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INTRODUZIONE CAPITOLO I LEGISLAZIONE PENALE MINORILE IN ITALIA.

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INDICE

INTRODUZIONE

− CAPITOLO I

LEGISLAZIONE PENALE MINORILE IN ITALIA.

Dal XVI secolo all’istituzione del Tribunale per minorenni del 1934.

1.1 EVOLUZIONI CRONOLOGICHE DEL DIRITTO

MINORILE

1.1.1 Dal 1859 al “progetto Ferri” del 1921 1.1.2 Dal codice Rocco al decreto del 1934

− CAPITOLO II

LE ISTITUZIONI PER MINORI

2.1 DIFFERENTI ISTITUTI RIEDUCATIVI E LORO CARATTERISTICHE

2.1.1 Ufficio speciale per la rieducazione dei minorenni del Ministero di Grazia e Giustizia e i centri di rieducazione per minorenni

2.1.2 Istituto di osservazione 2.1.3 Case di rieducazione

2.1.3.1 “Una giornata in istituto”

2.1.3.2 Regolamento della casa di correzione – rieducazione per gli oziosi e i Vagabondi 2.1.4 Focolari di semilibertà

2.1.5 Le prigioni scuola e i riformatori giudiziari 2.2 LA FINALITA’ DELLA RIEDUCAZIONE

(2)

− CAPITOLO III

FONTI SULL’ISTITUTO PER MINORI DI BOLOGNA.

Analisi delle poche fonti trovate

3.1 CENNI STORICI SULL’ISTITUTO DI BOLOGNA

“PIETRO SICILIANI”

3.2 STORIE DI RAGAZZI ENTRATI NELL’ISTITUTO DAL 1938 AL 1941

3.2.1 A.G. 13 anni 3.2.2 L.G. 16 anni 3.2.3 C.G. 14 anni 3.2.4 P.D. 10 anni 3.2.5 I.M. 16 anni 3.2.6 M.F. 11 anni 3.2.7 DM.G. 13 anni 3.2.8 A.S. 14 anni 3.2.9 C.S. 15 anni 3.2.10 S.A. 10 anni 3.2.11 P.G. 13 anni 3.2.12 D.P. 15 anni 3.2.13 S.L. 13 anni

− CAPITOLO IV

LEGISLAZIONE PENALE MINORILE OGGI Dal 1934 ad oggi.

4.1 LA LEGGE N. 888 DEL 1956

4.2 IL FALLIMENTO DELLA RIEDUCAZIONE 4.3 IL NEOCLASSICISMO

4.4 RIFLESSIONI

(3)

4.5 L’AFFERMAZIONE INTERNAZIONALE DEI DIRITTI DEL MINORE

− CAPITOLO V

LA MIA ESPERIENZA NEL CENTRO DI PRIMA ACCOGLIENZA DEL CARCERE MINORILE "P.

SICILIANI" DI BOLOGNA

5.1 CENTRO DI PRIMA ACCOGLIENZA

5.2 ITER GIUDIZIARIO FINO ALL’UDIENZA DI

CONVALIDA

5.3 LA MIA ESPERIENZA 5.3.1 EMANUELE 15 anni 5.4 STATISTICHE

5.5 L’ISTITUTO PENALE MINORILE DI BOLOGNA 5.5.1 Quadro Istituzionale

5.5.2 Attività educative dell’IPM

− CAPITOLO VI

CARCERE, DEVIANZA E RIEDUCAZIONE Il ruolo dell’educatore e i principi educativi 6.1 IL CONCETTO DI DEVIANZA MINORILIE

6.1.1 attori di rischio 6.2 I “RAGAZZI DIFFICILI”

6.3 I PRINCIPI DELL’AGIRE EDUCATIVO

6.4 L’EDUCAZIONE ALLE DIFFERENZE E AL “BELLO”

6.5 LE COMPETENZE SPECIFICHE DELL’EDUCATORE 6.6 GLI ATTEGGIAMENTI DELL’EDUCATORE

(4)

− CONCLUSIONI

− APPENDICE

− Allegato n. 1

− Allegato n. 2

− Allegato n. 3

− Allegato n. 4

− Allegato n. 5

− Allegato n. 6

− Allegato n. 7

BIBLIOGRAFIA

(5)

INTRODUZIONE

Ho scelto di svolgere la tesi sul tema del carcere dopo aver frequentato il corso di pedagogia della marginalità e della devianza minorile, tenuto dalla professoressa Laura Cavana, la quale ha seguito le orme del professor Bertolini, titolare della cattedra fino all’anno prima.

Ho sempre nutrito una certa curiosità riguardo al tema devianza ed in particolare sul luogo carcere e tutto ciò che lo circonda.

Perciò dopo aver frequentato il corso, durante il quale ho appreso le teorie e le pratiche educative che caratterizzano il sapere e il comportamento dell’educatore in carcere, ho sentito il bisogno di

“toccare con mano”, cioè di fare esperienza diretta sul campo del carcere, ed è per questo che ho chiesto di poter svolgere il tirocinio presso il Centro per la Giustizia Minorile per l’Emilia Romagana e Marche di Bologna: la mia richiesta è stata accolta ed ho iniziato il mio percorso sul campo presso il centro di prima accoglienza (CPA) del carcere minorile “Pietro Siciliani” di via del Pratello n.34.

Nel momento in cui ho chiesto di poter svolgere la mia tesi su questo argomento, parlando anche con la professoressa Mirella D’Ascenzo, insegnante del corso di storia dell’educazione, si è deciso che il mio elaborato avrebbe preso in visione la storia dei carceri minorili, a partire dall’analisi delle poche fonti rimaste presso l’istituto di Bologna, e delle leggi che li hanno regolamentati fino ai giorni nostri, per poi parlare delle caratteristiche del carcere di oggi e dei centri di prima accoglienza, analizzando le leggi vigenti e riportando la mia esperienza di tirocinio: con il risultato di un elaborato di tipo interdisciplinare.

Perciò nel primo capitolo ho cercato di riportare la legislazione penale minorile che ha caratterizzato i carceri nella storia: nello specifico dal 1859, citando il “Progetto Ferri” del 1921, il Codice

(6)

Zanardelli (entrato in vigore nel 1889) e il Codice Rocco (del 1929), fino all’istituzione dei Tribunali per minorenni del 1934;

cercando anche di capire quale significato avesse la concezione di “minore” in quegli anni.

Successivamente, nel secondo capitolo, sono elencate e spiegate le varie istituzioni esistite per il recupero di minori devianti, e quali figure e regolamenti educativi e quotidiani li caratterizzassero: è così che si viene a conoscenza delle differenze tra Casa di correzione, Istituti di rieducazione, Istituti di osservazione, Focolari di semilibertà, Prigioni-scuola e Riformatori giudiziari.

In questo capitolo ho cercato anche di analizzare anche quale fosse la situazione in quegli anni a Bologna, citando così gli scritti del Dottor Veratti e la “Società per la protezione dei fanciulli abbandonati e maltrattati”, fondata a Bologna nel 1889°

Bologna di cui egli fece parte.

Nel terzo capitolo ho poi preso in analisi le fonti reperite presso il carcere minorile, riguardanti le cartelle personali dei minori

“ricoverati” a Bologna dal 1917 al 1941.

Dalla lettura del poco materiale è stato così possibile farsi un’idea delle motivazioni e dei reati commessi dai minori entrati in Istituto, in quali condizioni economiche si trovavano e da che ambiente famigliare provenivano.

Nel capitolo quarto ho ripreso la trattazione sulla legislazione penale minorile, interrotta al primo capitolo, riportando cioè ei decreti entrati in vigore da dopo l’istituzione dei tribunali per i minorenni a quelli vigenti ai giorni nostri: dalla legge n. 888 del 1956 al D.P.R. 448 del 1988; segnalando inoltre, seppur brevemente, l’affermazione internazionale dei diritti del minore.

Successivamente, nel quinto capitolo, ho riportato la mia esperienza all’interno del CPA del carcere minorile di Bologna, descrivendo l’attività svolta, le teorie educative utilizzate e le notizie riguardanti le statistiche sulla nazionalità, età, ambiente famigliare e reati commessi dai minori arrestati.

