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7. NUOVE CLASSI DI BIOMARCATORI EMERGENTI Negli ultimi anni gli studi e la ricerca oncologica hanno portato ad un notevole
incremento delle conoscenze della cellula tumorale e dei meccanismi che ne sono alla base. Sempre più importanza risulta avere la relazione delle cellule neoplastiche con il microambiente circolante, costituito dallo stroma, dall’apparato microvascolare e dalle cellule dell’immunità dell’ospite. In particolare si è visto che questo riveste un ruolo fondamentale nella regolazione e nella progressione della neoplasia, tramite complesse interazioni con la cellula tumorale. Proprio questa rete di complesse interazioni però ha come conseguenza la notevole difficoltà di trasferire queste conoscenze nella pratica clinica. Infatti, nonostante la pletora di nuove informazioni ottenute negli ultimi anni, una nota pubblicata il 12 agosto 2010 dal “Journal of the National Cancer Institute” conferma che nelle ultime due decadi nessun nuovo biomarcatore è stato approvato dalla Food and Drug Administration per l’utilizzo nella pratica clinica [Gion M. et Al. 2012 (a)].
Tra le classi di nuovi biomarcatori vale la pena ricordare gli indicatori di risposta dell’ospite e i marcatori di meccanismo. Fra i primi possiamo citare le immunoglobuline complessate con i marcatori noti, le quali, in studi preliminari, hanno dimostrato buona sensibilità e specificità. È stata infatti dimostrata la presenza, in pazienti con differenti tipologie di neoplasia (fegato,
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colon e prostata), di immunoglobuline IgM complessate con i biomarcatori classici. La valutazione del complesso marcatore-IgM ha presentato una maggiore valenza diagnostica rispetto al dosaggio del biomarcatore libero. Nel caso dell’epatocarcinoma questo è stato provato anche per l’AFP e recentemente anche per l’SCCA (Squamous Cell Carcinoma Antigen). Inoltre è stata riportata l’importanza clinica del complesso SCCA-IgM come biomarker predittivo di evoluzione in epatocarcinoma, dimostrando che elevate concentrazioni di questo immunocomplesso in pazienti con cirrosi sono associate ad un più alto rischio di sviluppo di epatocarcinoma. Nello specifico sono state analizzate le variazioni di SCCA-IgM in due classi di pazienti cirrotici e seguite nel tempo. Un incremento significativo nelle concentrazioni si SCCA- IgM è stato riscontrato solo nel gruppo di pazienti che poi ha sviluppato il carcinoma nei successivi 4 anni. In questo lasso di tempo, l’altra categoria di pazienti, la quale non ha mostrato evoluzione verso la neoplasia, non ha evidenziato variazioni nel dosaggio di SCCA-IgM. La valutazione di questo immunocomplesso potrebbe dimostrarsi utile nello screening di pazienti a rischio di epatocarcinoma, per i quali i markers convenzionali non hanno dato buoni risultati [Beneduce L. et Al. 2004, Beneduce L. et Al. 2005, Beneduce L. et Al. 2008, Castaldi F. et Al. 2005, Beneduce L. et Al. 2007, Pontisso P. et al. 2006, Giannelli G. et Al. 2006].
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I marcatori di meccanismo invece sono una classe eterogenea che comprende molecole quali proteine codificate da geni oncosoppressori e oncogeni, proteine associate all’angiogenesi, proteasi e marcatori dell’infiammazione [Gion M. et Al. 2012 (a)].
La crescita dei tumori solidi dipende dall’angiogenesi, la quale facilita la formazione di metastasi e fornisce i nutrienti e l’ossigeno ai tessuti neoplastici. Un passo critico di questo processo è la crescita delle cellule endoteliali al di fuori dei preesistenti capillari e la migrazione di queste, grazie al VEGF (Vascular Endothelial Growt Factor). Le cellule proliferanti rimodellano in seguito la matrice extracellulare grazie alle metallo-proteinasi (MMP) e formano dei nuovi capillari. Nelle cellule neoplastiche, l’over-espressione dei fattori angiogenetici (VEGF e MMP) porta alla proliferazione ed ad una più facile mobilità attraverso i vasi sanguigni, caratteristiche strettamente legate all’invasione neoplastica e alla metastatizzazione. In studi su neoplasie gastrointestinali è stato osservato che l’alta espressione nelle cellule tumorali di MMP è correlata strettamente con il potenziale metastatico ed invasivo del tumore. La MMP-2, la MMP-7 e la MMP-9 giocano un ruolo fondamentale nell’angiogenesi: le cellule neoplastiche sintetizzano grandi quantità di MMP-2 e MMP-9 in modo da stimolare l’angiogenesi e la produzione di VEGF. È stato
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visto che l’espressione di MMP-2, MMP-7, MMP-9 e VEGF è associata con la grandezza del tumore e l’invasione linfonodale e venosa [Yang X. Et Al. 2012]. Le mucine sono una famiglia di glicoproteine ad alto peso molecolare che hanno la funzione di lubrificare le superfici luminali dei dotti. Recenti studi hanno messo in luce un possibile ruolo di queste proteine nella progressione dei tumori, in quanto sarebbero coinvolte nella proliferazione, nell’invasione e nella metastatizzazione. In studi su pazienti con cancro al seno è stato osservato che una alterata espressione delle mucine è correlata con la crescita cellulare, la trasformazione neoplastica e l’invasione. Nello specifico è stato visto che esiste una correlazione fra l’espressione sub cellulare di MUC-1 e la prognosi dei pazienti: la positività per MUC-1 è associata alla presenza di invasione vascolare, diffusione linfatica e presenza di metastasi. Inoltre pazienti positive per MUC-2 hanno dimostrato una sopravvivenza inferiore (49 mesi) rispetto a pazienti i cui tessuti neoplastici risultavano negativi per l’espressione di questa mucina (75 mesi). Anche MUC-3 e MUC-4 sono state messe in relazione con la prognosi delle pazienti con cancro al seno: l’espressione di MUC-3 è risultata significativamente più alta in pazienti con invasione del torrente ematico e metastasi, mentre MUC-4 mostra una correlazione positiva con il grado della neoplasia [Mukhopadhyay P. et Al. 2011]. In conclusione questa famiglia di glicoproteine potrebbe essere estremamente utile nella
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diagnosi precoce e soprattutto nella valutazione della prognosi in pazienti con neoplasia.
