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Le varianti introdotte al modello standard

Dal testo costituzionale al diritto vivente

3. Le varianti introdotte al modello standard

Dopo aver chiarito i margini all’interno dei quali si possono muovere le re- gioni nel loro ruolo di integrazione del modello costituzionale standard alla luce della giurisprudenza costituzionale, non ci resta che andare ad analiz- zare le varianti inserite nei vari statuti. Quindi entreremo direttamente nel merito della forma di governo regionale, vista tramite il diritto divenuto vi- vente in seguito all’approvazione delle nove carte statutarie.

Non si procederà tuttavia ad un’analisi sistematica di tale previsioni: in que- sta sede ci limiteremo ad enunciarle e a specificarne la portata, per verifi- carne la tenuta e l’impatto sulle dinamiche della forma di governo regiona- le, sotto le diverse prospettive considerate. È già stato infatti precedente- mente sottolineato come i margini di manovra delle regioni siano solo di ti- po integrativo rispetto al modello standard, e le varianti introdotte – che e- splicheranno i loro effetti nel lungo periodo – ci consentono al momento so- lo per costituire la base per analizzare la forma di governo nel diritto viven- te.

Prima di tutto le considerazioni di carattere generale, di tipo definitorio: gli statuti ne sono in generale privi, tranne nel caso dello statuto laziale, che di- spone l’«osservanza del principio della separazione dei poteri» (art. 18). In- terpretando in maniera formale tale principio, esso potrebbe venire conside- rato come contrastante le disposizioni costituzionali, che implicitamente vietano sistemi basati sulla separazione rigida dei poteri. Ma si tratta pur tuttavia di un principio, il quale esplica una vincolatività necessariamente ridotta59.

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Il primo aspetto che interessa direttamente la forma di governo, intesa in senso restrittivo, riguarda le modalità di approvazione del programma di governo ad inizio legislatura60. Nonostante la cesura della Consulta con la sent. n. 12 del 2006, si nota come nella maggior parte dei testi statutari ap- provati si siano introdotte modalità di presentazione del programma di go- verno al Consiglio, ad inizio legislatura, in genere accompagnato dalla lista degli assessori nominati dal Presidente della Giunta61. Lo scopo di disposi- zioni di tal genere è quello di raccordare i due organi ed assegnare al Con- siglio un ruolo di integrazione del programma politico della Giunta, al di là delle diverse disposizioni di principio contenute negli statuti (v. infra IV.2.1)

Le varianti interne agli statuti ad oggi approvati denominano in maniera di- versa tale momento di confronto iniziale tra i due organi della Regione, prevedendo un dibattito consiliare (come fanno gli statuti emiliano- romagnolo, art. 44.2; marchigiano, art. 7.2 e piemontese, art. 50.4), o un ve- ro e proprio voto – ovviamente senza conseguenze giuridiche vincolanti sul programma di governo e sulla giunta presentata dal Presidente.

La disposizione che pare mettere il consiglio in una posizione propositiva anziché semplicemente passiva, pur con la certamente efficace sanzione del voto contrario, è quella contenuta nello statuto umbro (art. 43), che prevede l’approvazione di una mozione con la quale il Consiglio esprima le priorità individuate fra le linee programmatiche presentate dal Governo. In tal modo si tenda di ricondurre ad esso il potere di integrare l’indirizzo politico che rimane comunque appannaggio della Giunta, sotto la direzione del suo Pre- sidente. Pare comunque una disposizione coerente, soprattutto qualora si preveda un periodico aggiornamento del programma all’interno del Consi- glio, poiché consente di sviluppare la forma di governo regionale, per lo meno in linea prospettica, seguendo dinamiche di tipo integrativo piuttosto che di separazione fra i due organi.

Per ciò che concerne la fase di permanenza in carica della Giunta, alcuni statuti hanno conferito a porzioni di consiglieri – la maggioranza assoluta – la possibilità di esprimersi sul non gradimento nei confronti di uno o più as- sessori, comunque senza effetti giuridicamente vincolanti per il Presidente. Le differenze tra i vari statuti paiono puramente nominali, risolvendosi tutte

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In merito si v. VIGEVANI G.E., Autonomia statutaria, voto consiliare sul programma di governo

e forma di governo “standard”, in www.forumcostituzionale.it.

