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La Legione Cecoslovacca in Italia: formazione, organizzazione e impiego

Nel documento La Legione Cecoslovacca in Italia (pagine 184-200)

5.1 – I primi volontari

A partire dal 1916, e in misura minore dal 1915, iniziarono a verificarsi sul fronte italiano episodi di diserzione di militari austro-ungarici di etnia ceca e, più marginalmente, slovacca. Essi certamente non furono i soli tra gli appartenenti alle diverse etnie dell’impero di nazionalità diversa da quelle tedesca o ungherese, ma furono senza dubbio quelli più numericamente rilevanti. Se dapprima il fenomeno fu piuttosto contenuto, esso andò incrementandosi con il passare del tempo, senz’altro in concomitanza con l’inizio del peggioramento della situazione alimentare dell’esercito imperiale e con la stanchezza e l’insofferenza crescenti relative al prolungarsi del conflitto. Le motivazioni alla base di tale scelta furono le più disparate: certamente in questa prima fase tale decisione maturò in quegli individui che già in partenza mal tolleravano la situazione delle terre ceche e della Slovacchia all’interno dell’organizzazione statale austro-ungarica e inoltre, in molti casi, essa poté avvenire tramite il condizionamento di elementi di truppa da parte di ufficiali cechi, o in misura minore slovacchi, avversi allo status quo asburgico. In ogni caso, fu questa una fase in cui le dimensioni del fenomeno furono tanto minori da poter essere definite di scarsa rilevanza, se non fosse che in alcuni casi (in particolare uno356, che analizzeremo più avanti) le conseguenze di tali diserzioni ebbero un’importanza tutt’altro che secondaria dal punto di vista militare, a vantaggio del Regio Esercito Italiano e a svantaggio dell’Imperial-Regio Esercito Austro-Ungarico. Globalmente in questo primo periodo, che scegliamo di far terminare subito prima dell’episodio di Carzano del settembre 1917, episodio le cui conseguenze innescheranno un salto di qualità nel numero delle diserzioni nonché nell’organizzazione e nella portata del contributo dei disertori, l’esercito austro-ungarico era abbastanza saldo e le truppe stanche ma non ancora esauste per la guerra, la situazione alimentare cattiva ma non ancora drammatica e il quadro all’interno del paese ben sotto controllo da parte delle autorità. Tuttavia cominciavano ad allargarsi le crepe dal punto di

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vista della coesione militare tra le varie componenti nazionali, la crisi alimentare era alle porte e gli effetti della propaganda dalle linee italiane357, sebbene non ancora su vasta scala, iniziavano a far breccia in non pochi militari austro-ungarici di origine slava o romena.

Questi primi sparuti nuclei di disertori cechi e slovacchi vennero impiegati in via non ufficiale come informatori e come interpreti di prigionieri presso gli uffici informazioni delle singole armate. Con il passare del tempo ed il progressivo aumento di questi elementi, si pensò, anche considerando le motivazioni sempre maggiori dei militari che si andavano consegnando, alla possibilità di un impiego come propagandisti in prima linea nei confronti dei propri connazionali ancora in divisa austro-ungarica o comunque dei militari appartenenti alle nazionalità dell’impero diverse da quelle tedesca o magiara. In maniera comprensibilmente accorta i comandi degli uffici informazioni delle armate iniziarono a impiegare in questo modo i disertori, formando pattuglie che, soprattutto nottetempo, arrivassero quanto più possibile in prossimità delle linee nemiche dove si sapeva o si presumeva fossero dislocate unità con cospicua presenza di elementi cechi o slovacchi, gridando slogan anti-asburgici e canzoni patriottiche e lanciando volantini e perfino generi di conforto, quali cibo o sigarette; tutto ciò invitando alla diserzione i propri connazionali al di là delle linee, con la promessa di intraprendere, una volta passati dall’altra parte, una lotta contro l’esercito austro-ungarico in favore della liberazione delle loro terre. Il Comando Supremo ufficialmente ignorava e, nei fatti, tollerava questa forma di impiego di prigionieri da parte delle singole armate, soprattutto considerata l’esiguità dei numeri e la marginalità del fenomeno. I risultati di tali attività, in quella prima fase, furono senza dubbio limitati perché limitato fu il fenomeno. Tuttavia, l’entusiasmo mostrato da questi disertori della prima ora impressionò più di un ufficiale italiano e nella mente di alcuni prese forma concretamente la potenziale utilità di siffatta tipologia di reparti se organizzata in maniera più ampia e meno improvvisata.