(7)

Nello stesso capitolo riporto una breve descrizione delle attività e dell’educazione svolte all’interno dell’IPM(istituto penale minorile – notizie tratte da conversazioni con gli educatori del CPA e dell’IPM).

Nel sesto capitolo ho poi considerato il ruolo dell’educatore che lavora all’interno di ambienti protetti con minori “difficili”, dell’atteggiamento che dovrebbe tenere nei confronti del minore al fine di instaurare un rapporto di fiducia e di intraprendere il percorso educativo con volontà e positività da parte del ragazzo.

(8)

CAPITOLO I

LEGISLAZIONE PENALE MINORILE IN ITALIA.

Dal XVI secolo all’istituzione del Tribunale per minorenni del 1934.

La situazione del soggetto in crescita e in formazione ha storicamente determinato un trattamento particolare e più favorevole del minorenne che commette reato, questo infatti si è concretizzato nella esclusione della assoggettabilità a processo e pena, o nella predisposizione di particolari cautele intorno al processo e ai suoi esiti, prevedendo misure educative al posto delle pene.

1

1 Foto tratte dal catalogo della mostra fotografica Monelli e banditi, scenari e presenze della giustizia minorile in Italia, 2003

(9)

L’affermazione dei diritti dei minori è il risultato di un percorso iniziato con la più generale “scoperta dell’infanzia”2, che nostra i suoi primi segni già dal XII secolo, ma che si fa più evidente solo nei secoli XVI e XVII.

L’immagine del minore non è stata costante nel tempo, ma è gradualmente mutata oltre che per le elaborazioni socioculturali e scientifiche, anche grazie al cambiamento dei costumi, ai mutamenti economici e demografici e al cambiamento delle condizioni igienico-sanitarie ed alimentari.3

1.1 EVOLUZIONI CRONOLOGICHE DEL DIRITTO MINORILE

1.1.1 Dal 1859 al “progetto Ferri” del 1921

Dal codice penale sardo del 1859 fino al Codice Zanardelli del 1889 si assiste ad un continuo tentativo di unificazione e di sistematizzazione della materia minorile.

Già il codice penale del 1859 conteneva interessanti disposizioni:

la responsabilità penale era prevista solo per i ragazzi maggiori di ventuno anni; al di sotto di tale età, sia per i minori di età compresa fra i quattordici e i diciotto anni, sia per quelli fra i diciotto e i ventuno anni, erano previste solo delle riduzioni di pena, da scontare nelle carceri comuni; i minori di quattordici anni, invece, se erano colpevoli di reati comuni commessi «con discernimento» venivano sistemati in apposite Case di custodia, se, invece, avevano agito «senza discernimento» o avevano

2 Lombardi, Il bambino nella storia della pedagogia e dell’educazione, La Scuola, Brescia, 1974

3 Ibidem

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commesso reati di lieve entità «con discernimento» venivano ricoverati in stabilimenti pubblici di lavoro.4

A questi stabilimenti venivano destinati anche i minori di sedici anni dediti all'ozio o al vagabondaggio.

Il quadro era completato dal codice civile del Regno d'Italia del 1865, il quale stabiliva la possibilità di internamento, su richiesta anche solo verbale del genitore, di giovani discoli in speciali Case di correzione o di educazione, qualora "il padre [...] non riesca a frenare i traviamenti del figlio".5

Nel 1862 e nel 1877 vennero emanati rispettivamente il primo e il secondo regolamento per le Case di custodia penali per minorenni, a testimonianza dell'importanza data, a quell'epoca, a questa istituzione minorile. Il secondo regolamento, oltre a prevedere le nuove figure degli «istitutori o censori» al posto delle guardie carcerarie, stabilì «la separazione assoluta tra adulti e minorenni, non che tra minorenni sottoposti alla custodia per condanna penale ed i ricoverati per altre cause6».

Nel 1889 entrò in vigore il Codice Zanardelli, il primo codice penale unitario, il quale, come già visto, fissa due criteri fondamentali per differenziare i minorenni di fronte alla pena:

l'età e l'elemento del «discernimento»7 per stabilire l'imputabilità.

In particolare, per quanto concerne la minore età agli effetti penali, distingueva quattro periodi e per ognuno di questi prevedeva un diverso trattamento:

4 Salierno, Il carcere in Italia, Einaudi, Torino, 1971

5 Ibidem

6 M. Beltrani-Scalia, La riforma penitenziaria in Italia, Giunti Martello, Roma, 1879.

7 Ibidem

(11)

1. fascia d’età inferiore ai 9 anni: il minore veniva considerato non imputabile per difetto della capacità d’intendere e di volere;

2. fascia d’età tra i 9 ed i 14 anni: il minore veniva ritenuto non imputabile per incapacità d’intendere e di volere, salvo prova contraria;

3. fascia d’età tra i 14 ed i 18 anni: il minore veniva invece considerato imputabile in quanto capace d’intendere e di volere, salvo prova contraria (da acquisire nel corso degli accertamenti sulla personalità);

4. fascia d’età che comprendeva soggetti di età superiore ai 18 anni: ritenuti pienamente capaci di intendere e di volere.

Nel 1889 la Legge di Pubblica Sicurezza dettò disposizioni relative ai minori orfani e dediti al vagabondaggio o alla mendicità, completando in tal modo il quadro delle misure di controllo sociale dei giovani. Questa legge stabilì che "il minore degli anni diciotto privo di genitori, ascendenti o tutori" fosse ricoverato presso "qualche famiglia onesta che consenta ad accettarlo" o "in un istituto di educazione correzionale" finché non avesse appreso "una professione, un'arte o un mestiere; ma non oltre il limite della maggiore età" (art. 114). 8

L'art. 116 estendeva questa disciplina nei confronti dei minori dediti alla mendicità o alla prostituzione. Il ricovero presso qualche famiglia onesta non ebbe però, nella pratica, attuazione,

8 Ibidem

(12)

cosicché l'effetto reale di queste norme fu l'aumento delle possibilità di istituzionalizzazione di nuove categorie di minori, quali i mendicanti, gli indisciplinati, i senza famiglia, ecc.9.

“[…] Ho d’uopo di ripetere quivi che in Italia noi non abbiamo istituzioni né disposizioni di legge preventive contro lo sviluppo della rozzezza morale e sentimentale e così contro la nascente delinquenza. Noi abbiamo una legislazione punitiva che viene applicata al fanciullo di 9 o 10 anni, quando abbandonato, ramingo e povero per qualsiasi causa è raccolto sulla via del questurino. Il giudice è costretto, forse anche suo malgrado, di rilasciare ordinanza di chiusura (sentite) fino alla maggior età; 10, 12 anni di chiusura, e si chiamano case penali, dove per essere vagabondi, questuanti, e poi infine, dico per essere abbandonati, la giustizia punitiva, e non altro, viene per simil guisa in loro soccorso – la giustizia civile per correzione, ha solo l’art. 222 del codice civile, quando i genitori, parenti o tutori, non ponno tener a freno i loro minori, fanno richiesta al Presidente del Tribunale di una misura coercitiva, di repressione, o di educazione forzata, così detta – allora quei genitori, parenti, tutori, ponno fare istanza per ritirare dal reclusorio il loro minore dopo un dato tempo di chiusura. […]”10

Nel 1891 un nuovo regolamento penitenziario stabilì la specializzazione delle istituzioni minorili secondo l'età e le categorie giuridiche. Il Codice Zanardelli, la Legge di Pubblica

9 Ibidem

10 Veratti, Educazione e Delinquenza in rapporto colla scuola colla famiglia e la società, conferenza tenuta nella sala degli insegnanti la sera delli 22 febbraio 1889, Ditta Nicola Zanichelli, Bologna, 1889, pp. 28-29.

(13)

Sicurezza e il codice civile avevano, infatti, delineato quattro categorie di minori corrigendi: quelli che avevano commesso un reato o, comunque, delinquenti; quelli privi di genitori o tutori;

quelli che abitualmente praticavano la mendicità o il meretricio;

quelli ribelli all'autorità paterna.