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in una sanzione di tipo politico nei confronti dell’operato dei singoli asses- sori: dal punto di vista linguistico, tuttavia, l’espressione che assume la connotazione meno negativa è il non gradimento toscano (art. 36.2), seguito dalla sfiducia marchigiana (art. 9) e infine dalla censura laziale (art. 37.5). Nonostante la necessaria assenza di vincoli giuridici al potere di nomina e di revoca del Presidente della Giunta, si tratta tuttavia di un potere tutt’altro che privo di effetti concreti, i quali tuttavia saranno valutabili solamente nel lungo periodo, alla prova della prassi62. Resta tuttavia il fatto che di fronte a giunte iperframmentate, corrispondenti a maggioranza poco coese al loro interno, l’introduzione della sfiducia individuale, anche se solo politica, fa sorgere dei dubbi circa la sua opportunità perché rischia di cristallizzare le posizioni di forza dei singoli partiti a fronte di un presidente non più primus

inter pares ma vero e proprio leader: le loro posizioni, tradotte a monte

nell’attribuzione di quote di assessori a questo o quel partito, potrebbero es- sere fatte valere, infatti anche all’interno del Consiglio, con conseguenze politiche sulla coesione dell’esecutivo tutt’altro che marginali

Altro aspetto sicuramente di rilievo per quanto riguarda la disciplina di una forma di governo è la disciplina della mozione di sfiducia. Nel caso della forma di governo regionale standard abbiamo già avuto modo di individua- re le regole inderogabili fissate dall’art. 126 della Costituzione. Non ci resta che vedere a questo punto quali siano le variabili introdotte, con particolare riferimento alla tempistica. La principale innovazione – pur marginale – è la previsione di tempi lunghi fra la presentazione della mozione della sfiducia e la discussione della stessa. Accanto quindi al vincolo minimo previsto dalla Costituzione di tre giorni che mira ad evitare i cd. assalti alla diligen-

za63 gli statuti laziale e toscano prevedono tempi massimi pari a 20 giorni.

Non pare tuttavia ben chiara la ratio di tale disposizione, se non, forse, la volontà di ridurre al momento i momenti di crisi del sistema politico regio- nale.

Inoltre la Toscana ha previsto un dispositivo secondo cui le dimissioni del Presidente della Giunta divengono effettive solo trascorso un periodo di 20 giorni, durante il quale possono essere ritirate: in tal modo si è cercato di

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Paiono tuttavia eccessivi i rischi di coloro che ritengono che il Presidente sia fortemente incenti- vato a dar corso alla volontà del consiglio in merito alla rimozione dell’Assessore per il rischio che il non accoglimento comporti l’approvazione di una mozione di sfiducia. Cfr. VICECONTE N., Ri-

flessioni sulla forma di governo nei nuovi Statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria, in Quad.

Reg., 2006, n. 1, p. 126.

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evitare i colpi di testa presidenziali, introducendo un periodo di raffredda- mento durante il quale sia possibile un’azione di mediazione che possa con- durre, qualora ciò sia possibile, alla ricomposizione del conflitto.

Con riferimento alla prorogatio – la cui disciplina, secondo la sent. n. 196 del 2003, rientra pienamente nella disciplina della forma di governo – tutti gli statuti prevedono che sia lo stesso presidente a svolgere le funzioni di ordinaria amministrazione fino all’indizione di nuove elezioni. Fanno ecce- zione solo quello marchigiano (art. 10) e toscano (art. 33.7) hanno previsto che anche nei casi di sfiducia e dimissioni volontarie subentri al presidente il suo vice, con l’evidente scopo di impedire al presidente di giovarsi della sua posizione di incumbent nelle successive elezioni64 e quindi sanzionarlo rispetto ad un comportamento eventualmente manipolatorio. In realtà tale sanzione pare non solo incoerente col modello stante la mancanza di legit- timazione del vice, ma anche funzionalmente poco utile, essendo nella di- sponibilità del Presidente revocare un vicepresidente ostile e nominarne uno a sé consono prima di rassegnare le dimissioni. Inoltre, se lo scopo punitivo nei confronti del Presidente è evidente, non lo sono altrettanto né i motivi di tale punizione, né la ratio sistemica di tale disposizione.

