REQUISITI RACCOMANDAZIONI COMMENT
8. LINEE GUIDA
Nonostante le teoriche potenzialità dei biomarcatori tumorali, la loro utilità pratica, come abbiamo visto, è spesso fortemente limitata da caratteristiche di sensibilità e specificità non ottimali e da costi, in alcuni casi, elevati. Questo determina un notevole problema etico, sia dal punto di vista di un razionale ed appropriato uso delle risorse economiche, sia dal punto di vista di ingiustificati allarmi originati da risultati falsamente positivi. In questa ottica si inserisce la creazione di linee guida volte ad aiutare il clinico a gestire ed affrontare le varie situazioni che possono presentarsi. L’Institute of Medicine statunitense, nel 1990, definiva le linee guida come “raccomandazioni di comportamento clinico elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni degli esperti, con lo scopo di aiutare i medici e i pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche” [Institute of Medicine. 1992]. Le linee guida si caratterizzano in primo luogo per il processo sistematico di elaborazione; devono essenzialmente assistere al momento della decisione clinica ed essere di ausilio alla pratica professionale come risultato di un preciso percorso sistematico di analisi dei processi clinici orientato alla definizione della “best practice”. La popolarità delle linee guida può essere spiegata dal loro ruolo nell’educazione, formazione ed aggiornamento in quanto sintesi critica delle informazioni scientifiche
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disponibili; inoltre individuano i comportamenti clinici più appropriati e promuovono il continuo miglioramento dell’attività assistenziale. Esse orientano infine verso una attività clinica più omogenea, riducendo la variabilità dei comportamenti [Grilli R. et Al. 1995]. Alla luce di quanto detto si può comprendere la definizione di linee guida intese come “raccomandazioni elaborate a partire da una interpretazione multidisciplinare e condivisa delle informazioni scientifiche disponibili, per assistere medici e pazienti nelle decisioni che riguardano le modalità di assistenza appropriate in specifiche circostanze cliniche “, proposta da R. Grilli, e la definizione di A. Cartabellotta “le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, coerenti con le conoscenze sul rapporto costo/beneficio degli interventi sanitari, per assistere medici e pazienti nella scelta delle modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche” [Cartabellotta A. et Al. 2001].
Il processo di sviluppo di una linea guida è cruciale, non solo in relazione alla qualità delle evidenze utilizzate e delle raccomandazioni formulate, ma anche per porre i presupposti per il trasferimento nella pratica clinica. Uno dei requisiti fondamentali è quello di promuovere raccomandazioni cliniche fondate scientificamente su “raccomandazioni” validate e riproducibili; la presenza di esperti qualificati è condizione necessaria, ma non sufficiente, per
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garantire il buon esito: essi devono confrontarsi in modo sistematico con le evidenze scientifiche e derivare da queste le opinioni presentate. Le linee guida non devono essere intese come un rigido protocollo da seguire che limita la libertà nell’agire clinico, ma come uno strumento di ausilio e miglioramento della pratica. Il processo di produzione di una linea guida parte dall’identificazione di un gruppo di esperti multidisciplinari che ha il compito di definire i punti cruciali per sviluppare e portare a termine una revisione sistematica della letteratura pertinente; è condotta poi una valutazione delle evidenze disponibili con particolare attenzione agli esiti degli interventi considerati e la presenza di eventuali linee guida già presenti ed infine sono valutati i costi economici associati [Plebani M. et Al. 2002].
