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2.1) I LEA IN SANITA’: DEFINIZIONE E FINALITA’

La riserva a favore dello Stato della “determinazione dei livelli

essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, situata all’art.

117, comma 2, lettera m) Cost. rappresenta con certezza uno degli elementi più importanti dell’intera riforma costituzionale del Titolo V° del 2001, la quale, sostituendo alla precedente espressione “assistenza

sanitaria ed ospedaliera”, contenuta all’interno del “vecchio” art. 117,

la nuova formulazione “tutela della salute”, ha ampliato l’ambito della competenza legislativa regionale, che, in questo modo, si estende a tutti i profili inerenti alla tutela della salute.

I livelli essenziali di assistenza (LEA) sono quell’insieme di servizi, prestazioni ed attività che i cittadini hanno il diritto di ricevere dal Servizio Sanitario Nazionale, allo scopo di riequilibrare le istanze di differenziazione regionale, mantenendo, al contempo, garanzie unitarie di effettività dei diritti sul territorio nazionale. Infatti, se è vero che la riforma del Titolo V° ha cercato di allargare gli ambiti di competenza dei legislatori regionali, riconoscendo loro una competenza residuale generale nelle materie non comprese all’interno della legislazione esclusiva statale e concorrente, è vero anche, però, che c’era bisogno di una clausola che scongiurasse il pericolo che una simile autonomia potesse mettere a repentaglio la salvaguardia dei diritti costituzionali. Si tratta, dunque, di norme costituzionali che rappresentano una specificazione del principio di unità ed indivisibilità della Repubblica

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italiana, nonché uno strumento di garanzia del legame sociale incluso nell’idea di cittadinanza66.

2.2) I PRECEDENTI NORMATIVI

Già in sede di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978, il legislatore si impose l’obiettivo di fissare dei “livelli delle prestazioni” da garantire a “tutti i cittadini”67 all’interno del Piano sanitario nazionale, dando alla legislazione statale il dovere di “dettare norme

dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale”68.

Tuttavia, fu solo agli albori degli anni ’90 che il tema dell’individuazione delle prestazioni da assicurare su tutto il territorio nazionale tornò a rivestire una considerevole importanza, poiché, in questo periodo, il legislatore ancorò la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni all’individuazione di una quota di finanziamento da assicurare alle Regioni in relazione alle tipologie di assistenza: in particolare, l’art. 4 della legge n. 412/199169 si fece carico

66 E. GRIGLIO, Principio unitario e neo-policentrismo. Le esperienze italiana e

spagnola a confronto, Padova, LUISS, 2008, pp. 335 ss.

67Art. 3, comma 1, l. 833/1978. 68 Art. 4, comma 1, l. 833/1978.

69 Articolo il cui comma 1 così recita: “Il Governo determina, con effetto a partire dal

1° gennaio 1992, i livelli di assistenza sanitaria da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale nonché gli standard organizzativi e di attività da utilizzare per il calcolo del parametro capitario di finanziamento di ciascun livello assistenziale per l’anno 1992. Il provvedimento è adottato, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed emanato à termini dell’articolo 1 della legge 12 gennaio 1991, n. 13, sulla base dei seguenti limiti e principi: a) i livelli di assistenza sanitaria sono definiti nel rispetto delle condizioni di legge, delle direttive comunitarie e, limitatamente alle modalità di erogazione, degli accordi di lavoro per il personale dipendente; b) gli standard organizzativi e di attività sono determinati ai fini di calcolo del parametro capitario di finanziamento e non costituiscono vincolo organizzativo per le regioni e le unità sanitarie locali; c) il parametro capitario per ciascun livello di assistenza è finanziato in rapporto alla popolazione residente. La mobilità sanitaria interregionale è compensata in sede nazionale; d) per favorire la manovra di rientro è istituito, nell’ambito della disponibilità del Fondo sanitario nazionale, un fondo di riequilibrio da utilizzarsi per sostenere le regioni con dotazione di servizi eccedenti

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di attribuire al Governo la determinazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria da garantire sull’intero territorio nazionale. Così facendo, si riuscì a porre un argine alla crescita esponenziale della spesa sanitaria tramite la determinazione delle prestazioni.

