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2.2 Corrente apocalittico-trascendentale

2.2.1 Il genere apocalittico nella tradizione letteraria

2.2.2.2 La morte e l'identità messicana

Oltre al suo valore politico raggiunto tramite l'allegoria storica e la trama apocalittica, il romanzo rispolvera alcuni capisaldi della tradizione letteraria e culturale messicana, di cui l'esplorazione della morte e l'affermazione dell'identità nazionale ne sono forse gli esempi più evidenti. La morte è sempre stata uno dei misteri più inquietanti nella storia dell'uomo e generalmente la religione, la filosofia, l'arte o anche il folklore di una cultura appaiono fortemente condizionate da questa tematica. Nel caso specifico del Messico, in particolare a partire dal tragico avvenimento della Conquista, l'inquietudine della morte ha pervaso la vita quotidiana dei cittadini. Nell'opera El laberinto de la soledad, una delle più illuminanti interpretazioni del carattere nazionale messicano, Octavio Paz sottolinea come i messicani abbiano nel tempo sviluppato una propria visione della morte, risultato della collisione tra la cultura preispanica e quella cristiana.

Per gli aztechi la vita si prolungava con la morte e viceversa.

Para los antiguos mexicanos la muerte no era angustiante ni amedrentadora, no había por qué rehuirle ni darle la vuelta sino más bien enfrentarla de pie y con entereza. Es algo que si bien no agrada, se acepta con tranquilidad, el vivir es breve, sus poetas –cuicanime- lo saben [...] El más allá esperado no es cruel ni condenatorio, no es un lugar de penas ni sufrimientos, por lo cual no hay que temerle. Lo importante es cómo morir pues la trascendencia y la continuidad dependen de esto121. Nella realtà indigena la morte era un evento liberatorio, in cui corpo e anima venivano consegnati alle divinità; non era il fine proprio della vita, bensì un'ulteriore tappa di un ciclo infinito122. L'obiettivo principale era assicurare la continuità della creazione: i sacrifrici, in questo senso, non implicavano la salvezza ultraterrena, ma la salute cosmica123; il mondo, non il singolo individuo,

120 TOVAR, op. cit, p. 7.

121 S. J. VILLASEÑOR-BAYARDO, M. P. ACEVES-PULIDO, “El concepto de la muerte en el imaginario mexicano”, Revista de Neuro-psiquiatría, vol. 76, n. 1, 2013, pp. 13-14.

122 T. A. NORIEGA, “La muerte como tema en la novela mexicana contemporanea”, Mayurga, n. 19, 1979- 1980, p. 79.

123 L'idea di morte nelle civiltà precolombiane del Messico si relaziona al loro concetto di tempo. Per gli indigeni, il tempo era una successione infinita di cicli, separati tra loro dalla morte e dalla distruzione del mondo, il cui ordine poteva essere ristabilito solo attraverso il sacrificio. La vita sulla terra era un mero frammento di ciò che costituisce la totalità essenziale del cosmo. In tal contesto, la morte non può essere semplicemente distruzione della materia e della vita dell'uomo; né un passaggio verso la salvezza o la felicità eterna. Essa garantisce il prolungamento della vita, perciò, l'uomo, offrendo il suo stesso sangue attraverso il sacrificio, assicura la

viveva grazie al sangue e alla morte degli uomini. Il Cattolicesimo sovverte questa prospettiva: “para los cristianos el individuo es lo que cuenta”124; la salvezza avviene a livello personale, così come la morte è tragedia dell'individuo.

I riti degli antichi messicani esprimevano una visione della morte, eroica e sacrificale, come una fonte di rinnovazione, fertilità e trascendenza. La religione imposta dai colonizzatori concepiva invece la morte come una danza macabra, per la paura e, al contempo, il desiderio del giudizio finale125. Per quanto distinte, però, le due visioni convergono nel punto in cui la vita, collettiva o individuale, si considera parallela all'idea di una morte che è, in un certo senso, una vita nuova; la vita stessa si giustifica e trascende quando si realizza la morte. Vita e morte sono concetti inseparabili, due facce di una stessa realtà:

Para el habitante de Nueva York, París o Londres, la muerte es la palabra que jamás se pronuncia porque quema los labios. El mexicano, en cambio, la frecuenta, la burla, la acaricia, duerme con ella, la festeja, es uno de sus juguetes favoritos y su amor más permanente. Cierto, en su actitud hay quizá tanto miedo como en la de los otros; mas al menos no se esconde ni la esconde; […] La indiferencia del mexicano ante la muerte se nutre de su indiferencia ante la vida. El mexicano no solamente postula la intrascendencia del morir, sino la del vivir [...] Morir es natural y hasta deseable; cuanto más pronto, mejor. Nuestra indiferencia ante la muerte es la otra cara de nuestra indiferencia ante la vida126.

