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La narrazione storiografica

I presupposti filosofici dell’identità narrativa

2. La poetica del racconto: il momento cardine della rifigurazione

2.1 La narrazione storiografica

Sul piano epistemologico, quello cioè della costruzione dell’intrigo, si nota che il modello aristotelico del mythos, opportunamente aggiornato e rivisitato innanzitutto a contatto con i problemi emersi in seno alla storiografia, si pone come istanza di moderazione tra un paradigma nomologico157

di spiegazione del fatto storico e un indirizzo caratterizzato dal ricorso unidirezionale alla soluzione “narrativista”158

dei quesiti relativi ad una scienza del passato in quanto tale. Vediamo che, a prescindere da considerazioni ontologiche sulla realtà di ciò che è accaduto, i criteri epistemologici che governano la scrittura della storia vengono riuniti in due opposte polarità, le quali, prese individualmente, portano il ragionamento alla deriva. Ricoeur si concentra su una posizione intermedia, secondo cui la spiegazione in storia è tale in quanto sui generis e non perché condivida lo stesso statuto di quella valida all’interno delle scienze naturali. Inoltre, è riduttivo definire la storio-grafia come un semplice

155 Ibidem, nota. 156 TR3, pag. 369.

157 A rappresentare questa posizione, Ricoeur riunisce la storiografia francese del novecento e

l’epistemologia neopositivistica. Entrambe «hanno almeno in comune, con il rifiuto della filosofia della storia […], il rifiuto del carattere narrativo della storia così come la si scrive oggi». La prima corrente si distacca dalla comprensione degli eventi tramite intreccio con l’abbandonare l’oggetto classico della ricostruzione storica, il singolo agente, per studiare il «fatto sociale totale»; la seconda invece, si basa sulla ricerca di «una relazione diretta tra la singolarità dell’evento e l’asserzione di una ipotesi universale, quindi di una forma qualsiasi di regolarità» (TR1, pag. 148, 173).

158 L’indirizzo narrativista, secondo l’autore, permette di «isolare una componente necessaria, ma

non sufficiente, della conoscenza storica», in quanto «ci dice su quale modalità previa di comprensione la spiegazione è innestata, ma non ci fornisce un equivalente o il sostituto narrativo della spiegazione» (Ivi, pag. 216).

ramo del genere “storia raccontata”, dal momento che non basta tematizzare la comprensione narrativa sempre all’opera nella composizione di testi scritti, quand’anche destinati a riportare in vita gli accadimenti passati; in un’ottica pluridimensionale, a questa fondamentale attitudine – ricostruibile a livello delle fonti dello storiografo – vanno aggiunte modalità di verifica propriamente nomologiche, riconducibili ad un modello di «spiegazione causale singola»159

. Tutto questo comporta un legame indiretto tra il raccontare tipico della storiografia come scienza e la soggiacente intelligenza narrativa160

: in sostanza, il passaggio attraverso il discorso storico mostra il grado di specificità richiesto a concetti come “narrazione”, “intrigo”, “storia”, etc., una volta adattati ad un ambito in cui sono attive varie tendenze epistemologiche in reciproco contrasto. Infatti, il bilancio del filosofo è il seguente: le procedure esplicative messe in atto dal sapere storico si divincolano dalla logica consequenziale immanente alla costruzione dell’intrigo, per assumere un rilievo in quanto mezzi di prova – documentaria, critica o criteriologica, oggettiva –, al fine di convalidare le supposizioni avanzate in un determinato contesto di ricerca.

«Concettualizzazione, ricerca di oggettività, reduplicazione critica segnano le tre tappe del processo grazie al quale la spiegazione storica guadagna la sua autonomia rispetto al carattere “auto-esplicativo” del racconto»161.

Oltre a ciò, riguardo alle entità prese in considerazione nel discorso storiografico, il ricercatore si avvale non certo direttamente di categorie162, desunte dalla semiotica strutturale163

o dalla narratologia164

contemporanea, come “personaggio”, “attore”, “agente”, “funzione”165

, etc. – dalle quali casomai si possono trarre valide ed euristicamente profittevoli analogie –, bensì si serve di nozioni che

159 Ivi, pag. 339.

160 La quale «è molto più vicina alla saggezza pratica e al giudizio morale che alla scienza, e in

generale all’uso teorico della ragione»; insomma è «intelligenza fronetica» (FL, pag. 172, 3).

