I presupposti filosofici dell’identità narrativa
2. La poetica del racconto: il momento cardine della rifigurazione
2.2 La letteratura e il racconto di finzione
Esaminando più a fondo la centrale funzione configurante del racconto nei confronti del tempo, in vista di una migliore comprensione del concetto di identità narrativa, dobbiamo sviluppare in dettaglio anche la trattazione ricoeuriana riguardante la
177 Cfr. Wright G.H. von, Spiegazione e comprensione, trad. di G. Di Bernardo, Il Mulino,
Bologna, 1977.
178 TR1, pag. 272.
179 Scrive infatti Ricoeur: «è a queste entità di primo ordine che si applicano, a titolo privilegiato,
le procedure esplicative che abbiamo posto sotto il titolo dell’imputazione causale singola. In altri termini: alle procedure di mediazione tra la spiegazione scientifica e la spiegazione mediante costruzione dell’intrigo, corrispondono degli oggetti transizionali che fanno mediazione tra le entità storiografiche e le entità narrative che chiamiamo i personaggi del racconto. L’appartenenza partecipativa è per le entità quello che l’imputazione causale singola è per le procedure della storiografia» (Ivi, pag. 287).
180 Ivi, pag. 338. 181 Ivi, pag. 339.
scrittura creativa di finzione, come ulteriore forma di mediazione tra la temporalità vissuta nell’ambito dell’agire e il tempo strutturato dall’intrigo, quest’ultimo secondo il modello di base aristotelico.
Bisogna dire, in primo luogo, che le due principali forme di mediazione narrativa – la storiografia e la letteratura – condividono la medesima azione configurante grazie al potere dell’intreccio di organizzare una storia intelligibile; divergono, tuttavia, quanto alla rispettiva pretesa di attingere la verità.
Abbiamo visto in precedenza che, concordemente con la teoria del mythos182 aristotelico o «composizione regolata di una favola»183
ripresa da Ricoeur, alla questione della comprensione o intelligenza narrativa viene dato grande risalto, in vista di sottomettere al suo ordine i vari temi emersi a livello di una teoria dell’azione e – dopo il passaggio attraverso l’esperienza della lettura – a livello del racconto storico. Ora, l’attenzione viene convogliata verso la forma letteraria della narrazione, quella propriamente diegetica: ci si chiede se, con l’evolvere dei paradigmi in uso fino alla concezione contemporanea del romanzo, non sia avvenuto un mutamento, una deviazione nello stile184
di tradizionalità occidentale, così prorompente da causare una mortale disgregazione185
della stessa funzione narrativa186
, quella cioè secondo cui l’intrigo configura il tempo. In altri termini e sinteticamente, si tratta di verificare se sussista ancora una certa corrispondenza tra la mimesis nel suo momento di configurazione – arricchito dagli apporti della narrativa di finzione – e la classica teoria – desunta dal dramma antico – del mythos, cuore speculativo da cui ha preso origine l’intero lavoro del filosofo. Prima di pervenire al nucleo dell’argomentazione sul racconto di finzione, Ricoeur chiarisce che la strategia del suo discorso elegge ad oggetto principale di analisi il romanzo moderno187
, operando una selezione previa in
182 Con mythos si intende «allo stesso tempo favola (nel senso di storia immaginaria) e intreccio
(nel senso di storia ben costruita)» (FL, pag. 170).
183 TR2, pag. 249.
184 Il concetto di stile rimanda a quello di paradigma. Secondo Ricoeur, i paradigmi «sono dei tipi
di costruzione dell’intrigo derivanti dalla sedimentazione della pratica narrativa stessa» (TA, pag. 16).
185 «Possiamo allora chiederci se l’intrigo non sia a sua volta diventato una categoria di portata
limitata e di stile superato come il romanzo costruito sull’intrigo. Anzi, l’evoluzione della letteratura non si limita a far apparire nuovi tipi nei generi antichi e nuovi generi nella costellazione delle forme letterarie. La sua avventura sembra condurla fino a confondere il confine stesso tra i generi e a contestare il principio stesso d’ordine che è la radice dell’idea di intrigo» (TR2, pag. 19).
186 Cfr. Kermode F., Il senso della fine. Studi sulla teoria del romanzo, trad. di G. Montefoschi e
Zuppet R., Sansoni, Firenze, 2004.
187 Cfr. Auerbach E., Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, trad. di A. Romagnoli,
base a certi criteri188
e quindi tralasciando tutto l’ambito del drammatico. Un motivo per legittimare questa predilezione lo fornisce brillantemente l’autore, quando sostiene che
«prima del romanzo, i generi aventi forme fisse tendevano a rafforzarsi reciprocamente e formare in tal modo un tutto armonioso, un insieme letterario coerente, accessibile quindi a una teoria generale della composizione letteraria. Il romanzo, sospingendo gli altri generi, ne disloca la coerenza globale»189.
Tale considerazione va presa nel senso che il romanzo, costituendosi tramite l’annullamento di una distanza – alimentata invece dall’epopea – rispetto al presente dello scrittore e del pubblico, al di là quindi della contrapposizione formale tra “alta” e “bassa” letteratura, consente di diversificare fecondamente l’intreccio e di arricchire l’oggetto dell’imitazione artistica, cioè l’azione. Secondo Ricoeur, sulla scorta di molti studi di esperti190
riguardo la storia del romanzo, per arrivare ad una sovradeterminazione dell’azione – cioè per dilatare l’intreccio narrativo –, si deve passare attraverso la mimesis del personaggio191
in qualità di agente/paziente e poi attraverso la riproduzione narrativa della vita coscienziale; in questa dinamica mimetica, vale naturalmente il reciproco.