357 Notizie desunte da interrogatorio di disertori e in particolare di un aspirante cadetto del II Battaglione

del 96° Reggimento: “Profonda impressione fecero nella truppa i manifestini lanciati dagli aeroplani italiani. Numerosissimi foglietti caddero in mano ai soldati che li lessero avidamente passandoseli dall’uno all’altro malgrado l’intervento energico degli ufficiali che ne fecero distruggere quanti più poterono”. In AUSSME, Fondo E5, b. 258, f. 2.154, Bollettino Ufficio Informazioni 2ª Armata n. 1192 del 7 dicembre 1916.

E ancora, da notiziari del Comando Supremo, opinioni di disertori di nazionalità non specificata: “Riferiscono che il lancio di manifestini tramite aeroplani è un incubo per le autorità austriache. La vigilanza è rafforzata, perché gli effetti sull’Armata dell’Isonzo sono evidenti, trattandosi di truppe soprattutto slave, tra le quali predominano i polacchi e i ruteni della Galizia”. In AUSSME, Fondo E5, b. 260, f. 1.80, Bollettino Ufficio

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Le informazioni in nostro possesso su questo primo periodo dei disertori-esploratori provengono quasi esclusivamente dai fondi italiani dell’Archivio AUSSME. Oltre a ciò non secondario è il contributo di Vojtĕch Hanzal358, il cui volume sugli esploratori seppur datato e dal taglio storico incerto, contiene informazioni preziose, attinte dalla sua esperienza di legionario in Italia e da parte del materiale archivistico italiano a disposizione negli anni Trenta presso il citato archivio dell’esercito (in sostanza, si tratta di materiale presente nell’attuale Archivio AUSSME).

Hanzal riporta alcuni episodi significativi di queste prime diserzioni. Degno di nota l’episodio riguardante il disertore Jaromír Vondráček: intenzionato da tempo a disertare, impiegò diverso tempo per raccogliere informazioni militarmente rilevanti da passare al nemico. Non appena ne ebbe raccolto a sufficienza fece domanda per la prima linea, venendo assegnato al 41ª Reggimento Fanteria austro-ungarico, composto da elementi di quasi tutte le nazionalità dell’impero, ma prevalentemente da rumeni, bielorussi e polacchi, tra cui ne persuase più d’uno ad unirsi a lui. Vondráček racconta:

Nella notte dall’11 al 12 agosto 1916 andai, ben preparato, a ispezionare le vedette. Fortunatamente raggiunsi le trincee italiane senza esser disturbato da nessuno e là caddi nelle mani del tenente G. Trenner, cognato del martire Cesare Battisti. Era questi uno dei pochissimi italiani – nella vita borghese professore – che già allora sapevano cosa fossero i Cechi e quindi capì subito perché fossi scappato. Siccome parlava benissimo il tedesco, ci intendemmo immediatamente e combinammo all’insaputa del Comando Supremo un progetto che diede agli italiani una buona vittoria e molti prigionieri e armi. Indicai al Trenner il settore che avevano così bene conosciuto. Ebbi il compito di tornare indietro nelle trincee austriache e di far passare la mia compagnia dalla parte italiana, ciò che avvenne nel seguente modo: gli italiani aprirono un fuoco violento da una parte e dall’altra del mio settore ed io passai tranquillamente con tutta la compagnia sul terreno che non era sotto il fuoco e raggiunsi le vicine trincee italiane. Nel settore rimasto indifeso, penetrarono poi gli italiani condotti dal maggiore Onesto Carnevali, giungendo alle spalle del III Battaglione del 41° Reggimento Fanteria che fecero tutto prigioniero, insieme col comandante, maggiore Hubrich. Così cadde la quota 212 Sul Loge il giorno 12 agosto 1916. Fui poi accolto e aggregato all’Ufficio Informazioni della 3ª Armata italiana a Romans, dove feci servizio per tre mesi.359

