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Per il licenziamento intimato durante il periodo di prova non è richiesto per legge l’atto scritto In ogni caso, il requisito della comunicazione per iscritto del

licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità spe-

cifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del

documento scritto nella sua materialità, ivi compresa la comunicazione a mezzo

e-mail. (2)

(1-2) SULLA VALENZA PROBATORIA DELLE E-MAIL PRIVE DI FIRMA ELETTRONICA

1. — Superati i tempi della tradizionale raccomandata con ricevuta di ritorno, ri- spetto alla quale non si poneva alcun problema in ordine alla sua provenienza o alla

prova dell’avvenuta ricezione, l’era digitale costringe la giurisprudenza a intervenire per verificare la validità di forme alternative di comunicazione e della loro efficacia probatoria. Le due sentenze in epigrafe permettono di analizzare le problematiche emergenti in questo contesto, con particolare riferimento alla e-mail tradizionale ossia, con termine tecnico, attraverso il documento informatico firmato con firma «debole» (non elettronica, avanzata o digitale), con le quali anche le parti del rapporto di lavoro sono ormai costrette a confrontarsi.

Nel primo caso, la Cassazione ritiene illegittimo il licenziamento intimato a un la- voratore, a seguito della contestazione di una condotta irregolare nello svolgimento della propria attività lavorativa fondata su messaggi di posta elettronica, ritenuti di dubbia valenza probatoria.

Nel secondo, relativo a un licenziamento intimato durante il periodo di prova, la Cassazione afferma che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, in ogni modo, e quindi anche attraverso una semplice e-mail (Così T. Torino 23.7.2014, in Nuovo Notiziario Giuridico, 2015, n. 1, 85; T. Torino 20.5.2010, inedita a quanto consta; Cass. 16.1.2006, n. 758, in RIDL, 2006, II, 625; Cass. 26.8.2002, n. 12529, in GCM, 2002, 1581).

A prima vista, le due decisioni sembrerebbero aderire a due impostazioni contrap- poste poiché, nel primo caso, la comunicazione tramite e-mail non è ritenuta idonea a dimostrare l’inadempimento del lavoratore, mentre, nel secondo caso, la stessa è con- siderata, al contrario, un valido strumento per la comunicazione del licenziamento.

L’esame dei casi concreti attenua l’apparente contrasto, anche se non può non evi- denziarsi come sul tema della valenza probatoria delle e-mail «semplici» non sia stato a tutt’oggi posto un punto fermo.

Come noto, l’e-mail è un «documento informatico», definito dall’art. 1, comma 1, lett. p, d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 – c.d. Codice dell’amministrazione digitale (Cad) –, come «il documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti». Si tratta, pertanto, di una riproduzione informa- tica, anche se priva della sottoscrizione, rientrante, ai sensi dell’art. 2712 c.c., nel più ampio genus delle riproduzioni meccaniche che, secondo la norma codicistica citata, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime (Comoglio 2015, 513 ss.; Romano 2013, 3048; Rota 2012, 728; in giurisprudenza, cfr.: Cass. 17.2.2015, n. 3122, in GDir., 2015, n. 12, 63; Cass. 28.1.2011, n. 2117, in GCM, 2011, n. 1, 140; Cass. 16.2.2004, n. 2912, in GI, 2004, 1355; Cass. 6.9.2001, n. 11445, in GC, 2001, I, 2330; Cass. 22.12.1997, n. 12949, in GCM, 1997, 2422).

La disciplina normativa di riferimento, di recente modificata, prevede espressa- mente che il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’ef- ficacia prevista dall’art. 2702 c.c. quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata, o comunque è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i re- quisiti fissati dall’Agid ai sensi dell’articolo 71 Cad, con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e ine- quivoca, la sua riconducibilità all’autore; viceversa, in tutti gli altri casi, l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore pro-

batorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicu- rezza, integrità e immodificabilità (art. 20, c. 1-bis, d.lgs. 7.3.2005, n. 82, come mo- dificato dall’art. 20, c. 1, del d.lgs. 13.12.2017, n. 217).

Sulla valenza probatoria delle e-mail «semplici» la giurisprudenza è divisa. Da un lato, vi è chi ritiene che l’e-mail sia da considerarsi quale semplice documento infor- matico privo di firma in considerazione dell’assenza di garanzie che consentano di at- tribuire allo stesso una paternità certa – a nulla rilevando il dispositivo di riconosci- mento tramite password per l’accesso alla posta elettronica poiché quest’ultimo serve solo all’utente per farsi riconoscere dal fornitore del servizio telematico al fine di uti- lizzare il sistema di inoltro e ricezione delle comunicazioni –, essendo privo della ne- cessaria connessione logica con i dati elettronici che costituiscono il messaggio. Secondo tale orientamento, le e-mail formano piena prova dei fatti e delle cose rap- presentate solo se colui contro il quale sono prodotte non le contesta tempestivamen- te, disconoscendone la conformità ai fatti o alle cose medesime; se ciò accade, la co- municazione è priva di ogni valore legale (T. Frosinone 15.2.2016, in LPO, 2016, 472; T. Roma 20.12.2013, in Giustiziacivile.com, 20 marzo 2014).

