4.2 Descrizione del setup di misura
4.2.3 Setup per lo stress dei dispositivi
Il degrado accelerato dei dispositivi è stato condotto inserendo questi ultimi in apposite camere climatiche regolate a temperature di 45, 65, 85 e 105◦C, visibili in figura 4.15a. La polarizzazione dei dispositivi inseriti nei forni (Fig. 4.15c) è stata affidata ad una
(a) (b) (c)
Figura 4.15: Batteria di forni utilizzati per lo stress dei dispositivi (a). Alimentatori adibiti alla polarizzazione dei campioni durante lo stress (b). Posizionamento dei
campioni accesi all’interno del forno (c).
serie di 6 alimentatori switching operanti in regime di current compliance, 4 Agilent E3631A e 2 Agilent E3649A visibili in figura 4.15b. Od ogni step di stress i forni sono stati preriscaldati alla temperatura prevista, i campioni inseriti e, fatto passare un certo lasso di tempo necessario al raggiungimento della temperatura ambiente, accesi. Al termine di ogni sessione di stress i supporti dissipanti sono stati estratti e lasciati raffreddare per almeno 30 minuti prima di ogni misurazione: il controllo in temperatura di cui è dotata la stanza in cui sono collocati forni e sfera integratrice ha aiutato a mantenere costante a circa 25◦C la temperatura dei campioni durante il procedimento di caratterizzazione ottica.
Metodologia di stress Lo stress della basetta di test in FR-4 è stato effettuato fissando in modo temporaneo la PCB su un dissipatore, senza alcun materiale di
inter-faccia termica. I 16 LED collegati in serie sono stati alimentati da un Agilent E3649 e polarizzati a 100 mA: il setup così formato è stato lasciato in un ambiente a tempera-tura costante di 25◦C per tutta la durata dello stress.
La durata degli step di stress è stata aumentata in modo esponenziale, incomincian-do con uno step di 30 minuti, poi uno di un’ora, due ore. . . : in questo moincomincian-do è possibile caratterizzare in maniera ottimale il degrado dei LED nelle loro prime ore di stress, durante le quali, solitamente, si concentra il maggior decadimento di performance. In particolare, questo tipo di approccio permette di stimare correttamente le costanti di tempo con cui i parametri di controllo dei dispositivi variano all’avanzare del tempo di utilizzo. Se la variazione è di tipo esponenziale, e se il processo che la causa risulta essere attivato termicamente, la stima delle costanti di tempo al variare della tem-peratura di stress permette di valutare l’energia di attivazione specifica del processo stesso. Per fare ciò vanno innanzitutto estratte le costanti di tempo dalle cinetiche di degrado, delle quali viene riportato un esempio in figura 4.16a. Una volta trovate, esse vanno inserite in un grafico di Arrhenius: quest’ultimo ha in ascissa l’inverso della temperatura di giunzione moltiplicato per q/k (con k costante di Boltzmann), mentre in ordinata riporta il logaritmo dei tempi di failure associati alle diverse condizioni di stress, come visibile in figura 4.16b. La pendenza della curva di Arrhenius fittata, se sufficientemente in accordo con in accordo con i dati sperimentali, rivela l’energia di attivazione del processo Ea.
(a) (b)
Figura 4.16: Cinetica di degrado della potenza ottica per un LED soggetto a stress ad elevata temperatura (a). Grafico di Arrhenius per il time to fail al 90 % della potenza
ottica (b). Fonte [59].
In realtà il calcolo dell’esatta costante di tempo non è indispensabile per un’analisi di Time To Failure (TTF). In generale è sufficiente individuare una condizione di failure, come ad esempio la decrescita del valore di potenza ottica emessa ad una
4.2. Descrizione del setup di misura
determinata frazione di quella del campione vergine, e graficarne i TTF per le diverse condizioni di degrado. L’utilizzo della costante di tempo piuttosto che un altro TTF è un caso particolare di questo tipo di procedimento, in cui la condizione di failure è identificata con la decrescita relativa del parametro di controllo al valore 1/e. In questa sede la blanda degenerazione delle performance ottiche dei LED sottoposti a invecchiamento accelerato non ha permesso né un’analisi di TTF né una stima delle energie di attivazione dei processi di degrado in atto.
