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RIFLESSIONI SULLA TRADUZIONE DEL ROMANZO

3.2 Livello lessicale

In una tipologia di testo, come, appunto, quello letterario, in cui ogni elemento diventa oggetto di semantizzazione, il piano lessicale acquisisce un'importanza fondamentale. La parola, soprattutto se carica di significato connotativo, non è un semplice insieme di lettere e la frase non è una semplice serie di parole: ogni costituente del testo è finalizzato alla trasmissione di un messaggio, sottoposto all'interpretazione del lettore. Il lessico, in particolare, è lo strumento di cui l'autore si serve per compiere quest'azione. La scelta delle parole non è mai lasciata al caso e richiede un'attenta analisi prima di accingersi a qualsiasi possibile traduzione.

Rega scrive che “la dimensione lessicale lato sensu presenta notevoli difficoltà per il traduttore, in particolare per quello letterario: e questo già solo perché si tratta del livello in cui i problemi sono quantitativamente più numerosi”209. Tali problemi, inoltre, sono spesso irrisolvibili o richiedono l'adozione di più strategie. In proposito Rega dice:

questo è dovuto al fatto che le soluzioni che si propongono nella dimensione lessicale sono in linea di massima ancora più numerose di quelle che si offrono a livello sintattico: e di tale circostanza è prova anche il fatto che si tratta di problemi in generale più discussi nel momento in cui si affronta il problema della traduzione e del tradurre in un'ottica sia teorica che pratica. Si ritiene che ciò sia dovuto da una parte alla densità semantica che investe la parola in sé, [...] dall'altra […] il lessico si scopre essere la dimensione per eccellenza in cui la lingua è proteiforme energeia. […]. Per il traduttore lo sforzo è ancora superiore in quanto non solo deve capire, ma deve anche in continuazione adeguare le proprie conoscenze acquisite sul lessico della lingua di arrivo per una riformulazione il più possibile adeguata, riformulazione che in alcuni casi può comportare procedimenti di risemantizzazione e di neologia210.

In La destrucción de todas las cosas il piano lessicale è uno degli aspetti più interessanti dal 207 RAE, Diccionario de la lengua española; http://dle.rae.es/?id=NmvqLKv

208 Il Dizionario Internazionale della lingua italiana De Mauro porta tale accezione: “lungo e pesante coltello a un solo taglio , tipico dell’America latina , usato per disboscare o tagliare la canna da zucchero”.

209 REGA, op. cit., p. 153. 210 Ivi, pp. 153-153.

punto di vista linguistico e traduttologico. Come osservato in precedenza, il registro informale dell'opera prevede l'uso di un linguaggio standard e piuttosto semplice, che accorcia sensibilmente la distanza tra autore e lettore. Presa coscienza dell'importanza di questa caratteristica stilistica, ci si è preoccupati di mantenere nel testo d'arrivo l'effetto di colloquialità dell'originale: si è utilizzato un lessico altrettanto standard e semplice, procedendo, in linea di massima, con una traduzione letterale dell'opera.

Il tono informale raggiunge poi in alcune sequenze dialogiche anche note volgari. Termini licenziosi ed espressioni volgari sono quello che Calvino definisce “la forza espressiva, per cui la locuzione oscena serve come una nota musicale per creare un determinato effetto nella partitura del discorso parlato o scritto”211. In questi casi i traduttori tendono spesso a censurare secondo il gusto e le norme linguistiche e culturali del periodo storico in cui si svolge l'attività. Tuttavia, tale procedura implicherebbe in determinati contesti un'elevazione del registro, venendo meno alla volontà dell'autore di riprodurre un linguaggio che rispecchi le stratificazioni sociali della realtà di riferimento. Il romanzo di Hiriart è ricco di esempi di questa tipologia lessicale, per lo più espressioni tipicamente messicane o latinoamericane, come “carajo”, “pendejo”, “pinche”, “chingada”, “hijo de puta”. In sede di traduzione si è scelto di non appiattire, laddove possibile, il carattere volgare di tali espressioni, parte integrante dell'identità dei personaggi, cercando i corrispettivi della lingua italiana con connotazione affine. Si mostreranno di seguito alcuni esempi:

“ – Abra la boca – le decía un joven y enérgico practicante.

– No abro nada. Quiero hablar con Clotario Buche. Esto es un atraco.

– No nos haga más pesadas las cosas ni empeore su ya difícil situación. No se le olvide adónde vino por su proprio pie.

– No se me olvida nada, llame a Buche inmediatamente, pendejo.

– Si se agita llamo a los enfermeros [...] – Déjame hablar por teléfono, carajo.” (p. 57-58)

“ – Apra la bocca-- gli diceva un giovane ed energico praticante.

– Non apro un beò niente. Voglio parlare con Clotario Buche. Questo è un sequestro.

– Non ci renda le cose più difficili e non peggiori la sua situazione già complicata. Si ricordi che è venuto qui di sua spontanea volontà.

– Non dimentico nulla, chiami subito Buche, idiota.

– Se si agita avviso gli infermieri [...] – Lasciami parlare al telefono, cazzo!”

Carajo è un'interiezione che denota rabbia o disgusto212 ed è stata resa col suo equivalente italiano “cazzo”. Pendejo, invece, nel Diccionario breve de mexicanismos di Guido Gómez de Silva è associato al significato di “tonto, bobo, inepto”213. Le possibilità traduttive oscillavano tra termini più neutri come “stupido”, “idiota”, “cretino” e altri più forti come “coglione”, “stronzo”, dal momento che pendejo è una “voz malsonante”. Dopo un'attenta valutazione, si è optato per “idiota”, sebbene potrebbe sembrare di neutralizzare leggermente la connotazione negativa della voce spagnola. La scelta è più facilmente giustificabile se si introduce il concetto di “cortesia linguistica”:

La cortesia si manifesta come una strategia comunicativa che i parlanti mettono in atto al fine di preservare l’armonia dell’interazione e delle relazioni sociali. La cortesia linguistica implica, a questo scopo, la scelta dei mezzi linguistici attraverso i quali i parlanti decidono di essere cortesi, di evitare di essere rudi o, ancora, di manifestare l’intenzione di essere non curanti dei desideri altrui, ossia di essere intenzionalmente scortesi. I parlanti esprimono, dunque, delle scelte che concorrono ad orientare il livello di cortesia degli enunciati214.