La concezione indigenista si fonde pertanto con quella ispanica: “the contemporary popular display is expressed in a syncretism in which ostensible fear has been lost and death is no longer restorative of life but rather a familiar and everyday part of life”127.

L'analisi di Paz ha avuto molti sostenitori dopo di lui. Il critico letterario Juan M. Lope Blanch, ad esempio, afferma che in Messico c'è una vera e propria ossessione per la morte e che il “verdadero macho” non deve temere nulla, neanche la morte o, per lo meno, deve superare il suo timore, dando prova della sua audacia. Anche secondo lo psicologo Rogelio Díaz Guerrero il messicano da prova della sua virilità solo quando dimostra che non ha paura di affrontare la morte. L'antropologo Luis Alberto Vargas, inoltre, scrive che “el mexicano de hoy sigue angustiado ante la perspectiva de morir, como toda la humanidad, pero a diferencia de otros pueblos, no se esconde ante la muerte, sino vive con ella, la hace objeto de burlas y juegos e intenta olvidarla transformándola en algo familiar”128.

permanenza dell'universo. (P. FERNÁNDEZ KELLY, “Death in Mexican Folk Culture”, American Quarterly, vol. 26, n. 5, 1974, pp. 516-535).

124 O. PAZ, El laberinto de la soledad, Cátedra, Madrid 2015, p. 200.

125 S. BRANDES, “Is there a Mexican View of Death?”, Ethos, vol. 31. n. 1, 2003, p. 134. 126 PAZ, op. cit., pp. 201-202.

127 BRANDES, op. cit., p. 134.

128 J. A. FLORES-MARTOS, L. ABAD-GONZALEZ (a cura di), Etnografías de la muerte y las culturas en

América Latina, Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, Cuenca 2007, p. 34; per maggiori informazioni

si possono consultare i seguenti testi: J. M. LOPE-BLANCH, Vocabulario mexicano relativo a la muerte, Centro de Estudios Literarios, Universidad Nacional Autónoma de México, México 1963; R. DIAZ-GUERRERO, Estudio de

È dunque opinione diffusa tra studiosi, sociologi, giornalisti, ciritici e scrittori che i messicani abbiano un rapporto singolare con la morte. Non solo i confini tra la vita e la morte sono confusi, ma si potrebbe asserire che “la muerte mexicana es un espejo de la vida mexicana”129. “(Mexicans) scorn death, they moch death […] they embrace death, as if it were some sort of welcome friend”130, sostiene Stanley Brandes e, in maniera simile, il folclorista Gabriel Moedano Navarro ci ricorda che “si bien el culto a los muertos es un rasgo que aparece en todos los pueblos, no hay lugar en el mundo donde exista con tanto arraigo y con manifestaciones tan profundas como en México”131.

La naturalità con cui il messicano contemporaneo accetta la morte deriverebbe dunque dai modelli culturali preispanici. Tuttavia, a tal proposito Brandes propone una spiegazione: “when death is a common occurrence, a daily reality, people become callous in the face of death, possibly even morbidly attracted to death. Where survival cannot be taken for granted, people are likely to treat death with nonchalance and familiarity”132. Da queste parole si evince che la stereotipazione dell'idea di morte dei messicani risulta vera e applicabile solo in parte. Ciò nonostante, l'indifferenza attribuita ai messicani nei confronti di ciò che comunemente costituisce un timore costante per l'uomo è ormai un simbolo distintivo dell’identità di questa nazione133.

La speculazione sulla morte nell'immaginario messicano è documentata in ogni fase della formazione culturale del Messico e trova ampio margine nel campo degli studi umanistici. Sfruttando il sistema del linguaggio, l'opera letteraria rispecchia infatti come i fenomeni, la realtà e i contesti in cui è prodotta vengono percepiti134. Diventata negli anni un argomento essenziale di riflessione, la morte ha acquisito un valore singolare e distintivo nella tradizione letteraria del

de México, n. 145, 1971, pp. 57-74.