Secondo un differente orientamento, invece, l’e-mail è da considerare, a tutti gli effetti, un documento informatico sottoscritto con firma elettronica semplice, come tale liberamente valutabile dal giudice sia in ordine all’idoneità della medesima a sod- disfare il requisito della forma scritta, sia per ciò che concerne il suo valore probatorio, comunque mai giuridicamente irrilevante (In questo senso: T. Milano 18.10.2016, in RCP, 2017, n. 4, 1340; T. Roma 3.6.2016, in Redazione Giuffrè; T. Torino 23.12.2016 e T. Vicenza 22.11.2016, in Ilprocessotelematico.it, 3 febbraio 2016; T. Novara 20.11.2004, in Diritto dell’Internet, 2005, 141). Per tale via, la giurisprudenza ha riconosciuto valenza probatoria alle e-mail al fine di emettere decreti ingiuntivi (Così T. Termini Imerese 22.2.2015, inedita a quanto consta; T. Ancona 9.4.2005, in Diritto dell’Internet, 2005, 377; T. Verona 26.11.2005, in Giurisprudenza di Merito, 2005, n. 10, 2129; T. Cuneo 15.12.2003, in Giurisprudenza di Merito, 2005, n. 3, 560) o, più di recente, ha ritenuto gli scambi di e-mail valide prove del tradi- mento tali da giustificare una sentenza di separazione con addebito a carico del coniu- ge fedifrago (Cass. 27.6.2018, n. 16980, inedita a quanto consta; Cass. 23.6.2017, n. 15811, in D&Gonline, 23 giugno 2017). Tale impostazione troverebbe fondamento nel fatto che lo user id e la password utilizzati per accedere alla casella di posta elettro- nica sono considerati mezzi di identificazione informatica e, come tali, rientranti nella definizione di firma elettronica data dal legislatore, sebbene «semplice» (non avanzata, qualificata o digitale).

D’altro canto, il Regolamento europeo per le identità digitali [cd. Regolamento Eidas (Electronic Identification Authentication and Signature) – Regolamento Ue n. 910/2014 sull’identità digitale] afferma il principio di non discriminazione della firma elettronica rispetto a quella materiale, precisando, inoltre, che a una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedi- menti giudiziari per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti delle firme elettroniche qualificate (così artt. 25 e 46 del Regolamento citato) (Troiano 2018, 79 ss.).

Tuttavia, si potrebbe obiettare che, sebbene l’accesso alla casella di posta elettronica comporti l’autenticazione dell’utente, ossia l’inserimento di uno user id e della relativa

password, sussiste la concreta possibilità che il messaggio di posta elettronica «semplice» ricevuto venga successivamente modificato, pregiudicandone l’integrità, o che un’e- mail mai venuta a esistenza sia addirittura creata ad arte in modo tale da risultare tra i messaggi di posta ricevuti (o inviati), alterando così la paternità del documento.

Tornando al caso che ci occupa, la soluzione adottata dalla Cassazione appare cer- tamente in linea con le previsioni normative applicabili alla fattispecie.

Nella sentenza del 2017, la Cassazione adotta, infatti, l’orientamento meno rigo- roso sul presupposto che la forma prescritta dall’art. 2, l. n. 604/1966, non è applica- bile ai licenziamenti intimati durante il periodo di prova, posto che le garanzie ivi pre- viste trovano applicazione soltanto dal momento in cui l’assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro ex art. 10 della legge citata. Inoltre, va precisato che alla e-mail era seguita la lettera di licen- ziamento spedita il 28.12.2011 ma recapitata solo il 7.1.2012, dopo la scadenza del periodo di prova fissata al 31.12.2011.

