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4. Il doppiaggio

4.3 La lingua del doppiaggio

La lingua del cinema può essere considerata molto distante dalla lingua “reale”, sia parlata che scritta, a causa della sua struttura. Si tratta, infatti, di una lingua pre-scritta e recitata e, di conseguenza, non spontanea e sottoposta a una serie di procedure quali il montaggio e la post- sincronizzazione. Inoltre, il dialoghista è legato a vincoli ideologici ed economici, pertanto è tenuto a creare un testo comprensibile dal maggior numero possibile di spettatori, utilizzando lessico e strutture appartenenti al registro medio-basso, portando, se necessario, a una semplificazione del testo di partenza. Alcuni studiosi, tuttavia, sostengono che, nonostante la lingua del cinema non sia reale, essa è costruita per essere realistica e, proprio per la sua tendenza al realismo, il cinema può fornire indicazioni utili sul funzionamento della lingua e sulla coscienza linguistica degli autori e del pubblico. Il traduttore ha pertanto il compito di ricreare un parlato simulato (ovvero recitato) di partenza in un parlato simulato in lingua di arrivo77.

Come affermato in precedenza, il traduttore deve tenere in considerazione dell’immagine sullo schermo, ovvero dei movimenti, gesti, situazioni che vive il personaggio a cui deve dare voce. Per questa ragione, Pavesi considera questo tipo di traduzione una “traduzione vincolata” e non una “traduzione totale”78, in quanto condizionata da codici non verbali e dalla sincronizzazione in quanto la credibilità dei dialoghi sta proprio nella sincronia tra il testo tradotto e il movimento delle labbra degli attori79.

Secondo Baumgarten, che ha studiato l’influenza dell’inglese sul tedesco tramite doppiaggio, solamente i prodotti audiovisivi tradotti tramite doppiaggio sono in grado di creare cambiamenti e di influenzare la lingua d’arrivo80. Innanzitutto, questo è dovuto al fatto che i film doppiati creano

l’illusione che gli attori stiano parlando la lingua dello spettatore, dandogli la possibilità di imitare e utilizzare lo stile e il modo di parlare, così come espressioni e parole presenti nel film. Inoltre, il doppiaggio rende necessaria la sincronia con immagini, movimenti e con il tempo delle battute. Proprio per questa ragione nella lingua doppiata si trovano spesso strutture appartenenti al testo di partenza: il dialoghista, infatti, invece di cercare una traduzione più vicina alle consuetudini della lingua d’arrivo ma che si staccherebbe troppo dalla sfera visiva, cerca di sfruttare la struttura iniziale così da mantenere una maggiore sincronia con le battute degli attori. A differenza della

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77 Maria Pavesi, La traduzione filmica. Aspetti del parlato doppiato dall’inglese all’italiano, Carocci Editore, Roma,

2005, p. 10.

78 Ivi, p. 12.

79 Isabella Malaguti, “Il doppiaggio come traduzione totale”, in Un aspetto della traduzione: il doppiaggio

cinematografico, vol. 31, XXIX edizione del premio “Città di Monselice”, Monselice, 2004, p. 74.

80 Nicole Baumgarten, The Secret Agent:Film Dubbing and the Influence of the English Language on German

Communicative Preferences. Towards a Model for the Analysis of Language Use in Visual Media, Hamburg, 2005, p.

sottotitolazione, inoltre, il doppiaggio non comporta un cambiamento nella struttura semiotica e rende più semplice l’assimilazione di espressioni, termini e calchi.

Il termine “calco” si riferisce a parole o espressioni derivate da equivalenti stranieri, simili nel significante ma distanti nel significato, che nascono quindi dall’influenza di una lingua su un’altra. Esistono due tipi di calco, ovvero quello semantico e quello strutturale. Il calco semantico fornisce alla parola, che nella lingua di arrivo ha un significato diverso, un nuovo significato che si avvicina a quello che possiede nella lingua di partenza. Un esempio è rappresentato dalla parola “realizzare” che deriva dall’inglese realize e assume il significato di “rendersi conto”. Il calco strutturale, invece, riguarda in particolare le strutture delle espressioni idiomatiche e polirematiche con una morfologia complessa. Utilizzando un calco strutturale, la struttura della lingua di partenza viene riportata nella lingua di arrivo.