129 PAZ, op. cit., p. 202.

130 BRANDES, op. cit., pp. 127-128.

131 G. MOEDANO-NAVARRO, “La ofrenda del Día de los Muertos”, Folklore Americano, vol. 7-9, 1960-61, p. 32.

132 BRANDES, op. cit., p. 134. A tal proposito, Patricia Fernández Kelly afferma che “death is a permanent concern, a daily presence, especially in a country like Mexico in which problems ranging from the difficulty of providing medical services to the persistence of ignorance and oppression accentuate its meaning”.

133 È interessante che la festa del “Día de los muertos”, celebrata un po' in tutta l'area latino-americana, per ragioni storiche e culturali ha sviluppato in Messico delle caratteristiche proprie. Ne sono un esempio le calaveras, una sorta di epitaffi satirici scritti in strofe di quattro versi, che attaccano personaggi pubblici quali politici, atleti, intellettuali, nonché figure del cinema e della televisione. Diventate un vero e proprio simbolo dell'identità messicana, hanno una lunga storia all'interno delle arti plastiche e combinano le rappresentazioni della morte pre- colombiane con quelle del colonialismo europeo.

134 E. INIGUEZ, “Muerte, literatura y ciencias sociales: reflexiones en torno a las necroescrituras”,

Interpretextos, n. 18, 2017, pp. 24-25.

A tal proposito Borges afferma che il libro non è “un ente incomunicado”, ma “una relación”, “un eje de innumerables relaciones” con sé stesso, altri testi e col mondo referenziale contemporaneamente. Ecco perchè nel processo di elaborazione e di interpretazione dei testi letterari entrano in gioco numerose componenti di diverse discipline umanistiche, quali la filosofia, la sociologia, la psicologia, la storia. Seguendo questa linea, il critico russo Mijaíl M. Bajtín sostiene che il testo, come unica realtà immediata, è spazio privilegiato di ricerca e riflessione; ogni area della conoscenza interviene a partire da esso, poiché nell'enunciato confluiscono anche gli elementi extralinguistici. L'interdisciplinarietà è dunque una caratteristica fondamentale degli studi lettari, che sfruttano strumenti forniti da altre aree della conoscenza per comprendere e analizzare i generi e i sotto-generi della narrativa.

Messico. Ne sono molti gli esempi, soprattutto durante e dopo la Rivoluzione – El luto humano (1943) di José Revueltas, Pedro Páramo (1955) di Juan Rulfo, La muerte de Artemio Cruz (1962) di Carlos Fuentes sono solo alcuni dei titoli più importanti. La letteratura messicana a partire da questo momento sarà, infatti, caratterizzata da un aspetto di morbosità: si vive per la morte, dentro la morte135.

L'opera di Hiriart è interamente permeata dall'essenza della morte, vissuta come un fatto naturale, che penetra e invade la realtà; un evento concreto che cartterizza la quotidianità degli abitanti di Città del Messico. La sua forza distruttrice si avverte fin dalle prime pagine, nella descrizione del paesaggio in cui il protagonista e la famiglia si sono rifugiati: “Antes que nada voy a decir donde estoy escribiendo. Vivo en el campo. Pero no precisamente en un paraje ameno con casita de techo de dos aguas, vereda, árbol copudo y sol amarillo, sino en el polvoriento paisaje mexicano con su hileras magueyes, sus milpas abandonadas y los cerros pelones ocres a lo lejos”. Lo stato di abbandono e isolamento sono i primi elementi che l'autore ci introduce come effetti della distruzione e della morte provocate dagli alieni.

Nelle prime pagine si legge anche un chiaro riferimento a una morte storica, ovvero lo sterminio degli ebrei. Le tecniche di segregazione e uccisione della popolazione conquistata ricordano la tragedia dell'Olocausto: alcuni prigionieri messicani sono, ad esempio, coperti a caso con della pittura indelebile di colori diversi e obbligati a vivere in quartieri specifici della città, ognuno contraddistinto da un colore.