Conseguentemente, il regolamento del 1891 distinse fra11:

1. le Case di correzione, previste per i minori di ventuno anni;

2. gli Istituti di educazione e correzione, dove venivano rinchiusi i bambini con meno di nove anni, che avevano commesso un delitto punibile con la reclusione superiore ad un anno, e i minori di età compresa tra i nove e i quattordici anni, che avevano agito senza discernimento;

3. gli Istituti di educazione correzionale dove venivano sistemati i minori di diciotto anni dediti all’oziosità, al vagabondaggio, all’accattonaggio e alla prostituzione;

4. gli Istituti di correzione paterna per giovani ribelli allontanati dalla casa paterna.

In questo modo si realizzò formalmente la separazione fra condannati e corrigendi. Mentre i primi venivano rinchiusi in istituti governativi, i secondi, fin dall'unità d'Italia, venivano normalmente accolti in istituti privati12, con i quali lo Stato stipulava apposite convenzioni per la parte amministrativa.

11 Salierno, op. cit.

12 Questi istituti privati, che erano soprattutto religiosi, ma ve ne erano anche di laici, si distinguevano per il fatto di risultare ispirati a principi più umanitari rispetto a quelli governativi ( V. Nuti, Discoli e derelitti. L'infanzia povera dopo l'Unità, La Nuova Italia, Firenze 1992, p. 100)

(14)

A questo regolamento ne seguì un altro nel 1907, denominato 'Regolamento per i riformatori governativi', in base al quale, appunto, le case di custodia e tutte le altre istituzioni minorili vennero denominati, ufficialmente, «riformatori governativi» per distinguersi dalle istituzioni private13.

Sia negli anni che precedettero la prima guerra mondiale che negli anni successivi al conflitto, vi furono numerosi dibattiti e congressi sui temi dell'infanzia e della delinquenza minorile, e non solo ad opera di parlamentari e di giuristi, ma anche di filantropi e volontari, impegnati nell'assistenza e nella difesa dell'infanzia.

In realtà "la loro opera è stata sicuramente segnata anche da una concezione adultistica del minore legata all'idea della moralizzazione e del controllo dell'infanzia"14. Ma, nonostante questa "ambiguità insita nella doppia visione della protezione, della tutela e dell'educazione, da una parte, e della correzione, del controllo e della punizione, dall'altra", questi movimenti filantropici e riformisti non solo alimentarono la diffusione di nuove idee intorno ai bisogni e alle necessità degli adolescenti, ma contribuirono anche alla realizzazione di alcune sperimentazioni nell'ambito degli interventi penali nei confronti dei minori.

Nel 1919 Enrico Ferri, l'esponente più significativo della Scuola positiva, presiedette una commissione che aveva l'incarico di elaborare un progetto di riforma della legislazione penale.

Nel 1921 vide la luce il progetto Ferri, fedele all'interpretazione plurifattoriale della devianza propria della Scuola positiva: la spiegazione della devianza giovanile andava rinvenuta non solo

13 Ibidem

14 L. Milani, op. cit., p. 160

(15)

nelle cause ereditarie, evolutive o biologiche, ma anche in quelle sociali, familiari e psicologiche.

La spiegazione della criminalità dei minori andava ricercata soprattutto nelle condizioni di abbandono e di non curanza in cui era lasciata l'infanzia «moralmente maltrattata o torturata», e «i rimedi più efficaci» per combattere la delinquenza giovanile erano di due tipi: quelli sociali e quelli legali.

I rimedi sociali «dovevano agire in termini di prevenzione, di profilassi, di educazione e di cura, in un'atmosfera economica e familiare libera dal veleno della miseria materiale e morale»;

quelli legali dovevano essere guidati non «dalle consuete norme astratte di responsabilità morale aritmeticamente graduata secondo le diverse età», ma «dovevano ispirarsi sempre al criterio fondamentale della pericolosità del delinquente15».

1.1.2 Dal Codice Rocco al decreto del 1934

Nel 1929 Alfredo Rocco emanò una circolare e delineò una netta distinzione fra i soggetti che si riteneva fossero in condizioni di

"normalità biologica e psichica", e quindi imputabili, per i quali la pena aveva una funzione retributiva, e quelli che si trovavano in condizioni di "non normalità biologica e psichica", per i quali, se non era provata in concreto la loro imputabilità, la pena, sotto forma di misura di sicurezza, aveva funzione terapeutica e, soprattutto, di difesa sociale.16

Nell'area della non normalità biologica e psichica venivano fatti rientrare anche i minori.

1. i minori che, a prescindere dall’età, fossero stati ritenuti non imputabili, qualora fossero stati considerati socialmente pericolosi, venivano

15 Relazione al progetto Ferri, in Riv. dir. penit., 1934, II.

16 M. Beltrani-Scalia, op. cit.

(16)

sottoposti alle misure di sicurezza del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata;

2. ai minori autori di reati e prosciolti per infermità psichica o per sordomutismo, nei confronti dei quali la pericolosità sociale era presunta, veniva applicata la misura di sicurezza del manicomio giudiziario;

3. i minori invece ritenuti imputabili e condannati dovevano scontare la pena, fino al compimento dei diciotto anni, «in stabilimenti separati da quelli destinati agli adulti, ovvero in sezioni separate di tali stabilimenti» e a loro veniva «impartita, durante le ore non destinate al lavoro, un'istruzione diretta soprattutto alla rieducazione morale»17.

La finalità rieducativa era, però, posta come esigenza primaria solo in senso ideologico, dato che poi gli strumenti previsti per raggiungerla ebbero caratteristiche opposte a tale finalità.

Con il Regio Decreto Legge. n. 1404 del 20 luglio 1934 venne istituito il Tribunale per i Minorenni, sintesi delle diverse prospettive presentate nei precedenti progetti di riforma sopra esaminati.

Questo decreto legge rappresentò il primo tentativo di disciplinare in modo sistematico la materia minorile, ma - promulgato in piena era fascista, malgrado che prevedesse un'istituzione di ispirazione eminentemente liberale - in realtà favorì la nascita di un tribunale minorile "più per ragioni di prestigio che di reale presa di coscienza della necessità di promuovere il minore".18

17 Ibidem

18 Ibidem

(17)

Il Tribunale per i Minorenni venne istituito quale organo di decisione autonomo, rispetto agli altri tribunali penali e civili, e specializzato, in relazione alle peculiarità della condizione minorile.

Al tribunale vennero attribuite tre competenze (penale, civile e amministrativa), per cui fin dall'inizio si occupò non solo della delinquenza minorile ma anche del disadattamento.

Per quanto riguarda la competenza penale, oltre ad aver garantito ai minori il diritto ad avere un giudice specializzato, furono previste anche particolari norme del procedimento.

Mentre la competenza civile riguardava l'ambito relativo ai provvedimenti limitativi della patria potestà, la competenza amministrativa era rivolta al minore di diciotto anni che «per abitudini contratte dia prova di traviamento e appaia bisognoso di correzione morale».19

L'attività amministrativa era un'attività di controllo sociale che, sebbene nelle intenzioni volesse essere meno rigida di quella penalistica, di fatto comportava l'internamento in un riformatorio per corrigendi, senza per altro stabilirne la durata. Era stabilito, infatti, che il trattamento del minore finisse quando il ragazzo fosse risultato «non più bisognevole di correzione» o, comunque, aveva raggiunto i ventuno anni.20

Molti ragazzi furono, così, sottoposti a interventi rieducativi coatti anche molto duri, un trattamento che spesso aveva l'effetto di trasformarli da disadattati a veri e propri delinquenti da sottoporre a misure di contenimento più gravi, anche di tipo penale.

Il Tribunale per minorenni nasce caratterizzato "da un'ideologia paternalistica non ancora capace di porsi nell'ottica della tutela e

19 Ibidem

20 Ibidem

(18)

della promozione dei diritti dei minori, primo fra tutti quello all'educazione"21.

L'organo giudicante era visto come strumento necessario di controllo sociale dell'adolescenza, ormai priva delle consuete forme di controllo, quale la famiglia patriarcale-rurale messa in crisi dalla società industriale.

La preoccupazione principale era quella di tutelare la comunità, mentre l'effettivo recupero sociale del minore deviante veniva in secondo piano.

Il R.D. del 1934 si preoccupò anche di risistemare l'aspetto logistico.