4.3.1 La lingua del doppiaggio in Italia

È innegabile che la cinematografia abbia una rilevanza notevole tra i fattori di circolazione capillare e di mutamento della lingua nazionale. Fino all’avvento della televisione, infatti, il cinema ha contribuito in modo decisivo alla formazione dell’italiano “popolare unitario”81. La televisione, in seguito, si è aggiunta al cinema con la medesima funzione, ma non vi si è mai sostituita. Anche oggi, con una percentuale di lettori molto bassa, risulta evidente che il principale mezzo di unificazione linguistica nazionale italiana continua a essere l’audiovisivo: sulla base dello stile e del lessico utilizzato nei prodotti televisivi e cinematografici, le persone comuni adottano modi ed espressioni e modificano il proprio modo di parlare. Inoltre, poiché la maggior parte dell’audiovisivo di cui siamo spettatori in Italia è di origine straniera e, quindi, doppiato, è chiaro che il modello a cui siamo abituati e da cui attingiamo è la lingua del doppiaggio.

Come ha affermato il critico Brunetta, “lo standard linguistico più diffuso e generalizzato è quello della lingua parlata formale, costruita nel pieno rispetto delle regole sintattiche, morfologiche e fonologiche. Questo livello costituisce anche la base di comunicazione che si può ritrovare nel doppiato dei film americani”82.

A partire dagli anni Ottanta, però, l’ingresso sul mercato televisivo di un’ingente mole di prodotto straniero da doppiare, con il 92% di fiction televisive importate, e l’avvicinarsi alla professione di molti adattatori-dialoghisti improvvisati, ha causato un abbassamento nella qualità

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81 Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari, 1970, p. 49.

82 Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 1993, cit. in Mario Paolinelli, Eleonora Di

della lingua del doppiaggio, dovuto anche ai ritmi forzati, alla bassa qualità del prodotto iniziale e alla necessità di limitare i costi. La bassa qualità linguistica si può riscontare nel doppiaggio dei TV-

movies83, ovvero film che vanno in onda in prima serata seguiti da un pubblico più “popolare”

rispetto al pubblico dei film d’autore: in questi film, si trovano spesso strutture classicheggianti, accompagnate generalmente da un abuso del congiuntivo e da errori di grammatica o di interpretazione da parte di dialoghisti improvvisati che non conoscono bene la lingua di partenza.

Questa lingua, che è sempre stata oggetto di satira, è stata definita doppiaggese84 a indicare la varietà di lingua propria dei film doppiati, ovvero una forma ibrida di italiano caratterizzata da falsa colloquialità, pronuncia impeccabile e fomalismo85. Il doppiaggese ha influenzato direttamente

non soltanto l’intera lingua del cinema italiano, detta filmese, ma anche l’italiano scritto e parlato: questo è dovuto innanzitutto ai numerosi calchi utilizzati dagli adattatori, all’azzeramento delle varietà e all’impressione di artificiosa formalità, per cui tutti i personaggi, indipendentemente dalla classe sociale a cui appartengono, parlano nello stesso modo e senza inflessioni dialettali.

Il fenomeno dei calchi è quello più diffuso e più evidente nel doppiaggese. Questo aspetto si nota specialmente nei prodotti doppiati di origine angloamericana: ad esempio, si trovano spesso espressioni quali “ci puoi scommettere” o “dacci un taglio”, ovvero calchi delle espressioni originali in lingua inglese you bet e cut it out, che potrebbero, e dovrebbero, essere riportate con soluzioni più naturali in lingua ricevente come “senza dubbio” e “finiscila”.

Un altro aspetto che si può avvertire facilmente nella lingua del doppiaggio è l’utilizzo di pronomi personali in funzione allocutiva e di aggettivi possessivi, necessari in lingua inglese ma decisamente pesanti e ridondanti in italiano, così come la resa del turpiloquio con l’utilizzo di parole quali “fottuto” e “dannato” che riprendono letteralmente il termine originale. L’introduzione di questi termini è stata dettata specialmente da ragioni di sincronia labiale e rendono immediatamente identificabile la provenienza americana del prodotto; nonostante costituiscano un fattore di straniamento, poiché un buon doppiaggio è quello di cui lo spettatore non si accorge e che non percepisce, questi termini sono ormai riscontrabili anche in Italia, ben integrati nella lingua dei

mass media86 e utilizzati soprattutto da giovani, ovvero coloro che usufruiscono in maggior misura di opere cinematografiche e televisive straniere.