Per questa sua iniziativa Vondráček ottenne un’attestazione di merito da parte del capitano Italo Nascimbeni dell’Ufficio Informazioni della 3ª Armata: “Su richiesta del tenente Vondráček sig. Jaromír dichiaro che lo stesso, dopo la sua diserzione il 12.VIII.1916, ha offerto immediatamente i suoi servizi al R. Esercito Italiano. Egli ha prestato servizio

358 Hanzal, Voitĕch, Il 39° Reggimento esploratori cecoslovacco sul fronte italiano (a cura di Piero

Crociani), Roma, Stato Maggiore dell’Esercito Ufficio Storico, 2009, traduzione e parziale rielaborazione del volume S výzvĕdčíky od švýcarských ledovců až po moře adriatické, Praha, 1928.

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nell’Ufficio Informazioni della 3ª Armata quale confidente (esploratore di guerra) alle dipendenze del sottoscritto”.360

Dopo tre mesi, gli venne chiesto dove preferisse andare ed egli chiese di andare in Russia, ma, tuttavia, venne inviato al campo di prigionia di Bibbiena e lasciò l’Italia solo alla fine della guerra.

È evidente da questo epilogo come gli ambienti militari italiani fossero diffidenti nei confronti di questi disertori. Ciò naturalmente non deve sorprendere: tanto la mentalità dell’epoca (un disertore per un militare non era degno di fiducia né tantomeno di rispetto), quanto considerazioni di ordine legale e pratico (Convenzione dell’Aja e timore di ritorsioni nei confronti dei prigionieri italiani e degli stessi disertori una volta catturati dagli austroungarici), oltre a ovvie considerazioni di ordine politico-diplomatico (legittimazione di una causa cecoslovacca), rendevano inevitabile diffidenza e cautela in questi casi. Certamente a questi elementi può senz’altro aggiungersi la modesta conoscenza diffusa delle differenze nazionali all’interno dell’Impero Austro-Ungarico, per cui era comune che questi disertori venissero considerati comunque “degli austriaci”.

Emblematico di queste difficoltà è anche il caso di František Hlaváček, in seguito direttore della sede italiana del Consiglio Nazionale Cecoslovacco. Hlaváček era stato attivo politicamente da prima della guerra in favore dell’indipendenza ceca. Arruolato anche se quarantenne e padre di famiglia, nonostante avesse potuto evitarlo, fece questa scelta per poter tramare contro l’Austria. Da ufficiale, nell’estate del 1916, fu inviato sul fronte dell’Isonzo e iniziò a studiare il terreno e le installazioni militari. Divenuto aiutante maggiore del III Battaglione del 409° Reggimento Fanteria, ebbe la possibilità di accedere a documenti militari riservati. Intenzionato a disertare, raccolse un numero rilevante di documenti su dislocazione di reparti e comandi nonché su organizzazione e strategie, preparando anche degli schizzi dettagliati del fronte presso Auzza, dove era dislocato, per una lunghezza di circa 6 km, tratto di fronte che era considerato la chiave dell’Altopiano della Bainsizza. Ritenuto inespugnabile, questo settore diventava pertanto vulnerabile, tanto più che alle spalle non c’erano riserve e le caratteristiche delle strade impedivano l’afflusso veloce di altre truppe. Inoltre, le truppe dell’unità di Hlaváček erano in prevalenza ceche, compreso il comandante del battaglione, maggiore Platzer.

