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3. Il nuovo codice penale del 1994 e la conferma della “vecchia” scriminante

1.1. La legittima difesa nel codice penale toscano del 1853 e l’importante ruolo

Tra i vari stati preunitari, quello toscano ci è parso uno dei più interessanti: nonostante l’assenza di riferimenti espressi all’interno del codice penale del 1853, le corti avevano elaborato una legittima difesa che, in un’ottica moderna, potremmo definire completa e, allo stesso tempo, avevano attribuito uno speciale rilievo al domicilio, in linea con quanto previsto dalle altre codificazioni dell’epoca.

CADOPPI A., Si nox furtum faxit, cit., pp. 1383-1384; MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, II, Utet, Torino, 1986, pp. 417-418; SZEGÖ A., Ai confini della legittima difesa, cit., pp. 39-41.

138 Insegnamento che confluirà nella codificazione napoleonica solo due anni dopo.

139 CADOPPI A., Una «Pompei» del diritto penale. Tradizione romanistica e «origini lombarde» del codice

napoletano del 20 maggio 1808, in VINCIGUERRA S. (a cura di), Le leggi penali di Giuseppe Bonaparte per il

regno di Napoli (1808), Padova, 1998, p. 176.

140 In quell’occasione l’obiettivo era di individuare un diritto penale italiano, una tradizione giuridica

che certamente è a sua volta di stampo romanistico; tale codice, peraltro, non è mai applicato per volontà di Napoleone che impose la codificazione francese del 1810; CADOPPI A., Una «Pompei» del diritto penale, cit., pp. 181-183.

141 Se per alcuni aspetti, come quello appena evidenziato, la codificazione napoletana risulta molto

innovativa, per altri, invece, appare come mero recipiente di regole meramente tralatizie, come la limitazione dell’operatività della scriminante alla sola difesa personale e non di anche di terzi; CADOPPI A., Una «Pompei» del diritto penale, cit., p. 191 e s.

La causa di giustificazione trovava il proprio fondamento nel diritto di autoconservazione, «istinto insito alla natura umana», a fronte del quale il diritto di punire, normalmente prerogativa dello Stato, era ceduto eccezionalmente al singolo142.

Come già si è accennato in precedenza, nonostante mancasse una formulazione espressa, la giurisprudenza era ben consapevole dell’esistenza della scriminante, nonché dei requisiti necessari ad applicarla e a legittimare la condotta dell’aggredito. In particolare, nel titolo III del codice, rubricato «delle cause che escludono o diminuiscono

l’imputazione», erano elencati sei diversi casi in cui mancava la coscienza e volontà

dell’azione – assenza determinante per escludere la responsabilità penale – e, tra questi, vi rientrava la reazione posta in essere per costrizione (all’art. 34), macro-categoria in cui tradizionalmente rientrava anche la legittima difesa143.

In primo luogo, la prassi riteneva che la scriminante potesse essere esercitata tanto nel proprio quanto nell’altrui interesse; in secondo luogo, l’operatività della causa di giustificazione da una parte era subordinata alla presenza di un’aggressione ingiusta e grave144, dall’altra richiedeva che la reazione fosse necessaria (o meglio, non altrimenti evitabile145) e proporzionata. Quest’ultimo requisito imponeva l’equiparazione tra i beni giuridici in gioco e, solo ove il diritto dell’aggredito fosse stato almeno uguale, se non addirittura superiore rispetto a quello leso dell’aggressore, la reazione poteva essere considerata legittima146.

142 CARRARA F., Programma del corso di diritto criminale, parte generale, I, Lucca, 1860, pp. 169-170; Il Codice

penale toscano, cit., p. 564.

143 Art. 34: «le violazioni della legge penale non sono imputabili, quando chi le commise non ebbe coscienza de’

suoi atti, e libertà d’elezione».

144 Il primo requisito si riteneva che mancasse in due occasioni: se il male minacciato era legittimo ai

sensi della legge o, ancora, se il male minacciato, anche se eccedente i limiti legalmente stabiliti, era conseguenza di un’ingiustizia posta in essere dal soggetto minacciato; il secondo, invece, era legato all’opinione dell’aggredito e non, invece, a una valutazione oggettiva; CARRARA F., Programma del corso

di diritto criminale, parte generale, I, Lucca, 1860, pp. 172-175.

145 In rapporto al primo requisito, l’inevitabilità della reazione si desumeva dalle modalità

dell’aggressione che dovevano essere tali da creare un pericolo per l’aggredito improvviso (ergo non precedentemente noto), presente (né passato né futuro) e assoluto (non evitabile con una supplica, una richiesta di aiuto o una fuga); CARRARA F., Programma del corso di diritto criminale, parte generale, I, Lucca, 1860, p. 175-178

146 Il Codice penale toscano, cit., p. 564; SICILIANO D., Per una genealogia del diritto alla legittima difesa da

Similmente, nel codice non era presente alcun riferimento espresso alla tutela del domicilio e alle reazioni poste in essere al suo interno; tuttavia, la giurisprudenza costante delle corti toscane riteneva lecita l’uccisione del ladro. Tale esito era raggiunto non in base a rigidi criteri, ma a seguito di una valutazione dei requisiti spaziali e temporali – così il domicilio (e le adiacenze del medesimo147), così ancora la notte – che si riteneva agevolassero la commissione del reato, rendendo più difficile la difesa e facendo così nascere il timore di un pericolo per la vita o l’integrità fisica dei presenti148; la prassi toscana non si è mai “fossilizzata” su una definizione normativa, mantenendo un livello maggiore di flessibilità e cercando di attribuire, di volta in volta, la giusta rilevanza a ciascun caso concreto149.