161 TR1, pag. 265.

162 L’approccio narrativista alla storiografia si caratterizza, secondo Ricoeur, per l’effettuazione

non sorvegliata di un «transfert delle categorie letterarie della costruzione dell’intrigo nel campo del racconto storico» (TR2, pag. 254).

163 Riguardo i due atteggiamenti possibili di fronte al testo, considerati d’abitudine in rapporto

antagonistico – non certo da Ricoeur, visto che la sua teoria prevede la deviazione necessaria attraverso il momento oggettivo/esplicativo rappresentato dalle ricerche strutturaliste –, egli scrive che «spiegare è liberare la struttura, cioè le relazioni interne di dipendenza che costituiscono la statica del testo; interpretare è intraprendere il cammino di pensiero indicato dal testo, mettersi in marcia verso l’oriente del testo» (TA, pag. 151).

164 Essa, sostanzialmente, «ciò che cerca di ricostruire sono le necessità logiche e semiotiche, le

leggi di trasformazione, che regolano il procedere del racconto»; non è altro che «un discorso di secondo grado, sempre preceduto da un’intelligenza narrativa scaturita dall’immaginazione creatrice» (FL, pag. 174).

rinviano a soggetti anonimi, come accade nella storia economica o sociale, quando al singolo individuo vengono sostituite generiche “forze”, “tendenze”, di cui è possibile rintracciare lo sviluppo e l’espansione.

Un ulteriore segno di rottura epistemologica rispetto a quella che è stata definita la capacità da parte di un agente/interprete di seguire compiutamente una storia e quindi di contribuire allo svolgimento ordinato di un intreccio, è dato dalla mutazione di atteggiamento nei confronti del tempo storico, inteso nei suoi legami con quello qualitativo-vissuto di una coscienza intenzionale o, più in generale, con quello soggettivo di un agente individuale. Assistiamo dunque, nei riguardi del tempo concettualizzato dai recenti orientamenti storiografici, ad una giustapposizione tra l’omogenea individuazione di ampi intervalli e la frammentazione di tempi commisurati alle entità teorizzate come elementi primi, degni di ricerca oggettiva.

Il “narrativismo”, come corrente metodologica – e qui notiamo la parziale fecondità di questa impostazione – applicata agli studi storici, porta la riflessione a riconoscere che «raccontare è già spiegare»166

, una volta stabilita l’attività configurante dell’intrigo sopra un insieme di segmenti temporali scollegati; attività in conseguenza della quale, dunque, si instaura una connessione causale, distinta dalla successione di elementi che va a formare una mera cronologia di eventi. In più, la storiografia intesa tout court come produzione di racconti consente di individuare, al di sopra della trama della “storia” narrata, la prospettiva privilegiata del narratore, in modo che il punto di vista a partire da cui un percorso narrativo è possibile non si frammenti nella molteplicità di visuali proprie ad ogni agente o fattore di progressione storica. La «messa a distanza»167

favorita dall’introduzione della voce narrativa – quella, in ultima analisi, dello storico di professione –, unita alla capacità dell’intrigo di coordinare secondo uno schema causa-effetto il susseguirsi degli accadimenti, permette inoltre di considerare l’ “eterogenesi dei fini” operante in ogni concatenamento di azioni intenzionali, tale per cui il racconto include pure l’imprevisto, l’indesiderato, il non premeditato.

A dispetto di questi tentativi, pur fruttuosi entro certi limiti, Ricoeur nota che il rarefarsi metodologico del modello168 “narrativista” appoggiato da alcuni teorici, a

166 TR1, pag. 267. 167 Ivi, pag. 268.

168 Secondo la concezione “narrativista” propugnata da Mink – come la presenta Ricoeur –, «i

racconti sono delle totalità altamente organizzate che esigono un atto specifico di comprensione analogo al giudizio». La comprensione storica, dunque, riunisce in sé «la funzione sintetica di “prendere insieme” e la funzione riflessiva propria di ogni operazione totalizzante». Veyne, poi, giunge ad affermare che «la costruzione dell’intrigo è ciò che qualifica un evento come storico»; in altri termini, «un evento storico non è soltanto ciò che capita, ma ciò che può essere raccontato

causa della scomposizione parcellare di varie modalità di spiegazione169

in precaria conciliazione tra loro, porta ad indebolire l’originaria carica innovativa ed euristica del modello proprio a Mimesis I, quando viene fatto interagire con i problemi epistemologici tematizzati dallo storiografo di mestiere. In sostanza,

«le tesi narrativiste rispondono ad una diversificazione e gerarchizzazione dei modelli esplicativi con una diversificazione e una gerarchizzazione analoghe alle risorse esplicative

del racconto»170.