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La mattina del 10 agosto del 1916 Hlaváček disertò durante la battaglia di Gorizia. Come rivelato dai suoi primi interrogatori, il suo battaglione era da tre giorni a riposo nella valle di Avscek, quando nella notte tra il 6 e il 7 agosto fu chiamato a rinforzare la linea della Sella di Dol, tra Monte Santo e Monte San Gabriele (chiamata dagli austro-ungarici Solla Proval). Egli riferì immediatamente le notizie più importanti e consegnò al colonnello Spiller, al comando della 7ª Brigata di Fanteria, i documenti più rilevanti, che includevano le caratteristiche del settore complete di apprestamenti difensivi, mitragliatrici e artiglierie, corredati da schizzi, in base ai quali fu subito eseguita una rapida e limitata azione militare.361 Dopo essere stato inviato nel campo di prigionia di Cividale, dopo alcune insistenze riuscì a consegnare ulteriore materiale al generale Calcagno, comandante dell’Ufficio Situazione, elaborando le informazioni in un memoriale. In seguito a questo memoriale, il Comando Supremo incaricò il comando della 2ª Armata di studiare in dettaglio il terreno, compito svolto dal Comando d’Artiglieria della medesima armata sotto la guida del generale Du Lac. Hlaváček collaborò a questo studio per circa un mese, quindi venne inviato prima nel campo di Bibbiena e quindi a Polla. Tra il maggio e il giugno del 1917 Badoglio, divenuto capo di stato maggiore della 2ª Armata comandata dal generale Capello, accolse un piano che Hlaváček proponeva da tempo e predispose un’azione che puntava a sfondare con un assalto il fronte sul medio Isonzo, in connessione con la battaglia principale che doveva aver luogo sull’intero forte isontino fino al mare. Hlaváček fu chiamato al fronte dal campo di prigionia di Polla nell’aprile del 1917 e fu messo in condizione di collaborare con l’ufficio ITO della 2ª Armata e con il comando della 47ª Divisione (alla quale fu aggregato) del generale Farra. L’azione mise fuori uso le caverne in cui erano nascoste le truppe nemiche con un bombardamento, senza tuttavia uccidere le truppe ceche ivi

361 Hlaváček riferisce nel dettaglio la situazione militare austro-ungarica nel tratto di fronte compreso

tra Avscek e Rohot sulla Bainsizza. Contrariamente alle notizie in possesso dei comandi italiani fino al 5 agosto 1916, egli riporta che la 9ª Brigata Landsturm Ungherese a partire dal marzo dello stesso anno era stata sostituita dalla 205ª Brigata. Essa risultava ormai composta solo dal 409° Reggimento a causa dell’assottigliamento degli organici, organizzato su tre battaglioni (in seguito su quattro), dei quali il terzo era quello in cui prestava servizio Hlaváček. La brigata, forte di circa 5000 uomini, era composta per il 60% di cechi e per il 40% di tedeschi, mentre i reparti mitraglieri erano composti da ungheresi. Egli prosegue con una dettagliata disposizione delle unità della brigata in linea e in riposo e dei comandi. Inoltre Hlaváček conferma l’esistenza, descrivendole dettagliatamente, di una seconda linea difensiva, dalla regione a nord ovest di Avscek fino all’area Kuk 711, Jelenik, Monte Santo e, saldandosi con essa a sud ovest dello Jelenik, di una terza linea, la quale, contornando la conca di Bate si congiunge al tratto Bate-Madoni prolungandolo fino alla valle di Chiapovano a ovest di Pustala. Dopo aver rivelato anche l’esistenza di una quarta linea difensiva a est della valle di Chiapovano. Allega numerosi schizzi, tra cui quelli relativi alle linee difensive, alla dislocazione delle artiglierie, nonché numerosi documenti e ordini riservati dei comandi austro-ungarici. Cfr. AUSSME, Fondo E5, b. 260, fasc. 1.82, Bollettino Ufficio Informazioni 2ª Armata n. 647 del 13 agosto 1916.