Attuando le previsioni appena viste, nel 1992 fu emanata la prima normativa di definizione dei livelli essenziali di assistenza, il DPR 24 dicembre 1992, il quale, tuttavia, fu in seguito annullato dalla Corte costituzionale, la quale accolse un conflitto di attribuzione presentato da alcune Regioni, spinte dal mancato rispetto del principio di leale collaborazione da parte del Governo70. Si può notare come già in quegli anni la Corte avvertisse in maniera chiara la delicatezza di una decisione unilaterale del Governo “in una materia connotata dalla stretta

connessione delle competenze statali con quelle delle Regioni”, e per

questo reputò che il Governo dovesse avere l’obbligo di motivare come “requisito minimo di legittimità”71, qualora non fosse andato a buon fine

il previo confronto per pervenire ad un’intesa con le Regioni. Questo provvedimento del 1992 si proponeva di individuare i LEA in base ad elementi oggettivi e soggettivi, ai quali si accompagnavano indicatori aggiuntivi legati al controllo di effettività o al finanziamento.

Questo modello, tuttavia, fu ripreso dalla legge delega per il riordino del Servizio Sanitario Nazionale (l. 441/1992, art. 1, lett. g)72), che lo

gli standard di riferimento; e) in ogni caso è garantita la somministrazione gratuita di farmaci salvavita ed il regime di esenzione dalla partecipazione sanitaria prevista dalle leggi vigenti. La verifica dell’andamento della spesa ed il rispetto dell’uniformità delle prestazioni è effettuata in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I risultati della verifica sono trasmessi al Parlamento al 31 luglio ed al 31 dicembre, anche ai fini dell’adozione di eventuali misure correttive”.

70 Sent. Corte Costituzionale n. 116/1994.

71 La Corte, nella medesima sentenza di cui alla nota precedente, ha fatto notare come in ordinamenti stranieri comparabili con il nostro, in simili ipotesi, si rimedi conferendo la decisione ad un collegio arbitrale o ad un organo statale avente una posizione più elevata.

72 Questo articolo delegava il Governo a “definire i principi relativi ai LEA uniformi

e obbligatori, espressi per le attività rivolte agli individui in termini di prestazioni, stabilendo comunque l’individuazione della soglia minima di riferimento, da garantire a tutti i cittadini, e il parametro capitario di finanziamento da assicurare

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trasferì all’interno della nuova disciplina dei contenuti del Piano Sanitario Nazionale, facendo sì che fosse ancor più stringente il condizionamento posto dalle risorse a disposizione sull’individuazione dei LEA da assicurare73, e ciò ha influenzato l’attuazione della norma, in quanto, così facendo, le Regioni sono state indotte ad interpretare la definizione dei LEA come un vincolo anziché come un’opportunità. In conclusione, l’attuazione concreta di questa norma è stata soltanto formale, nonostante essa sia stata a più riprese confermata anche dalla Corte costituzionale74.

Successivamente, con la c.d. “riforma Bindi”75, il legislatore intervenne rettificando anche le norme in materia di definizione dei livelli essenziali di assistenza; in particolare, l’art. 1 del d.lgs. 229/1999 qualifica, al comma 7, come essenziali “le tipologie di assistenza, i

servizi e le prestazioni sanitarie che presentano… …evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impegnate”. Il legislatore

del 1999, dunque, interpretava i livelli essenziali come tipologie di prestazioni individuate in base ai parametri dell’efficacia e del costo. In altre parole, da una parte si individuano i criteri di valutazione oggettivi per selezionare le prestazioni, mentre dall’altra si proclama il principio della contestualità tra individuazione dei LEA e quantificazione delle risorse finanziarie, che non sono più definite a monte76. Inoltre, è stato

alle regioni e alle province autonome per l’organizzazione di detta assistenza, in coerenza con le risorse stabilite dalla legge finanziaria”.

73 Art. 1, comma 1, d.lgs. 502/1992, che prevede la necessità di determinare i LEA “in

coerenza con l’entità del finanziamento” e di rapportare le prestazioni da garantire “al volume delle risorse a disposizione”.

74 In particolare, basta dare uno sguardo, fra le altre, alla sentenza n. 355/1993, che ha respinto il rilievo di incostituzionalità relativo ad una presunta violazione dell’autonomia regionale derivante dalla sottoposizione della definizione dei LEA all’esigenza di contenimento della spesa pubblica, considerato dalla Corte come uno degli obiettivi, ma non l’unico, della suddetta previsione.