Le tempistiche di stress adottate per i campioni in test montati sulle PCB in metal-core sono quelle appena descritte. In questo caso, lo stress dei campioni in diverse condizioni di temperatura è stato condotto in accordo con la normativa IES-LM-80-08, la quale standardizza i metodi e gli strumenti da adottare per la verifica della stabilità temporale del flusso luminoso (lumen) e dell’emissione cromatica dei LED. L’approccio seguito è in realtà più completo di quello suggerito dalla normativa: a fronte delle temperature di stress di 55 e 85◦C (più una terza) che essa impone, infatti, i LED qui oggetto di studi hanno subito un degrado accelerato in quattro diverse condizioni di temperatura ambientale, pari, come già specificato, a 45, 65, 85, 105◦C.
Capitolo 5
Caratterizzazione termica
La temperatura di giunzione di un LED in condizioni operative determina la tipologia e la cinetica dei processi di degrado in atto. Elevati valori di temperatura, inoltre, causano una decrescita nell’efficienza radiativa del dispositivo. La stima di questo valore è dunque di fondamentale importanza ai fini dell’ottimizzazione termica del package dei LED e del sistema di dissipazione del calore degli apparati illuminanti che li utilizzano.
Esistono diversi approcci alla misura della temperatura all’interno dei dispositivi a semiconduttore, ciascuno con dei pro e dei contro che vanno valutati in base alla specifica tipologia di dispositivo in esame. In questo capitolo analizzeremo la tecnica di stima della temperatura di giunzione, basata sulla misura della tensione operativa del LED, utilizzata per questo caso di studi. Chiaritene le basi teoriche, verrà riportata per esteso la procedura di misura e calcolo per uno specifico set di campioni. Su queste basi saranno esposti i risultati globali di una prima caratterizzazione termica effettuata tramite TEC (Thermo-Electric Cooling), che verranno poi confrontati con quelli relativa ad una seconda e più precisa caratterizzazione tramite camera climatica.
5.1 L’impedenza termica
Il comune modello matematico adottato per lo studio semplificato del flusso di calore nei sistemi basati su dispositivi a semiconduttore si fonda sull’equivalenza tra la “struttura termica” di tali sistemi e quella elettrica di un circuito. Nello specifico, il flusso di calore, che attraversando i diversi materiali e le diverse interfacce presenti viene dissipato lasciandosi alle spalle un gradiente di temperatura, è assimilato ad una corrente elettrica che causa una caduta di potenziale sugli elementi resistivi da essa percorsi. L’analogia è facilmente intuibile osservando lo schema riportato in figura 5.1, in cui il generatore
di corrente I rappresenta il calore generato dal dispositivo: quando questo flusso di calore attraversa un materiale o un’interfaccia, ai capi di quest’ultima è presente una differenza di temperatura ∆T = RthI, dove il parametro Rth, chiamato resistenza termica, è una proprietà specifica dell’interfaccia (o del sistema di interfacce) stessa.
Figura 5.1: Schematico illustrante l’analogia tra flusso di calore in un sistema fisico e flusso di corrente all’interno di un circuito
La caratterizzazione delle performance di gestione del calore di un dispositivo in termini di resistenza termica permette un’agile valutazione della temperatura a cui esso si porta in condizioni operative e la corretta calibrazione del sistema dissipante cui deve essere associato. Assumiamo, ad esempio, che uno specifico LED di resistenza termica tra giunzione e solder-point nota Rth−js stia emettendo una potenza ottica Pott a fronte di un consumo energetico di P Watt. Ipotizziamo inoltre che il sistema sia posizionato in un ambiente a temperatura Tamb e che il package del dispositivo sia direttamente interfacciato con l’aria: la temperatura di giunzione del dispositivo può allora essere espressa come
Tj = Tamb+ ∆T = Tamb+ Rth−js · (P − Pott) (5.1) dove P −Pottè l’esatta potenza termica dissipata nel dispositivo, che differisce da quella elettrica assorbita, in modo tanto maggiore quanto più efficiente è il dispositivo, per la quantità di potenza ottica emessa. Ad ogni interfaccia termica che il calore incontra nel suo percorso verso l’ambiente circostante corrisponde una differente resistenza termica, che, nel modello appena presentato, va a sommarsi alle precedenti. Ciò potrebbe far erroneamente pensare che l’aumento di complessità del sistema di dissipazione, e quindi del numero di interfacce, incrementi necessariamente la resistenza termica complessiva tra giunzione e ambiente: in realtà, come vedremo dalle misurazioni effettuate, il valore specifico di Rth−js di un dispositivo fornito dal datasheet è un parametro indicativo, strettamente dipendente dalle condizioni di misura, che perde parzialmente di signifi-cato nel momento in cui il LED viene interfacciato con un altro materiale.