A prescindere dalla fattispecie concreta, la Cassazione comunque mostra di aderire all’orientamento meno rigoroso che sembra essersi recentemente affermato secondo il quale il requisito della comunicazione scritta del licenziamento deve ritenersi assolta o, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità (In generale, cfr.: Garofalo 2007, 200). È questa impostazione che ha portato diversi giu- dici a ritenere legittimo il licenziamento comunicato tramite e-mail non certificata (T. Milano 5.10.2010, in LPA, 2010, n. 3-4, II, 657), sms (T. Milano 18.5.2017, inedita a quanto consta; C. App. Firenze 5.7.2016, in ADL, 2017, n. 1, II, 189; T. Genova 23.4.2016, n. 223, in GLav., n. 30, 44; T. Torino, 23.7.2014, in Nuovo Notiziario Giuridico, 2015, n. 1, 85) o WhatsApp (T. Catania 27.6.2016, inedita a quanto con- sta). Si tratta di un orientamento che, aperto alle possibilità del più ampio utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione anche ai fini della comunicazione della cessazione dei rapporti di lavoro, pone non pochi problemi in ordine alla certezza della prove- nienza, della integrità e dell’immodificabilità della comunicazione, nonché della sua effettiva ricezione da parte del destinatario e, pertanto, più in generale, al diritto di di- fesa e, quindi, di tutela del lavoratore.

La sentenza del 2018, invece, aderisce all’orientamento più restrittivo sul presup- posto che, per sua natura, il messaggio elettronico è suscettibile di modifiche che im- pediscono di considerarlo completamente attendibile (In questo senso: Cass. 11.5.2005, n. 9884, in GCM, 2005, 5; Cass. 14.3.2005, n. 5504, in OGL, 2005, n. 1, 136). In un caso del tutto analogo (Cass. 15.3.2018, n. 6425, in DPL, 2018, n. 17, 1079), la Cassazione ha ribadito che i messaggi di posta elettronica «semplice», sui quali si basavano le contestazioni mosse al dipendente, hanno una valenza probatoria dubbia, giacché trattasi di corrispondenza sulla quale il datore di lavoro ha piena di- sponibilità, in quanto gestore del server aziendale, e come tale potrebbe in ipotesi mo- dificarne il contenuto, trattandosi tra l’altro di e-mail tradizionali e non di posta elet- tronica certificata o sottoscritta con firma digitale, che avrebbero, invece, garantito la identificabilità dell’autore e l’integrità del documento.

Ora, le preoccupazioni evidenziate dalla sentenza in relazione alla limitata dell’e- mail tradizionale circa la certezza della paternità del messaggio trasmesso e della sua integrità sono condivisibili e non del tutto infondate.

Quando il codice civile è stato emanato, infatti, l’art. 2712 c.c. era destinato prin- cipalmente a disciplinare il valore probatorio delle riproduzioni fotografiche e cinema- tografiche, nonché delle registrazioni su dischi fonografici, sebbene il riferimento in generale a «ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose» gli abbia conferito il carattere di norma di chiusura della sezione dedicata alla prova documentale. Tuttavia, ciò che negli anni quaranta sarebbe stato difficilmente falsificabile da parte della persona comune è oggi nella disponibilità di chiunque abbia un minimo di di- mestichezza con le tecnologie informatiche. Attribuire, allora, al giudice il potere di valutare di volta in volta i documenti informatici firmati con firme «deboli» in base alle loro caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità ap- pare la soluzione più ragionevole nel processo di adeguamento dell’ordinamento al- l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche.

Riferimenti bibliografici

Comoglio L.P. (2015), Art. 2712. Riproduzioni meccaniche, in Bonilini G., Chizzini A. (a cura di), Commentario del codice civile, diretto da Gabrielli E., Milano, 501 ss. Garofalo D. (2007), Licenziamento e forma, in Diritto del lavoro. Commentario a cura

di Carinci F., in Miscione M. (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: garanzie del reddito, estinzione e tutela dei diritti, Torino, vol. III, 196 ss.

Romano A.A. (2013), Sub art. 2712, in Alpa G., Maricorda V. (a cura di), Codice ci- vile commentato, Milano, 3048 ss.

Rota F. (2012), Gli altri documenti, in Taruffo M., La prova nel processo civile, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu A. et al. e continuato da Schlesinger P., Milano, 728 ss.

Troiano O. (2018), Firma e forma elettronica: verso il superamento della forma «ad sub- stantiam». Riflessioni a margine del Regolamento Ue n. 910/2014 e delle recenti ri- forme del codice dell’amministrazione digitale, in NGCC, 179 ss.

Barbara Caponetti Assegnista di ricerca presso l’Università di Roma «Tor Vergata»

CASSAZIONE, 21.2.2018, n. 4223 – Pres. Nobile, Est. Bronzini, P.M. Ceroni (parz. diff.) – Abercrombie & Fitch Italia Srl (avv.ti Brocchieri, Di Garbo) c. A.B. (avv.ti Ricci, Guariso).

Cassa Corte d’Appello di Milano, 15.4.2014.

Discriminazioni – Contratto di lavoro intermittente – Cessazione auto-

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