• Non ci sono risultati.

Lettere inedite di Salvatore Lo Presti, ardito a Fiume con Gabriele D’Annunzio

«Salvatore Lo Presti – scrive Giovanni Lista nel suo Qu’est-ce que le futurisme. Suivi de Dictionaire des futuristes, Gallimard, Paris 2015 – fu uno scrittore nato a Catania il primo maggio 1903 e morto il 28 settembre 1980 a Gravina di Catania. Dal 1917 entra in contatto con i futuristi, e diventa animatore di un gruppo di futu- risti di Catania. Collabora ad “Haschisch” e pubblica nel 1924 un libro di poesie Luci Notturne. Edita il numero unico di “Sarabanda”, datato 15 aprile 1926, poi si allontana dal futurismo pubblicando il suo primo saggio sulle Marionette sici- liane. Si consacra in seguito al giornalismo e allo studio delle tradizioni popo- lari»1. Tralasciando alcune affermazioni di Giovanni Lista che ci convincono poco2, focalizziamoci, al momento, su Lo Presti e la nostra rivista «Haschisch».

1 «Salvatore Lo Presti», in G. Lista, Qu’est-ce que le futurisme. Suivi de Dictionaire des futuristes, Galli-

mard, Paris 2015, pp. 1169, ill. Noi lo leggiamo in versione ebook. Nostra la traduzione di ser- vizio. Sempre su Lo Presti non si tralascino le belle pagine di Tino Vittorio, Salvatore Lo Presti,

“salamandra” dell’Etna, in Salvatore Lo Presti, Briganti in Sicilia, introduzione e cura di Tino Vitto-

rio, Gelka, Palermo 1996, pp. 5-11.

2 Per esempio il fatto che Lista veda come qualcosa di completamente differente dal futurismo

il dedicarsi di Lo Presti allo studio delle tradizioni siciliane, dal libro sulle Marionette, agli altri nemmeno indicati, quale per esempio, Il Carretto, Flaccovio, Palermo 1959. Invece, come ab-

133 La quale rivista, come abbiamo visto nel capitolo precedente, non viene dal nulla: anzi, questa nasce piuttosto dal futurfiumanesimo, all’indomani del Natale di Sangue, il Natale del 1920 durante il quale viene tragicamente conclusa l’esperienza fiumana con lo sgombero forzato promosso da Giolitti, apostrofato dal Comandante D’Annunzio il «vecchio boia labbrone».

Adesso, considerando che il primo numero della nostra rivista è dedicata a Mario Carli, il padre dell’arditismo del quale lo stesso Lo Presti parla al padre all’interno della Lettera 4, e che in più «Haschisch», come leggiamo a pagina 16 del numero 4 (Luglio 1921), nel numero di Settembre sarebbe stata dedicata all’anniversario della notte di Ronchi3 – fatto poi avvenuto per l’uscita unica dei numeri 5-6 settembre-ottobre 1921 – appaiono ancora più preziose le sei lettere pervenute fino a noi, che Salvatore Lo Presti, al tempo appena diciassettenne, inviò al padre dal settembre al dicembre 1920 da Fiume.

Queste lettere, fino ad ora inedite, rappresentano (e deliziosamente) la te- stimonianza di un giovane catanese a Fiume, tutto pronto a donarsi alla Festa della Rivoluzione (come ha scritto meravigliosamente Claudia Salaris), in una città d’artisti ed eroi, sotto braccio a quel grande trascinatore che fu Gabriele D’An- nunzio. Salvatore Lo Presti oltre ad aver animato il cenacolo di «Haschisch», fu poeta, giornalista e scrittore. Ricordiamo almeno i suoi Pupi, Studio editoriale

3 Cfr. «Haschisch», I, luglio 1921, 4, p. 16.

moderno, Catania 19274 e ancora Il carretto, Flaccovio, Palermo 19595. Del gior-

nalista ricordiamo il contributo pieno di dettagli e gonfio di atmosfera per lo studio della nostra rivista «Haschisch», apparso su «La Sicilia» a pagina 3 del 24

