiana al Signore, perché l’amore vero non si fa forte nelle gioie, ma nei dolori condivisi, nelle speranze nascoste e nei sogni mai spenti.

Credo in lui e in una nuova Calabria che con il suo impegno sta cercando di costruire, credo che si possa rinascere parlando di ciò che ci circonda, denunciando le azioni del maligno, prendendo conoscenza e coscienza di chi vogliamo essere.

Allora «anche immerso nelle tenebre e nel silenzio io posso, se voglio, estrarre nella mia memoria i colori, distinguere il bianco dal nero e da qualsiasi altro colore

voglio»107, alla Calabria «occorre accogliere il diverso

106

Ibidem, p. 57

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dentro di sé, se si vuole rinascere»108, solo così facendo si

osserverà il bene e il male, si distinguerà il nemico dall’amico, ma soprattutto si avrà una Chiesa unita contro il crimine, una Chiesa non di chiacchiere ma di martiri, figli del Dio della tenerezza.

108

Giovanni Ladiana, Anche se tutti, io no, La Chiesa e l’impegno per la giustizia, Editori Laterza, Roma – Bari, 2015, p. 51

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