Accanto al Tribunale era prevista l'istituzione di un «centro di rieducazione dei minorenni». Il primo decide e il secondo applica le misure sul piano istituzionale.

Al centro di rieducazione facevano capo tutta una serie di servizi e istituzioni, quali case di correzione, focolari di semilibertà e pensionati giovanili, gabinetti medico-psico-pedagogici, uffici di servizio sociale per minorenni, istituti di osservazione, scuole laboratori e ricercatori speciali, riformatori giudiziari e prigioni scuola.22

L’ideologia dominante in questo periodo è quella della prevenzione e della rieducazione che spesso si traduce in una impostazione paternalistica. In questo periodo negli istituti di osservazione gli esperti indagano sulla personalità del minore, orientandosi verso l’approfondimento delle cause ambientali e famigliari del suo disagio, manifestandosi con la condotta allarmante e con il reato.

21 L. Milani, op. cit., p. 163-164

22 Ibidem

(19)

La devianza minorile è stata caratterizzata fino all'entrata in vigore della legge del 1956 da un'ideologia paternalistica- previdenziale, nel senso che la risposta alla marginalità degli adolescenti prevedeva degli interventi segreganti e fortemente punitivi.

Già un piccolo cambiamento si ebbe con la Circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 17 febbraio 1938, la quale, prevedendo soluzioni alternative alla casa di correzione per minori traviati, favorì la nascita di numerose istituzioni private per minori disadattati.23

Ma sono stati soprattutto l'entrata in vigore della Costituzione e il passaggio da un regime autoritario come quello fascista ad uno Stato democratico ad aprire una crisi in questa ideologia repressiva e a favorire l'affermarsi di un'ideologia di tipo rieducativo: la pena e il controllo sociale dei giovani vennero posti in secondo piano e al centro dell'attenzione fu messa la funzione rieducativa e risocializzante del minore deviante.

23 Salerno, op. cit.

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CAPITOLO II

PRINCIPI PEDAGOGICI E CARATTERISTICHE DELLE DIFFERENTI ISTITUZIONI PER MINORI

Tra il XVI e il XVII secolo si iniziarono, come già accennato, ad attuare differenziazioni tra il mondo degli adulti e il mondo dei bambini, e fu allora che emerse il nuovo sentimento dell’infanzia24. Ma proprio in questo periodo, quando appunto per la prima volta sembrava nascere questo nuovo atteggiamento riguardo al minore, contemporaneamente ci furono anche i primi tentativi di controllo nei confronti di quella parte di popolazione considerata pericolosa per l’ordine pubblico: emarginati, vagabondi, folli e abbandonati. Tutti questi soggetti, che al tempo rientravano nella categoria dei “poveri”, vennero così segregati in istituti, come ad esempio ospedali, opifici o case di correzione, caratterizzati dalla disciplina e dal lavoro come imperativi pedagogici attraverso i quali si proponevano di regolare la vita dei reclusi.

All’inizio questa pratica di internamento in case di correzione fu messa in atto anche nei confronti dei minori “traviati” o

“discoli”, con il preciso intento di moralizzare l’infanzia e di recuperare socialmente il ragazzo25.

Si può dire che la storia delle istituzioni per minorenni “è parte integrante della storia dei poveri e degli indesiderati prima dell’industrializzazione capitalistica, in particolare, di quegli stati poveri sradicati, spostati e straniati che si sono inseriti in

24 AA.VV., Gli ideali educativi. Saggi di storia del pensiero pedagogico, La Scuola, Brescia, 1972.

25 Ibidem

(21)

condizioni di svantaggio nel violento processo di proletarizzazione e di urbanizzazione di masse contadine26”.

Nel 165027 nasce, a Firenze, la prima istituzione di tipo assistenziale-correzionale, fondata da Ippolito Francini, per il recupero dei ragazzi abbandonati o vagabondi, attraverso l'azione educativa di scuola e lavoro. Alla morte di Francini, un gruppo di religiosi guidati dall'abate Filippo Franci, continuò quanto da lui iniziato e diede vita allo "Spedale di San Filippo Neri".

A Roma, presso l'ospizio San Michele in Ripa, su iniziativa di papa Clemente XI, fu fondato, col Motu proprio28 del 14 novembre del 1703, un istituto simile a quello fiorentino.

L'Istituto S. Michele rappresenta il primo tentativo di trattamento differenziato per minorenni, sul piano legislativo e istituzionale:

il Motu proprio disponeva che tutti i minorenni condannati da un qualsiasi tribunale per motivi penali, invece di essere condotti nelle «pubbliche carceri», venissero internati in tale Istituto.

Presso lo stesso potevano essere ricoverati «i ragazzi e giovani discoli inobbedienti [...] che per i loro cattivi principi dimostrano pessima inclinazione ai vizi», su richiesta dei loro genitori o degli amministratori. Mentre i ragazzi internati per motivi penali venivano detti «carcerati», quelli ricoverati su richiesta delle famiglie erano definiti «custoditi».

Lo scopo dell'Istituto era quello di correggere ed emendare i giovani reclusi, non solo attraverso la pratica della religione, ma anche attraverso l'insegnamento di «qualche arte meccanica,

26 G. De Leo, La giustizia dei minori. La delinquenza minorile e le sue istituzioni, Einaudi, Torino, 1981, p. 29.

27 Ibidem

28 Il testo integrale del Motu proprio è riportato in Rivista di diritto penitenziario, 1934, II, p. 786.

(22)

acciò che con l'esercizio lascino l'ozio, e intraprendino affatto con nuovo modo di ben vivere29».

È la prima volta che, con un documento ufficiale, si delinea un trattamento differenziato per i minori, se ne indica la finalità educativa e preventiva, e si parla di 'Casa di correzione'.

A partire dagli ultimi anni del XVIII secolo, le Case di correzione iniziarono il loro declino e acquisirono sempre maggiori affinità con il vecchio carcere di custodia. La pena della segregazione e dell’internamento non scomparve, ma peggiorò nella sua applicazione, trasformandosi in una detenzione sempre più inutile e dolorosa per gli internati.

Nella prima metà dell'Ottocento, grazie a un mutato clima culturale, nasce e si afferma il positivismo, che assegna alle scienze, caratterizzate dall'utilizzo di metodi empirici e sperimentali, il compito di studiare la realtà, compresa la natura umana. La fiducia nelle scienze, nella razionalità dell'indagine scientifica basata su dati oggettivi e misurabili, portò Cesare Lombroso, padre dell'antropologia criminale, a ritenere che si potesse "studiare l'uomo, l'individuo che delinque con strumentazioni derivate da altre scienze dell'uomo30", dando vita a "l'indirizzo individualistico, secondo il quale al centro del problema della criminalità viene posta la persona del delinquente, intesa [...] nei suoi tratti bio-antropologici e costituzionali31".

Non solo Lombroso, ma anche Ferri e Garofalo, tutti esponenti di spicco della Scuola positiva, tra le altre cose elaborarono anche una serie di proposte concrete in tema di trattamento dei

29 Ibidem

30 R. Villa, Il deviante e i suoi segni Lombroso e la nascita dell'antropologia criminale, Franco Angeli, Milano 1985, p. 24.

31 L. Milani, Devianza minorile, Vita e pensiero, Milano 1995.

(23)

delinquenti e, in base al principio cardine dell'individualizzazione delle pene, concentrarono la loro attenzione sul problema della delinquenza minorile. Queste nuove istanze di differenziazione del trattamento nei confronti dei minori non trovarono però applicazione nella pratica, perché si scontrarono con la politica adottata dagli enti minorili, ancora fortemente contenitiva.

Tutta l'attività rivolta ai minori nel corso dell'Ottocento sembra contrassegnata da una "inconciliabile ambiguità": da una parte, infatti, con il positivismo, l'attenzione nei confronti del bambino si era manifestata come necessità di una sua conoscenza scientifica e come interesse educativo e pedagogico finalizzato alla tutela dell'infanzia traviata, abbandonata, derelitta e vagabonda. Questo risveglio di interesse per l'infanzia contagiò non solo religiosi o "uomini di scienza che si occupavano specificatamente di educazione", come pedagoghi o psicologi, ma, più in generale, "personaggi illuminati, appartenenti per lo più alla borghesia, ispirati da intenti umanitari e animati da idee di progresso sociale32", che si impegnarono attivamente per la promozione e la salvaguardia dell'infanzia moralmente abbandonata.