75 Dal nome dell’allora ministro della sanità Rosy Bindi; è conosciuta anche come

“riforma ter” (d.lgs. 229/1999), in quanto è stata la terza grande riforma ad aver

toccato il Servizio Sanitario Nazionale.

76 C. TUBERTINI, Pubblica amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle

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lo stesso art. 1 ad escludere dai LEA erogati a carico del Servizio Sanitario Nazionale tutte quelle prestazioni e quei servizi che:

a) Non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio Sanitario Nazionale77.

b) Non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, in presenza di altre forme di assistenza le quali, invece, appaghino le stesse esigenze.

c) Non soddisfano i principi di efficacia ed appropriatezza.

Ad ogni modo, è impossibile inferire, dal testo normativo, altri dati che aiutino a comprendere in modo migliore quali siano le modalità per mezzo delle quali assicurare un collegamento tra risorse e prestazioni, e non è neppure certo che la definizione delle prestazioni debba essere accompagnata dalla quantificazione dei costi unitari di riferimento, anche se questa operazione serve per allestire gli strumenti di finanziamento più adatti per coprire il costo di erogazione dei LEA78. Come prevedevano le precedenti leggi, la fonte di individuazione dei livelli essenziali resta quella individuata dal Piano sanitario nazionale. Il d.lgs. n. 229/1999 ha previsto per le Regioni un ruolo di proposta, da esercitare “anche sulla base dei livelli essenziali individuati nel piano

vigente o negli atti che ne costituiscono attuazione”79.

Tuttavia, si pervenne ad un rafforzamento della responsabilità delle Regioni mediante l’introduzione di nuovi meccanismi di finanziamento del servizio sanitario, e in questo modo fu favorita l’accelerazione del processo determinativo dei livelli essenziali. Successivamente, l’accordo concluso in una Conferenza Stato-Regioni l’8 agosto 2001, provocò “una effettiva congruità tra prestazioni da garantire e risorse

77 Queste “necessità assistenziali”, nello specifico, sono il bisogno di salute, l’equità dell’accesso all’assistenza, la dignità della persona e la qualità delle cure.

78 Vi sono, sul punto, difficoltà congenite nella definizione di parametri di costo per ogni prestazione, considerata l’incidenza che, nel settore della sanità, ha, sulla dinamica dei costi, l’evoluzione della tecnologia.

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finanziarie messe a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale”,

portando il Governo ad impegnarsi, entro il 30 novembre dello stesso anno, nell’adozione del Piano sanitario nazionale e di un provvedimento per circoscrivere i LEA in relazione alle risorse finanziarie definite dallo stesso accordo. L’art. 6 del d.l. n. 347/2001, convertito dalla legge n. 405/2001, in seguito, confermò la scelta verso una fonte autonoma dal Piano sanitario nazionale per l’individuazione dei LEA.

Nel marzo dello stesso anno si procedette all’istituzione di un nuovo tavolo di lavoro tra il Ministero della Salute, quello dell’Economia e le Regioni, in ossequio al principio di contestualità tra la quantificazione delle risorse da destinare al Servizio Sanitario Nazionale e la definizione dei livelli essenziali. Prima di passare all’individuazione dei LEA, dunque, è stato necessario rilevare i costi sopportati dalle Regioni per acquisire i fattori produttivi, indispensabili per garantire i livelli di assistenza.

Dalla ricostruzione dei passaggi procedurali antecedenti all’individuazione dei LEA emergono alcuni elementi caratteristici, quali, in prima battuta, il metodo concertativo, realizzato tramite il coinvolgimento delle Regioni; in seguito, la formalizzazione tramite una fonte statale di rango sub-legislativo; infine, il tentativo di dare una copertura finanziaria ai livelli essenziali, introducendo strumenti che possano individuare il costo delle prestazioni incluse nei LEA. La Corte Costituzionale, nella sentenza 88/2003, ha ritenuto conforme al nuovo quadro costituzionale il D.P.C.M. 29 novembre 2001, così come ha reputato corretta la scelta di procedere con un atto paranormativo, da essa ritenuto rispettoso della riserva relativa di legge in materia di determinazione dei livelli essenziali80. Furono, comunque, sollevati dei dubbi di legittimità nei confronti di questo atto, che spinsero il

