• Non ci sono risultati.

Il primo dei due brani qui riportati definisce il significato generale dell’arte e della contemplazione estetica. Al centro dell’estetica schopenhaueriana troviamo la nozione kantiana e romantica di genio. Il secondo brano tratta invece della tragedia, ossia della forma artistica che, nel sistema delle arti presentato nel terzo libro, precede immediatamente l’ultima e più elevata espressione artistica: la musica.

Tutti questi rami del sapere, costituenti nel loro insieme la scienza, sono dunque soggetti alle varie forme del principio di ragion sufficiente, senza oltrepassare mai la cerchia del fenomeno, delle sue leggi, delle sue dipendenze e delle sue relazioni. Quale sarà dunque la specie di conoscenza in cui sia contemplata la vera essenza del mondo, nel suo sussistere all’infuori e indipendentemente da ogni relazione, la vera sostanza dei suoi fenomeni, ovvero ciò che non è soggetto a cambiamento, e che viene perciò conosciuto con una verità che rimane identica in ogni tempo, quale sarà, in una parola, la specie di conoscenza in cui siano contemplate le idee, che sono l’oggettità immediata e adeguata della cosa in sé, della volontà? [1] Questa speciale conoscenza è l’arte, l’opera del genio.

N3

La contemplazione artistica, tanto dal punto di vista del produttore quanto da quello del frui- tore, è una forma di conoscenza pura, che non coinvolge in alcun modo la nostra volontà e il no- stro orientamento complessivo nel mondo feno- menico, ma soltanto la nostra capacità di coglie- re intuitivamente le idee. Un modo di conoscere

del tutto alieno da interessi e scopi pratici, un og- getto di carattere completamente diverso dai fe- nomeni ordinari, una modalità di rappresenta- zione che non deve nulla alle forme del principio di ragione: questi sono i connotati che definisco- no, per Schopenhauer, i contorni dell’esperienza estetica.

LETTURA DEL TESTO

Nodi

31

L’arte concepisce con la pura contemplazione, e riproduce poi, le idee eterne, cioè quello che vi è di essenziale e di permanente in tutti i fenomeni del mondo; a seconda poi della materia che impiega per questa riproduzione, prende il nome di arte figurativa (o plastica), di poesia o di musica. La sua origine unica è la conoscenza delle idee; il suo unico fine, la comunicazione di tale conoscenza [...]. Possiamo definire l’arte come la contemplazione delle cose, indipendente dal principio di ragion sufficiente; contrapponendola così alla specie di conoscenza che segue tale principio, e costitui sce la via dell’esperienza e della scienza. Questa seconda specie di conoscenza è paragonabile ad una linea orizzontale corrente all’infinito: l’arte sarebbe invece una perpendicolare che la interseca in un punto preso a piacere. La conoscenza che obbedisce al principio di ragion sufficiente costituisce il sapere razionale, e ha valore ed utilità solo nella vita pratica e nella scienza: quella che è in grado di fare astrazione da tale principio è la contemplazione del genio, ed ha valore ed utilità soltanto nell’arte [...]. [2] Questa pura contemplazione, assorta per intero nel suo oggetto, è l’unico mezzo per innalzarsi alla concezione delle idee; e l’essenza del genio consiste appunto in una straordina- ria attitudine a siffatta contemplazione [...]. La genialità consiste dunque nell’attitudine a mante- nersi nell’intuizione pura, perdendovisi; a redimere dalla schiavitù della volontà la conoscenza che