[…] Ho con coscienza tanto del mio ministero in qualità di medico della Casa di Custodia dei minorenni, quanto come cittadino interessato del bene del mio paese e nella propizia occasione di studiarne le prime sue fonti appunto in questi minorenni caduti sotto la sferza della educazione correttiva coatta, e quindi animato dal vivo desiderio di riflettere sui migliori mezzi di scongiurare questo nostro grande malefizio, dico ho esaminato ormai due mila minori entrati in detta casa: con questa specie di visita sullo sviluppo psichico del minorenne; di anatomia morale, d’indagini sulla loro vita affettiva, in fondo, in fondo, ho trovato quale causa eserciti la maggiore influenza nel correre così a precipizio nel

32 L. Milani, op. cit., pp. 147- 152.

(24)

baratro di tutti quei seri malori. Ebbene questa causa è l’abbandono, si l’abbandono educativo morale. […] 33

Dall'altra parte, però, l'esigenza di controllo sul minore, controllo considerato necessario per la sua protezione, comportava interventi punitivi, in ambito penale, sconosciuti fino ad allora e l'utilizzo di misure coercitive e correzionali "contraddistinte da una concezione dell'infanzia come età subalterna, sottoposta all'autorità, un'età da plasmare e da piegare affinché non si corrompa34".

Nel 1889, a Bologna, nacque la “Società per la protezione dei fanciulli abbandonati e maltrattati” alla quale partecipò anche Giuseppe Veratti, medico ed educatore fortemente impegnato in ambito cittadino.35

Questa Società, per scopi ed organizzazione, rientrava all’interno delle istituzioni laiche e di impronta massonica volute per contrastare la presenza di conservatori ed ospizi per fanciulli gestiti da secoli da religiosi ed opere pie, rinomati per tradizione a Bologna.36

“[…] la Società ha per iscopo la protezione ed il miglioramento fisico, intellettuale e morale dei fanciulli dei due sessi, abbandonati e maltrattati, che non abbiano oltrepassato l’età dei sedici anni […] (provvedendo) perché i fanciulli abbandonati dell’età dai tre ai dodici anni, frequentino gli Asili infantili e le Scuole elementari, somministrando loro, quando occorra, i mezzi necessari

33 Dott. Veratti, Educazione e Delinquenza in rapporto colla scuola colla famiglia e la società, conferenza tenuta nella sala degli insegnanti la sera delli 22 febbraio 1889, Ditta Nicola Zanichelli, Bologna, 1889, p.16

34 L. Milani, op. cit., pp. 147- 152

35 M. D’Ascenzo, La scuola elementare nell’età liberale. Il caso Bologna 1859-1911, Clueb, Bologna, 1997.

36 Ibidem

(25)

[…] (procurando) che i fanciulli abbandonati siano impegnati, a tempo opportuno, in opifici […]

(adoperandosi per l’applicazione) della legge 11 febbraio 1986, e del relativo regolamento 17 agosto successivo, sul lavoro dei fanciulli […] (esercitando) una vigile sorveglianza diretta ad impedire i maltrattamenti di cui fossero oggetto i fanciulli e promuovere le migliori applicazioni delle relative sanzioni di legge.”37

Organizzata e protetta da Giuseppe Veratti, già medico delle carceri dal 1867 e del Riformatorio dal 1869 ed autore di pubblicazioni sulla pedagogia correzionale e sul rapporto educazione-delinquenza, essa sopravvisse col concorso economico di privati, del comune, delle banche – sia popolari che cooperative – specie della Cassa di Risparmio di Bologna, che vincolava in propri libretti una quota del denaro guadagnato dagli iscritti per il rilascio dopo la maggiore età, corrispondente della dote dei conservatori e ritiri delle Opere Pie. Più che un’opera di beneficenza il consiglio direttivo la qualificava come “opera di prevenzione sociale” andando alla ricerca delle situazioni di abbandono “morale” e non necessariamente materiale.38

“ […] i figli di genitori impotenti per cause fisiche o morali, mal condotti e curati: i figli di genitori viziosi, abbandonati a se stessi, venduti, sfruttati e talvolta spinti al malfare, al vizio, al delitto: i figli di genitori crudeli, martorizzati, battuti a sangue, seviziati.” 39

37 Società protettrice dei fanciulli abbandonati e maltrattati in Bologna. 7 febbraio 1893, Commemorazione di Giuseppe Veratti fatta dal Vice-Presidente Avv. Ugo Conti, Società Tipografica Azzoguidi, Bologna, 1893.

38 M. D’Ascenzo, op. cit.

39 Società protettrice dei fanciulli abbandonati o maltrattati in Bologna. Relazione morale ed economica per l’esercizio 1900, Società Tipografica Azzoguidi, Bologna, 1901, p.6. il corsivo è originale.

(26)

Se il positivismo avvertiva come assolutamente necessaria la conoscenza scientifica del bambino e vedeva nella educazione la finalità primaria della rilettura della problematica della criminalità minorile, il forte controllo sull'infanzia, ritenuto prioritario, faceva sì che gli interventi sui minori fossero fortemente punitivi.

Le Case di internamento, concepite come luoghi di segregazione e correzione degli indigenti e dei devianti, scomparvero all'inizio del XIX secolo40. Furono giudicate un rimedio transitorio ed inefficace, uno strumento di controllo e di sottomissione mal congegnato; secondo molti era l'assenza di una educazione religiosa, impartita in modo serio e convincente, la causa dell'incapacità di queste strutture di realizzare la rieducazione morale degli internati. Malgrado ciò esse rappresentarono una tappa fondamentale nel processo di evoluzione del sistema carcerario, introducendo in modo diffuso il concetto di rieducazione e di correzione dell'individuo, che si concretizzò per la prima volta in un particolare intreccio di concezioni religiose e lavoro.41

Il peggioramento delle condizioni di vita interne e la diffusa convinzione dell'inefficacia rieducativa di queste strutture, aprirono la strada a numerose riforme in campo penale e punitivo; dopo più di due secoli di esperienze con Case di lavoro, Case di correzione e prigioni, si affermò l'idea di una istituzione realmente "totalizzante" e si assistette al nascere di un'ondata di sperimentazioni con sistemi di disciplina totale.42

40 AA.VV., Gli ideali educativi. Saggi di storia del pensiero pedagogico, op. cit.

41 Ibidem

42 Ibidem

(27)

Le nuove istituzioni, diverse nella struttura, nelle finalità e nelle modalità del trattamento applicato ai reclusi, conservarono però alcuni elementi del vecchio sistema di internamento, tanto da potere intravedere una sorta di continuità tra queste e quello.

43

L'idea della rieducazione, nonostante il fallimento di questi primi esperimenti, ne uscì rafforzata e giustificata e la religione rivestì un ruolo importantissimo, da un lato come elemento ispiratore di alcune riforme in campo penale e penitenziario, dall'altro come fondamentale strumento di disciplina, di espiazione e di correzione degli animi e delle menti degli internati.

Per avere una revisione dei principi pedagogici che ispirano il trattamento rieducativo bisogna attendere il nostro secolo, cioè in

43 Monelli e banditi, op. cit.

(28)

concomitanza con il diffondersi dell’interesse giuridico per il problema del disadattamento minorile.

Si è assistito ad una reciproca influenza del punto di vista giuridico con quello di tipo pedagogico-operativo: infatti dai primi decenni del secolo alcune istituzioni rieducative, soprattutto quelle private, ispirate a concezioni del disadattamento minorile nuove e scientificamente più meditate, svolsero una funzione stimolante per giuristi e uomini politici, mentre una volta che si giunse nel 1934 alla promulgazione della legge speciale per minorenni ed alla conseguente istituzione dei tribunali e dei centri di rieducazione per i minorenni, la situazione si rovesciò e furono proprio questi ultimi ad essere stimolati dalla legge.

Da questo si svilupparono principi pedagogici tuttora rispettati.