80 C. TUBERTINI, Pubblica amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle

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legislatore ad intervenire, tramite l’introduzione dell’art. 54 della legge n. 289/2002 che, oltre a confermare la vigenza del sovra menzionato decreto, ha disposto, per il futuro, il ricorso alla stessa procedura in caso di revisione del catalogo delle prestazioni essenziali. Nella stessa sentenza 88/2003, la Corte avallò l’operazione, ritenendo soddisfatta la riserva di legge di cui alla legge n. 289/2002, prendendo una posizione aspramente criticata da quanti ritennero che, così facendo, la Corte avesse consentito un rinvio in bianco alle fonti secondarie per la disciplina di un aspetto fondamentale come la definizione dei livelli essenziali di tutela della salute81. La Corte, in questo modo, voleva, con ogni probabilità, confermare la legittimità dell’atto dal punto di vista della sua compatibilità con il nuovo sistema delle fonti e di riparto delle competenze tra Stato e Regioni, senza limitare al contempo le possibilità di intervento del Parlamento in materia di LEA al solo profilo procedimentale.

Successivamente, provvide la sentenza n. 134 del 2006 a togliere ogni dubbio, individuando la disciplina che circoscriveva il potere secondario del Governo in questa materia all’interno dei principi del d.lgs. n. 502/1992 e delle determinazioni del Piano sanitario nazionale. Questo sistema, anche se legittimo, probabilmente risultava inadeguato, sia dal punto di vista della tipologia di atto utilizzato che dal punto di vista dei soggetti coinvolti82.

81 R. BALDUZZI, Note sul concetto di essenziale nella definizione dei LEP, in La

rivista delle politiche sociali, Roma, Ediesse, 2004, p. 62, parla di “singolare legificazione ed ancor più incredibile contestuale delegificazione”.

82 Soggetta a critiche (R. BALDUZZI, La creazione di nuovi modelli sanitari

regionali e il ruolo della Conferenza Stato-Regioni, in Quaderni regionali, Milano,

Rivista trimestrale di studi e documentazione, 2004), in particolare, è stato il fatto che sia stato ricondotto alla competenza della Conferenza Stato-Regioni (e non della Conferenza Unificata) la capacità di intervenire nel procedimento. In effetti, appare forzato ritenere che la sanità non costituisca un “compito di interesse comune” (ex art. 9 d.lgs. 281/1997) di Regioni ed Enti Locali.

53 2.3) IL D.P.C.M. 29/11/2001

Qualsiasi ordinamento che si sia trovato nella situazione di dover affrontare il problema della definizione dei LEA ha dovuto per prima cosa scegliere tra l’indicazione “in positivo” delle prestazioni da erogare e l’elencazione delle prestazioni escluse (tramite la c.d. “lista negativa”). Il nostro ordinamento, in particolare, ha optato per una tecnica mista, in cui le “liste positive” sono affiancate da una breve “lista negativa”. Entrambe le liste, peraltro, sono state compilate nel rispetto dei criteri dettati dal d.lgs. n. 229/1999 per l’individuazione delle prestazioni essenziali.

Nello specifico, l’Allegato 1 conteneva la “lista positiva”, all’interno della quale erano inclusi gli elenchi dei servizi e delle attività che il Servizio Sanitario Nazionale doveva garantire; quest’allegato era a sua volta suddiviso in tre parti: dentro alla prima (1A), erano contenute le classificazioni delle prestazioni; nella seconda (1B), invece, erano incluse le prestazioni e gli eventuali standard qualitativi ed organizzativi; all’interno della terza (1C), infine, l’obiettivo era quello di individuare le prestazioni rientranti nell’area dell’integrazione socio- sanitaria, completata con un richiamo alle fonti contenenti elenchi di prestazioni o standard di erogazione83. È d’uopo rilevare che la tecnica del richiamo delle fonti evidenzia come tra le possibili finalità della disciplina dei LEA il legislatore abbia scelto quella confermativa, mantenendo un alto livello di copertura del servizio e provocando, in questo modo, aspre critiche, in quanto in molti hanno lamentato un’eccessiva estensione dei LEA84. Il fatto che il grado di dettaglio

83 C. TUBERTINI, Pubblica amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle

prestazioni. Il caso della tutela della salute, Bologna, Bononia University Press, 2008.

84 Si veda a tal proposito G. FRANCE, Diritto alla salute, “devolution” e

contenimento della spesa: scelte difficili, scelte obbligate in ISSIRFA-CNR, Terzo rapporto annuale sullo stato del regionalismo in Italia, Milano, Giuffré, 2005.

