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LA LEGGE N. 888 DEL 1956

LEGISLAZIONE PENALE MINORILE OGGI Dal 1934 a oggi

4.1 LA LEGGE N. 888 DEL 1956

Benché la periodizzazione della storia dell'evoluzione del diritto minorile vari, emerge sempre una costante: il ruolo significativo svolto dalla Legge n. 888/1956. Come ampiamente riporta Lorena Milani88, ad esempio, distingue l'evoluzione del diritto minorile in tre periodi: il primo, dall'istituzione del Tribunale per i Minorenni nel 1934 all'emanazione della Legge n. 888/56,

88 L. Milani, op. cit.

"caratterizzato dal prevalere del momento penale e repressivo"89; il secondo, dalla Legge del 1956 fino alla seconda metà degli anni '60, “contrassegnato dal predominio dell'intervento amministrativo su quello penale"; il terzo, successivo alle importanti riforme degli anni '60-'70, "contraddistinto dall'espansione del momento civilistico in un'ottica prevalentemente 'preventiva'”90.

In effetti, la devianza minorile è stata caratterizzata fino all'entrata in vigore della legge del 1956 da un'ideologia paternalistica-previdenziale, nel senso che la risposta alla marginalità degli adolescenti prevedeva degli interventi segreganti e fortemente punitivi. Già un piccolo cambiamento si ebbe con la Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia n.

1027/2367 del 17 febbraio 1938, la quale, prevedendo soluzioni alternative alla casa di correzione per minori traviati, favorì la nascita di numerose istituzioni private per minori disadattati. Ma sono stati soprattutto l'entrata in vigore della Costituzione e il passaggio da un regime autoritario come quello fascista ad uno Stato democratico ad aprire una crisi in questa ideologia repressiva e a favorire l'affermarsi di un'ideologia di tipo rieducativo: la pena e il controllo sociale dei giovani vennero posti in secondo piano e al centro dell'attenzione fu messa la funzione rieducativa e risocializzante del minore deviante91.

Dopo l'istituzione del Tribunale per i Minorenni, il successivo gradino dell'evoluzione del diritto minorile è rappresentato certamente dalla Carta Costituzionale, la quale pone le basi per

89 Di Gennaro-Bonomo-Breda, Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Giuffrè, Milano, 1980

90 Ibidem

91 De Leo, La giustizia dei minori. La delinquenza minorile e le sue istituzioni, Einaudi, Torino, 1981

una più completa considerazione e protezione del minore, ma la vera e propria svolta fu attuata con la Legge n. 888 del 1956 che modificò il Regio Decreto Legge n. 1404 del 1934. Negli anni '50 si stava affermando l'idea che l'assistenza sociale fosse un diritto di ogni cittadino e, quindi, con la Circolare ministeriale n.

3935/2405 del 1 febbraio del 1951, si introdusse la figura dell'assistente sociale anche nel settore del disadattamento minorile, per facilitare il processo di rieducazione. Alla fine del 1954 gli uffici del servizio sociale erano già tredici e gli assistenti sociali una cinquantina, ma per il loro riconoscimento furono necessari ancora due provvedimenti: il D.P.R. n. 153 del 28 giugno 1955, che elencava gli uffici del servizio sociale fra gli istituti del centro rieducazione per minorenni, e la Legge n. 888 del '56, la quale, tra le altre cose, introdusse l'affidamento al servizio sociale tra le misure rieducative. Tra le misure non penali di controllo, accanto all'affidamento del minore al servizio sociale minorile, era previsto il collocamento in una Casa di rieducazione o in un Istituto medico-psico-pedagogico.92

Le modifiche al R.D.L. del 1934, operate dalla Legge del 1956, introdussero una pluralità di istituzioni rieducative e di servizi per i minori disadattati che consentirono di operare un trattamento più adeguato alla singola personalità e più attento alle cause della condotta trasgressiva del ragazzo.93

Per poter personalizzare le misure e il trattamento era necessario, ovviamente, capire i bisogni del minore e a questo erano finalizzate le indagini sulla personalità del minore, previste dall'art. 11 del decreto del 1934 all'interno della competenza penale del tribunale ed attribuite al pubblico ministero, ed ora affidate, invece, a un componente del tribunale, a testimonianza

92 Salierno, Il carcere in Italia, Einaudi, Torino, 1971

93 Ibidem

di una contaminazione tra le tre aree di competenza del tribunale.

Con la nuova legge furono introdotte anche delle sezioni di custodia preventiva presso l'istituto di osservazione, compiendo così un altro passo in avanti rispetto al R.D.L. del '34:

quest'ultimo aveva, infatti, già vietato che i minori venissero trattenuti in carcerazione preventiva presso le prigioni ordinarie;

la Legge n. 888/1956 andò oltre disponendo che il minore in attesa di giustizia stesse presso l'istituto di osservazione, invece che nel carcere per i minorenni.94

La Circolare n. 721/3196 del 7 febbraio 1957 affermò che questa modificazione andava ricondotta al principio per cui «non si può presumere l'imputabilità del minore prima che sia stata accertata in sede diagnostica e giudiziaria» e che si riteneva «esigenza di rispetto della sua personalità e, ad un tempo, condizione tecnica per una buona diagnosi, il non aggravare, al di là delle necessità concrete di sicurezza, le tensioni emotive in corso, ma al contrario scaricarle attraverso quelle condizioni ambientali e quel trattamento che un'intelligente pedagogia suggerisce».95

Ma perché la Legge del 1956 è così importante nella storia dell'evoluzione del diritto minorile? Prima di tutto, perché con essa cambiò l'ottica stessa con cui si guardava al minore deviante.