Il primo presupposto pedagogico consiste nel considerare l’infrazione alla legge penale ed ogni altra irregolarità della condotta oltre che come fatto oggettivo soggetto a misura penale, anche come espressione sintomatica di un disadattamento del minore e quindi di un suo bisogno rieducativo44.

Inoltre viene stipulato che nessun intervento rieducativo deve iniziare senza un primo intervento di tipo “diagnostico” sul minore, al fine di evidenziare il carattere del disadattamento e di conseguenza organizzare il tipo di trattamento più idoneo.

Perciò si segue il principio pedagogico della individualizzazione che, per quel che riguarda gli istituti rieducativi, deve portare alla realizzazione di specificità e differenziazione del soggetto.

Il secondo principio pedagogico è quello indicato con la parola

“restituzione”: lo sforzo di soddisfare , compensandoli, certi bisogni fondamentali frustrati lungo tutta la storia di vita del giovane disadattato, nella convinzione che proprio quelle frustrazioni siano all’origine di molte deviazioni o difficoltà attuali del minore e che pertanto non gli si possa chiedere alcuno

44 Bertolini, Pedagogia emendativa, Casa editrice Dr. Francesco Vallardi, Milano, 1968

(29)

sforzo personale di riadattamento senza averne prima soddisfatto le esigenze più urgenti e più rilevanti dal punto di vista del suo equilibrio totale45.

Perciò occorre utilizzare un intervento rieducativo in grado di offrire al minore delle sufficienti gratificazioni affettive e delle valide identificazioni con altrettanto valide figure adulte.

Da questo deriva poi la necessità di creare un ambiente educativo all’interno degli istituti il più caldo e distensivo possibile, eliminando il metodo della costrizione fino a quel momento utilizzato.

Alla fase del metodo rieducativo detta “diagnostica” seguono poi quella del “decondizionamento”, “nuovo condizionamento”

“espansione del campo di esperienza” e “personalizzazione”.

Le prime due si riferiscono alla dimensione psico-fisica del ragazzo, quindi alla necessità di neutralizzare nel giovane certe situazioni negative che lo caratterizzano come ad esempio una frustrazione per un bisogno fondamentale, un difetto del corpo, un ambiente famigliare in comprensivo ecc.

Nel “nuovo condizionamento”si deve trasmettere al ragazzo capacità psico-fisiche che siano in grado di garantirgli esperienze nuove, come ad esempio la capacità di osservare e di ricordare, di ascoltare, capacità di analisi, di ragionamento e di critica.

Nella “dilatazione del campo di esperienza individuale” si cerca di attivizzare al massimo la vita del minore in modo da orientare i sui interessi e di conseguenza il suo comportamento verso ideali e valori positivi.46

Durante la fase della “personalizzazione” vi è la presa di coscienza del ragazzo, il quale essendosi arricchito durante tutto il trattamento rieducativo, dovrebbe essere in grado di rivedere il proprio passato e di giudicarlo, non superficialmente o per semplice convenienza, e nel contempo dovrebbe avere la

45 Ibidem

46 Ibidem

(30)

possibilità di proiettarsi in un futuro veramente valido perché scoperto autonomamente e liberamente voluto e costruito47.

2.1 DIFFERENTI ISTITUTI RIEDUCATIVI E LORO CATATTERISTICHE

2.1.1 Ufficio speciale per la rieducazione dei minorenni del Ministero di Grazia e Giustizia e i Centri di rieducazione per minorenni48

L’Ufficio speciale, nato nel 1953, fa parte della direzione generale per gli istituti di prevenzione e pena del Ministero di Grazia e Giustizia e ha la responsabilità generale di tutta l’organizzazione rieducativa italiana.

La funzione amministrativa (esecutiva) nell’ambito dell’organizzazione rieducativa è svolta essenzialmente dai Centri di rieducazione per minorenni (previsti dalla legge speciale minorile – art.1).

La funzione di questi centri è triplice:

1. Funzione esecutiva delle misure prese in sede giudiziaria e in particolare all’assegnazione di ogni minore per il quale sia stato ordinato il ricovero in istituto rieducativo;

2. A ciascun direttore dei Centri spetta una funzione di controllo tecnico-amministrativo di tutti i servizi e di tutti gli istituti facenti parte del suo distretto;

3. Altro compito del direttore del Centro è quello di partecipare attivamente alla programmazione che

47 Ibidem

48 Ibidem

(31)

viene compiuta in sede nazionale dall’ufficio speciale del ministero, e poi di realizzarla sul piano locale mediante l’organizzazione di nuovi servizi o di istituti.

2.1.2. Istituto di osservazione

Questo istituto ha un compito essenzialmente diagnostico, di norma è costituito da due sezioni separate: una di custodia preventiva, che accoglie tutti i minori compresi tra i quattordici e i diciotto anni che hanno commesso un reato e quindi tratti in arresto dalla polizia; la seconda chiamata sezione di semplice osservazione, accoglie i minori per i quali il tribunale ha dato l’avvio ad una pratica amministrativa.

Sostanzialmente queste due sezioni sono simili sia sul piano dell’organizzazione interna sia sulla finalità.

Le attività che vi si svolgono sono orientate ad osservare la personalità di ciascun ragazzo; queste attività vengono condotte da una equipe di specialisti qualificata con il nome di équipe medico-psico-socio-pedagogica:

Assistente sociale,

Pedo-psichiatra (medico psichiatra specializzato nello studio dei disturbi psichici dei soggetti in età evolutiva, è orientato in direzione psicoanalitica, lo strumento usato per il suo studio è il colloquio clinico durante il quale somministra tests psicologici e della personalità),

Educatore specializzato o educatore di gruppo (tecnico che vive a diretto e immediato contatto con il ragazzo, è il solo specialista a poter stabilire

(32)

con il ragazzo una relazione autentica, ad esso non spetta solo il compito di fornire all’équipe un generico profilo comportamentale del ragazzo, ma anche il compito di sensibilizzare quanto più possibile l’equipe diagnostica affinché evidenzi il comportamento del ragazzo attraverso l’interpretazione dell’esperienza da lui passata e orienti l’attività verso un interesse autenticamente pedagogico sensibile al futuro del ragazzo),

Direttore dell’istituto (ha funzione di affiancamento all’azione dell’educatore e di coordinamento dei risultati presentati dall’èquipe).

Il compito dell’istituto di osservazione si esaurisce nel momento in cui fornisce alle autorità giudiziarie la diagnosi del minore e l’indicazione della terapia rieducativa più idonea.

(33)

2.1.3. Case di rieducazione

Sono quegli istituti nei quali vengono ricoverati, su ordinanza del tribunale e per un periodo indeterminato (cioè in base alla evoluzione e ai progressi compiuti dai soggetti nel percorso rieducativo), i minorenni riconosciuti dopo un’osservazione diagnostica bisognosi di un particolare trattamento psicopedagogico specializzato.

I principi seguiti nell’organizzazione di questi istituti si riferiscono alla loro specializzazione: i minori da rieducare vengono accolti nelle differenti case in base alle loro effettive necessità psicopedagogiche.

Vi sono due tipi di case di rieducazione49:

quelle tradizionali rigide sono quelle più simili agli antichi riformatori sia per la loro struttura architettonica (organizzata in ampi dormitori, refettori e sale da gioco), sia per la loro metodologia educativa (basata su una disciplina sostanzialmente formalistica su una motivazione dell’attività ai minori attraverso l’uso di premi e punizioni e su una attività lavorativa poco differenziata ed intensa; utilizzo quindi di una metodologia pedagogica di condizionamento positivo. Ad esse vengono assegnati per lo più ragazzi di età superiore ai quindici anni.

Le case di rieducazione tradizionali non rigide si avvicinano per quanto riguarda la metodologia e alla suddivisione degli spazi ai collegi: in questi centri manca un’individualizzazione del rapporto educativo, poiché sono organizzate in ampi gruppi,

49 Ibidem

(34)

ma i ragazzi sono molto stimolati sul piano scolastico-professionale; l’intero clima dell’istituto è sereno e comprensivo, l’attegiamento degli educatori è fondato sulla fiducia e sullo spirito di collaborazione con i giovani e con le loro famiglie.

In queste case vengono collocati minori di età inferiore ai quindici anni, le cui difficoltà di comportamento sono apparse legate a fattori socio- familiari.

