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Il mondo come volontà e rappresentazione

B. Il mondo come volontà

LA DUPLICE CONSIDERAZIONE DI NOI STESSI E L’ACCESSO ALLA COSA IN SÉ Quale sarà dunque la via per giungere alla cosa in sé? Per rispondere a questo interrogativo, Schopenhauer fa appello agli «ultimi, profondi segreti» che l’uomo porta nel suo interno. Riflettendo su questi segreti, ossia su ciò che ci «è accessibile nel modo più immediato», ciascuno di noi scopre (non può fare a meno di scoprire) un doppio aspetto dell’essere: da un lato intuisce il proprio organismo, che è ciò che viene intuito anche dagli altri soggetti nel mondo della rappresentazione; dall’altro intuisce la volontà, come insieme di bisogni, di sentimenti oscuri, di impulsi tendenti a conservare la vita, tutte intuizioni che sfug- gono completamente agli altri, in quanto appartengono alla nostra esperienza interiore. Per il soggetto la via d’accesso a questo strato profondo dell’essere che è fondamento dello stesso mondo fenomenico è, per così dire, un «passaggio sotterraneo»: essa non passa attraverso la conoscenza rappresentativa con le sue forme a priori, ma attraverso l’intuizione immediata del proprio corpo. Quest’ultimo non è considerato in questo caso come oggetto di rappresentazione allo stesso titolo di tutti gli altri corpi soggetti al principio di ragion sufficiente (inseriti cioè nelle forme del tempo, dello spazio e della causalità), ma piuttosto come oggetto di un’esperienza particolare, che consiste nel per- cepire se stessi come portatori di atti di volizione (bisogni, desideri, impulsi, tendenze) e di azioni conseguenti a queste stesse volizioni.

corpo cosa in sé fenomeno portatore di atti di volizione intuizione immediata rappresentazione come che consente l’accesso alla come

LA VOLONTÀ COME ESSENZA NOUMENICA La volontà sfugge, nella sua più intima essenza, alle tre forme a priori della rappresentazione (spazio, tempo, causalità). Que- sta scoperta della volontà come aspetto più profondo, più reale, del nostro essere non costituisce una verità scientifica fondata sulla conoscenza intellettiva, ma è – secondo Schopenhauer – la «verità filosofica» per eccellenza.

Egli ritiene di poter estendere all’intero mondo naturale la medesima nozione di volontà. Si tratta di un passaggio piuttosto delicato nel suo sistema filosofico, che egli giustifica con un ragionamento per analogia: l’esperienza del proprio corpo diviene una «chiave per co- noscere l’essenza di ogni fenomeno della natura, e per giudicare, in analogia con il nostro corpo, tutti gli altri oggetti», benché questi ultimi possano essere da noi conosciuti solo nella forma di rappresentazioni.

Ne deriva che la volontà è la cosa in sé di Kant: cosa in sé che, pur sottraendosi alla rap- presentazione intellettiva, può tuttavia venire colta da ogni uomo nella propria interio- rità. In essa va cercata la realtà profonda, l’essenza o il «noumeno» non solo dell’esse- re umano, ma di qualsiasi essere. Infatti, in quanto si sottrae alle forme dello spazio, del tempo e della causalità, la volontà non risulta sottoposta al principio di individuazione, La via per giungere

alla cosa in sé

L’intuizione del corpo

La volontà sfugge alle tre forme a priori Dal corpo al mondo come volontà La volontà è il «noumeno»

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che si basa, per l’appunto, su tali forme; non si moltiplica quindi secondo i vari esseri, ma risulta una sola in tutti. E inoltre, per il fatto di non trovarsi sottoposta alla legge di cau- salità, è assolutamente libera, cioè agisce senza alcuna motivazione.

LA VOLONTÀ NEI FENOMENI DELLA NATURA: UNITÀ E MOLTEPLICITÀ La filoso- fia della natura di Schopenhauer si radica interamente in questa concezione metafisica; analogamente a Schelling, egli vede nel mondo naturale una profonda unità: unità che si articola in gradi diversi, a partire da quelli più bassi fino a quelli più elevati. Ma se per Schelling la realtà che si oggettiva nei gradi anzidetti è da intendersi come un prin- cipio di tipo razionale, chiamato a conferire ordine, finalità e organizzazione alle realtà particolari che trovano posto entro il quadro generale, per Schopenhauer, al contrario, essa è da intendersi come volontà, e perciò viene assegnato particolare rilievo alla forza inesauribile che sarebbe presente in ogni fenomeno, quasi un cieco impulso primordiale alla vita, che si manifesta anche nella vita delle piante, nella forza che forma il cristallo, in quella che indirizza l’ago della bussola, nella forza di gravità o nei fenomeni chimici

[ N2].