Infine rimane la delicata questione dell’incompatibilità funzionale fra cari- che rappresentative e cariche di governo, che la Corte costituzionale (v. su-

pra) ha ricondotto alla disciplina elettorale anziché alla forma di governo.

La disciplina delle incompatibilità interne sembra infatti rientrare a pieno titolo nella forma di governo, condizionando in maniera netta sia i rapporti interni alla giunta regionale che fra quest’ultima e il consiglio. Nel primo caso, infatti, di certo un consigliere che si è dimesso per entrare a far parte della Giunta diverrà politicamente meno forte perché ricattabile, stante il fatto che ha rinunciato ad una carica elettiva – e al relativo vitalizio, nonché al trattamento pensionistico, non sempre fruibile senza il raggiungimento di

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Fortemente critico non solo sulla coerenza, ma anche sulla legittimità di tale norma è BIN R., La

nuova autonomia statutaria, Relazione al Convegno ISSiRFA “Regionalismo in bilico”, Roma, 30

giugno 2004, il quale ritiene che «è evidente l’intento punitivo nei confronti del Presidente che, “rompendo” con la sua maggioranza, decida di procedere ad una generale resa dei conti di fronte al corpo elettorale: il subentro del Vicepresidente non ha alcuna altra giustificazione che quella di impedire al Presidente di gestire le elezioni e di “offuscarne” l’immagine ed il ruolo pubblico; si tratta, tra l’altro, di un’evidente deroga ad un principio generale attinente il regime di prorogatio, di una violazione delle regole della rappresentanza (il Vicepresidente non ha un’investitura eletto- rale e può essere stato persino scelto fuori del Consiglio regionale) e forse anche di una palese “in- coerenza” – per usare le parole del ricorso governativo – con la legittimazione popolare diretta del Presidente della Giunta regionale. » ripreso adesivamente da C. Fusaro, in Chiaramonte A. e Tarli Barbieri G, cit.

CAPITOLO II

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metà mandato – per un incarico di governo che dovrà portare a termine se- condo i dettami del Presidente, dal quale potrà sempre venire rimosso. Al contrario, qualora mantenesse anche la carica di Consigliere, la sua posizio- ne negoziale sarebbe più forte.

È vero anche che il potere di nomina e revoca nella pratica viene legger- mente stemperato, stante la natura coalizionale dei governi regionali, e quindi l’equilibrio fra le forze politiche che lo supportano che si riverberano nella composizione della giunta.

Per quanto riguarda il rapporto fra la Giunta e il COnsiglio, si corre il ri- schio di ridurre fisiologicamente la funzionalità di questi ultimi, nel caso in cui tutti gli assessori siano interni, stante la loro scarsa dimensione numeri- ca cui sia assomma un grado di frammentazione elevato. Giustamente colo- ro che cercano di individuare negli statuti ad oggi approvati tendenze più marcatamente presidenzialiste o parlamentariste ritengono che l’incompatibilità funzionale fra le cariche di governo e quelle rappresentati- ve aumenti la separazione fra i due organi e di conseguenza sposti la forma di governo verso il primo dei due modelli. Ma è pur vero che la compatibili- tà non garantisce un ruolo più forte del Consiglio, come i suoi sostenitori ritengono essere, ma piuttosto rischiano di schiacciare ancor di più il bari- centro dei processi decisionali sull’asse maggioranza-giunta, riducendo an- cor di più il ruolo di controllo del Consiglio (ma sul punto v. meglio i capi- toli successivi, in particolare III.3 e IV).

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