[1] Le varie forme del principio di ragion sufficiente

I «rami del sapere» ai quali ci si riferisce nel primo brano sono quelli della storiografia, della scienza naturale, della matematica. In tutti questi campi, il ricercatore è tenuto a considerare nessi causali e moti- vazioni, dunque deve attenersi nel complesso al prin- cipio di ragion sufficiente. Questo principio si riferisce esclusivamente alla nostra conoscenza dei fenomeni, si applica cioè a quel mondo della rappresentazione che Schopenhauer ha definito, nel suo carattere illu- sorio, come apparenza. Ci si chiede pertanto se esi- sta una forma di conoscenza che consenta di andare oltre questo piano dell’apparenza. L’oggetto di una tale conoscenza sarà qualcosa che sussiste al di fuori di ogni relazione causale e al di fuori di ogni legge di motivazione, una realtà sempre uguale a se stessa e non soggetta al cambiamento. Schopenhauer pensa che sia questo il significato autentico delle idee plato- niche e utilizza quindi il termine per definire le forme generali attraverso le quali la volontà (il noumeno, l’es- senza, l’in sé) si oggettiva nella infinita molteplicità dei fenomeni. Le idee sono molteplici, ma ciascuna di esse contiene un certo grado di universalità (pensiamo ad esempio all’essenza “uomo”) e rappresenta quindi un

piano di mediazione fra l’unicità e universalità assoluta

della volontà e la molteplicità e individualità dei singoli fenomeni.

[2] L’arte concepisce [...], e riproduce poi, le idee eterne

L’arte è una forma di conoscenza. Schopenhauer con- divide con Hegel questo fondamentale assunto che pone le basi di tutta l’estetica dell’Ottocento e del No- vecento. Ma per Hegel l’arte doveva cedere il passo, su

un piano strettamente conoscitivo, a forme superiori di sapere, o almeno a forme di conoscenza più adeguate alla concezione moderna dello spirito, in particolare alla filosofia. Per Schopenhauer, invece, l’arte è veramente la forma più alta di conoscenza, l’unica, a ben ve- dere, che ci consenta di lasciarci alle spalle le forme del principio di ragion sufficiente e di accedere a una veri- tà superiore. Oltre l’arte, Schopenhauer non vede una forma superiore di conoscenza, ma solo la via etica, che culminerà con l’ascesi e con la negazione della volontà di vivere. L’arte si avvale ancora della rappresentazio-

ne, ma, come recita il sottotitolo del terzo libro, di una

rappresentazione «considerata indipendentemente dal

principio di ragion sufficiente». Così, la rappresenta-

zione artistica può accedere alla contemplazione delle idee e fissare tale contemplazione nella forma artistica come tale (sia essa arte plastica, figurativa, poesia o musica). Conoscere e quindi comunicare le idee: questo il compito dell’arte, un compito che, secondo Schopenhauer, nessuna considerazione scientifica del mondo potrebbe mai portare a termine.

L’immagine che descrive la conoscenza scientifica è quella di una linea orizzontale che percorre all’infinito il mondo della rappresentazione, non stancandosi mai di cercare i nessi causali che legano i fenomeni tra loro. L’immagine della conoscenza artistica è invece quella di una linea verticale che attraversa perpendicolarmen- te il piano dei fenomeni senza fermarvisi: ciò significa che si serve sì del fenomeno (un dipinto può essere, ad esempio, il ritratto di un uomo, una poesia può ri- ferirsi a casi reali o a determinate esperienze vissute), ma solo per accedere a un livello superiore, cioè alle idee. In questo segmento di testo compare già un du- plice riferimento al concetto di genio, al quale Scho- penhauer dedica poi le righe seguenti.

segue

32

Nodi

le era originariamente asservita; in altre parole, bisogna perdere affatto di vista il proprio interesse, la propria volontà, i propri fini; bisogna per un certo tempo estraniarsi completamente dalla pro- pria personalità, per non restare che puro soggetto conoscente e limpido occhio del mondo. [3]

Per la potenza dell’effetto e per la difficoltà dell’esecuzione, la tragedia è giustamente considerata come il più elevato dei generi poetici. Bisogna tener bene in mente, se si vuole comprendere l’in- sieme delle considerazioni presentate in quest’opera, che tale prestazione suprema del genio poe- tico ha il fine di dimostrare il lato terribile della vita, i dolori senza nome, le angosce dell’umanità, il trionfo dei malvagi, il beffardo dominio del caso, la disfatta irreparabile del giusto e dell’innocen- te; nel che si ha un indice significativo della natura del mondo e dell’esistenza. Ciò che qui viene in luce è la lotta spaventosa della volontà con se stessa; lotta che, in questo grado supremo di og- gettità, si dispiega nell’ambito più vasto e completo. La tragedia ci mostra tale conflitto dipingen- do il quadro delle sofferenze umane; sia di quelle provenienti dal caso e dall’errore che governano il mondo sotto la forma d’un destino fatale, con una perfidia che ha quasi l’apparenza di una per- secuzione intenzionale, sia di quelle che hanno sorgente nella stessa natura umana, cioè, o nell’in- crocio degli sforzi e delle volizioni degl’individui, o nella malvagità e nella stoltezza della maggio- ranza degli uomini. [4] Una e identica è la volontà che vive e si rivela in tutti gli esseri umani; ma

