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1.4 Generazione della luce bianca

1.4.1 I LED basati su fosforo-conversione

I PC-LED (Phosphor Conversion LED) sono una particolare categoria di sorgente luminosa dicromatica in cui una delle due componenti spettrali è generata tramite

con-versione di lunghezza d’onda dell’altra. Nel generico caso di una coppia di sorgenti complementari indipendenti, come possono essere un LED blu ed un LED giallo affian-cati, il vincolo su una delle due lunghezze d’onda e sulle coordinate cromatiche della radiazione finale definisce univocamente la lunghezza d’onda secondaria e il rapporto tra le rispettive intensità d’emissione. Per rendere ciò visibile supponiamo di avere due sorgenti con distribuzione gaussiana della PSD, larghezza a metà altezza ∆E = 2kT e di voler replicare l’illuminante standard CIE D65: la dipendenza delle due lunghezze d’onda è allora quella riportata in azzurro nel grafico di Fig. 1.10. Sul medesimo gra-fico è stato riportato anche l’andamento dell’efficacia luminosa in funzione delle due lunghezze d’onda componenti: è interessante notare come questo presenti un massimo, il cui valore di 440 lm/W risulta essere molto alto se confrontato con il valore massimo assoluto di 683 lm/W relativo ad una sorgente monocromatica verde a con emissione a 555 nm. Effettivamente le sorgenti dicromatiche sono quelle caratterizzate da una maggiore efficacia luminosa, mentre, a causa della bassa copertura spettrale, peccano in termini di resa cromatica.

Figura 1.10: Andamento dell’efficacia luminosa in funzione della lunghezza d’onda primaria (e secondaria) per una sorgente dicromatica progettata per riprodurre

cromaticamente l’illuminate di riferimento CIE D65.

La generazione della componente secondaria tramite conversione di lunghezza d’on-da aggiunge ulteriori vincoli alla scelta della sorgente primaria, ma soprattutto aggiun-ge un fattore di perdita intrinseco e ineliminabile dovuto alla aggiun-generazione di fotoni a lunghezza d’onda λ2 da fotoni a lunghezza d’onda λ1 minore (λ2 > λ1). La scarto

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energetico per ogni evento di conversione, detto quantum deficit, è pari a ∆E = hc

λ1hc

λ2 con un’efficienza di conversione interna ηλ = λ1

λ2 (1.9)

L’efficienza complessiva ηconv di un sistema λ-converter dipende anche anche dall’effi-cienza di conversione interna del materiale convertitore ηint, da intendersi come rap-porto tra il numero di fotoni assorbiti e il numero di fotoni convertiti, e dall’efficienza di estrazione dei fotoni convertiti ηextr, dipendente dalla quantità e dalla distribuzione del foto-convertitore (film sottili hanno un’efficienza di estrazione più elevata in quanto riducono il ri-assorbimento dei fotoni). In termici matematici possiamo quindi scrivere che: ηconv = P out λ2 Pin λ1 = ηintηextr λ1 λ2 (1.10)

L’equazione 1.10 conferma nuovamente quanto già detto a proposito dell’efficienza di questo tipo di sistemi: anche supponendo di avere un materiale convertitore ideale, ηint = ηextr = 1, l’efficienza globale non potrà mai essere elevata, poiché il principio fisico su cui si basa è fondamentalmente inefficiente. In realtà questa è una trattazione molto approssimativa, valida soltanto per i comuni λ-converters: esistono infatti ma-teriali e sistemi per i quali la relazione 1.10 non è più valida.

Tra i materiali foto-convertitori i fosfori sono sicuramente i più diffusi: molto sta-bili dal punto di vista chimico, hanno, al pari di semiconduttori e coloranti, efficienze di conversione interna prossime al 100%. Essi sono costituiti da un materiale ospi-te dopato con un materiale otticamente attivo, tipicamente una terra rara (Ce, Nd, Er). Nell’ambito del solid-state lighting la configurazione più comune è quella che ve-de l’utilizzo di un granato di Ittrio e Alluminio (YAG) come materiale ospite, e ve-del drogaggio tramite Cerio: in formula Y3Al5O12: Ce3+. Variando la concentrazione delle specie chimiche e il tipo di drogaggio è possibile modulare la risposta spettrale del convertitore (Fig. 1.11a): poiché essa gioca un ruolo di fondamentale importanza nella determinazione delle performance cromatiche del dispositivo finale, questi dati sono rigorosamente coperti dal segreto industriale.

Anche la distribuzione spaziale del fosforo ha una notevole influenza sullo spettro del LED: spessore del layer contenente la sospensione di fosfori e concentrazione di questi ultimi impattano direttamente sull’intensità relativa delle bande di emissione blu e gialla. La distribuzione del materiale, inoltre, deve essere tale da garantire un eguale cammino ottico per tutti fotoni emessi dal semiconduttore, indipendentemente dalla direzione di emissione: soltanto in questo modo è possibile ottenere l’uniformità

cromatica del fascio illuminante. Tipicamente i fosfori sono uniformemente distribuiti nella resina epossidica che funge loro da sostegno (e da barriera anti-contaminazione per il semiconduttore): nella fase finale del processing del dispositivo la miscela viene deposta sula package del LED coprendo il chip, come schematizzato in Fig. 1.11b. Que-sta tipologia di packaging, detta “phosphor in-cup”, ha come vantaggi la compattezza e la facilità di produzione, ma deve far fronte a due importanti inconvenienti: il degrado del materiale incapsulante e la bassa efficienza di estrazione del layer foto-convertitore. L’imbrunimento della resina è causato dall’interazione con la radiazione luminosa ed accelerato dall’intenso calore prodotto dal die di semiconduttore con cui è contatto; la bassa efficienza di estrazione, invece, è da attribuirsi da un lato all’assorbimento della luce convertita da parte del semiconduttore e dei contatti, dall’altro all’elevata percentuale di radiazione primaria riflessa verso il chip stesso. Per mitigare entrambi questi problemi è stato proposto, per la prima volta nel 2005 da Kim [7], di distanziare lo strato incapsulante contenente i fosfori dal semiconduttore: tale configurazione a “fosfori remoti” (Fig. 1.11b) riduce la componente di degrado termico delle resine e, all’aumentare della distanza d tra i due emettitori, diminuisce la probabilità che la luce gialla emessa dai fosfori colpisca il chip.

(a) (b)

Figura 1.11: Andamento dello spettro di un PC-LED al variare della composizione dei fosfori (a). Disposizione dei fosfori nel package di un LED: configurazione

“phosphor in-cup” (sopra), fosfori remoti (sotto) (b).

Con questo stratagemma Kim riuscì ad ottenere un aumento del 15.4% nell’effi-cienza di conversione del fosforo; anche studi più recenti, come quello effettuato dalla

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CREE Corp. in [8], mostrano consistenti aumenti del flusso luminoso (sino al 20%) ed una maggiore stabilità cromatica del sistema in presenza di alte temperature ambienta-li. L’eccessivo costo dei materiali e le maggiori difficoltà d’implementazione escludono, per ora, l’impiego dei fosfori remoti in ambito general lighting, dove invece domina il classico approccio basato su FC-LEDs.