Molti autori recentemente si sono focalizzati sull’analisi di quelle che vengono definite cellule tumorali circolanti (CTC). Queste cellule sono presenti nella circolazione sanguigna di molti pazienti affetti da differenti tipi di tumore solido; il loro numero è estremamente basso e sono costituite da una popolazione molto eterogenea con caratteristiche spesso diverse dalla lesione neoplastica primitiva. Come nel caso di altri marcatori il dosaggio delle CTC potrebbe in linea teorica essere di aiuto nella valutazione della prognosi di una neoplasia e nel predire la risposta a determinati trattamenti, così come nel follow-up al fine di identificare precocemente le recidive. Anche se negli ultimi anni sono stati messi a punto molti metodi, isolare e quantificare queste cellule in modo standardizzato ad oggi rimane una vera e propria sfida [Den Tonder J. 2011]. Attualmente l’unico sistema approvato dalla “Food and Drug administration” per l’isolamento e il dosaggio delle CTC è il Cell Search della Immunocon Corporation e Veridex. Il processo di identificazione sfrutta il riconoscimento tramite il legame con un anticorpo diretto contro una molecola di adesione della cellula epiteliale (EPCAM) frequentemente sovra-espressa nei carcinomi mammario, prostatico, colo-rettale e testa-collo. Gli anticorpi sono coniugati con ferrofluid, una sostanza liquida contenente particelle
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ferromagnetiche , ed una volta che le CTC sono legate, queste vengono estratte grazie ad un magnete. Per completare la selezione le cellule devono essere positive per l’espressione delle CK (citocheratine) e del DAPI (4’,6-diamidin-2- fenilindolo) e negative per il CD45; inoltre devono possedere caratteristiche istologiche di malignità quali grandi dimensioni, nucleo ipercromatico, nucleoli prominenti [Gion M. et Al. 2012 (a), Kraan J. Et Al. 2010]. Alcuni studi hanno dimostrato come le CTC sono osservabili nel 20-54% dei pazienti con neoplasia mammaria in stadio precoce: in alcuni casi questo può essere correlato con una peggiore sopravvivenza dei pazienti. Allo stesso modo in pazienti con carcinoma colo-rettale in fase precoce, sottoposti a resezione chirurgica, le CTC sono risultate indicative di recidiva. Ad oggi, per quanto riguarda neoplasie in stadi precoci, l’utilità del dosaggio delle CTC è comunque controversa. Infatti, l’American Society of Clinical Oncology ha affermato che il dosaggio delle CTC, nell’ambito della neoplasia mammaria in fase precoce, deve essere considerato ad un livello di evidenza III, cioè non ancora sufficiente per una applicazione nella clinica pratica [Danova M. et Al. 2011]. Per quanto riguarda invece tumori in fase avanzata le CTC, individuando una eventuale progressione o risposta alla terapia, offrirebbero la possibilità di scegliere un regime terapeutico che da un lato porti ad un tasso elevato di risposte e dall’altro ad un basso rischio di tossicità. In differenti studi è stato osservato come le CTC siano presenti in una
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popolazione di pazienti affetti da neoplasia mammaria avanzata, in un intervallo fra il 26% e il 49% [Miller M.C. et Al. 2010]. Una prima indicazione dell’utilità prognostica delle CTC è stata descritta nel 2004 in uno studio che ha dimostrato come il 60-70% dei pazienti con neoplasia mammaria metastatica abbia una conta uguale o superiore a 2 cellule per 7,5 ml, mentre nei soggetti di controllo sono raramente osservate. Inoltre pazienti con CTC in numero maggiore o uguale al basale hanno una sopravvivenza peggiore rispetto a pazienti con conte minori [Cristofanilli M. et Al. 2004]. Studi successivi confermano questi risultati anche per carcinoma prostatici e colo-rettali in fase avanzata. In alcuni casi l’analisi delle CTC si è dimostrata più affidabile nel predire la risposta al trattamento rispetto alle metodiche tradizionali, quali rilievi radiologici e dosaggio del PSA. In pazienti affetti da carcinomi mammari, prostatici o colo-rettali in fase avanzata, un decremento di CTC dopo 2-5 settimane di terapia si correla con una migliore sopravvivenza [Danova M. et Al. 2011]. Nonostante questi promettenti studi, però, ad oggi, anche per le neoplasie in stadio avanzato, il dosaggio delle CTC non è ancora inserito nella pratica clinica. Qualora i saggi per le CTC venissero validati definitivamente mediante studi prospettici disegnati ad hoc, anche tramite il confronto con i marcatori tradizionali, queste cellule potrebbero effettivamente svolgere il
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ruolo di biomarcatori utili per orientare la scelta di una specifica terapia per ogni singolo paziente [Attard G. et Al. 2011, Nelson N.J. 2010].
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