[3] Bisogna perdere affatto di vista il proprio interesse

Quello del carattere disinteressato della contemplazio- ne estetica è un concetto che Schopenhauer ritrova in uno dei luoghi centrali della Critica del giudizio di Kant. Nel Mondo come volontà e rappresentazione, tuttavia, un tale disinteresse è strettamente legato al compito emancipativo che Schopenhauer assegna all’arte. Da che cosa si tratta di emanciparsi? Dalla ca- tena della volontà fenomenica, che ci trascina entro il mondo illusorio della rappresentazione in mille di- rezioni che sfuggono al nostro controllo. Una via che ci viene offerta per redimerci da questo attaccamento al volere (la «schiavitù della volontà») è quella di la- sciarci assorbire completamente dall’oggetto estetico, in una contemplazione «assorta», cioè concentrata, priva di distrazioni mondane. Si vede bene come già la contemplazione estetica assuma in un certo modo quei caratteri ascetici che il filosofo svilupperà solo nel quarto libro. Ma qui siamo ancora sul terreno della rappresentazione, o dell’immagine, anche se si tratta di una rappresentazione che mette capo alla cono- scenza delle idee.

A realizzare questa conoscenza è chiamato il genio (altro concetto di ascendenza kantiana), il cui signifi- cato è precisamente quello di essere una disposizione innata alla contemplazione delle idee, un’attitu- dine a “vedere” le essenze, non in modo confuso e saltuario, ma in modo da mantenersi a lungo entro la visione, da penetrarvi e perdersi in essa. Per realizzare una tale “visione” il genio deve poter dimenticare tutti

gli interessi pratici e i fini che, come accade a tutti gli

uomini, lo assillano nella vita quotidiana, deve usci- re dai propri ruoli («estraniarsi completamente dalla propria personalità») e mantenere in funzione solo il vedere puro, divenendo «puro soggetto conoscente e limpido occhio del mondo».

Va sottolineato, per concludere, che la medesima atti- tudine contemplativa è richiesta tanto all’artista genia- le, ossia a colui che produce opere d’arte, quanto allo

spettatore o fruitore di quelle stesse opere. Quest’ulti-

mo è chiamato a realizzare, in una forma certamente meno perfetta ma non per questo meno efficace ai fini della sua liberazione, quello stesso disinteresse e quell’atteggiamento conoscitivamente puro che ab- biamo visto essere peculiare del genio.

[4] Il più elevato dei generi poetici

Il concetto di poesia è qui usato in un senso molto ampio, a comprendere tutti i generi di scrittura che noi oggi definiremmo “letteratura” o, come è di moda, “scrittura creativa”. La tragedia, scrive Schopenhauer, è il più elevato dei generi poetici, e la poesia nel suo insieme rappresenta la più alta e compiuta fra le forme artistiche che hanno per oggetto le idee universali.

Solo la musica è al di sopra della poesia; essa non ha più per oggetto le idee, non necessita più della loro mediazione, e verrà interpretata da Schopenhauer come un’oggettivazione immediata della volontà, come una forma espressiva che ci restituisce un’intui- zione diretta del dinamismo della volontà noumenica.