4 Lo Presti, I pupi, Studio editoriale moderno, Catania 1927, pp. 88. Per farsi un’idea delle corri-

spondenze fra futurismo e arte popolare basti leggere questa bellissima pagina dei Pupi: «L’Opira

dei Pupi, questa magnifica e gloriosa rocca, rivoluzionata da innovazioni infinite, frammezzo ad

avvenimenti immensi ed a tanta evoluzione di gusti e di bisogni spirituali, sta ancora oggi in piedi, senza che nessuna novità, nessuna forza, neppure il cinematografo, malinconica invenzione, co- munissima a tutti i paesi del mondo, sia riuscita ad abbatterla inesorabilmente, pur andando sem- pre più perdendo terreno. Essa è la felicità dei ragazzi e del popolino, che la sera vi affluiscono numerosi. È quanto mai interessante assistere ad uno spettacolo all’Opira dei Pupi di questi minu- scoli personaggi di legno, retti da fili che ci fanno dimenticare, per alcune ore, quelli infiniti per i quali siamo sospesi, fra le tenebre, ad una mano inesorabile che non si fa scrutare, che sa il perché ed il come farci muovere, piegare, cadere, scomparire. Quanto brìo, quanta gajezza, essi sanno dare! Guardiamo un pò [sic] la scena: due guerrieri si battono ferocemente. Ed ecco delle voci che si levano da ogni lato, ad incitare, ora l’uno, ora l’altro a dare avvertimenti o consigli, ad imprecare, ora verso il vinto, ora verso il vincitore, come se si trattasse di cose fatte sul serio. In un certo momento, mentre gli animi di tutti sono tesi dall’angoscia, per la fine d’un terribile duello, che può sconvolgere tutto un piano di supposizioni e di speranze, uno degli spettatori mette sul cappello d’un altro che gli sta dinanzi una buccia d’arancia o di limone con innestativi dei fiammiferi accesi. Si accorgono delle burla, e risa e strepiti scoppiano da ogni parte, fragoro- samente. Tra il rullare del tamburo e l’arringa del veramente eccellente puparo, il venditore di gazzose urla e schiamazza, richiedendo i soldi che, per ischerzo, gli acquirenti fanno finta di non volergli dare, o decantando la bontà della sua mercanzia. Poi c’è il Caliaro. Ed i chicchi di ceci abbrustoliti vanno da un punto all’altro della sala, tra un frastuono di risate, sberleffi, grida, ba- ruffe, scappellotti ed imprecazioni. Quando poi lo spettacolo è finito il pubblico esce a gruppi animatissimi. C’è il commento, la glorificazione o la condanna d’un tale guerriero, la ricostru- zione d’un tal altro avvenimento in rapporto ad altri episodi. Sono fra i gruppi moltissimi operai ai quali sorridono gli occhi di felicità, dopo un giorno di disperato sudore. Tutto quest’insieme, nell’Opira dei Pupi, offre, unitamente ad un parlare italiano sicilianizzato, divertentissimo, più si- ciliano che italiano, ricco com’è di sarcasmi e di frizzi e carico di sorridente bontà, materia viva per sensazioni bellissime», Ivi pp. 21-24. Inutile dire che tutto l’ambiente stesso dell’Opira dei Pupi, fra pupari spettatori venditori di gazzose e caliari, è esso stesso Teatro di varietà futurista. «Sono fra i gruppi moltissimi operai ai quali sorridono gli occhi di felicità, dopo un giorno di disperato sudore» è l’essenza stessa del Futurismo, arte di massa, nel senso nobile del termine, per gli uomini delle fabbriche. Come il Teatro di varietà, come negli Indomabili di Marinetti, contro la spocchiosità di chi vuole privare il popolo della consolazione dell’arte. E per finire «Tutto quest’insieme, nell’Opira dei Pupi, offre, unitamente ad un parlare italiano sicilianizzato, diver- tentissimo, più siciliano che italiano, ricco com’è di sarcasmi e di frizzi e carico di sorridente bontà, materia viva per sensazioni bellissime», cos’è se non il Manifesto futurista siciliano? Come può dunque sostenere Giovanni Lista che Lo Presti «poi si allontana dal futurismo pubblicando il suo primo saggio sulle Marionette siciliane»?