Resta peraltro incerto quale fosse il margine di reazione in caso di aggressione esclusivamente rivolta contro il patrimonio; a tal proposito, sono state elaborate diverse letture: secondo alcuni, la legittima difesa era applicabile solamente in caso di pericolo per l’incolumità fisica, restando così certamente esclusi i beni patrimoniali, i quali, proprio per la loro intrinseca riparabilità, non necessitavano di una tutela altrettanto forte. Secondo altri, si poteva reagire per la tutela del solo patrimonio, al punto da poter arrivare a uccidere legittimamente il ladro introdottosi nottetempo nel domicilio altrui, posto che, nella realtà dei fatti, i beni non sarebbero stati recuperabili con la facilità e l’immediatezza che sembrerebbero emergere dalla tesi opposta150.

Diversamente, poi, il codice prevedeva espressamente l’ipotesi di morte o lesioni provocate per eccesso nella difesa; ai sensi dell’art. 339 c.p. si applicava una differente ed inferiore cornice edittale, da 6 mesi a 3 anni di carcere in caso di omicidio

147 In particolare, perché le adiacenze potessero rilevare, era necessario che appartenessero alla

medesima persona proprietaria dell’abitazione e vittima del furto, che fossero collegate all’abitazione medesima e che fossero confinate da una recinzione se si trattava di un luogo aperto; Carrara F.,

Programma del corso di diritto criminale, parte speciale, I, Lucca, 1867, pp. 281-282.

148 CARRARA F., Programma del corso di diritto criminale, parte speciale, IV, Lucca, 1867, pp. 280-284, 306-312.

149 Come evidenziò Carrara, in questo modo si evitò di elaborare norme ingiuste come quella prevista

all’interno del codice penale sardo volta a definire il tempo di notte, eccessivamente formale e poco pratica (su cui v. meglio infra § 1.2.); CARRARA F., Lineamenti di pratica legislativa penale esposti mediante

svariate esemplificazioni, II, Roma-Torino-Firenze, 1882, pp. 123-126; CADOPPI A., Si nox furtum faxit, cit., p. 1385-1386; CRIVELLARI G., Dei reati contro la vita e la integrità personale, cit., pp. 352-353.

e fino a 8 mesi in caso di lesioni personali gravi o gravissime151. L’eccesso poteva riguardare tanto la gravità quanto l’inevitabilità del pericolo e prescindeva dall’elemento soggettivo, potendo essere riconosciuto anche in caso di eccesso doloso152; diversamente, ove avesse portato alla realizzazione di una lesione personale lieve, nel silenzio della disciplina, si ritiene che la condotta fosse penalmente irrilevante153.

Infine, l’ultima considerazione relativa al Gran Ducato di Toscana riguarda il rilievo attribuito in sede penale allo stato emotivo dell’aggredito. Si riteneva, infatti, che l’alterazione emotiva, a date condizioni, potesse scusare la condotta penalmente rilevante; in particolare, se ne limitava l’applicazione alle sole passioni cieche – ossia quei sentimenti in rapporto ai quali risulta centrale il timore di un male, patito nel caso dell’ira o da patirsi nel caso del timore – in quanto in grado di incidere negativamente sulla capacità di intendere e di volere (a differenza delle contrapposte passioni ragionatrici154); perché poi ira e timore potessero avere un’efficacia scusante, era altresì necessario che tali emozioni fossero caratterizzate da violenza e istantaneità, a conferma del fatto che avessero inciso nell’immediato sul raziocinio dell’agente155.

151 Art. 339 «chiunque, per sottrarsi da un pericolo, prodotto da forza maggiore, o per difendersi dall’altrui

violenza, ha oltrepassato i limiti della necessità, è punito con la carcere a) da sei mesi a tre anni, se ha commesso omicidio; e b) fino a otto mesi, se ha commesso lesione personale grave o gravissima»; CARRARA F., Programma

del corso di diritto criminale, parte generale, I, Lucca, 1860, p. 178; IMPALLOMENI G. B., Completo trattato

teorico e pratico di diritto penale, secondo il Codice unico del Regno di Italia, II, II, COGLIOLO P. (a cura di), Vallardi, Milano, 1889, pp. 81-82; SICILIANO D., Per una genealogia del diritto alla legittima difesa, cit., pp. 725-727.

152 IMPALLOMENI G. B., Completo trattato teorico e pratico di diritto penale, cit., p. 82; diversamente, secondo

Carrara la natura dolosa non era compatibile con l’ipotesi dell’eccesso, applicabile esclusivamente in caso di colpa; CARRARA F., Programma del corso di diritto criminale, parte speciale, I, Lucca, 1864, pp. 555-557.

153 Il Codice penale toscano, cit., p. 564.

154 Sentimenti che dovrebbero acuire le capacità intellettive di chi reagisce e gli permettono di essere

pienamente razionale.

155 Così ad esempio, in caso di reazione non istantanea a un male patito, si avrebbe un sentimento d’odio

e non, invece, d’ira; CARRARA F., Programma del corso di diritto criminale, parte generale, I, Lucca, 1860, pp. 181-189.

1.2. Il codice penale sardo del 1859, trait d’union tra la legislazione francese e il codice