2.1.3.1 “Una giornata in istituto”50

La giornata tipo all'interno dell'istituto era articolata in modo da consentire lo svolgimento di tutte queste attività:

51

50 Scritti tratti dal catalogo della mostra fotografica Monelli e banditi, scenari e presenze della giustizia minorile in Italia, 2003.

51Ibidem

(35)

la sveglia era sempre alle 7.00, sia che si trattasse di un giorno feriale o festivo; dalle 7.15 alle 8.00, il ragazzo si lavava e riordinava la propria camera.

Espletate queste mansioni, si recava nel refettorio per la colazione che, solitamente, era a base di latte, caffè e pane; alle 8.30 entrava nelle officine dove veniva seguito dal maestro d'arte o nelle aule scolastiche per l'istruzione elementare e vi rimaneva fino alle 12.

Al termine dell'attività scolastica e lavorativa lo aspettava il pranzo, dopo il quale poteva recarsi in cortile per giocare; alle 14.30 rientrava nelle officine dove rimaneva fino alle 18.00;

aveva poi nuovamente la possibilità di andare in cortile o nelle sale di ricreazione fino alle 19.00, ora in cui era servita la cena.

Uscito dal refettorio si ritirava nella sua camera per riposare.

Durante i giorni festivi, eccettuate la sveglia e la ritirata, gli orari da osservare e le attività da svolgere erano completamente diversi. Lo studio e il lavoro lasciavano il posto alla messa, che si svolgeva alle 8.30 in punto, e alla passeggiata all'aperto. Il ragazzo, tornato in istituto, poteva ricevere la visita dei parenti.

Dopo il pranzo, verso le 16.00, era prevista un'uscita in cortile o al campo sportivo. Alle 18.00 il rientro per assistere, talvolta, ad uno spettacolo cinematografico.

L'andamento regolare delle giornate poteva essere interrotto dalle punizioni, che erano inflitte al ragazzo in modo da non danneggiare il suo sviluppo fisico e psichico.

La punizione poteva infatti consistere nella esclusione dalle attività ricreative, nella negazione della passeggiata festiva, nell'isolamento nelle celle dette "cubicoli" e nei casi più gravi nel trasferimento in uno stabilimento speciale per i minori di cattiva condotta.

In istituto il giovane era seguito dal personale sanitario e quando si ammalava poteva essere ricoverato, se necessario, in infermeria.

(36)

In estate i ragazzi di buona condotta o che necessitavano di cure balneari ed elioterapiche erano trasferiti in montagna o al mare, in campeggio o presso le colonie.52

2.1.3.2 Regolamento della casa di correzione-rieducazione per gli oziosi e i vagabondi53

Capo primo

Coloro che da riscontri positivi ed accertati risulteranno essere veri oziosi e vagabondi, saranno chiusi nella Casa di Correzione, e custoditi colle dovute cautele, e quivi avranno il permesso nelle stagioni ed ore convenienti di prendere l'aria libera nell'interno cortile:

saranno vestiti, nutriti a pane, minestra, carne, e vino mantenuti e assistiti nelle malattie.

2) Le persone, che avessero motivo di temere della dissolutezza di alcun loro parente qualche infamia alla famiglia, potranno ricorrere, acciò sia chiuso in detta Casa...

3) Non si accetteranno se non coloro, che siano maggiori di anni dodici, e minori di anni venti, abili al lavoro, ed esenti da malattie attaccaticcie; e non si ammetteranno neppure coloro che, oltre alla vita oziosa, risulteranno inquisiti di qualche delitto...

4) II tempo per cui saranno trattenuti nella casa suddetta non sarà minore di anni sei: sarà per altro maggiore a proporzione delle colpe che avranno dato motivo a ritirarli, e dei disordini, che venissero a commettere nella casa predetta.

52 Monelli e banditi, op. cit.

53 Escursus sulle case di correzione di Torino dal 1786 ad oggi,a cura di Angelo Toppino

(37)

5) Ai trattenuti si vietano assolutamente i contatti fra di loro, i giochi di ogni sorta e le occulte corrispondenze con gli estranei...

6) Ogni tentativo dei trattenuti per procurare a sé, o ad altri la libertà, e per aprirsi occulta corrispondenza con estranei, sarà gravemente punito.

10) Se alcuno rivelasse il disegno di qualche tumulto macchinato dai trattenuti, sarà tenuto segreto: e scoprendosi vera la denunzia, otterrà un premio proporzionato.

16) Le pene ordinarie dei trattenuti che mancassero in qualsivoglia modo ai doveri della Casa di Correzione, sono, secondo le varie circostanze, le catene, le nerbate, l'essere chiuso, e incatenato nelle camere ad uso di carcere, senza che sia diminuita loro la porzione prescritta del consueto lavoro.

Del mastro della Casa

[...] Provvede che i trattenuti cambino la camicia con altra di bucato in ciascheduna settimana da aprile a tutto settembre, e due volte al mese nel restante anno.

[...] Avvisa i ricoverati di avere cura delle vesti, e delle lingerie, che loro sono state assegnate: li diffida, che sono castigati,ed anche tenuti ad indennizzare per ogni malizioso o spensierato guasto, e li significa che la durata di esse è determinata agli infrascritti anni.

(38)

Camicie quattro anni quattro

Abito d'inverno anni quattro

Calzoni per l'inverno anni due

Abito d'estate anni due

Bonetto anni uno

Calzetti e scarpe con le rappezzature anni uno

[...] ordina, che a una gamba dei trattenuti, che non sono più in tenera età, si apponga una catena di ferro assicurata col suo anello; e li fa passare secondo le differenti ore in quel sito, che dal signor direttore della manifattura è determinato.

In pratica i ragazzi venivano portati, senza colpe, in questo istituto, molte volte per risolvere beghe familiari di matrigne o patrigni, e vi rimanevano per almeno sei anni.

La vita veniva scandita dalle dieci-dodici ore di lavoro ai telai della manifattura dei fratelli Alberti che avevano l'appalto dell'istituto.

In una guida di Torino dell'epoca si legge:"Ergastolo: opera di correzione ossia ritiro per i figlioli oziosi, i quali vengono occupati in diverse forme di manifattura, e particolarmente in coperte di bava, ossia moresca, che equivalgono a quelle di catalogna, colla prerogativa di non essere soggette al tarlo..."

Di tutto questo i ragazzi dell'Ergastolo non traevano alcun beneficio, anzi si riduceva sempre più la quantità di cibo fornita, mentre, invece, la mole di lavoro aumentava.

Il lavoro veniva fatto con l'aggiunta di una palla al piede; di notte i ragazzi dormivano incatenati al letto e, da quando i fratelli Alberti avevano vinto l'appalto, mangiavano solo pane e due razioni al giorno di minestra di granturco.

(39)

Molto presto inizio' un traffico di vestiti, coperte ed altro che non veniva più distribuito ai ragazzi, bensì venduto all'esterno.

Nell'istituto, inoltre, non vi era riscaldamento; verrà fornito soltanto nell'Ottocento, quando ci fu una ristrutturazione.

Naturalmente scoppiarono varie epidemie e i ragazzi furono ridotti a larve umane.”54

2.1.4. Focolari di semilibertà

Hanno sede in un normale appartamento o in una villetta di grandi cittadine o comuni che abbiano caratteristiche di vita sociale e lavorativa positive.

I ragazzi lavorano presso piccole industrie o artigiani; di solito i datori di lavoro, con i quali il direttore del focolare ha regolare rapporti personali per coinvolgerli nella rieducazione, conoscono la storia, la personalità e l’esigenza del ragazzo che lavora presso di loro.

Così, oltre ad imparare un mestiere il ragazzo si trova ad essere inserito in un normale ambiente di lavoro che lo stimola a comprendere alcuni compiti degli adulti nella società.

2.1.5. Le prigioni-scuola e i riformatori giudiziari

Le prigioni-scuola sono istituti o stabilimenti nei quali i minori scontano la pena, mentre i riformatori giudiziari i minori vengono sottoposti alla misura di sicurezza detentiva, in quanto ritenuti pericolosi socialmente dall’autorità giudiziaria.