Vedi anche in proposito lo schizzo dettagliato delle posizioni austro-ungariche nel settore allegato al Bollettino dell’Ufficio Informazioni della 2ª Armata del 13 agosto 1916: cfr. AUSSME, Fondo E5, b. 260, fasc. 1.84, Bollettino Ufficio Informazioni 2ª Armata n. 649 del 13 agosto 1916.

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nascoste. Gli italiani avanzarono quasi senza perdite e i cechi quasi non fecero resistenza e si arresero (tra gli altri tutto il battaglione del maggiore Platzer cui era appartenuto Hlaváček). Nonostante l’assenza di riserve austriache, l’azione ebbe proporzioni limitate, sembra a causa della diffidenza italiana: Capello avrebbe infatti cambiato il piano prima dell’azione, cosicché la stessa fu quasi dimostrativa. Fu proposto in ogni caso di ripetere l’azione e Hlaváček presentò a Capello un nuovo memoriale.362 Quest’ultimo ottenne dal Comando Supremo di effettuare degli studi preparatori. In seguito Hlaváček partì per Roma dove collaborò con l’allora ufficio stampa della sede romana del Consiglio Nazionale Cecoslovacco (del quale, come detto, sarebbe ben presto divenuto direttore). Dopo l’episodio bellico appena citato era stato infatti liberato per intervento del Comando della 2° Armata con la libertà condizionata, secondo le disposizioni vigenti, che divenne di fatto totale. Venne richiamato da Roma dall’agosto del 1917 ed aggregato al XXIV Corpo d’Armata del generale Caviglia. Chiese di essere arruolato nel Regio Esercito venendo accontentato e fu aggregato col nome di Testolini (traduzione pressoché letterale del suo cognome) al 31° Reggimento Fanteria.363 Come noto, arruolamenti di singoli individui appartenenti ad altre nazionalità non erano esclusi in via di principio, ma vagliati con rigore caso per caso.

362 Hanzal, op. cit., p. 58.

363 Tra gli altri documenti di notevole rilevanza consegnati da Hlaváček ai comandi italiani, vi sono:

un ordine del giorno del comandante della 5ª Armata, generale Boroević (rif. I.R. Comando della 5 Armata Op. n. 848, Posta militare n. 305 del 20 maggio 1916), intitolato “Esperienze nella guerra di posizione”. Si tratta di un ordine riservatissimo, che infatti lo stesso autore ordina non sia portato in prima linea ma distribuito ai vari comandi e tenuto sotto chiave, che menziona tattiche e strategie da impiegare. Cfr. AUSSME, Fondo E5, b. 260, fasc. 1.54, Bollettino Ufficio Informazioni 2ª Armata n. 759 del 9 settembre 1916;

un ordine del comandante della 205ª Brigata, colonnello Pacor (interinalmente comandante della 96ª Divisione di fanteria) diretto ai dipendenti comandi di settore ed al comandante di un gruppo di artiglieria (Johann) relativo all’impiego delle proprie artiglierie: I.R. Comando della divisione di fanteria 62 – Op. no. 88/9. Si menzionano in dettaglio dislocazioni, strategie e tattiche operative di artiglieria. Cfr. AUSSME, Fondo E5, b. 260, fasc. 1.83, Bollettino Ufficio Informazioni 2ª Armata n. 659 del 17 agosto 1916;

due documenti corredati da schizzi relativi a una dettagliata disamina a seguito di due visite del colonnello Petzold, comandante del 409° Reggimento, avvenute il 17 e il 25 luglio in prima linea, sullo stato delle trincee, mettendone in evidenza punti deboli e deficienze strutturali – rif. I.R. regg. di fant. Landsturm n. 409, Ris. N. 431 “Costruzione di trincee” (linea Britof – Desola - Lastivnica) e I.R. regg. di fant. Landsturm n. 409, Ris. N. 388 “Costruzione delle trincee” (zona Morsko - Bodrez). Cfr. AUSSME, Fondo E5, b. 260, fasc. 1.84, Bollettino Ufficio Informazioni 2ª Armata n. 659 del 17 agosto 1916.