Había muchos presos, y algunos se fugaros, los Cabezones encolerizados les echaron a los presos pintura de colores que no se quita ya nunca, […] y así quedaron, según el azar, el accidente de la barraca que te tocaba: los amarillos, los morados, los verdes, etcétera. Pero con esos se hicieron luego los llamados barrios […] Y una persona tiene que vivir en el barrio que le tocó, y no puede ir, y si va, luego se nota. Al principio desmenuzaban a los que cambiaban de barrio. Luego no, nada más lo pasaban por agua o lo encerebraban o lo cocían […]136.

ci dice il narratore. Tutti coloro che non possono essere usati dai dominatori per portare a termine l'annientamento della capitale devono essere eliminati. Inoltre, l'episodio in cui l'emissione di un gas giallo riduce alla demenza la folla riunita al mercato Abelardo Rodríguez ci fa pensare alle camere a gas dei campi di concentramento nazisti.

La morte è una presenza tangibile che minaccia tutti, ma di cui i personaggi discorrono in maniera del tutto ordinaria, seppur celando l'ironia e l'umorismo nero dell'autore137. Se da un lato l'autore sembra tramandare il modello dell'accettazione stoica della morte, componente significativa del carattere nazionale messicano, dall'altro si allontana dall'indifferenza e dallo sdegno ad essa generalmente attribuiti. Il protagonista è consapevole di non poter più nulla di fronte alla rovina e al

135 T. A. NORIEGA, op. cit. p. 80; traduzione mia. 136 HIRIART, La destrucción, cit. p. 14.

pericolo che lo circondono, e ora attende, inesorabilmente, la morte; egli, però, non rispecchia completamente il “verdadero macho” messicano ,estraneo alla paura della morte di cui parlava Lope Blanch. Al contrario, “miedo” e “temor” appaiono ripetutamente nelle riflessioni di Esteban: (cap. 8)

Miedo, muchas veces pensé en eso. ¿Como se siente? ¿Qué es? Puede parecer raro, pero creo que el principal ingrediente del miedo es una especie de soledad. Una soledad anómala. Es más, ese aislamiento es propiamente el miedo, porque en el aislamiento angustioso se experimenta la fragilidad del yo, que de otra manera no puede experimentarse (porque el yo está, por decirlo así, inmerso en las cosas, en el todo), y por el conatus, por el esfuerzo de autoconservación indivual, toda cosa se esfuerza por perseverar en su ser, cuando está a su alcance (Ética, III, IV), surge el miedo. Pero el estado de aislamiento es anómalo: si no se presenta, no se experimenta la fragilidad del yo y el miedo no llega, y, por lo tanto, cualquier comunión con los demás, la que sea, disminuye el miedo y lo hace gobernable. […] el pánico, el desfiguro de pavor es justamente ese aislamiento, ese cortar los lazos con los otros, con la situación. No es que el miedo te aísle ni que porque te aíslas te entra el miedo, no, el aislamiento es el miedo, en el aislamiento está el conatus angustioso y está todo138.

La paura è strettamente correlata non solo alla solitudine, ma anche a un'altra entità: il tempo. Così nell'opera l'angoscia e il timore della morte si riversano nell'ansia per il tempo che scorre, ormai giunto quasi al termine. Non resta che l'attesa, “la espera [...] de la extinción”, come dice l'autore in un suo articolo, che è “lo único que se nos da, no la experiencia propiamente de morir, que no es experiencia, sino un paso, un brinco, que ya no pertenece a este mundo”. L'uomo è l'unico animale che non solo vive nel tempo, ma vive il tempo, lo sperimenta. “El humano […] es ser que espera, que vaticina con esperanza o con temor; ser que pierde tiempo, que hace tiempo y que mata tiempo. ¿Una mosca, un loro o una ballena pueden ganar tiempo, o pueden tener tiempo, o pueden perder lamentablemente el tiempo, o pueden hacer tiempo, es decir, pueden, no solo vivir en el tiempo, sino vivirlo, id est, vivir el tiempo y ser conscientes de él? No, es obvio que no, lo cierto es que hierbas y animales no humanos están en el tiempo, pero no lo viven ni tienen conciencia de él”. È per tale motivo che l'essere umano è l'unico animale che può sperimentare la morte, o, meglio, l'attesa della morte, “el reconcomio, miedo, ansias, inquietud y demás emociones que engendra la certidumbre y espera de morir […] El humano, considerado desde algún punto de vista, es tiempo. Y la espera de morir, por tanto, es parte íntima de su ser”139.

