«Non credo che sia possibile cambiare le norme e i discorsi che fluiscono nel vento, non possiamo semplicemente togliere tablet, cellulari e giochi per computer, sono qui per restare. Quello che possiamo fare è capire il mondo in cui i nostri figli e studenti crescono.» (Sandahl, 2017)
Non esiste, purtroppo o per fortuna – il prestabilito annoia in fretta –, una ricetta che assicuri la riuscita degli intenti pedagogici inerenti allo sviluppo di empatia e senso di cura alla scuola primaria, meno che mai nella frenesia della società contemporanea. Ancorarsi a ciò che è stato
48 Si veda al sito https://www.unicef.it/doc/599/convenzione-diritti-infanzia-adolescenza.htm il testo della Convenzione.
ed ora non è più non ha, peraltro, utilità. Come afferma Sandahl nella citazione di cui sopra, l’unica via è quella di riflettere sui significati del mondo, accettando le novità e studiandole.
Come si può dunque agire a scuola per percorrere la via dello sviluppo dell’empatia negli studenti – e anche negli insegnanti – ? A cosa può fare riferimento un insegnante che volesse rendere attivi ed empatici i suoi studenti nell’hic et nunc?
Le vie sono molteplici, ma una, più delle altre, si conferma porto sicuro e stabile nell’am-bito dell’offerta di spunti di riflessione su qualunque tematica: la lettura.
Attraverso la narrazione si apre infatti una finestra che affaccia sul Regno delle possibilità che, per Antoniazzi (2015) è:
«il luogo delle storie, e le metafore che vi dimorano offrono, a chi è in grado di coglierle, l’occasione di scomporre, ricomporre, rimescolare, ordinare, disgregare, riformulare le vicende umane».
La lettura, prezioso strumento che può essere usato a vari livelli, non deve essere intesa come semplice atto di decodifica di un testo scritto, anzi, talvolta, le letture più intrise di signi-ficati sono quelle che non presentano affatto testi49 e procedono per immagini, lasciando che il testo si costruisca nella mente del soggetto che legge. Dalla comunione tra la lettura di un testo scritto e quella di immagini nascono gli albi illustrati: lo strumento mediatore per eccellenza.
Le caratteristiche più interessanti dell’albo illustrato sono la sua versatilità e, soprattutto, la poca invadenza con la quale si presenta. Gli insegnanti dovrebbero imparare dall’atteggiamento dell’albo illustrato, esso infatti non si impone ma piuttosto offre una chiave di lettura della tematica centrale che può essere ribaltata da chi legge, così come accolta. L’albo illustrato non permette al lettore la passività, obbliga l’attivazione delle menti, il pensiero critico, lo scambio di idee, l’ascolto attivo. Esattamente ciò che dovrebbe fare il docente: dare gli strumenti, ai suoi studenti, per potersi confrontare autonomamente tra loro e con sé stessi, in modo empatico e rispettoso, costruendo da soli il significato del mondo in cui vivono.
L’insegnante dovrebbe porsi come osservatore e guida, in questo percorso di costruzione e scambio di pensieri, esattamente come fa l’albo illustrato, che pone semi di realtà e osserva cosa accade, cosa si accende nelle menti, in base alle età, al contesto, alle caratteristiche personali, alle precedenti esperienze… È dunque un luogo comune quello che vede tale tipo di strumento come adatto solo ai bambini più piccoli. L’albo si presta ad accendere lumi di riflessione durante tutto l’arco della vita e, di conseguenza, ad essere oggetto di condivisione e spinta, a sua volta, verso nuovi temi da affrontare insieme. Infatti:
«La migliore letteratura per l’infanzia pone l’accento sul fatto che lo sguardo infan-tile e quello adulto non possano coincidere essendo complementari, quando non alternativi, l’uno all’altro. È una questione di prospettiva: ciò che si vede da oltre un metro e cinquanta di altezza non può corrispondere a quanto si percepisce più in basso; di curiosità: bambine e bambini di solito sono attratti da particolari che ai grandi sembrano irrilevanti; di sovrastrutture: crescendo si entra sempre di più all’interno di meccanismi che irrigidiscono e “disciplinano lo sguardo” in direzioni prestabilite e omologanti.» (Antoniazzi, 2015)
49 Nello specifico questa tipologia di albi viene definita silent book; la narrazione è completamente delegata alle immagini.
Leggere a scuola, creando un momento apposito di relazione e condivisone per poter fruire al meglio di quanto narrato, risulta risposta funzionale in primis all’inclusione. Tutti, infatti, posti davanti ad una narrazione, sia essa visiva che testuale, rispecchiano una parte di sé nelle vicende, nei personaggi, nelle situazioni che affiorano. Se la scuola si dota di un ambiente curato ed accogliente per lo sviluppo di tali momenti, le relazioni, l’empatia, la cura, si sviluppano da sé, lasciandosi trasportare verso le terre più lontane e nascoste in ognuno. Tale pratica è valorizzata, innanzitutto, proprio dalle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 2012, dove si sot-tolinea l’interconnessione tra lo sviluppo dell’amore e della propensione alla lettura e la maturazione globale dell’allievo.
Da una scuola che valorizza questo strumento nascono commenti come quello rintrac-ciabile nella seconda parte di questo libro: riferendosi alle riflessioni sorte nel gruppo dei compagni presenti all’incontro e suscitate dalla domanda: «Prendersi cura di cosa?», C. (7 anni) ha risposto: «prendersi cura dei libri».
Il libro, di qualunque genere esso sia, porta con sé vissuti ed emozioni, pronte a sgorgare in chi legge, qualora egli lo desideri, e soprattutto, qualora il contesto sia adeguatamente pronto ad accoglierle.
Con tale affermazione non intendo proporre il libro come soluzione univoca allo sviluppo della conoscenza del sé, dell’altro, dell’empatia e del senso di cura; mi preme però sottoline-are il valore del suo utilizzo per l’avvio alle riflessioni. Come ipotizzato da Mayer e Salovey (1997) infatti, nella lettura, come nelle arti in generale, risiedono le intelligenze emotive.
Marianne Wolf (2007) conclude con efficacia queste riflessioni:
«Vi è dunque un’interazione dinamica bidirezionale tra esperienze di lettura e di vita: apportiamo al testo le nostre esperienze ma le letture influiscono su quelle esperienze di vita».
Il percorso didattico che propongo di seguito vuole rappresentare uno spunto operativo relativamente a come si potrebbe strutturare un tempo scuola formalmente dedicato allo sviluppo dell’empatia e del senso di cura verso tutto ciò che è vivente, a partire da se stessi. Benché io abbia potuto svolgere questo progetto in un periodo di tempo limitato, esso è stato da me pensato per potersi dipanare, qualora venisse davvero istituito un tempo settimanale da dedicare a tali tematiche, dalla classe prima fino alla quinta della scuola primaria, procedendo gradualmente verso tematiche più complesse attraverso le medesime modalità operative. La continuità e i rimandi alla didattica delle altre discipline scolastiche emergono in continuazione nei diari sull’esperienza che ho realizzato con i bambini di una classe II, dimostrando la concreta possibilità di proporsi come un percorso metodologico ampio e trasversale, che intende distinguersi dai laboratori di educazione affettivo-sociale troppo spesso fini a se stessi.
Delle infinite possibilità di un percorso di questo tipo l’esperienza che riporto di seguito descrive l’avvio delle attività.