Nell’ottica dell’importanza che le linee guida rivestono nella pratica clinica appare evidente la necessità di valutarne criticamente la qualità, in modo che i clinici e le società scientifiche che le usano possano aver fiducia nella buona qualità delle raccomandazioni in esse presenti. Per qualità di una linea guida si intende la valutazione dell’adeguata considerazione di potenziali errori sistematici presentatisi nell’elaborazione, dell’applicabilità nella pratica clinica ed infine degli eventuali benefici, rischi, costi ed implicazioni etiche dei comportamenti consigliati. Per far ciò è necessario far uso di uno strumento a sua volta valido e dotato di espliciti criteri [Gion M. et Al. 2011 (c)]. Alla fine
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degli anni ’90 venne costituita l’Appraisal of Guidelines for Research & Evaluation (AGREE) Collaboration, con l’obiettivo di mettere a punto uno strumento per valutare la qualità delle linee guida, definita come “la ragionevole probabilità che le potenziali distorsioni nella produzione delle linee guida siano state adeguatamente gestite e che le raccomandazioni prodotte siano valide e applicabili in pratica”. Nel 2001 è stato pubblicato lo strumento AGREE (http://www.gimbe.org/pubblicazioni/traduzioni/AGREE_IT.pdf), una checklist costituita da 23 item raggruppati in sei dimensioni, ciascuna delle quali esplora vari aspetti che possono influenzare la qualità di una linea guida. Nello specifico le aree esaminate sono:
Dimensione 1: obiettivi ed ambiti di applicazione (analizza l’obiettivo generale della linea guida, i quesiti clinico assistenziali a cui risponde e la popolazione target).
Dimensione 2: coinvolgimento dei soggetti portatori di interesse (verifica l’entità del coinvolgimento di tutti i portatori di interesse, oltre che il punto di vista dei potenziali utenti).
Dimensione 3: rigore metodologico (analizza i metodi e gli strumenti utilizzati per la ricerca bibliografica, la valutazione critica e la selezione delle evidenze scientifiche, la formulazione delle raccomandazioni cliniche, l’aggiornamento della linea guida).
43 Dimensione 4: chiarezza espositiva (esamina il linguaggio, la struttura ed
il formato della linea guida).
Dimensione 5: applicabilità (analizza le possibili barriere ed i fattori facilitanti l’implementazione della linea guida, le possibili strategie per favorirne l’adozione, l’implicazione sulle risorse economiche conseguenti all’applicazione).
Dimensione 6: indipendenza editoriale (verifica se eventuali conflitti di interesse abbiano influenzato la formulazione delle raccomandazioni). Il computo del punteggio per area si ottiene associando ad ogni quesito un numero sulla scala da 1 a 4 dove 1 rappresenta il completo disaccordo e 4 il completo accordo [Gion M. et Al. 2011 (c), Cartabellotta A. 2011].
Come ogni nuovo strumento è apparsa necessaria una sua continua revisione al fine di migliorarne la capacità e la facilità d’uso: da questo processo, recentemente, nel 2010, è nata una nuova versione dell’AGREE (AGREE II). AGREE II introduce essenzialmente tre radicali innovazioni: per l’assegnazione dello score si utilizza una scala a 7 punti (invece che la classica da 1 a 4), le 6 dimensioni sono le stesse ma sono stati modificati 11 dei 23 item, infine il manuale d’uso è stato interamente ridisegnato per facilitare ulteriormente l’applicazione pratica del sistema AGREE.
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Recentemente, in due studi condotti dall’AGREE Next Steps Consortium, è emerso che la qualità di una linea guida in termini di score AGREE è un fattore predittivo della sua implementazione; inoltre questo strumento si è dimostrato efficace nel differenziare i contenuti tra linee guida a bassa ed alta qualità [Cartabellotta A. 2011]
Vale la pena ricordare, senza entrare nello specifico di una trattazione dettagliata, che è possibile identificare criteri generali per valutare il peso delle “evidenze” che stanno alla base della stesura di una linea guida e la forza delle raccomandazioni che ne derivano. Per livello di evidenza si intende il tipo di studio che supporta l’informazione utilizzata e di conseguenza la validità della stessa. Si riconoscono vari livelli di evidenza:
- I: prove ottenute da più studi clinici controllati e/o revisioni sistematiche di studi randomizzati.
- II: prove ottenute da un solo studio randomizzato di disegno adeguato. - III: prove ottenute da studi di coorte non randomizzati con controlli
concorrenti o storici o loro metanalisi.
- IV: prove ottenute da studi retrospettivi tipo caso controllo o loro metanalisi.
- V: prove ottenute da studi di casistica “serie di casi” senza gruppo di controllo.
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- VI: prove basate sull’opinione di esperti o comitati di esperti come indicato in linee guida o consensus conference.