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Figura 20: Prima pagina del bollettino dell'Ufficio Informazioni della 2° Armata n. 647 del 13 agosto 1916 (fonte AUSSME)

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Figura 21: Schizzo allegato al bollettino dell'Ufficio Informazioni della 2° Armata n. 647 del 13 agosto 1916, preparato e tradotto a partire da uno schizzo fornito da Hlaváček (fonte AUSSME)

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Figura 22: Schizzo allegato al bollettino dell'Ufficio Informazioni della 2° Armata n. 649 del 13 agosto 1916, preparato e tradotto a partire da uno schizzo fornito da Hlaváček (fonte AUSSME)

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Il generale Enrico Caviglia nel suo libro La Battaglia della Bainsizza, scrive:

Il Comandante del Corpo d’Armata aveva personalmente impiegato una buona settimana a controllare ed a completare lo studio delle posizioni nemiche, passando lunghe ore in trincea, con un ufficiale boemo, il capitano Hlaváček, già combattente nelle linee austriache di Canale, che perciò le conosceva perfettamente. Fu un lavoro minuzioso, che ci permise d’individuare quasi tutte le armi nascoste, o mascherate, del fronte nemico. Alcune di esse, però, si rivelarono durante la battaglia, che non erano note al nostro informatore, ma questa possibilità era stata prevista, essendo già passati vari mesi, da quando egli aveva lasciate le linee nemiche.364

Tre quarti dell’altopiano furono conquistati in seguito a combattimenti durissimi. Hlaváček per la sua collaborazione al fronte fu insignito della croce di guerra italiana. Beneš quando si recò in Italia nel settembre del 1917 lo nominò direttore della sede di Roma del Consiglio Nazionale.

Al di là delle informazioni di tipo militare i disertori nonché molti normali prigionieri cechi e slovacchi (ma anche appartenenti ad altre nazionalità dell’impero; spesso nei documenti non viene neppure specificato questo elemento, rendendo palese quanto oscillante fosse in Italia la conoscenza delle differenze nazionali all’interno dell’Impero Austro-Ungarico) resero nei loro interrogatori informazioni chiare tanto sulla situazione interna dell’Austria-Ungheria, quanto sullo stato morale e fisico delle truppe al fronte. Al netto di valutazioni a volte cariche di una soggettività al limite del bizzarro365, quel che

364 Caviglia, Enrico, La Battaglia della Bainsizza, Mondadori, Milano, 1930, p. 62.

365 Emblematiche a tal proposito alcune conversazioni intrattenute da militari italiani con prigionieri e

disertori cechi nel campo di prigionia di Cividale sulle condizioni politiche, economiche e nazionali delle terre ceche, in cui affermazioni del tutto sensate, logiche ed anche lungimiranti si mescolano con teorie piuttosto strampalate: “A livello economico finora la Boemia ha retto molto bene in quanto paese industrializzato (fabbriche cannoni Škoda e Poldi Hütte). Guadagno operai compensa rincaro viveri. Nel futuro auspicano indipendenza della Boemia anche come futuro economico, in quanto diversamente resterebbe quasi solo il mercato interno austriaco. Dal punto di vista politico tutti i partiti sono «realisti», cioè in favore di un Regno di Boemia indipendente, a cominciare da quello di Masaryk che dirige una «specie di governo provvisorio Boemo a Parigi». Un «intelligente ufficiale boemo disertore che ha in patria una eminente posizione politica» afferma che la repubblica non è un’opzione per il suo paese, dove essa non ha radici né tradizioni, nemmeno nei partiti rivoluzionari, nei quali la rivoluzione avrebbe solo un substrato nazionale. Forse la repubblica sarebbe possibile come governo provvisorio se venisse dalla rivoluzione, ma la vittoria verrà invece dall’Intesa. Boemi tradizionalmente monarchici. Dal punto di vista dinastico impensabile una famiglia boema, n quanto non ve ne

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