135 novembre 1967 e dal titolo I «Figli della Luce» nel salotto rosso di Simonella: Il clamoroso lancio di Haschisch e i futuristi catanesi negli anni Venti.

Ai giorni nostri sono disponibili anche i suoi Briganti in Sicilia6, opera uscita po- stuma, grazie all’interessamento e alla cura di Tino Vittorio che l’ha corredata financo di una prefazione.

Ed è proprio al professor Tino Vittorio, al quale gli eredi di Lo Presti hanno donato gran parte dell’archivio dello scrittore futurista e fiumano, che va tutta la nostra gratitudine per averci prima segnalato e, in seguito, messo a disposizione queste lettere che oggi riportiamo per la prima volta alla luce.

6 È questa un’opera alla quale Lo Presti iniziò a lavorare sul finire degli anni Quaranta quando

divenne segretario di redazione de «La Sicilia», un’opera che, per dirla con il suo curatore, «sem- bra confermare la teoria di Braudel secondo la quale “il banditismo è un vecchio aspetto dei costumi mediterranei, uno spettacolo permanente, una struttura”», T. Vittorio, Salvatore Lo Presti,

L

ETTERA

1

In questa prima lettera datata Fiume d’Italia 29 settembre 1920, il nostro Salvator Lo Presti, appena diciassettenne, scrive al padre per dargli notizie del proprio viaggio da Venezia a Trieste e da Trieste a Fiume. Una volta a Fiume il giovane non può non notare il clima di festa e il delirio che regna fra i legionari alla vista e alle parole del Comandante Gabriele D’Annunzio. Fiume stessa la «sera è una piccola Parigi». Ed è un luogo dove si «vive!».

La lettera è un bifolio di 15,9 cm x 13,2 cm, 1 recto verso, 2 recto verso, non numerate. Non c’è filigrana. La lettera è scritta a matita. Al recto 1 e al verso 2 la carta presenta delle bordature dorate. Il recto 1 consta di 16 righe: da «Ca- rissimo papà» a «dimessosi». Il verso 1 presenta una grafia più larga e con 14 righe: da «Ha parlato D’Annunzio» a «con 2° rancio alle 3». Il verso 1 presenta sia «D’Annunzio» scritto in un corpo più grande rispetto al testo, ma anche «be- nissimo», al rigo 10, con un corpo più grande e con una doppia sottolineatura, a evidenziare il fatto che il nostro Lo Presti fosse molto contento di ritrovarsi a Fiume. Il recto 2 presenta 16 righe da: «fino alle 5» a «quanto ti scrivo - ». Sempre al recto 2 notiamo che «Fiume» ha una posizione di rilievo, in quanto occupa da sé la terza riga. Allo stesso modo «Qui si vive!», alla riga nona. Venendo al verso 2, la prima metà della pagina è occupata dalla scritta «Caldissimi / bacioni a Tutti», in carattere corsivo, con un corpo molto più grande, e in diagonale da sinistra a destra. La seconda metà del verso 2 consta invece di cinque righe, con corpo diverso.

Il nostro criterio di edizione è tipicamente conservativo e abbiamo tra- scritto in un corpo maggiore le parole a cui il nostro Lo Presti ha pensato di dare

137 «ha» e «ànno» per «hanno». Allo stesso modo abbiamo sostituito «quì», del quale troviamo due ricorrenze, con il più corretto «qui». Infine notiamo che Lo Presti non utilizza mai il punto. Né in questa lettera né nelle seguenti. Al suo posto, ma anche per indicare la virgola, utilizza sempre un trattino. E dunque quando ab- biamo trovato a seguire una lettera maiuscola, invece del trattino, abbiamo so- stituito il punto. Quando a seguito del trattino abbiamo, per contro, trovato una minuscola abbiamo optato per la virgola.