La forza delle raccomandazioni si riferisce alla probabilità che l’applicazione delle stesse nelle pratica clinica determini un miglioramento dello stato di salute. Si riconoscono vari gradi:
- A: indica una particolare raccomandazione sostenuta da prove scientifiche di buona qualità, anche se non necessariamente di tipo I o II. - B: si nutrono dubbi sul fatto che quella particolare procedura o
intervento debba essere sempre raccomandato ma si ritiene che la sua esecuzione debba essere attentamente considerata.
- C: esiste una sostanziale incertezza a favore o contro la raccomandazione di eseguire la procedura od intervento.
- D: l’esecuzione della procedura non è raccomandabile. - E: si sconsiglia fortemente l’esecuzione della procedura.
Oltre alla classificazione appena descritta, presente nel Manuale Metodologico del progetto Nazionale Linee Guida e aggiornata nel 2004 (http://www.pnlg.it/doc/Manuale_PNLG.pdf), in ambito internazionale sono state proposte e utilizzate nella pratica anche altre metodologie di valutazione, ne è un esempio quella formulata nel 2004 dalla National Academy of Clinical
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Biochemistry, nell’ambito delle sindromi coronariche acute (http://www.nacb.org/lmpg/main.stm).
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9. GUIDA ALL’USO DEI MARCATORI NELLA PRATICA
CLINICA
Nel 1985 nacque il “Comitato Nazionale per lo studio dei marcatori tumorali”, con lo scopo di coordinare e gestire le problematiche connesse all’uso dei biomarcatori tumorali. Nel 1986 venne pubblicata la prima Guida con l’obiettivo di fornire indicazioni condivise per la determinazione e l’uso dei marcatori in oncologia; questa venne poi rieditata nel 1990 e nel 1993. Nel 1989 il CRIBIT (Centro Regionale Indicatori Biochimici di Tumore), in accordo con il Comitato, pubblicò una nuova versione della Guida e successivamente continuò il suo lavoro con la pubblicazione di una seconda edizione nel 1992 e di una terza nel 1997. Nel 2002 fu pubblicata la quarta versione della guida, la quale per la prima volta fu aggiornata da un gruppo di lavoro e ricontrollata da un revisore esterno, avviando il processo di trasformazione della Guida in un prodotto di valutazione multidisciplinare delle evidenze disponibili, in conformità con quanto indicato dalla EBM (Evidence-Based Medicine). Il successivo ingresso nel progetto dell’ABO (Associazione per l’Applicazione delle biotecnologie in Oncologia) permise di estendere il lavoro a livello nazionale.
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Recentemente è apparsa evidente la necessità di revisionare ulteriormente la Guida, in quanto diversi studi hanno messo in evidenza che l’impiego dei marcatori tumorali “classici” rimane ad oggi fortemente inappropriato, con percentuali di richieste clinicamente non appropriate anche superiori al 50- 70%. Così nel 2010 la Guida è stata aggiornata, coinvolgendo nel progetto un gruppo di 61 professionisti tra rappresentanti delle principali discipline clinico sanitarie implicate nell’uso e nella valutazione dei biomarcatori, esperti di EBM, economisti sanitari e ricercatori specializzati nel campo dei marcatori tumorali. Le linee guida sono state selezionate attraverso una revisione sistematica delle letteratura per gli argomenti trattati nella Guida; ogni linea guida è stata analizzata con lo strumento AGREE e sono stati estratti i contenuti delle raccomandazioni relative ai marcatori e le evidenze a supporto di questi. La novità introdotta da questa versione è quella di non fornire raccomandazioni o suggerimenti, ma dare la possibilità a chi la usa di capire la situazione attuale sui biomarcatori e di scegliere, in modo autonomo e critico, il percorso migliore da seguire.
Un tale approccio, con una visione chiara e sintetica della situazione ad oggi esistente per quanto riguarda i biomarcatori tumorali, consente di tradurre le linee guida esistenti in un iter diagnostico-terapeutico specifico per le varie categorie di pazienti. Inoltre mette in evidenza le aree che necessitano di linee
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guida di buona qualità o di studi che valutino l’impatto dell’applicazione di un esame sugli esiti importanti per i pazienti [Gion M. 2011 (d)].
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