La pietra di paragone di queste analisi è sempre stata l’arte del comporre una tessitura narrativa, ciò che abbiamo chiamato momento della configurazione; ebbene, ora possiamo dire, a buon diritto, che sia il racconto storico sia quello di finzione obbediscono allo stesso principio formale descritto in Mimesis II e pertanto sono atti a
188 Uno di questi riguarda il fatto che, nel romanzo, «la nozione di personaggio prima si emancipa
da quella di intrigo, successivamente le fa concorrenza e finisce per farla del tutto scomparire». In conseguenza, si attua un ampliamento del contesto sociale in cui ha luogo l’azione narrata; inoltre, a testimoniare il progressivo arricchimento – a livello di complessità psicologica – del personaggio, troviamo il romanzo di iniziazione. Nel XX secolo, infine, si affermano gli scrittori del flusso di coscienza, che comporta grandi innovazioni per quanto concerne la descrizione delle esperienze temporali (TR2, pag. 22).
189 Ivi, pag. 251.
190 Cfr. Frye N., Anatomia della critica, trad. di P. Rosa-Clot e S. Stratta, Einaudi, Torino, 2000. 191 Il racconto, nel momento in cui – a livello di configurazione – “imita” l’azione, attua «una
mimesis di esseri che agiscono; ora, degli esseri che agiscono sono, nell’accezione ampia che la
semantica dell’azione conferisce alla nozione di agente, degli esseri che pensano e provano sentimenti; meglio, degli esseri capaci di raccontare i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro azioni. È quindi possibile dislocare la nozione di mimesis dall’azione verso il personaggio e dal personaggio verso il discorso del personaggio» (TR2, pag. 147).
costituire una «grande narratologia»192
che Ricoeur spera193
inauguri studi interdisciplinari. Per di più, come si era detto a proposito della pre-figurazione,
«tutte le arti della narrazione, e a titolo eminente quelle che sono derivate dalla scrittura, sono imitazioni del racconto così come è già praticato nelle transazioni del discorso ordinario»194.
Ciò nonostante, una differenza s’impone, nella misura in cui consideriamo il potere dell’intrigo di configurare il tempo rispettivamente nella storia scientifica e nel romanzo. In quest’ultimo i «giochi con il tempo»195
sono innumerevoli196
, di pari passo con la creazione di mondi immaginari. Gli esperimenti letterari sulla temporalità favoriscono un’«esperienza immaginaria del tempo»197
, stimolano cioè la facoltà di abitare virtualmente in un mondo nuovo, quello proiettato dall’opera secondo un movimento di «trascendenza immanente»198
. Dal lato della referenza o rifigurazione, avremo modo di saggiare poi «il potere detenuto dal racconto di finzione, potere di scoprire e trasformare il mondo effettivo dell’azione»199
, mentre il racconto storico si sforza di cogliere il passato effettivo200
.
192 Ivi, pag. 253.
193 Ricoeur, fin dall’inizio del suo lavoro sulla narrazione, vuole «raccogliere le forme e le
modalità disperse del gioco di raccontare». E scrive, per rimarcare questo suo intento fondamentale: «Contro questa frammentazione senza fine [dei racconti] avanzo l’ipotesi che esista una unità funzionale tra i molteplici modi e generi narrativi» (TA, pag. 12).
194 TR2, pag. 253. 195 Ivi, pag. 256.
196 Questo può accadere, perché possiamo definire già «l’atto poetico [tipico di ogni narrazione]
come la creazione di una mediazione fra il tempo come passaggio e il tempo come durata. Se si può parlare di identità temporale di una storia, bisogna caratterizzarla come qualcosa che perdura e rimane attraverso ciò che passa e non ritorna» (FL, pag. 172).
197 TR2, pag. 257. 198 Ibidem 199 Ibid.
200 Secondo Ricoeur, il sapere storico, tramite la creazione di un “terzo” tempo – proprio quello
della storia –, globalmente opera «la reiscrizione del tempo vissuto sul tempo del mondo». Il problema specifico, che segue, concerne il rapporto tra il racconto costruito dalla storiografia e la realtà del passato come tale. Ricoeur si propone di rinnovare – problematizzandolo – il concetto stesso di “realtà”, quando viene applicato ad un evento accaduto che si desidera portare alla luce del presente. L’operazione tipica di ogni resoconto storico mostra il suo carattere paradossale, in quanto, nutrita di “realismo” – un’ontologia implicita –, cerca di ricostruire un che di scomparso che comunque fu reale. Scrive Ricoeur: «Daremo il nome di rappresentanza (o di luogotenenza) ai rapporti tra le costruzioni della storia e il loro corrispettivo, cioè un passato ad un tempo abolito e preservato nelle sue tracce». Qui bisogna evidenziare lo stretto nesso che sussiste tra la nozione di traccia e di rappresentanza. La prima unisce nel suo concetto una relazione causale di tipo fisico e una relazione significante di tipo semiologico, dando luogo ad un «effetto-segno». La traccia, dunque, enigmaticamente «significa senza fare apparire». Nella rappresentanza – posta sotto il segno dell’Analogo, categoria sostenuta da un approccio tropologico –, invece, si discerne un “veder-come” appunto analogico; Ricoeur afferma in proposito: «L’analisi tropologica è l’esplicitazione cercata della categoria dell’Analogo. Essa dice una sola cosa: le cose devono essere accadute come si dice in questo racconto; grazie alla griglia tropologica, l’essere-come dell’avvenimento passato è portato al linguaggio». Questo si spiega perché «tra un racconto e un