La mossa decisiva a questo punto, per rifuggire da inutili estremizzazioni, è quella di far intervenire una fenomenologia genetica del senso171

, cioè un «metodo di interrogazione a ritroso»172

, in vista della costituzione dell’intenzionalità storica, la quale rappresenta il rinvio al mondo della cultura; più in particolare allo strato pre- figurato narrativamente dell’azione. Questo per verificare quanto la deviazione attraverso il racconto storico abbia contribuito ad arricchire concettualmente l’operazione configurante in atto grazie all’intrigo, nonostante talune divergenze e successive ripercussioni, create dal fatto che la storiografia si pone come ricerca ed ambisce ad uno statuto scientifico, allontanandosi così – per complessificazione epistemologica – dal modello della semplice competenza narrativa a seguire e sbrogliare un intreccio.

Ricoeur nota che, nonostante il residuo suddetto, vi sono determinate connessioni, rintracciabili nella forma discorsiva propria della storiografia, che

o che è già stato raccontato nelle cronache o nelle leggende». (Ivi, pag. 234, 255) Cfr. Mink L.O.,

History and Fiction as Modes of Comprehension, in New Literary History, 1979, pagg. 541-558;

cfr. anche Veyne P., Come si scrive la storia: saggio di epistemologia, trad. di G. Ferrara, Laterza, Bari, 1973.

169 Ricoeur fa un bilancio del suo studio sulla posizione narrativista in storiografia nel seguente

modo: «Abbiamo infatti visto la struttura della frase narrativa adattarsi ad un certo tipo di racconto storico basato su una datazione documentata (Danto). Abbiamo poi assistito ad una certa diversificazione dell’atto configurante (Mink); sempre con questo autore abbiamo visto come la spiegazione configurante divenga a sua volta una modalità esplicativa tra le altre, in congiunzione con la spiegazione categoriale e la spiegazione teoretica. Infine con White, in un primo tempo, l’ “effetto esplicativo” tipico della costruzione di intrigo si situa a metà strada tra l’effetto dell’argomentazione e quello del filo della storia (story-line), al punto che assistiamo al prodursi non solo di una diversificazione ma di una frantumazione della funzione narrativa» (Ivi, pag. 268).

170 Ibidem

171 Si tratta, riprendendo l’Husserl della Krisis, di mettere in pratica «una genesi di senso». In

estrema sintesi, bisogna verificare se il sapere storico si alimenta alle fonti dell’intelligenza narrativa di base, che è presente già nell’ordine dell’azione, in quanto appunto pre-figurata. Scoprire, dunque, l’intenzionalità storica significa ritrovare «il senso dell’intenzione poetica che costituisce la qualità storica della storia e la preserva dal dissolversi nei diversi saperi ai quali la storiografia si congiunge, sposandosi, per interesse, all’economia, alla geografia, alla demografia, all’etnologia, alla sociologia delle mentalità e delle ideologie» (TR1, pag. 269).

rimandano al lavoro filosofico di ripercorrimento del senso dai tratti derivati all’origine intenzionale: come dicevamo prima, la specificità del regime narrativo storico emerge con la sua capacità di rottura, allorché vengono riconosciute come autonome, a livello epistemologico, tre categorie concettuali a disposizione per garantire la scientificità della disciplina. Avevamo visto trattarsi delle procedure esplicative, delle entità singolari previste nella teoria, del tempo nei suoi molteplici aspetti. Ebbene, il filosofo francese riguardo al primo punto, afferma che, per evitare di opporre frontalmente due tipi di spiegazione, cioè quella nomologica che si rifà a leggi e quella implicita nella costruzione dell’intrigo – i cui titoli di validità possono essere riconosciuti da ambo le parti entro certi limiti, ma non rifiutati senza appello –, è necessario identificare la peculiare modalità esplicativa secondo attribuzione o imputazione causale singolare173 quale forma di collegamento e così fornire un adeguata risposta al problema generale della causalità in storia. La plausibilità di questo modello misto174

, in linea con l’argomentazione ricoeuriana sulla narratività, si palesa dal momento che è possibile concepire il risultante processo di spiegazione come un quasi-intrigo e dunque legittimare indirettamente i concetti adoperati in un’ermeneutica del testo narrativo.