segue

Nodi

33

le sue manifestazioni si combattono e si dilaniano fra loro. La volontà, secondo gl’individui, appa- re ora più ora meno energica, ora più ora meno accompagnata dalla ragione, ora più ora meno ad- dolcita dalla luce della conoscenza; finché, in alcuni esseri privilegiati, tale conoscenza, purificata e spiritualizzata dal dolore stesso, arriva al grado in cui il mondo fenomenico, il velo della maya, non può più ingannarla; e vede chiaro attraverso la forma del fenomeno, attraverso il principium individuationis. Allora, con il detto principio, svanisce anche l’egoismo, che vi si fondava; i motivi, prima così potenti, perdono la loro forza, e subentra al loro posto la perfetta conoscenza dell’essere del mondo; conoscenza che agendo come quietivo della volontà produce la rassegnazione, la rinun- zia, non soltanto alla vita, ma alla stessa volontà di vivere. Così, nella tragedia, vediamo le creature più nobili rinunziare, dopo lunghi combattimenti e lunghe sofferenze, ai fini perseguiti con acca- nimento, sacrificare per sempre le gioie della vita, oppure sbarazzarsi liberamente e con gioia del peso dell’esistenza medesima. [5] (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, cit.)

Se, tuttavia, un gradino al di sotto della musica, la tra- gedia rappresenta il culmine di tutta la classificazione schopenhaueriana delle arti che hanno come ogget- to le idee (architettura, scultura, pittura e poesia), ciò avviene in quanto per il nostro filosofo quest’ultima forma artistica è in grado di rappresentare in modo estremamente preciso e articolato il conflitto spaven-

toso della volontà con se stessa, un conflitto che, a

questo livello, non è più soltanto l’espressione di for- ze elementari e inconscie (come ad esempio nel caso dell’architettura, che sfrutta la forza di gravità e la resistenza dei materiali), ma coinvolge tutta la com- plessità della psiche umana, delle sue passioni e dei suoi tormenti. È chiaro che la grandezza della forma tragica risiede anche nella sua capacità di rappresen- tare compiutamente la condizione dell’uomo nella sua disperata e mai soddisfatta ricerca di un senso. E qui il

pessimismo schopenhaueriano trova nei grandi trage-

diografi classici e moderni un’infinita serie di esempi e di conferme.

Nella chiarezza del suo messaggio, il brano non pre- senta particolari difficoltà di lettura. Vale però la pena di segnalare la distinzione qui operata fra le sofferen- ze che derivano all’uomo dal destino o dal caso (dalla

natura, in senso leopardiano) e quelle che gli uomini si procurano fra loro, per stupidità, ingiustizia o catti- veria.

[5] Vediamo le creature più nobili [...] sacrificare per sempre le gioie della vita La tragedia non mostra soltanto il dolore e l’ingiusti- zia che governano l’esistenza dell’uomo, ma presenta altresì figure di eroi tragici che, posti di fronte al con- flitto fra le proprie aspirazioni e il destino, scelgono la via della rinuncia, avendo compreso l’illusorietà e la vanità di quel mondo all’interno del quale si erano presentate le loro stesse aspirazioni. Schopenhauer li chiama «individui privilegiati», in quanto proprio a loro è stato concesso di gettare uno sguardo al di là delle forme del principium individuationis. La rinuncia che l’eroe tragico compie è essenzialmente una rinuncia

al proprio egoismo. La consapevolezza acquisita, frut-

to di determinate esperienze dolorose, agisce come quietivo della volontà. La rinuncia e la rassegnazione che queste figure esprimono deriva da una conoscen- za superiore, da una persuasione che è il segno di una qualità ascetica estremamente rara fra gli uomini comuni.

segue

N3

1.Quale concezione della realtà viene messa in discussione dalla tesi secondo la quale «il mondo

è una mia rappresentazione»?

2.In che senso, secondo il filosofo, il fenomeno della conoscenza ha la sua origine nella volontà?

3.Quale profonda innovazione introduce Schopenhauer nella teoria kantiana della conoscenza?

4.Qual è, secondo Schopenhauer, la via d’accesso alla cosa in sé? Rispondi in maniera motivata.

5.Quale critica rivolge Schopenhauer alla filosofia hegeliana della storia?

6.In che cosa consiste il carattere disinteressato della contemplazione estetica?

7.Come si raggiunge la definitiva liberazione dalle illusioni del mondo empirico?

8.Che ruolo ha svolto il pessimismo schopenhaueriano nel pensiero del Novecento?

34

IN SINTESI

In sintesi

Audiosintesi

Documenti correlati