La volontà non tende ad alcun fine generale, ma semplicemente afferma se stessa, an- che se in modi di volta in volta legati alle prospettive finite di ciascun individuo. La vo- lontà individuale, cioè quella forza che determina in ciascun essere naturale la tendenza al l’autoconservazione (e che negli organismi viventi si manifesta come volontà di vivere), è da un punto di vista metafisico un principio rigorosamente unitario e tuttavia privo di ogni scopo e giustificazione. Possiamo così distinguere una volontà come principio universale e noumenico e una volontà fenomenica, vale a dire il manifestarsi e il divi- dersi di quella stessa volontà universale nelle innumerevoli forme finite che costituiscono il mondo dei fenomeni.

I VARI GRADI DI OGGETTIVAZIONE DELLA VOLONTÀ NELLA NATURA Nel Mondo i vari gradi di oggettivazione della volontà vengono chiamati «idee». Con questo termi- ne, palesemente attinto dalla filosofia platonica, Schopenhauer indica i gradi generali di oggettivazione della volontà, le essenze pure ed eterne sulle quali si modellerebbero gli esseri individuali del mondo fenomenico. Il processo di oggettivazione della volontà uni- ca nella molteplicità del mondo fenomenico avviene quindi attraverso la mediazione di modelli eterni e universali: natura inorganica, natura organica, vita vegetale, vita animale, mondo umano sono soltanto alcuni dei termini più generali che illustrano il significato di questa ripresa schopenhaueriana della terminologia platonica.

Il grado infimo di oggettivazione della volontà sarebbe costituito dalla natura inorga- nica, in cui la volontà si manifesta come pura causalità meccanica, per esempio nella for- za di gravità. Ma già la comparsa in tale natura di forze particolari non più meccaniche – come il calore, l’elettricità, il magnetismo – ci pone di fronte a qualcosa di nuovo, di più complesso, come mostra l’eterogeneità ivi riscontrabile tra causa ed effetto. Nella natura organica si manifesta un grado più elevato di oggettivazione della volontà: il rap- porto causale muta profondamente e assume la forma dell’eccitazione, nel cui ambi- to l’effetto appare incontestabilmente qualcosa di più della causa. A sua volta la natura organica si articola in gradi diversi sempre più differenziati: essi vanno dalla vita vege- tale alla vita animale. Allorché finalmente la volontà si manifesta nella formazione di un organo cerebrale, allora – e solo allora – appare l’intelletto (presente sia nell’uomo sia ne- gli animali), e la volontà diventa volontà di conoscenza. Dal momento in cui appare que- sto strumento (il cervello) «sorge immediatamente il mondo come rappresentazione, con Irrazionalità della volontà La volontà N2 Volontà individuale Le idee L’oggettivazione della volontà

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tutte le sue forme, oggetto e soggetto, tempo, spazio, pluralità e causalità». Nell’uomo, in particolare, la volontà diviene ragione e agisce ora sulla base di motivi determinati. LA POSIZIONE DELL’UOMO NELLA NATURA È appena il caso di precisare che, dal punto di vista di Schopenhauer, gli organismi cosiddetti “superiori” non sono tali in quanto portatori di un più alto valore nella scala dell’essere, ma solo in quanto caratterizzati da una maggiore differenziazione degli organi e delle funzioni. In questo senso va inter- pretato il sorgere della coscienza nell’ambito del vivente. Il fatto che l’uomo costituisca il grado più elevato di oggettivazione della volontà significa soltanto che nell’uomo la volontà, che in se stessa è incosciente, diventa cosciente di sé. La differenza fra la forza cieca e il comportamento consapevole non riguarda l’essenza della volontà, che è sempre una sola, ma il grado della sua oggettivazione.