Si conclude che l'utilizzo di una voce piuttosto volgare non sarebbe stata compatibile in un contesto in cui i personaggi comunicano secondo la formula di cortesia, dandosi del lei. Dal punto divista pragmatico, dunque, il termine “idiota” mantiene la funzione offensiva dell'originale, pur perdendone i tratti licenziosi, e permette di riportare l'ironia di base nel testo di arrivo.

– ¿Tenías que hacer la pendejada? ¿No te podías esperar a que acabara el pinche ensayo?

(p. 109)

– Dovevi proprio fare il coglione? Non potevi aspettare che finissero le fottute prove?

Pendejada è un sostantivo derivato dall'aggettivo pendejo e ne acquisisce da questo il significato; ecco perché si è optato per l'espressione italiana “fare il coglione”, facilmente riscontrabile soprattutto nel linguaggio colloquiale giovanile215, che si riferisce all'atteggiamento irritante e fastidioso assunto da uno dei personaggi, conservando il significato dell'originale.

[…] la calle de todos y de nadie, me lleva la chingada, la calle que aísla y comunica, nunca

[...] la strada di tutti e di nessuno, porca troia; la strada che isola e collega, non vedi mai due

212 G. GÓMEZ DE SILVA, Diccionario breve de mexicanismos, Academia Mexicana, Fondo de Cultura Económica, México 2001, p.43.

213 Ivi, pp. 167-178.

214 A. DE MARCO, “La comunicazione interculturale: la cortesia linguistica in una prospettiva cognitivista”,

Filosofi(e) Semiotiche, vol. 4, n. 2, 2017, pp. 15-16.

215 Secondo il dizionario della lingua italiana Garzanti, l'espressione può significare anche “una persona imbecille, incapace”, ma in tale contesto acquista un altro valore.

ves dos veces la misma calle […] la calle del ruletero, y la pesera y el camión repleto, del cine, del gas neón, hijos de puta madre […] (p. 268)

volte la stessa strada […] a strada del tassista, il pesero e il camion carico, il cinema, il gas neon, figli di puttana [...]

“Me lleva la chingada” è un'esclamazione tipicamente messicana di protesta, con sui si vuole esprimere rabbia nei momenti di avversità o di sorpresa. Al momento della traduzione, le opzioni erano molteplici; si è ritenuto però che l'introduzione di parole troppo brevi (ad esempio “fanculo”) avrebbe creato alterazioni nel ritmo della lettura, perciò la scelta è ricaduta su un altro corrispettivo che avesse le stesse funzioni dell'originale. “Hijos de puta madre” è stato tradotto letteralmente.

Dal punto di vista lessicale e linguistico, la forma espressiva del personagio soprannominato “la Jitomata” presenta delle caratteristiche interessanti. Il suo registro informale e il lessico semplice identificano la sua posizione sociale di prostituta. Lasciando per un momento da parte i tratti morfo- sintattici che definiscono la sua colloquialità, si citeranno in questa sede alcuni esempi lessicali e le scelte traduttive proposte. Si tenga in mente che nel testo d'arrivo si è cercato di mantenere il tono marcatamente informale del personaggio, laddove possibile, per evitare di appiattirne l'effetto ironico. Il personaggio utilizza varie voci messicane quali cruda, tradotto col corrispettivo “sbornia” e cuerísima che in un passaggio attribuisce a Città del Messico: colloquialmente la forma femminile dell'aggettivo cuero è attribuita a una donna di bell'aspetto; si è deciso quindi di renderlo in italiano con un altro termine informale, “fichissima”216, ampiamente diffuso soprattutto tra i giovani. Ci si è soffermati poi sul lessema petaca, sostantivo di origine indigena che denota l'oggetto “valigia”: la voce deriva dal náhuatl petlacalli, letteralmente “cassa di stuoia” (da petlatl 'stuoia' e calli 'cassa; recipiente') e sulla RAE è definita “cassa con manico per viaggiare”. La scelta lessicale non è di certo casuale e mantiene una differenza di registro. Trasmette inoltre un'idea di rusticità e trasandatezza affine allo stile di vita della prostituta: per non perdere l'associazione, il termine più vicino poteva essere forse “baule”, che nella lingua italiana identifica una cassa da viaggio fatta di legno, cuoio o fibra217. Altro esempio è l'espressione “yo jalo [...]”, dove jalar nel linguaggio colloquiale in Messico significa “dirigersi in qualche posto”; nel testo d'arrivo si è impiegato il verbo pronominale “me la filo”, altrettanto informale218.

Uno dei punti più spinosi nella traduzione di un testo letterario è dato dai nomi propri219. Questa categoria all'interno può essere di fondamentale importanza quando acquisisce un “potenziale 216 https://dizionario.internazionale.it (uso colloquiale/gergale: che/chi piace per la sua bravura, la simpatia, la bellezza, l’eleganza e simili).

217 http://www.treccani.it

218 https://dizionario.internazionale.it (uso colloquiale: “andarsene via rapidamente, squagliarsela”). 219 I nomi propi, o antroponimi, sono studiati, insieme ai toponimi dalla onomastica.

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