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nell’individuazione delle prestazioni mutasse considerevolmente a seconda delle regioni derivava dalla compilazione della lista positiva per mezzo del rinvio a precedenti fonti normative.

Il complesso grado di dettaglio nell’individuazione delle prestazioni deriva, quindi, da fattori occasionali, e ciò sembra allontanarsi da un modello ideale di determinazione dei LEA, in cui dovrebbe essere il livello centrale ad individuare le prestazioni, mentre il livello regionale dovrebbe limitarsi ad effettuare, invece, l’ulteriore selezione, in base al requisito dell’appropriatezza organizzativa.

Comunque, già gli stessi autori del D.P.C.M. del 29 novembre 2001 sembravano essersi resi conto della sua perfettibilità, e fu proprio la consapevolezza dei limiti connessi alla tecnica scelta per individuare le prestazioni, probabilmente, a spingere Stato e Regioni verso l’istituzione di un organismo tecnico ad hoc “per le attività di

valutazione, in relazione alle risorse definite, dei fattori scientifici, tecnologici, ed economici relativi alla definizione ed all’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni in essi contenute”85, composto da esperti nominati in parte dalla Conferenza

dei Presidenti e delle Regioni ed in parte dai Ministri dell’Economia e della Salute. Il primo compito affidato a questa Commissione è stato quello di definire un metodo, individuato in una successione di domande aventi la finalità di esplicitare le motivazioni che inducevano a formulare una proposta di inclusione o di esclusione dalla lista delle prestazioni essenziali.

L’allegato 2 del decreto conteneva, invece, la “lista negativa”, che veniva anch’essa divisa in tre parti; in particolare:

a) L’Allegato 2A indicava le prestazioni escluse mediante l’applicazione dei principi di pertinenza ed efficacia.

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b) L’Allegato 2B delineava le prestazioni escluse tramite l’applicazione del principio di appropriatezza clinica.

c) L’Allegato 2C, infine, mostrava le prestazioni escluse per mezzo dell’applicazione del principio di appropriatezza organizzativa.

Di questi elenchi, tuttavia, solo il primo conteneva le prestazioni effettivamente escluse86, poiché quelle che rientravano nell’allegato 2B erano prestazioni erogabili solo tramite specifiche indicazioni cliniche87, mentre quelle che si trovavano nell’allegato 2C erano erogabili in regime di degenza esclusivamente all’interno di una soglia di ammissibilità che ogni Regione doveva provvedere ad individuare, applicando i criteri di economicità ed appropriatezza organizzativa. Alla luce di tutto questo, le prestazioni ricomprese nell’Allegato 2 rappresentavano l’area della possibile differenziazione regionale dell’offerta di assistenza sanitaria. Questa parte del decreto è stata senza dubbio quella che ha provocato le più aspre controversie, in quanto in essa il legislatore statale ha compiuto alcune fondamentali esclusioni, quale quella relativa alle prestazioni odontoiatriche, ispirate alla necessità di contenere i costi. Forti critiche ha generato anche l’esclusione dai LEA di molte terapie fisiche di riabilitazione, fino a quel momento ricomprese tra quelle erogate dal Servizio Sanitario Nazionale88.

In ogni caso, tutte le censure inerenti al merito del provvedimento sono state respinte dalla giurisprudenza amministrativa, che ha ritenuto che

86 In particolare, le materie escluse dai LEA erano: la circoncisione rituale maschile, gli interventi di chirurgia estetica, le vaccinazioni eseguite in occasione di soggiorni all’estero, le medicine non convenzionali, le certificazioni mediche richieste per un interesse prevalentemente privato ed alcune prestazioni di fisioterapia ambulatoriale richieste per problemi poco rilevanti.

87 Si trattava, infatti, dell’assistenza odontoiatrica, della densitometria ossea, della medicina fisica e riabilitativa ambulatoriale e della chirurgia refrattiva con laser. 88 C. TUBERTINI, Pubblica amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle

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la selezione delle prestazioni da includere sia stata correttamente effettuata, grazie al rispetto dei criteri dettati dall’art. 1 del d.lgs. n. 502/1992; il giudice amministrativo, infatti, ha negato che dalle terapie escluse potesse derivare una lesione del diritto alla salute, in quanto il servizio di assistenza sanitaria deve rispondere anche ai principi di

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