Sempre in quest’ottica, gli oggetti teorici costruiti dai recenti orientamenti storiografici vengono disposti in un sistema gerarchico che ne fa, secondo Ricoeur, delle entità di primo ordine175

, atte a connotare la rappresentazione della praxis di agenti concreti. Esse, fondamentalmente, hanno la «funzione di oggetto transizionale tra tutti gli artefatti prodotti dalla storiografia e i personaggi di un racconto possibile»176

, costituendosi – in altre parole – come dei quasi-personaggi. Il livello

173 «L’imputazione causale singola è la procedura esplicativa che fa transizione tra la causalità

narrativa – la struttura della causalità che Aristotele distingueva da quella della successione – e la causalità esplicativa che, nel modello nomologico, non è distinta dalla spiegazione mediante leggi» (TR1, pag. 273).

174 Il modello risulta misto perché la comprensione in atto nella storiografia, secondo il filosofo,

unisce la struttura narrativa dipendente dalla dinamica dell’intrigo alle sequenze esplicative sul tipo della causalità singolare. Ricoeur scrive, infatti, che «lo storico non è un semplice narratore: egli fornisce le ragioni in forza delle quali considera un fattore piuttosto che un altro come causa sufficiente di un dato corso di eventi. Il poeta crea un intrigo che, a sua volta, regge grazie alla sua struttura causale. Ma tale struttura non è oggetto di una argomentazione. Il poeta si limita a produrre la storia e a spiegare raccontando. In questo senso, Frye ha ragione: il poeta procede a partire dalla forma, lo storico verso la forma. Il primo produce, il secondo argomenta. E argomenta perché sa che si può spiegare altrimenti. E lo sa perché si trova, come il giudice, in una situazione di contestazione e di processo, e perché la sua difesa non è mai terminata: infatti la prova è più efficace quando si tratta di eliminare i candidati al ruolo di causa, come direbbe Dray, che quando si tratta di attribuire ad uno solo tale riconoscimento definitivo» (Ivi, pag. 278).

175 Queste stanno per «entità societarie che, pur essendo indecomponibili in una miriade di azioni

individuali, fanno comunque menzione, nella loro costituzione e nella loro definizione, di individui che possono essere considerati come i personaggi di un racconto» (Ivi, pag. 287).

della spiegazione, dato dal connettivo dell’imputazione causale177

, e quello della descrizione, dato dal concetto di entità di primo ordine o altrimenti di «appartenenza partecipativa»178

, vanno intesi congiuntamente179

, visto che il primo rinvia al secondo e viceversa.

La terza caratteristica esaminata da Ricoeur in questo contesto riguarda il rapporto problematico del tempo storico con la temporalità del racconto: basti qui, prima di inoltrarci nella questione della rifigurazione temporale dell’azione ad opera dell’incrocio storia/finzione, accennare al fatto che i vari tempi istituiti dallo storico di mestiere – e tra questi soprattutto quello dell’evento – si formano a partire dalla temporalità configurata nell’intrigo narrativo e, in ultima istanza, procedono geneticamente da quella della prassi prefigurata.

Sinteticamente, la mossa di Ricoeur risponde alla «duplice esigenza di render giustizia alla specificità della spiegazione storica e di preservare l’appartenenza della storia al campo narrativo»180

. Dunque,

«un buon esempio di espansione del modello è fornito dalla complessità, senza eguali nella

Poetica di Aristotele, della discordante concordanza offerta dalla narrazione storica. L’idea

di sintesi dell’eterogeneo […] si libera completamente dei limiti imposti dai “generi” letterari e dai “tipi” di intrigo conosciuti da Aristotele. Si potrebbe dire che, con la storiografia, la “forma” della concordanza discordante si distacca dai “generi” e dai “tipi” con i quali essa si confonde ancora nella Poetica»181.