La stessa terminologia usata dimostra questo cambiamento, quando alla definizione di minore «traviato» si sostituisce quella di minore «irregolare nella condotta e nel carattere». L'aggettivo traviato, infatti, oltre a denotare una certa concezione sminuente della personalità del minore e un giudizio di condanna morale, presuppone anche una concezione dell'intervento in termini di correzione. Al contrario, il concetto di minore irregolare nella condotta e nel carattere presume una visione del soggetto in

94 Ibidem

95 Circolare 7 febbraio 1957, n. 721/ 3196.

termini di disadattamento e propone un'ideologia rieducativa dell'intervento, cioè un trattamento che guarda al comportamento deviante come sintomo di una patologia individuale.96

Benché l'intervento penale venga giustificato non più in termini di punizione e di difesa sociale, bensì di rieducazione, "la società italiana credeva ancora saldamente nell'istituzione totale, anche per i minori, e appoggiò l'incremento di questa forma di risposta, anche se non la intese più come espediente di risanamento morale, ma come una misura transitoria finalizzata alla rieducazione".97

Si passa così dal concetto di traviamento come motivazione principale dell’azione giuridica del Tribunale (in campo rieducativo), al concetto di irregolare per condotta o per carattere introdotto dalla citata legge n. 888. Questa legge, inoltre, prevedeva l’introduzione della possibilità, per il Tribunale per i minorenni, di avvalersi di una gamma di istituti, servizi e strutture in funzione dell’area di intervento: istituti di osservazione, prigioni scuola, riformatori giudiziari (area penale), gabinetti medico-psico-pedagogici, case di rieducazione, istituti medico-psico-pedagogici, scuole-laboratori e ricreatori speciali (area amministrativa o rieducativa), affidamento al servizio sociale (area civile).

L’ideologia dominante è quella della prevenzione e della rieducazione che, spesso, si traduce in una impostazione che potremmo definire paternalistica.

96 Volpicelli (a cura di), La pedagogia. Storia e Problemi/ Maestri e Metodi/ Sociologia e Psicologia dell’Educazione e dell’Insegnamento, vol. XIII: Problemi sociologici, F.

Vallardi, Milano, 1970

97 G. De Leo, M.P. Cuomo, La delinquenza minorile come rappresentazione sociale, Marsilio, Venezia 1983, pp. 67-68.

In questo periodo, negli istituti di osservazione gli esperti indagano sulla personalità del minore, orientandosi verso l’approfondimento delle cause ambientali e familiari del suo disagio, manifestatosi con la condotta allarmante e con il reato.

A volte però, a livello operativo, traspare una diffusa confusione attribuibile a una non chiara differenziazione tra gli interventi rivolti ai minori autori di reato e quelli rivolti ai minori irregolari per condotta e carattere.98

Negli anni ’60 iniziano a presentarsi dei cambiamenti epistemologici e di approccio alla materia della giustizia minorile tesi a valorizzare il ruolo che le risorse del territorio possono ricoprire nell’ambito di un’ottica di prevenzione e di reinserimento sociale del minore deviante. Ci si avvia al graduale superamento della filosofia educativa così come era stata concepita fino a quel momento e che sembrava generare una situazione paradossale. Il minore rischiava di essere istituzionalizzato - anche a lungo - negli istituti di osservazione o nelle case di rieducazione, ove venivano svolte le indagini sulla sua personalità allo scopo di acquisire elementi sufficienti per consentire la costruzione di un progetto rieducativo; però tale istituzionalizzazione induceva sul minore degli effetti negativi che, paradossalmente, entravano in drammatico contrasto con gli intenti rieducativi perseguiti.99

Al contempo vengono messe in discussione le ipotesi che, basate esclusivamente su una logica epistemologica causale-lineare, riconducevano le cause della devianza a problemi di carattere familiare e personale.

98 Pastore-Sorcinelli, Emarginazione, criminalità e devianza in italia fra ‘600 e ‘900:

problemi e indicazioni di ricerca, Franco Angeli, Milano, 1990.

99 Bandini-Gatti: Delinquenza giovanile, Giuffrè Editore, Milano, 1977.

Sempre in questo periodo è peraltro sollevato il problema della difficoltà dell’integrazione delle dimensioni del controllo e dell’aiuto che permeavano gli interventi in materia di giustizia minorile, suscitando confusione sul fatto se si dovesse sanzionare o curare un individuo che violava una norma.

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