L’intervento pedagogico all’intero di questo due istituti è simile a quello adottato nelle case di rieducazione di tipo tradizionale rigido.

54 Escursus sulle case di correzione di Torino dal 1786 ad oggi

(40)

2.2 LA FINALITA’ DELL’EDUCAZIONE

La finalità principale del trattamento di rieducazione attuato negli istituti era suscitare nei ragazzi il senso della responsabilità dei propri atti e la consapevolezza dei propri doveri verso la società.

La scuola, il lavoro e l'istruzione religiosa erano considerati i metodi rieducativi più idonei alla promozione di un armonico sviluppo della loro personalità fisica, psichica e morale. Grande importanza rivestivano le attività ricreative che prevedevano il coinvolgimento dei giovani in eventi ludici e sportivi, come pure la fruizione di spettacoli teatrali e cinematografici e l'ascolto di trasmissioni radiofoniche.

55

Facevano parte integrante del processo rieducativo anche il soddisfacimento dei bisogni primari come la pulizia, la nutrizione e il riposo. L'istruzione scolastica aveva la finalità di rendere il ragazzo consapevole dell'errore commesso "disertando la via del dovere" e del modo in cui poteva ritornare a vivere degnamente nella società.

55 Op. Cit. Monelli e banditi.

(41)

Molti ricoverati erano analfabeti o semianalfabeti e presentavano quasi sempre una carriera scolastica irregolare, con precedenti disciplinari. Per loro l'istruzione elementare impartita all'interno degli istituti era obbligatoria e i certificati di studio erano rilasciati senza alcuna indicazione o accenno alla casa di rieducazione nella quale erano stati conseguiti.

In alcune sedi erano istituite sezioni per studenti di scuole medie, oppure i ragazzi frequentavano le lezioni presso le scuole pubbliche.

Si tenevano anche corsi di lingue straniere, di musica, di canto, di disegno.

A Bologna, per esempio, il corpo bandistico della Casa di rieducazione teneva concerti in pubblico, eseguendo anche musica classica e d’opera56.

In alcuni istituti esistevano sezioni per i ragazzi che avessero mostrato una eccezionale tendenza allo studio delle belle arti, del canto, della musica e della recitazione.

Presso ogni Casa di rieducazione era istituita una biblioteca con sala di lettura e servizio di prestito.

Il lavoro era riconosciuto come mezzo rieducativo di primaria importanza, al quale venivano avviati tutti quegli allievi che non frequentavano la scuola. Era distinto in lavoro agricolo e lavoro industriale.

L'addestramento dei minorenni veniva ripartito in corsi che comprendevano i seguenti indirizzi: corsi per fabbri meccanici, corsi per falegnami-ebanisti, per calzolai, corsi per intagliatori in legno, corsi per sarti e corsi di agraria.

Il lavoro dava al ragazzo fiducia in se stesso e nelle sue capacità.

56 Ibidem

(42)

57

Nelle case di rieducazione femminili l'istruzione professionale era volta essenzialmente all'insegnamento dei lavori "donneschi", di sartoria, di maglieria, ricamo, cucito e stireria.

Vigeva un'autonomia di mercato interna ai vari istituti: i ragazzi confezionavano da sé le loro divise, i camici da lavoro e le mantelline per la libera uscita.

In ogni casa di rieducazione l'adempimento delle pratiche religiose e l'insegnamento religioso erano affidate al cappellano.

La religione era considerata uno dei più importanti mezzi di educazione morale. Ciascun istituto disponeva di una cappella per la celebrazione della messa e delle altre funzioni.

Alla sera, prima di andare a letto e a volte anche a mensa, i ragazzi recitavano le preghiere: un "Pater", un "Ave" e un

"Gloria".

57 Ibidem

(43)

CAPITOLO III

FONTI SULL’ISTITUTO PER MINORI DI BOLOGNA.

Analisi delle poche fonti trovate

3.1 CENNI STORICI SULL’ISTITUTO DI BOLOGNA

“PIETRO SICILIANI”

Poco si sa sul passato dell’Istituto di Bologna: le poche notizie si possono reperire presso il vecchio Catasto urbano.

Intorno al XIV secolo era adibito come chiesa e convento di quelli che diventarono San Lodovico e San Alessio.

Il convento fu poi soppresso il 19 giugno 1798, dopodichè non si hanno più notizie sull’uso dell’intero complesso fino al 1875, anno in cui l’ex convento è registrato al Catasto di Bologna con il nome di “Casa di Correzione paterna”58.

La casa era adibita per la maggior parte a carcere giudiziario circondariale, sia maschile che femminile denominato San Lodovico; un’altra parte era occupata dai minorenni come casa di custodia.

L’Istituto per molti anni venne gestito da privati, infatti era una casa di patronato; dal 1° Gennaio 1877 assunse la denominazione di “ Casa di Custodia” passando allo Stato.

58 Vecchio catasto urbano: pag. 12/A del 1° Regio del Demanio, marca 7971, corrispondente al foglio 86, mappale 244 del Nuovo Catasto Edilizio Urbano (1962).

(44)

All’atto del passaggio, i minorenni ricoverati nell’Istituto erano 209 e l’età prescritta per l’accettazione era dagli 8 ai 16 anni; la capienza totale era di 270 posti.59

Dati statistici presenti nel Bollettino Ufficiale del Ministero60 dell’Interno riguardanti il Riformatorio di Bologna nell’anno 1888 riportano:

− 153 giovani presenti, di cui 114 appartenenti alla popolazione urbana e 39 a quella rurale; di essi divisi per età erano:

− 9 anni__________________1

− 12 anni________________24

− 14 anni________________56

− Fino a 18 anni___________71

− Oltre i 18 anni____________1

Le loro attività lavorative erano:

− Fabbri___________________8

− Tipografi________________24

− Falegnami_______________18

− Sarti_____________________8

− Calzolai_________________22

− Lavoratori canapa e cotone__26

− Lavoratori di paglia________37

59 Bollettino Ufficiale della Direzione Generale delle Carceri in Rivista di discipline carcerarie anno VI (1876), pag. 35, Roma, tipografia Artero e Comp., piazza Monte Ciborio, 124, 1876.

60 Bollettino Ufficiale del Ministero dell’Interno, anno II, 2° semestre, Tipografia delle Mantellate, Roma, 1893

(45)

Tutti i minorenni “ricoverati” erano obbligati alla frequenza della scuola elementare. Erano inoltre state istituite scuole di disegno e di musica, frequentate da fabbri e falegnami.

Intorno al 1900 furono introdotte altre due attività lavorative:

muratori e seggiolai.

Con un Decreto Ministeriale del 28 Aprile 1912, il riformatorio di Bologna fu intitolato a Pietro Siciliani.61

Ciò che rimane dell’archivio storico della Casa di Rieducazione di Bologna sono solo pochi frammenti (tutto il resto è andato bruciato per motivi di spazio):

a) Un registro delle entrate e delle uscite dei ragazzi, datato dal 1917 al 1918, numerato dal 463 al 560.

b) 13 fascicoli personali di ragazzi, dal 1938 a 1941.

c) Vari sussidiari per le 5 classi elementari.

All’entrata nell’Istituto per ogni ragazzo veniva predisposta una cartellina, in cui venivano inseriti vari certificati, lettere e attestati riguardanti il ragazzo o la famiglia di questi. Era inoltre predisposta la compilazione di una scheda dati molto completa, che però, purtroppo, veniva compilata solo in minima parte, solo ciò che riguardava le informazioni generali sul minore.62

61 Nato a Galatina (Lecce) il 19 Settembre 1835, morto a Firenze il 28 Dicembre 1885. Fu prima medico, poi filosofo e, dopo aver insegnato al Liceo Dante di Firenze, fu professore di Filosofia teoretica e per vari anni anche di Pedagogia dell’Università di Bologna, dal 1876 fino alla morte. Tra i suoi scritti ritroviamo: Socialismo, Darwinismo e Sociologia moderna (Bologna 1879, 3° edizione 1885); La scienza dell’educazione (Bologna 1879, 3°

edizione in due volumi, 1882-1884); Rivoluzione Pedagogia moderna (Torino 1882); La nuova biologia (Milano 1885).

62 Vedi allegato n. 1in Appendice

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