Infine, è evidente anche la funzione del cinema doppiato come propulsore di anglicismi: pertanto, sempre più spesso si trovano termini inglesi, quali ad esempio coroner e detective nei

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83 Mario Paolinelli, Eleonora Di Fortunato, op. cit., p. 20.

84 http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/doppiaggio/Rossi.html consultato il 12/01/2014. 85 http://www.treccani.it/enciclopedia/doppiaggio-e-lingua_%28Enciclopedia-dell%27Italiano%29/ consultato il

12/01/2014.

moltissimi prodotti di genere poliziesco, che non vengono più tradotti con il corrispondente italiano “medico legale” e “investigatore”.

Rossi individua sette caratteristiche87 che riassumono i tratti dell’italiano doppiato:

• mancata condivisione del contesto da parte di mittenti e riceventi; • unidirezionalità dell’atto comunicativo (assenza di feedback); • molteplicità di mittenti (produzione collettiva del messaggio); • eterogeneità dei riceventi (destinazione di massa del messaggio);

• distanza tra il momento di preparazione del testo, il momento della sua esecuzione e quello della sua ricezione;

• simulazione del parlato spontaneo;

• presenza di un apparato tecnico-economico per la preparazione e la trasmissione del messaggio.

Rispetto alla lingua parlata spontanea, la lingua utilizzata nei prodotti audiovisivi è unidirezionale, pertanto, differisce da una conversazione naturale in cui mittente e ricevente interagiscono tra loro in modo diretto. Nelle opere cinematografiche e televisive, invece, mittente e ricevente si trovano distanti tra di loro sia a livello spaziale che temporale, pertanto i dialoghi vengono percepiti dal pubblico in luoghi e tempi diversi. Inoltre, mentre la conversazione parlata è spontanea, il dialogo filmico viene innanzitutto scritto e poi recitato dagli attori, cercando di dare allo spettatore l’impressione che sia un parlato spontaneo.

Il linguista Nencioni ha studiato la differenza tra “parlato-parlato”, “parlato-scritto” e “parlato-recitato”88. Nei suoi studi ha definito quest’ultimo come un parlato programmato, i cui

dialoghi sono già scritti e l’attore conosce già come sarà recepita la sua battuta. Nonostante si riferisca al parlato degli spettacoli teatrali, la stessa definizione può essere attribuita al parlato dei prodotti audiovisivi, purché si basi su sceneggiature scritte89 e, pertanto, non possieda la spontaneità del “parlato-parlato”.

Come tutte le lingue, l’italiano doppiato è cambiato nel corso degli anni. A differenza di quanto è avvenuto fino agli anni Settanta, quando i dialoghisti scrivevano il testo tradotto utilizzando un italiano standard molto elevato, oggi lo stile utilizzato è molto colloquiale e talvolta popolare. L’italiano del doppiaggio di oggi viene descritto da Raffaelli come “tendenzialmente

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87 Ibid., p. 13.

88 Giovanni Nencioni, “Parlato.parlato, parlato-scritto, parlato-recitato”, in “Di scritto e di parlato. Discorsi linguistici,

Zanichelli, Bologna, 1983, p. 126

rispettoso della norma, ma stereotipato, ripetitivo, evidente frutto di traduzioni acerbe o affrettate”90 e dovuto all’aumento delle televisioni private e, quindi, alla richiesta sempre maggiore di doppiaggi.

In particolare nei doppiaggi di film hollywoodiani, l’italiano contiene per la maggior parte proposizioni principali coordinate, mentre raramente viene fatto uso di proposizioni subordinate e vi è la preponderanza di un “lessico ristretto, spesso di origine anglosassone”91. Da quando non si doppiano più i prodotti con un italiano formalmente corretto, infatti, è aumentato esponenzialmente il numero di prestiti e di calchi, alcuni dei quali sono entrati a far parte dell’italiano parlato.