Altra questione su cui il romanzo di Hiriart offre spunti interessanti è quella relativa all'identità culturale messicana. Secondo Octavio Paz, i messicani sono sempre stati ossessionati dalla ricerca di una propria identità, delle loro origini e del loro futuro comunitario. Per capire meglio l'importanza di quest'asserzione bisogna partire da un concetto basilare e propedeutico: cos'è la cultura? Per “cultura” si intende “quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualunque altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in

138 HIRIART, La destrucción, cit. pp. 223-224.

quanto membro di una società”140. Cultura è tutto ciò che include conoscenze, credenze e istruzioni per sopravvivere, accumulate negli anni da una società; si tratta di un sistema morale, dirigente e normativo, costituito da significati, valori e norme a cui i membri di una comunità obbediscono e che tramandano alle generazioni future. L’identità culturale “remite a una noción de nosostros mismos, en función o en comparación con otros que no son como nosostros […], que no tienen ni las mismas costumbres, hábitos, valores, tradiciones o normas”141: è un elemento fondamentale che individua un popolo in opposizione a un altro. Come afferma lo scrittore scozzese Irvine Welsh, inoltre, con l’arrivo della globalizzazione il fenomeno si è ampliato, rafforzando ulteriormente il legame tra una nazione e la sua identità142.

La ricerca e l’affermazione dell’identità culturale sono argomentazioni centrali negli studi umanistici. In particolare, come afferma Sergio Mansilla Torres, “la literatura no sólo representa la identidad cultural de la comunidad o colectividad desde donde emerge artística institucionalmente aceptada y legitimada en cuanto tal, sino que produce identidad; incluso más: ella misma, en algún sentido que exploraremos más adelante, sería identidad”143. La letteratura compie un'atto di “esencialización” (secondo coordinate spazio-temporali) di una determinata formazione culturale, che viene registrata, costruita e fissata dal testo letterario.

Attraverso la letteratura si delimita l'identità di un popolo e si rende eterna la sua memoria. Nella tradizione messicana, tuttavia, questo processo appare, nella maggior parte dei casi, più complicato, forse perchè il carattere nazionale messicano nasce dall’incontro di due culture molto forti: quella indigena e quella spagnola144. In Messico, come in altri paesi dell’America Latina, infatti, l’arrivo degli europei durante la Conquista ha determinato una svolta nella storia del subcontinente, mettendo a confronto due mondi tanto lontani quanto differenti. La Conquista, il cui nome stesso porta in sé l’idea di violenza, imposizione e uso della forza, non è avvenuta solo a livello territoriale: l’America precolombiana non era una tabula rasa, un posto vuoto, ma una realtà culturale, una società organizzata secondo norme proprie, con credenze religiose solide, arte, scienze, usi e costumi autoctoni. Il raggiungimento dell’indipendenza, poi, sostiene ulteriormente la preoccupazione per l’identità nazionale, nonché la differenziazione e la difesa della propria cultura 140 U. FABIETTI, R. MALIGHETTI, V. MATERA (a cura di), Dal tribale al globale. Introduzione

all'antropologia, Bruno Mondadori, 2012;

141 S. MANSILLA TORRES, Literatura e identidad cultural, Estudios Filológicos, n. 41, 2006, p. 131.

142 I. WELSH, “Is there Such a Thing as a National Literature?”, in The Guardian, 2012;

https://www.theguardian.com/books/2012/aug/19/irvine-welsh-a-national-literature. “Paradoxically, the current era of globalization has, in some ways, strained the relationship between a national-cultural identity and a nation state”.

143 S. MANSILLA TORRES, op. cit., p. 131.

144 Nella discussione sul carattere nazionale messicano è centrale il concetto di mestizo, appunto il popolo nato dall'unione tra gli spagnoli e gli indigeni, che occupava la zona centrale della nazione. In quest'area, originariamente dominata dall'impero azteco, si affermò, dopo la Conquista, la cultura coloniale ed ebbero luogo tre scontri che segnarono la formazione del Messico moderno: le rivoluzioni del 1810, del 1867 e del 1910.

da quella coloniale e dagli altri paesi dell’America Latina. Questo fenomeno si riflette nella letteratura, in particolare, secondo lo studioso Friedhelm Schmidt-Welle, in varie forme di

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