La stessa conoscenza umana, sia quella razionale sia quella puramente intuitiva, non è altro che un prodotto della volontà e, come scrive Schopenhauer, «costituisce l’essenza dei gradi più alti della sua oggettivazione [...], come un puro mezzo di conservazione del- l’individuo e della specie, al pari di ogni altro organo del corpo» [ N2].

volontà

essenza di ogni fenomeno (pura volontà di vita irrazionale, eterna,

universale, senza causa né scopo)

idee si oggettiva in natura natura organica forze naturali uomo

LA LACERAZIONE DELLA VOLONTÀ I continui conflitti che accompagnano le varie for- me di oggettivazione della volontà nel mondo fenomenico non sono qualcosa di inessen- ziale e transitorio, ma corrispondono a una lacerazione profonda che appartiene alla stessa volontà noumenica. La volontà è il principio dell’universo, ma ciò non significa che nell’universo esista armonia: infatti, proprio in quanto la volontà si disperde in infinite volontà particolari ed è continuamente arrestata nel suo sforzo, non può non sentirsi lacerata. Gli esseri fenomenici nei quali si manifesta la volontà, afferrati nei rispettivi egoismi individuali, si trovano in perpetua lotta fra loro: lotta irriducibile, senza pietà, in tutti i gradi dell’esistenza. A ben vedere, abbiamo qui un’interessante anticipazione della teoria darwiniana della selezione naturale. Il mondo animale ha per proprio nutri- mento il mondo vegetale; ogni animale diventa preda e nutrimento di un altro; la specie umana ritiene la natura creata per proprio uso e consumo e «ci manifesta con spaven- tosa evidenza la medesima lotta, la medesima lacerazione della volontà, donde il detto: homo homini lupus» [ N2].

DESIDERIO, APPAGAMENTO, NOIA Il continuo arresto dello slancio della volontà si esprime, a livello delle volontà particolari, come bisogno, mancanza, dolore. Il dolo- re assume l’aspetto di stato positivo, universale della realtà; il piacere invece non costi- Gli organismi superiori e la coscienza La conoscenza umana La volontà N2 La realtà come conflitto perpetuo La natura negativa della felicità

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Opera

tuisce che uno stato negativo, il momentaneo appagamento del bisogno, la momentanea cessazione del dolore. «Il desiderio, la privazione – afferma Schopenhauer –, sono infatti condizioni preliminari di ogni gioia. Ma con la soddisfazione cessa il desiderio, e quindi anche la gioia. Dunque, la soddisfazione, la felicità, si riducono in fondo alla liberazione da un dolore e da un bisogno». Perciò «la soddisfazione, o, come si dice ordinariamente, la felicità, è per natura essenzialmente negativa, senza nulla di positivo». Inoltre, se con l’appagamento non sopravviene un nuovo desiderio, subentra la noia: «Supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddi- sfazione venisse a spegnere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuo- to spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbero un peso insop- portabile».

La vita è dunque insieme tremenda e incantevole, è un continuo oscillare fra il bisogno e l’aspirazione a una liberazione da esso: «I desideri non esauditi, gli sforzi frustrati, le spe- ranze calpestate dalla crudeltà del destino, gli errori fatali di tutta la vita, le pene sempre crescenti, e in ultimo la morte, ci danno la trama di una tragedia».

volontà

di vivere (mancanza)desiderio dolore (assenza momentanea di dolore)piacere noia

LA CRITICA DELL’OTTIMISMO FILOSOFICO E DELLA FILOSOFIA HEGELIANA DELLA STORIA La volontà così come si è incarnata nel mondo – anche nel mondo umano – non possiede nulla di divino. Considerare il mondo come una teofania, cioè come la manifesta- zione di un principio divino, costituisce, per Schopenhauer, il massimo errore dell’idea- lismo. Esso sta alla base dell’ottimismo di Hegel, a cui va invece ribattuto che il dolore è un fatto universale, il quale diventa via via più acuto con l’acuirsi della coscienza. Schopenhauer polemizza in particolare contro la concezione hegeliana della storia: per lui la storia dell’umanità non tende ad alcun fine, né è guidata dalla provvidenza; non è dominata dalla ragione – come voleva Hegel – ma dal destino, che ne fa il ripetersi fatale di vicende che, pur sotto forme diverse, sono sempre le stesse. La vita umana è un perenne tendere senza una meta ultima e ogni obiettivo raggiunto è a sua volta principio di nuove aspirazioni e così all’infinito. Nella prospettiva schopenhaueriana, dunque, il mondo non rivela alcun ordine di tipo finalistico: nel suo complesso, non è chiamato a realizzare alcun disegno, e la ricerca di un senso complessivo del divenire storico perde ogni legittimità di fronte alla considerazione filosofica che vede in ogni fenomeno l’oggettivazione di una forza primordiale destinata a riproporsi nella sua nuda infinità [ N2].

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